Fanghi di depurazione nelle terre agricole? Futuri idrocarburi nel piatto!

Il grosso guaio di Toninelli sui fanghi con idrocarburi nel decreto Genova


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Venerdì scorso il leader dei verdi Angelo Bonelli ha denunciato su Facebook che nel Decreto Genova era stata inserita una norma «che aumenta i limiti di idrocarburi pesanti C10 a C40 di 20 volte per quanto riguarda i fanghi di depurazione sia civili che industriali che possono essere sparsi sui suoli agricoli». La notizia è poi stata ripresa da Repubblica e da altri giornali che hanno parlato dei veleni nel decreto Genova, quello “scritto col cuore” dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli.

Le giustificazioni dei ministri Toninelli e Costa

Il concentrato Toninelli non ha perso tempo e ieri ha pubblicato un post dal titolo “I veleni di Repubblica” dove ricorda che quella contro i fanghi di depurazione (ovvero i sottoprodotti del processo di depurazione delle fogne) è una battaglia nella quale è personalmente impegnato da anni. Secondo il ministro l’articolo 41 del decreto emergenze costituisce una soluzione in emergenza e non definitiva. Il governo starebbe lavorando a risolvere la questione dei fanghi, come ha spiegato il ministro dell’Ambiente Costa, ma nel frattempo c’era la necessità di risolvere in fretta un problema:  le tonnellate di fanghi accumulate soprattutto nelle regioni del Nord nei depositi di stoccaggio dei fanghi industriali. La colpa però per Toninelli è di Repubblica che ha dato la notizia (per altro riprendendo il comunicato di Bonelli).
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Ma in quella notizia non c’è niente di falso o di “velenoso” perché è vero che nel Decreto Genova l’articolo 41 porta il limite degli idrocarburi derivanti dai processi di depurazione (e quindi contenuti nei fanghi) che possono essere sparsi sui suoli agricoli, da 50 mg per Kg a 1000 mg per Kg. 
Quel limite di 50mg per Kg era stato stabilito da una sentenza del TAR della Lombardia che dopo il ricorso da parte di 64 comuni del lodigiano annullava la delibera n. X/7076 dell’11 settembre 2017. Il limite massimo è stato desunto in base alla legge 156/2006 che però riguarda la presenza di metalli nel terreno e non nei fanghi stessi.
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Fonte
A favore della sentenza del TAR e dell’annullamento della delibera regionale (su questa materia la competenza è in capo alle regioni) si era espresso a luglio il M5S lombardo in un articolo dove spiegava che «l’innalzamento dei valori di idrocarburi nei fanghi, oltre al rischio di contaminazione ambientale, porta con sé quello di contaminazione alimentare, pericolosi per la salute». 
Secondo Patrizia Gentilini di Isde-Medici per l’ambiente: «Applicando questa norma si finirebbe per spargere, nel giro di tre anni, 75 chili di idrocarburi per ettaro sui suoli agricoli italiani. Senza distinguere tra idrocarburi che arricchiscono il terreno e idrocarburi che lo inquinano».

#Noninfanghiamoci: ovvero quando il M5S combatteva contro i fanghi in agricoltura

La delibera della Regione Lombardia voluta dall’ex assessore all’Ambiente datata 11/09/2017 aveva innalzato di 200 volte il limite massimo per gli idrocarburi contenuti nei fanghi destinati all’agricoltura portandolo da 50 a 10mila milligrammi per chilo. L’attuale assessore regionale all’Agricoltura e al cibo Fabio Rolfi aveva dichiarato che i fanghi da depurazione utilizzati in agricoltura «Hanno un alto potenziale inquinante e dobbiamo tutelare la nostra filiera agricola e alimentare» e imposto lo stop alla delibera in attesa di un decreto più restrittivo da parte del Ministero dell’Ambiente. Il Decreto Genova stabilisce sì dei limiti più bassi rispetto alla delibera lombarda ma sono in ogni caso venti volte superiori a quanto stabilito dal TAR.
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Quando Toninelli lottava contro l’uso dei fanghi
Ora il governo, oltre a puntare il dito contro i giornali che hanno dato la notizia, spiega che ha così evitato una situazione “ben peggiore”. Ammettendo implicitamente che anche i limiti attuali non sono migliorativi.
 Ma dove è il problema? 
Da una parte è vero che per gli impianti di depurazione è molto più conveniente far diventare i fanghi fertilizzanti per l’agricoltura (è una pratica concessa anche dalle norme europee) come concime che smaltirli in discarica o negli inceneritori (che in ogni caso al M5S non piacciono). Nel primo caso infatti gli impianti di depurazione devono pagare in media 110 euro a tonnellata. 
Lo smaltimento dei fanghi costituisce una delle voci di spesa più importante per gli impianti di depurazione e la conversione del fango in fertilizzante costituisce una forma di contenimento dei costi. 
Proprio contro l’utilizzo e lo spandimento dei fanghi il M5S Lombardia conduce da anni una dura battaglia sulla quale era molto impegnata la deputata pentastellata Iolanda Nanni, morta il 27 agosto scorso.

