da: http://www.huffingtonpost.it/2016/04/01/piattaforma-vega-edison_n_9592038.html?utm_hp_ref=italy
Prima ti chiedo i danni, poi ti premio. Il governo ha recentemente dato il via libera al raddoppio della piattaforma petrolifera Vega A, nel canale di Sicilia, gestita dalla società Edison, nonostante il ministero dell'Ambiente si sia costituito parte civile contro 6 manager e dirigenti del colosso energetico italo-francese in un processo per smaltimento illecito di rifiuti in corso presso la procura di Ragusa. Il ministero dell'Ambiente ha chiesto un risarcimento per ingiusto profitto pari a 69milioni di euro, come ha riportato il mensile siciliano “S”, diretto da Antonio Condorelli. Il procedimento giudiziario è aperto dal 2007, ma tra rinvii e vizi di forma non si è ancora chiuso il primo grado. Il 5 maggio a Ragusa si svolgerà l'udienza che probabilmente sancirà la prescrizione dei reati per i manager di Edison, difesi dagli avvocati Tullio Padovani e Marco De Luca, tra i più noti penalisti italiani.
Fin qui la cronaca giudiziaria. Poi viene quella politica: il 16 aprile 2015 il ministero dell'Ambiente ha dato parere positivo alla Valutazione di impatto ambientale per il raddoppio della piattaforma e il 13 novembre dello stesso anno il ministero dello Sviluppo economico ha concesso il rinnovo del permesso per 10 anni. A meno di 12 miglia dalla riserva naturale del fiume Irminio, tra Ragusa e Scicli, Edison potrà costruire una seconda piattaforma petrolifera offshore, Vega B, per continuare a sfruttare il giacimento, attivo dal lontano 1984. L'autorizzazione è arrivata subito prima dello stop alle nuove perforazioni sotto le 12 miglia deciso dal governo con l'ultima legge Finanziaria, entrata in vigore il primo gennaio 2016. Le motivazioni del via libera ministeriale appaiono paradossali: “La società ha ottemperato ai termini di buona gestione del giacimento...”, scrive il Mise in una nota del 12 dicembre 2014. Lo stesso governo che chiede ad Edison i danni in giudizio, la promuove a pieni voti nel momento in cui concede il rinnovo del permesso. In sintesi: grazie alla prescrizione Edison non pagherà i danni procurati, ma incassa dal governo un rinnovo della concessione per un decennio, alla modica cifra di un canone di appena 87 euro l'anno a chilometro quadrato, e con royalties da pagare allo Stato pari ad appena il 7% dei proventi (le royalties italiane sono le più basse d'Europa).
Il danno
A scoprire il presunto reato è stato il comandate Antonio Donato, allora al vertice della capitaneria di Pozzallo, oggi comandante ad Augusta, che nel 2007, durante una verifica ordinaria, notò che la società Edison non aveva riportato nei registri lo smaltimento dei rifiuti della piattaforma. Secondo i documenti dell'Ispra, redatti da Luigi Alcaro e Ezio Amato e finiti agli atti del processo di Ragusa, confermati dalla perizia della procura l'Edison tra il 1989 e il 2007 avrebbe iniettato illegalmente nel pozzo sterile V6, a 2.800 metri di profondità, ingenti quantità di rifiuti petroliferi altamente inquinanti: 147mila metri cubi di acque di strato, liquidi che si trovano nel sottosuolo insieme agli idrocarburi, contenenti alte concentrazioni di metalli pesanti e idrocarburi; 333mila metri cubi di acque di lavaggio delle cisterne della nave di stoccaggio del greggio denominata Vega Oil; e persino 14mila metri cubi di acque di sentina. In totale quasi mezzo milione di metri cubi di liquidi altamente inquinanti, definiti dalla legge “rifiuti speciali”. Mezzo miliardo di litri, l'equivalente del contenuto di 12.500 autocisterne. Secondo Ispra, se Edison avesse smaltito questi rifiuti seguendo le indicazioni di legge, avrebbe dovuto spendere ben 69milioni di euro. Secondo la procura «gli imputati si sono resi responsabili di gravi e reiterati attentati alla salubrità dell'ambiente e dell'ecosistema marino», mettendo in pratica «per pura finalità di contenimento dei costi e quindi di redditività aziendale, modalità criminali di smaltimento dei rifiuti pericolosi». Inoltre, specifica la Procura, gli imputati avrebbero immesso «negli strati geologici profondi sostanze, tra cui acido cloridrico, che hanno modificato le caratteristiche morfologico-strutturali» del sottosuolo marino, con l'obiettivo di aumentare la ricettività del pozzo.
