di Anotnello Caporale
da: http://www.antonellocaporale.it/2016/04/03/alfabeto-erri-de-luca-in-un-paese-sotto-anestesia-i-giovani-nascono-gia-vecchi/
Erri De Luca, provi a illustrare questo nostro curioso tempo.
È l’età dell’anestesia, del torpore civile, dell’in differenza.
Siamo divenuti ospiti della nostra stessa vita. Come se nulla ci riguardasse immediatamente e completamente.
Ci manca la gioventù. A questa nostra società manca la linfa vitale della giovinezza. Noi vecchi siamo in maggioranza, e chi s’avvia alla vita prende coscienza della realtà dei numeri. Sa che sarà in minoranza e si adegua.
Anestesia, astinenza, astensione.
Sì può declinare anche così. Infatti un governo che chiede l’astensione al referendum sulle trivelle invoca l’astinenza civile, inietta anestetico nelle vene della società. Perciò io credo che il 17 aprile possa essere una prova anche di adrenalina, un risarcimento a noi stessi, alle nostre capacità di ribellione e rivalsa.
Manca la voglia di lottare.
Manca lo spirito di contraddizione, che è spirito essenzialmente giovanile. La voglia di non crederti, di essere scettico per principio, per predisposizione. La mia gioventù era figlia del dopoguerra, ed era una processione di rivolte, una forza inarrestabile di azioni, di energie messe in campo, di disordine creativo. Adesso i vecchi si fanno chiamare diversamente giovani. Siamo giunti al punto della contraffazione culturale, della rivoluzione grammaticale. Ma non dispero. Questo Paese mi riguarda e io sono in campo ogni qualvolta una ragione mi pare giusta, ha dignità di essere difesa, illustrata, denunziata.
Le trivelle, il petrolio, l’oro nero.
E prima la Val Susa e in mezzo gli ulivi pugliesi. Vado dove mi porta la ragione, dove sento il bisogno di stare, la necessità di dar voce.
Il petrolio, adesso.
Oramai non c’è opera pubblica che non sia collaterale a fenomeni di banditismo. E non c’è opera che non arrechi danno al territorio. Come si fa a non mettere in conto che in Val Susa si bucano montagne di amianto? E come si fa a non capire che in Lucania i reflui petroliferi sono veleni puri?
È così banale, così lucente e anche imponente la verità. Eppure facciamo fatica.
Siamo la generazione cavia da un punto di vista storico e biologico. Siamo tecnicamente sottoposti a processi vasti e sconosciuti di aggressione alla nostra salute. C’è una ragione se la vita s’allunga ma s’accorcia l’età del benessere fisico. Viviamo più a lungo ma ci ammaliamo prima. Dai settanta siamo scesi ai sessant’anni.
Il malato è un esubero della modernità?
Il malato è una persona sola, più debole e più fragile anzitutto.
Non teniamo nemmeno più alla nostra sorte.
Se non ti ammali non sai, non credi, non pensi. E se non c’è fermento non hai gambe per muoverti prima.
E se non c’è gioventù.
E se una parte di essa espatria.
È disperante così.
Invece io sono speranzoso e allegro. Giro molto, incontro tanta gente e noto che la presenza femminile è quella che più acutamente indaga e scruta l’orizzonte. Le femmine sono più avanti dei maschi, intorpiditi dall’anestesia. Penso che la classe dirigente che si andrà formando e che governerà l’Italia nei prossimi decenni sarà costituita prevalentemente al femminile.
Lei non si scoraggia.
Non mi posso scoraggiare, non mi devo scoraggiare. Intanto il 17 aprile vedremo chi è superfluo: il governo o il popolo.
Lei crede molto alla prova trivelle?
Sì, può essere una botta di adrenalina e finalmente la cronaca aiuta a capire quanto sia essenziale, utile, meritevole di attenzione la scelta di andare a votare. E votare Sì.
Siamo noi l’ultima istanza.
Bisogna lottare contro fenomeni di banditismo politico.
Banditi addirittura!
Sì, per me sono banditi. E mi compiaccio di non avere nella mia rubrica telefonica un sol numero di essi. Conosco solo gente perbene. La fortuna dell’Italia è che in tanti sono quelli perbene.
Saranno perbene ma vecchi.
O diversamente giovani.
Così camuffiamo.
E i giovani si dicono diversamente adulti.
Sembrano spompati.
Sono solo consapevoli di essere in minoranza e si adeguano.
Conformisti.
Il conformismo muove da una necessità. Perciò bisogna battersi per sovvertire questa logica. Io ci sono. Non giro l’Italia per promuovere i miei libri, ma per cogliere le luci che si accendono, le piccole e anche minuscole battaglie che avanzano ovunque, malgrado il silenzio colluso di gran parte dell’informazione.
C’è speranza dunque?
Eccome se c’è!
Da: Il Fatto Quotidiano, 2 aprile 2016