Il consigliere M5S lombardo che spiega che è colpa della Lega

Una settimana prima che la notizia finisse sui giornali il consigliere regionale M5S lombardo Simone Verni su Facebook spiegava che «il testo proposto dal Sottosegretario Gava (Lega) alla Conferenza Stato Regioni il 01/08/18 era il c.d. “decreto Galletti (PD)” che non avrebbe mai risolto le ricadute negative ai danni dell’ambiente e della salute». Verni però aggiungeva anche che «relativamente all’art.41, segnalo che il testo proposto dal M5S era differente da quello che è poi stato depositato e inserito nel c.d. “Decreto Genova” ed era decisamente migliore, ossia più restrittivo e più attento all’ambiente e alla salute dei cittadini».
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Una versione dei fatti che si discosta non poco da quella fornita dai ministri Toninelli e Costa che peraltro non hanno spiegato in base a quali criteri o studio scientifico sia stato stabilito il limite dei 1000 mg di idrocarburi per chilo. Ma Verni ci dice anche qualcosa di più: «purtroppo il Sottosegretario Gava e l’on. Lucchini (entrambi Lega) non hanno voluto accettare il testo proposto dal M5S e, in sintesi, il Ministro ha dovuto trovare una soluzione di compromesso». Secondo la versione del consigliere lombardo il M5S ha dovuto quindi accettare la visione della Lega (ovvero lo stesso partito che aveva emanato la delibera contestata dal TAR sulla quale comuni e m5s lombardo avevano dato battaglia). 
Mettendo a confronto le dichiarazioni di Verni con quelle dei ministri sembra quindi che il M5S abbia dovuto chinare la testa alla Lega. 
Per quale motivo? Un’ipotesi la si può fare proprio partendo dalla Lombardia, regione governata dalla Lega con il centrodestra, che è uno dei principali utilizzatori (assieme a Emilia Romagna e Veneto) dei fanghi da depurazione (provenienti anche dalla Liguria) in agricoltura. Il comparto dove vengono maggiormente utilizzati – raccontava lo scorso anno su Rai Tre il servizio La terra dei fanghi – è quello della risicoltura. Da qualche tempo proprio il ministro dell’Interno Matteo Salvini si è schierato a fianco dei risicoltori italiani contro il riso straniero.

Quindi stiamo combinati malissimo! I fanghi non possono essere usati per concimare le terre, quando invece le inquinano e basta. 

Terre inquinate producono cereali, verdure e frutta inquinati che produrranno uomini e donne inquinati e di conseguenza migliaia di malati oncologici che peseranno sul sistema nazionale sanitario portandolo al collasso, ma questo è un aspetto solo economico. 

Il vero dramma è il dolore fisico e spirituale, il lutto a cui saranno costrette intere generazioni, qualora questa legge non venga cancellata.

A che serve o meglio a chi serve inquinare la terra?  Coloro che hanno avallato tale norma non sono al sicuro manco un po' (e tanto meno i loro cari). 

Sono tutti consumatori di prodotti agricoli (che diventeranno in realtà idrocarburi nel piatto) e quindi se gli va bene saranno curati con l'atroce chemioterapia,  se gli va male moriranno prima .

«Viadotto della Magliana fuorilegge: mai collaudato, alto rischio di crolli»

https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/18_agosto_14/viadotto-magliana-fuorilegge-mai-collaudato-alto-rischio-crolli-b09b31da-9feb-11e8-9437-bcf7bbd7366b.shtml

Intervista a Remo Calzona

L’esperto, per decenni docente di Tecnica delle costruzioni alla Sapienza, è stato allievo di Morandi. Per prevenire tragedie simile a quella di Genova esorta il Campidoglio «a chiudere immediatamente il ponte rispettando la normativa»