Le conseguenze ambientali elencate dal Pm Francesco Puleio appaiono molto gravi: "dispersione e sversamento di idrocarburi e sostanze inquinanti nelle acque marine: contaminazioni ambientali per l'ecosistema marino, inquinamento delle falde idriche profonde, rischio di sismicità indotta". Il problema, conferma Alessandro Giannì direttore delle campagna di Greenpeace è che il pozzo in cui i rifiuti sono stati iniettati è sterile proprio perché potrebbe non essere a tenuta stagna. "Un giacimento petrolifero è come una botte, che è piena di idrocarburi solo se c'è un coperchio che la impermeabilizza. Il pozzo in cui sono stati iniettati questi rifiuti non ha il tappo, è come se fosse una botte con un buco". Secondo Giannì la vicenda di Vega potrebbe aver creato un danno ambientale molto grave: "I liquidi iniettati potrebbero disperdersi per anni nell'ambiente: praticamente abbiamo creato sul fondo del mare una discarica abusiva che potrebbe rilasciare veleni nell'ambiente per un periodo di tempo che non possiamo definire con esattezza, forse secoli". Non solo. Secondo Giannì "Edison sapeva di iniettare inquinanti in un pozzo non a tenuta, come dimostra il fatto che l'azienda abbia usato degli acidi per “allargare il buco", peggiorando una situazione già compromessa".A scoprire il presunto reato è stato il comandate Antonio Donato, allora al vertice della capitaneria di Pozzallo, oggi comandante ad Augusta, che nel 2007, durante una verifica ordinaria, notò che la società Edison non aveva riportato nei registri lo smaltimento dei rifiuti della piattaforma. Secondo i documenti dell'Ispra, redatti da Luigi Alcaro e Ezio Amato e finiti agli atti del processo di Ragusa, confermati dalla perizia della procura l'Edison tra il 1989 e il 2007 avrebbe iniettato illegalmente nel pozzo sterile V6, a 2.800 metri di profondità, ingenti quantità di rifiuti petroliferi altamente inquinanti: 147mila metri cubi di acque di strato, liquidi che si trovano nel sottosuolo insieme agli idrocarburi, contenenti alte concentrazioni di metalli pesanti e idrocarburi; 333mila metri cubi di acque di lavaggio delle cisterne della nave di stoccaggio del greggio denominata Vega Oil; e persino 14mila metri cubi di acque di sentina. In totale quasi mezzo milione di metri cubi di liquidi altamente inquinanti, definiti dalla legge “rifiuti speciali”. Mezzo miliardo di litri, l'equivalente del contenuto di 12.500 autocisterne. Secondo Ispra, se Edison avesse smaltito questi rifiuti seguendo le indicazioni di legge, avrebbe dovuto spendere ben 69milioni di euro. Secondo la procura «gli imputati si sono resi responsabili di gravi e reiterati attentati alla salubrità dell'ambiente e dell'ecosistema marino», mettendo in pratica «per pura finalità di contenimento dei costi e quindi di redditività aziendale, modalità criminali di smaltimento dei rifiuti pericolosi». Inoltre, specifica la Procura, gli imputati avrebbero immesso «negli strati geologici profondi sostanze, tra cui acido cloridrico, che hanno modificato le caratteristiche morfologico-strutturali» del sottosuolo marino, con l'obiettivo di aumentare la ricettività del pozzo.