«Ero allievo di Morandi, e accompagnai l’ingegnere a Maracaibo per studiare il bellissimo ponte di quella città che ha ispirato la struttura fatta poi a Genova». Il professor Remo Calzona, per decenni docente di Tecnica delle costruzioni a La Sapienza, è colpito dalla tragedia del capoluogo ligure. Ma mantiene la freddezza dello studioso. «Era previsto che succedesse. Se i ponti necessitano di manutenzione e aggiornamenti ci sarà pure un motivo. Come tutte le strutture, risentono della “fatica dei materiali”, un fenomeno conosciuto e studiato. Inoltre, il ponte di Genova ha presentato subito una “difettosità intrinseca”che meritava un controllo permanente». Ora Remo Calzona rilancia l’allarme, come ha già fatto a gennaio in un convegno, sul ponte della Magliana.
«Questa struttura presenta da tempo gravi difetti. Intanto, non è mai stata collaudata. Non sono state fatte prove di carico e di tensione. È un ponte fuorilegge da quando è stato aperto, nel 1950». A metà anni Settanta il Comune si accorse delle condizioni fin d’allora critiche del ponte della Magliana e creò una commissione d’inchiesta: al termine della sua indagine, sostanzialmente sostenne che la struttura non andava utilizzata. Ma poi, come racconta il professor Calzona, non ne seguì nulla: il ponte era molto utile a snellire il traffico nel quadrante sud-ovest della città. Il progettista, Carlo Cestelli Guidi, aveva dovuto seguire la vita tormentata di un programma di lavori avviato nel 1938 e sospeso poi per la guerra. L’opera fu ripresa e ultimata alla fine del primo decennio post-bellico.
Senza enfasi emotive, con la lucidità dello scienziato, Calzona indica al Campidoglio la strada da prendere per evitare tragedie come quella di Genova: «Il ponte della Magliana ha oggi elevate possibilità di un crollo. Il rischio di collasso è nell’ordine delle cose. Ha superato di quasi vent’anni il termine della vita di questo tipo di strutture, e sono anni che i danni subiti sono sotto gli occhi di tutti». Non è detto che il ponte debba crollare in questi giorni, è la scienza stessa a non fissare perentoriamente dei termini. La «fatica dei materiali» può avere sviluppi diversi a seconda dei casi e delle circostanze ambientali. Ma prevenire è meglio che provvedere, quindi il professor Calzona ammonisce: «Il Campidoglio dovrebbe immediatamente chiudere il ponte ricordandosi che non è mai stato collaudato e che presenta da tempo forti segni di rischio crollo. Si tratta semplicemente di applicare la legge». La possibilità di lasciare la circolazione ad un traffico leggero è una subordinata irrinunciabile, se proprio non si è in grado di assumere decisioni drastiche. Nel 2000 l’allora sindaco Rutelli, impegnato nel rinnovo della città in occasione del Grande Giubileo, pensò che il raggiungimento dei cinquant’anni suggerisse la sostituzione del ponte della Magliana con uno nuovo, «dei Congressi». Lanciò un bando per la progettazione, ma questa struttura non è stata ancora realizzata. La giunta attuale ha di recente sostenuto l’opportunità di mantenere in esercizio il ponte della Magliana inquadrandone la gestione in un ampio piano di collegamenti stradali che riguarda il quadrante sud-ovest.
Nel convegno dello scorso inverno il preside della facoltà di Ingegneria della Sapienza, D’Ambra, ha in parte ridimensionato l’allarme lanciato in quell’occasione da alcuni studiosi. La necessità di intervenire con un significativo restauro della struttura non è stata però smentita. Il professor Calzona ha costruito decine di ponti, anche all’estero. Ricorda con orgoglio il suo ponte strallato sull’Adige, presso Trento, e il ponte automobilistico lungo un chilometro lanciato sul Po in prossimità di Caorso. Ha pubblicato studi sui terremoti sostenendo che se non sono prevedibili, sono assolutamente calcolabili i loro effetti distruttivi. Che possono essere fortemente ridotti, se non annullabili, applicando speciali tecniche di costruzione, come ormai da anni si fa in Giappone.

E facciamo un appello al sindaco di Roma, Virginia Raggi:
vuole chiudere il viadotto per evitare un crollo simile a quello di Genova? 
Vuole garantire la sicurezza della città di Roma e dei suoi abitanti?
Che aspetta? che ci siano i morti? Daje!

Euro, trappola da riformare: colpa di Berlino»

Euro, trappola da riformare: colpa di Berlino»




I due politologi dibattono del ruolo della Germania nell’Unione Europea: ; «Durante la crisi la Germania ha abdicato alle proprie responsabilità. Insistere su criteri validi a prescindere a volte riflette l’interesse di chi ne è favorito»


di Maurizio Ferrera con Claus Offe













MAURIZIO FERRERA — Di recente hai scritto molto sull’Europa e sei anche uno dei pochi influenti intellettuali tedeschi che criticano apertamente le politiche europee della Germania. Vedi un nesso tra le disfunzionalità dell’Unione monetaria e la crisi sociale e politica, specialmente nell’Europa meridionale?

CLAUS OFFE — Certamente. L’Unione monetaria è divisiva: alcuni Paesi vincono, altri perdono e il divario si allarga. L’euro lega le mani dei Paesi del Sud, che sono costretti ad adattarsi alle sfide della competitività attraverso svalutazioni «interne», ossia comprimendo i salari e le spese sociali. Ma ciò rischia di essere dannoso per la crescita, l’occupazione e la riduzione del debito pubblico attraverso il cosiddetto dividendo fiscale. Le condizioni di vita delle famiglie sono marcatamente peggiorate, dando origine a un malcontento e a una protesta sempre più rabbiosa, anche se spesso mal indirizzata. I Paesi perdenti non possono più stabilire un loro specifico obiettivo di inflazione, ora fissato dalla Bce. Allo stesso tempo, i bassissimi tassi di interesse, anch’essi determinati dalla Bce, avvantaggiano i Paesi vincitori rendendo meno costoso il loro debito pubblico.

MAURIZIO FERRERA — Questo però è vero anche per i Paesi del Sud. In realtà la Germania si lamenta dei bassi livelli dei tassi d’interesse…

CLAUS OFFE — Ma omette di riconoscere che dal 2007 ad oggi ha risparmiato 294 miliardi di euro di interessi sul debito, una cifra che vale quanto un intero anno di spese federali. Un altro vantaggio per i Paesi vincitori è che il cambio fisso dell’euro funziona come sussidio alle loro esportazioni. Non stupisce che la Germania non mostri alcuna inclinazione a condividere i frutti che le regole dell’euro hanno generato per la propria economia con quei Paesi che invece da queste stesse regole sono stati indirettamente penalizzati.

MAURIZIO FERRERA — Già nel tuo libro del 2012 avevi parlato di una «Europa in trappola». Da allora gli effetti della crisi hanno provocato una profonda e allarmante questione sociale, dalla quale è molto difficile uscire.
CLAUS OFFE — Viene in mente la metafora del «mulino satanico», coniata dallo storico Karl Polanyi: ossia quell’ «abisso di degradazione umana» che si verificò agli albori del capitalismo europeo. Ciò che rende il mulino di oggi particolarmente «satanico» è che nessuno può razionalmente decidere di abbandonare l’euro. A dispetto della propaganda demagogica, un’ uscita unilaterale provocherebbe enormi danni. A meno che non si trovi un modo per riformare le regole e introdurre forme di compensazione per i perdenti, rimarremo tutti intrappolati nel «mulino». E più a lungo dura la trappola, più diventa politicamente difficile intraprendere un serio percorso di riforma. La riforma dell’ unione monetaria e l’attivazione di investimenti transazionali su larga scala finanziati dai Paesi vincitori rimane l’unica via di uscita collettivamente razionale. Ma il tempo per avviare un simile percorso si sta rapidamente esaurendo.

MAURIZIO FERRERA — Come Stato membro più grande e come maggiore potenza economica dell’Europa, ci si aspetterebbe che la Germania svolgesse le funzioni di un «egemone benevolo», capace di riconciliare i propri interessi nazionali con quelli degli altri Paesi e, più in generale, con la sostenibilità economica e politica di lungo periodo dell’Unione europea in quanto tale.

CLAUS OFFE — Durante la crisi la Germania ha largamente abdicato alle proprie responsabilità in Europa e per l’Europa. Ha cercato di imporre il proprio modello economico e sociale, in base a quella che definirei la «teoria dei vasi di fiori». Le regole che hanno funzionato così bene a casa «nostra» — così la predica tedesca — sarebbero vantaggiose anche per «voi», se solo foste in grado di rispettarle, come peraltro vi chiede la Ue. Basta usare gli stessi semi e lo stesso fertilizzante e nasceranno gli stessi fiori anche in vasi diversi. La tesi è sbagliata perché ignora o nega l’interdipendenza sistemica: la Germania è la Germania perché ha potuto trarre vantaggi, senza condividerli, dal sistema Ue e dalle interdipendenze fra Paesi — l’opposto dei vasi di fiori separati.

MAURIZIO FERRERA — Il mantra delle élite tedesche e nordeuropee durante la crisi è stato pacta sunt servanda. Un principio più che ragionevole. Ma il diritto romano prevedeva anche la clausola rebus sic stantibus: agli obblighi di un patto si può derogare in caso di mutamenti significativi delle circostanze ...

CLAUS OFFE — Le regole istituzionali non sono mai «date»; sono sempre frutto di decisioni umane. Seguire la routine consente di evitare decisioni scomode o difficili. Ma gli attori sociali possono anche decidere di infrangere le regole, e talvolta ci sono buone ragioni per farlo, per esempio quando non si applica la clausola da te ricordata. A un certo punto le regole possono avvantaggiare una sola delle parti a cui si applicano; oppure la persistenza di regole uniformi finisce per creare disparità di condizioni. Certo, in assenza di buone ragioni è corretto rispettare i patti. Ma l’applicazione di una regola può fallire, o può comportare la violazione di altre regole. Tutto dipende da come valutiamo la qualità delle ragioni che ciascuna parte adduce. Per evitare rotture, in certi casi è opportuno piegare o sospendere temporaneamente le regole. Ma insistere su criteri validi «a prescindere» a volte riflette l’interesse di chi ne è favorito piuttosto che un atteggiamento genuinamente ispirato al principio secondo cui le regole vanno rispettate.