Il rinnovo
Nonostante questi precedenti, le pratiche per il rinnovo della concessione e per la costruzione della nuova piattaforma VegaB, inoltrate ai ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo dalla società Edison non hanno avuto particolari intoppi. Eppure la richiesta ha un problema immenso: l'area scelta per la realizzazione della piattaforma VegaB ricade all'interno della fascia di protezione delle 12 miglia dal sito di interesse comunitario (Sic) “Fondali e foce del fiume Irminio”. La legge impedirebbe di costruire nuove piattaforme così vicino a un'area protetta. Ma secondo i due ministeri la nuova piattaforma sarebbe nient'altro che il completamento del vecchio programma di lavori, approvato nel 1984, 32 anni fa. Sulle autorizzazioni concesse dal governo, Legambiente, Greenpeace e il Touring club hanno presentato ricorso al Tar del Lazio. A detta delle organizzazioni ambientaliste il governo avrebbe dovuto rigettare al mittente le richieste di autorizzazioni per numerosi inesattezze e irregolarità.
Nonostante questi precedenti, le pratiche per il rinnovo della concessione e per la costruzione della nuova piattaforma VegaB, inoltrate ai ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo dalla società Edison non hanno avuto particolari intoppi. Eppure la richiesta ha un problema immenso: l'area scelta per la realizzazione della piattaforma VegaB ricade all'interno della fascia di protezione delle 12 miglia dal sito di interesse comunitario (Sic) “Fondali e foce del fiume Irminio”. La legge impedirebbe di costruire nuove piattaforme così vicino a un'area protetta. Ma secondo i due ministeri la nuova piattaforma sarebbe nient'altro che il completamento del vecchio programma di lavori, approvato nel 1984, 32 anni fa. Sulle autorizzazioni concesse dal governo, Legambiente, Greenpeace e il Touring club hanno presentato ricorso al Tar del Lazio. A detta delle organizzazioni ambientaliste il governo avrebbe dovuto rigettare al mittente le richieste di autorizzazioni per numerosi inesattezze e irregolarità.
Il referendum
La vicenda di Vega incrocia anche il referendum sulle piattaforme offshore del 17 aprile, che riguarda la prorogabilità dei permessi petroliferi sotto le 12 miglia. Se nelle urne dovesse prevalere il “sì” l'investimento previsto da Edison per il raddoppio della piattaforma, circa 100 milioni di euro, potrebbe essere bloccato. Il rinnovo del permesso, infatti, scadrà nel 2022, e poiché si tratta di una concessione sotto le 12 miglia, in caso di vittoria dei “sì” non potrebbe più essere rinnovato: una durata troppo breve per ammortizzare i costi di costruzione e sviluppo di una nuova piattaforma offshore.
La vicenda di Vega incrocia anche il referendum sulle piattaforme offshore del 17 aprile, che riguarda la prorogabilità dei permessi petroliferi sotto le 12 miglia. Se nelle urne dovesse prevalere il “sì” l'investimento previsto da Edison per il raddoppio della piattaforma, circa 100 milioni di euro, potrebbe essere bloccato. Il rinnovo del permesso, infatti, scadrà nel 2022, e poiché si tratta di una concessione sotto le 12 miglia, in caso di vittoria dei “sì” non potrebbe più essere rinnovato: una durata troppo breve per ammortizzare i costi di costruzione e sviluppo di una nuova piattaforma offshore.
Salvatore Altiero, Manuele Bonaccorsi, Marcello Brecciaroli fanno parte di Italian Offshore un gruppo di inchiesta che ha vinto il premio Dig (Documentari, Inchieste, Giornalismi) del 2015, con un progetto di documentario sulle trivellazioni petrolifere nei mari italiani. Il gruppo ha lanciato una campagna di crowdfunding, sulla piattaforma indiegogo