MAURIZIO FERRERA— Un’altra massima speso ripetuta è che non possiamo separare «controllo» e «responsabilità»: chi decide autonomamente una azione deve essere ritenuto responsabile delle sue conseguenze. Mi chiedo fino a che punto, in un sistema complesso come l’Unione economica e monetaria, sia davvero possibile determinare tutte le conseguenze delle azioni di ciascun governo e attribuire responsabilità univoche… Ovviamente, non sto negando che esistano le responsabilità nazionali, ci mancherebbe. Ma non credi che la retorica dei «santi» e dei «peccatori» sposata dalle élite tedesche sia cresciuta oltre i limiti dell’accettabilità politica, etica e persino epistemica (oltre un certo punto, non siamo più in grado di distinguere cause e effetti)?

CLAUS OFFE — Non potrei essere più d’accordo. I vincitori tendono ad attribuire il proprio successo a talento e impegno, mentre i perdenti preferiscono incolpare le circostanze avverse. I vincitori accusano i perdenti di non aver obbedito ai precetti della prudenza e della coerenza morale, mentre i perdenti considerano i vincitori come baciati dalla fortuna o li accusano di aver tratto vantaggi a spese altrui. Queste due narrazioni vanno valutate nel merito specifico, ma bisogna evitare che le narrative dei vincitori prevalgano: il rischio è alto in una sfera pubblica multilingue e quindi frammentata come quella dell’Ue. Per usare un noto aneddoto di Bertolt Brecht, «dove niente sta al posto giusto, c’è disordine». Dal che sembra discendere logicamente che «dove al posto giusto non c’è niente, lì c’è ordine» (l’ordine, il valore assoluto degli ordoliberali!). L’ossessione dottrinaria per l’applicazione delle regole può essere devastante. Lasciami finire con una battuta, tratta da un commento del Financial Times (6 maggio 2018). Nel 1989 un esempio emblematico di probità fiscale e austerità, ovvero il dittatore rumeno Nicolae Ceausescu, si vantava per il fatto che il suo Paese aveva un avanzo di bilancio pari a 9 miliardi di dollari. Entro la fine di quell’anno il suo regime era improvvisamente collassato e lui stesso non era più tra i vivi.







Dopo la lettura di questa intervista, sorgono tre riflessioni:

  1. parlare di Paesi Vincitori e Paesi Perdenti dell'Unione Europea è una sconfitta vera e propria per tutta l'Europa, che non è certamente sorta con questa visione miope di lotta tra Paesi. 
  2. iniziano finalmente a circolare pensieri critici, da parte di intellettuali tedeschi su quanto ottenuto dai capitalisti tedeschi e dal patto realizzato con i loro politici (servi).
  3. la crisi dei Paesi europei del sud è stata evidentemente organizzata e pianificata e vuole essere mantenuta tale secondo una visione alterata dei media dei Paesi europei del nord e dell'est (che assoldati, propagandano vere e proprie fake visions su determinati membri della UE) per chiari vantaggi economici e politici (vedi questione immigrazione, mai davvero affrontata in modo europeo, e trattato di Dublino, considerato inviolabile) di solo una parte (evidentemente indecente e truffaldina) di questa Unione Europea tutta sghemba.

Avanza il nuovo Made in Italy: cinese!


Esempio di calzature di marca, italiane, di base a Roma, realizzate in Cina, come da foto presa da Instagram.

Il fornitore si vanta di nuovi stili che stanno arrivando (da Roma) e che sta producendo.

Quindi, da una parte il brand romano produce il Made in Italy in Cina e il suo fornitore cinese ne ha svelato in anteprima i modelli, seguendo la filosofia della sua cultura millenaria.

A quanto saranno vendute queste scarpe? 600,00/800,00 euro?

ma la vera domanda è: quanto valgono?

E i clienti sono contenti di spendere cifre importanti per comprare il made in Italy cinese?

Gli Usa: “Istituto problematico” Deutsche Bank crolla in Borsa

da: https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/gli-usa-istituto-problematico-deutsche-bank-crolla-in-borsa/

Paura - Titolo vicino al minimo: ha bruciato l’aumento di capitale 2017 La banca è in rosso e la Fed la ritiene pericolosa: se salta, salta l’euro

Deutsche Bank, in un report inviato a clienti e investitori istituzionali a fine 2017, citava le elezioni in Italia tra “i fattori di rischio per i mercati finanziari”. La più grande banca d’Europa e tra le più grandi del mondo ha dimenticato di citare se stessa come rischio assai maggiore: ieri l’istituto – seduto su […]

GERMEXIT???? 
GERXIT????
DEUTSCHANG????

Governo, il commissario Ue Oettinger: “I mercati insegneranno agli italiani a votare in modo giusto”

da: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/29/governo-il-commissario-ue-oettinger-i-mercati-insegneranno-agli-italiani-a-votare-in-modo-giusto/4389942/

Lunedì Angela Merkel aveva messo in parallelo lo stallo politico e istituzionale italiano con la crisi che ha stritolato la Grecia nel 2015. 
Oggi Gunther Oettinger scommette su un ruolo “educativo” che la finanza internazionale potrà avere nel consigliare gli italiani alle prossime elezioni politiche: “I mercati insegneranno agli italiani a votare in modo giusto”, ha detto il commissario europeo per il bilancio e le risorse umane – tedesco, esponente dell’Unione Cristiano Democratica della cancelliera – durante un’intervista all’emittente Deutsche Welle News che andrà in onda questa sera alle 21. Oettinger ha ritwittato l’anticipazione fatta su Twitter dal corrispondente da Bruxelles Bernd Thomas Riegert, che ha realizzato l’intervista, per poi cancellare il tweet.
“Abbiamo fiducia nel Presidente italiano, il quale ha richiamato i partner di coalizione del possibile governo ai loro diritti e doveri, che derivano dall’adesione all’Unione Europea e all’Eurozona”, è il virgolettato attribuito a Oettinger nell’articolo della Deutsche Welle. “Allo stesso modo (il commissario, ndr) si è detto fiducioso anche verso il nuovo governo tecnocratico – si legge ancora – Oettinger non condivide il timore che i partiti populisti possano diventare ancora più forti nelle eventuali nuove elezioni e che ciò potrebbe portare all’uscita dall’Italia dall’Eurozona o addirittura dalla stessa Ue. Il Commissario si aspetta piuttosto che i mercati e l’andamento dell’economia italiana possano essere un segnale per gli elettori: non votare i populisti di sinistra o di destra. Già ora, ad esempio, l’andamento dei titoli di stato è negativo”.

“Nell’intervista – si legge ancora nell’articolo – Oettinger si è mostrato allo stesso tempo ottimista sul fatto che l’Italia continuerà a essere un contributore netto, pagando cioè più soldi all’Ue di quanti non gliene tornino indietro. Innanzitutto, molte imprese hanno beneficiato del mercato unico. Inoltre, l’Ue sta fornendo sempre più risorse all’Italia, per esempio per i terremotati o per la gestione delle frontiere“. “Ciò significa – ha detto il commissario – che stiamo adeguando sempre più il nostro bilancio proprio alle esigenze dell’Italia”.
“In generale, il commissario Ue sostiene che l’accettazione dell’Ue da parte della popolazione è in aumento significativo”. “Ciò ha a che fare con Erdogan, con Trump e con la Brexit – ha proseguito Oettinger – la gente sa che si è in grado di agire come Team europeo”. Soprattutto in una “disputa commerciale prevedibile” con gli Stati Uniti, i vantaggi di essere una comunità sarebbero ovvi: “Cosa sarebbe un paese come l’Italia da solo? O come la Germania da sola? Ma come mercato unico europeo, come Unione, abbiamo l’opportunità di reagire a Trump”.

Sebbene i rapporti con il governo del presidente Donald Trump siano tesi, l’America rimane il partner e amico più vicino dell’Europa. Tuttavia, se Trump aumentasse i dazi sui prodotti europei, allora bisognerebbe restare uniti, indipendentemente da quale sia lo stato più colpito: “Se le auto fossero interessate, tutti dovrebbero aiutare. Se il Bordeaux fosse interessato o se i prodotti dall’Italia fossero interessati, gli altri dovrebbero aiutare. Dobbiamo farci vedere come un’Unione, se lasciamo uno solo sotto la pioggia, alla fine saremo tutti svantaggiati “.
Su Twitter Riegert ricostruisce così i contenuti dell’intervista: “I mercati e un outlook negativo (“darkened”) insegnerà agli elettori italiani a non votare per i partiti populisti alle prossime elezioni, mi ha detto il commissario Oettinger nella mia intervista esclusiva a Strasburgo. “Posso solo sperare che questo giocherà un ruolo nella campagna elettorale”.Il tweet era stato retwittato dallo stesso Oettinger, che poi ha cancellato il post. Riegert ha quindi fatto un altro tweet, in cui attribuisce al commissario un virgolettato molto più conciliante: “Abbiamo fiducia nel nuovo governo italiano”.
Lunedì i commenti dei leader degli altri Paesi Ue alla decisione di Sergio Mattarella di non dare seguito alla formazione del governo Lega-M5s erano stati più cauti, ma la cancelliera tedesca, dopo aver premesso di voler “collaborare con tutti i governi”, aveva ammonito sul fatto che “ci sono anche dei principinell’eurozona” ed evocato il caso della Grecia, ricordando: “Anche all’epoca, con la Grecia di Tsipras, ci furono problemi, e poi ci siamo accordati“.
Pierre Moscovici, commissario agli Affari economici, dal canto suo ha detto: “La mia posizione la conoscete già: è il rispetto delle regole democratiche dei ritmi democratici, gli italiani hanno il destino nelle loro mani e sono loro che lo definiscono, tutti come europei siamo attaccati all’idea dell’Italia pienamente europea, al cuore dell’Europa al cuore della zona euro, e ci auguriamo che questa situazione politica trovi la migliore soluzione”.

BISOGNA DAVVERO RINGRAZIARE OETTINGER PER QUESTO SLANCIO DI VERITA'. 
ANCHE IL M5S E LA LEGA DEBBONO RINGRAZIARE IL COMMISSARIO UE PER AVER RILANCIATO LA LORO CAMPAGNA ELETTORALE.
IL SUO PUNTO DI VISTA SGOMBRA LA STRADA DALLE FALSE ILLUSIONI, ORMAI E' CHIARO, L'EUROPA POLITICA NON ESISTE, ESISTE SOLO L'EURO E LA SPECULAZIONE FINANZIARIA.
GLI ITALIANI ORA SI STANNO RICOMPATTANDO, SONO ANCORA PIU' UNITI CHE MAI E IL DISAMORE PER IL GUSCIO VUOTO EUROPEO CHE HA PRODOTTO SOLO MALESSERE, POVERTA' E INEGUAGLIANZE E' SEMPRE IN CRESCITA.
BRAVO OETTINGER, CAPIAMO CHE LA GERMANIA CI CONSIDERA MALE E INVECE NOI GIA' SIAMO ALLA FINESTRA AD ASPETTARE CHE GLI SCHELETRI NEGLI ARMADI DEI TEDESCHI E FRANCESI VENGANO ESPOSTI.

Cina, bufera sulla fabbrica di scarpe di Ivanka: sfrutta gli operai



L'azienda che produceva la linea di calzature della figlia di Trump ha delocalizzato in Etiopia: i dipendenti denunciano condizioni di lavoro al limite della schiavitù




PECHINO - Produceva le scarpe disegnate da Ivanka Trump, prima che il padre diventasse presidente degli Stati Uniti costringendola a cambiare fornitore. È una delle star diAmazing China, il documentario di propaganda voluto dal governo cinese per celebrare le glorie dell'economia nazionale.

Ma ora si scopre che il successo del colosso cinese Huajian, il primo produttore di scarpe e articoli di pelletteria nel mondo, nasconde una realtà di sfruttamento. I suoi lavoratori in Etiopia, dove l'azienda ha delocalizzato buona parte degli impianti, hanno denunciato all'Associated Press di essere pagati 51 dollari al mese, maltrattati dai capi e costretti a turni interminabili, senza la possibilità di costituire organizzazioni sindacali.

"Non mi resta nulla alla fine del mese", dice Ayelech Geletu, 21 anni, operaio dello stabilimento alle porte di Addis Abeba. A cui fanno eco diversi colleghi: "Ci sono agenti chimici che feriscono mani e occhi, non ti forniscono guanti protettivi e se rifiuti di lavorare senza ti licenziano". Una versione molto diversa dai grandi sorrisi e i pollici all'insù mostrati dagli stessi lavoratori nelle immagini di Amazing China, con tanto di sottotitolo sul "meraviglioso futuro dell'umanità".

Un bell'imbarazzo per gli autori del documentario pensato per esaltare i successi della Cina di Xi Jinping (che compare 30 volte in 90 minuti), rilasciato non a caso pochi giorni prima della modifica costituzionale che lo ha reso presidente a vita e pompato al botteghino costringendo tutti gli iscritti al partito e i dipendenti delle aziende di Stato ad andare a vederlo.

Il motivo per cui Huajian abbia scelto di produrre in Etiopia, dove non esiste un salario minimo, non è un mistero. È lo stesso per cui tante aziende italiane, nei primi anni 2000, hanno spostato i loro stabilimenti in Ci
na: risparmiare. Eppure la propaganda ufficiale del Dragone presenta i suoi investimenti in Africa nell'ambito della nuova Via della seta come un modello di inclusione e sviluppo condiviso.

Il regista del documentario Wei Tie ha spiegato che non era al corrente delle controversie sulle condizioni di lavoro nello stabilimento che ha filmato, e ha spiegato che il motivo per cui lo ha scelto è che Huajian sta "portando l'esperienza cinese della prosperità in Africa". La realtà sembra parecchio diversa
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Robot e invecchiamento, una miscela micidiale



Robot e invecchiamento, una miscela micidiale

Demografia e automazione nel giro di dieci anni cambieranno l'economia Usa. Il risulatato sarà un calo del Pil. Uno studio di Karen Harris, managing director di Bain&Company, mostra uno scenario inquietante. E suggerisce a imprese e investitori di farsi una domanda: "Chi saranno i miei clienti futuri?"




ROMA - Metti insieme cambiamenti demografici e automazione e ne verrà fuori una miscela pericolosa. Specchio di un'economia destinata a calare piano piano, portandosi dietro quella classe media che fino a oggi è stata la forza trainante trainante di produzione e consumi. Ciò che ci attende, secondo un'analisi di Karen Harris, managing director di Bain&Company (nota azienda di consulenza statunitense) è una crescita della diseguaglianza e una diminuzione della domanda. L'analisi presenta nei giorni scorsi alla Strategic Investment Conference a San Diego, California, è sconsolante, ma visto che il futuro è difficile da leggere di questi tempi, l'ipotesi elaborata da Harris non è molto distante da quanto sta accadendo e da quanto sostengono molto economisti: l'automazione distruggerà posti di lavoro. Sui dati demografici poi c'è poco da discutere: si sa già il numero di vivi, morti, anziani. Non c'è molto che possa essere predetto da qui ai prossimi dieci anni, tranne i nati, ma il trend non dovrebbe distanziarsi molto da quello attuale e sull'aspettativa di vita, a meno di clamorose scoperte scientifiche, non ci saranno grandi avanzamenti.

“Labor 2030: The Collision of Demographics, Automation, and Inequality.” E' questo il titolo dello studio di Harris che secondo l'autrice cambierà non solo la vita delle persone, ma anche in modo in cui è intesa l'economia, che sarà vincolata alla domanda (e non più all'offerta). La forza lavoro, secondo la Harris, è destinata a dimuniure e se a ciò si aggiunge l'impatto di una automazione sempre più efficiente, la domanda di beni e servizi è destinata a diminuire mettendo un freno alla crescita economica. Un passaggio che non sarà indolore. Che colpirà soprattutto le classi medie e che inizierà a osservarsi tra una decina di anni.

Sarà un processo lento. E' iniziato negli anni Ottanta e secondo la Harris il punto di rottura, che lei chiama "Wile E. Coyote", si manifestrerà nei prossimi dieci anni appunto, anche se è difficile individuare quando. Un processo che lascerà molti cadaveri sul terreno perché avrà enormi implicazioni sociali, ma anche finanziarie. A esserne colpiti in modo più duro saranno i lavoratori a basso salario, i più deboli nella scala sociale, perché l'impatto dell'automazione sarà diseguale. Qualcuno pagherà molto, qualcun altro poco o nulla. Saranno i lavoratori con i salari più elevati e incassare i maggiori guadagni, mentre a sostenere i costi maggiori toccherà a chi ha salari bassi, questo almeno nel breve periodo. Senza contare che dal 2020 anche i baby boomers inizieranno a diminuire la loro spesa.

Una situazione che per Harris è non solo "socialmente instabile", ma finirà per ripercuotersi sulle stesse aziende che hanno sposato l'automazione. Quella che sembrerebbe un domanda banale la Harris se la pone: chi acquisterà i prodotti fatti dai robot? Non certo la classe media, scivolata verso il basso, né tantomeno i più poveri. La spesa totale dunque diminuirà e il risultato sarà che la crescita economica sarà "limitata alla domanda". Che visto come staranno le cose sarà ben più bassa. Ci sarà dunque, secondo l'allarme lanciato dalla Harris, una contrazione della domanda, dunque del Pil. Cosa che non farà piacere nemmeno alle aziende. E che si ripercuoterà anche sui mercati finanziari. Nello scenario disegnato la Harris suggerisce a imprese e investitori di porsi una domanda: "Chi saranno i miei clienti tra un decennio?". Lei, a quanto pare, ha iniziato a farsela.









E Stilinga pensa che se i produttori sostituiranno i lavoratori con i robot forse produrranno merci che non venderanno proprio, ma che ammasseranno nei vituperati magazzini, andando falliti in quanto non è saggio sottrarre lavoro e guadagni ai lavoratori che di fatto sono i veri big spenders. Non certo i pochissimi ricchi che hanno già tutto.

Del resto la globalizzazione, concetto che ha fatto da livellatore mentale in ogni economista mondiale, per cui non si immagina nessuna alternativa, e concetto che ha determinato la cancellazione della classe media, l'impoverimento dei paesi occidentali, la mancanza di qualità in ogni prodotto, l'invasione di merci che attraversano oceani sulle 60.000 navi degli armatori (veri vincitori del teorema Global) per distruggere la produzione autoctona, è stata concepita per schiavizzare gli animi prima e i corpi dopo e per realizzare un balzo indietro verso l'800, bruciando ogni diritto umano e creando le diseguaglianze per cui 1% del mondo si erge su miliardi di poveri. Una mentalità nazista.

Stilinga si augura che il deliro di onnipotenza dell'1% del mondo gli torni indietro come un boomerang e che  i ricchissimi paghino il 99% di tasse in ogni paese dove cerchano di approdare per eludere il fisco.