da: http://www.repubblica.it/economia/2014/10/14/news/krugman_crisi_debito-98048133/?ref=HRLV-5
Secondo il premio Nobel neokeynesiano, la cancellazione del debito pubblico darebbe immediato sollievo all'economia globlale. Ma ciò non avviene per un eccesso di giustizia: qualsiasi remissione del debito sarebbe un brutto esempio dal punto di vista etico
14 ottobre 2014
ROMA - L'economia mondiale è sempre più in recessione, i mercati rallentano in tutta Europa, severissima Germania compresa. E non stanno meglio nemmeno le cosiddette economie emergenti dove, dalla Cina al Brasile, produzione industriale e spesa dei consumatori nel secondo trimestre sono scesi a livelli più bassi del 2009, quando pure si era nel pieno della crisi finanziaria. Senza parlare delle crisi impreviste: quella Ucraina che ha fortemente danneggiato l'economia dell'Europa dell'Est e l'epidemia di Ebola in Africa Occidentale, che secondo le previsioni della Banca Mondiale costerà al Continente nero almeno 32 miliardi di dollari, colpendo duramente il Pil dei paesi colpiti. Eppure agli incentivi alla crescita si preferisce ancora il rigore dei conti pubblici.
È la "vendetta di chi non è stato perdonato": così il Nobel per l'economia Paul Krugman definisce in un editoriale sul New York Times lo stato attuale dell'economia globale. Perché la cancellazione del debito pubblico che il battagliero neokeynesiano teorizza da tempo e che, sostiene ancora una volta "darebbe sollievo a tutti", continua a essere lo spauracchio delle Banche Centrali. "La sola idea solleva indignazione, soprattutto ideologica. Rimettere i debiti continua ad essere visto come un lassivismo comportamentale che avrebbe chissà quali conseguenza. Come se le cose - chiosa l'economista - potessero andare peggio di così".
Ci risiamo. Paul Krugman torna a prendersela con quello che definisce "l'assurdo moralismo contro la cancellazione del debito che impone l'austerità". E mai come questa volta i fatti sembrano dargli ragione. Certo, gli Stati Uniti stanno vivendo un momento particolarmente propizio. Soprattutto grazie al mercato del lavoro, in ascesa dopo 3 anni di crescita incostante. Ma ci sono dubbi sul come l'economia americana riuscirà a cavalcare l'onda mentre i suoi partner commerciali affogano.
Il Fondo Monetario ha lanciato l'allarme una settimana fa, "La ripresa economica è più debole rispetto alle previsioni. E più irregolare" ha detto il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi.
Krugman veste i panni di Cassandra e per l'ennesima volta dal 2008 fa la conta degli errori politici: austerità quando servivano stimoli, il timore dell'inflazione quando il rischio reale è la deflazione. E tutto per paura che il debito esplodesse sulla scia della recessione. Ma se è così chiaro, si chiede l'economista, perché non riusciamo a uscirne?
"La risposta, credo, sta in un eccesso di virtù. La giustizia sta uccidendo l'economia mondiale". Storicamente, spiega il Nobel, la risposta è sempre stata la remissione dei debiti: "Nel 1930 Roosvelt aiutò a rifinanziare i mutui delle case con altri molto più economici. Durante questa crisi l'Islanda ha annullato una parte significativa del debito accumulato dalle famiglie negli anni della bolla". Più spesso, la riduzione del debito avviene implicitamente, attraverso una sorta di "contenimento economico": politiche governative tese a tenere bassi i tassi di interesse, mentre l'inflazione erode il valore reale del debito. "Ciò che colpisce di questi anni, è quanto poco la riduzione del debito ha effettivamente avuto luogo. Semmai il peso del debito è stato aggravato dal calo dell'inflazione".
Già. Ma, si chiede l'esimio professore di Princeton, perché i debitori ricevono così poco sollievo? "Eccesso di giustizia: qualsiasi tipo di remissione del debito rappresenta un cattivo esempio morale".
Insomma, la risposta politica a una crisi aggravata dal debito eccessivo è la pretesa che i debitori paghino i loro debiti in pieno. Eppure la storia insegna che semplicemente non funziona. Basti pensare agli sforzi della Gran Bretagna alla fine della prima guerra mondiale, quando cercò di pagare il suo debito con enormi surplus di bilancio. Nonostante anni di sacrifici, non fece quasi nessun progresso nel ridurre il rapporto fra debito e Pil.
È quello che sta accadendo ora. I livelli di debito sono in aumento grazie alla scarsa performance economica. "Forse una cattiva notizia - per esempio, la recessione in Germania - porrà fine a questo ciclo distruttivo di virtù". Ma, aggiunge, meglio non contarci troppo...
È la "vendetta di chi non è stato perdonato": così il Nobel per l'economia Paul Krugman definisce in un editoriale sul New York Times lo stato attuale dell'economia globale. Perché la cancellazione del debito pubblico che il battagliero neokeynesiano teorizza da tempo e che, sostiene ancora una volta "darebbe sollievo a tutti", continua a essere lo spauracchio delle Banche Centrali. "La sola idea solleva indignazione, soprattutto ideologica. Rimettere i debiti continua ad essere visto come un lassivismo comportamentale che avrebbe chissà quali conseguenza. Come se le cose - chiosa l'economista - potessero andare peggio di così".
Ci risiamo. Paul Krugman torna a prendersela con quello che definisce "l'assurdo moralismo contro la cancellazione del debito che impone l'austerità". E mai come questa volta i fatti sembrano dargli ragione. Certo, gli Stati Uniti stanno vivendo un momento particolarmente propizio. Soprattutto grazie al mercato del lavoro, in ascesa dopo 3 anni di crescita incostante. Ma ci sono dubbi sul come l'economia americana riuscirà a cavalcare l'onda mentre i suoi partner commerciali affogano.
Il Fondo Monetario ha lanciato l'allarme una settimana fa, "La ripresa economica è più debole rispetto alle previsioni. E più irregolare" ha detto il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi.
Krugman veste i panni di Cassandra e per l'ennesima volta dal 2008 fa la conta degli errori politici: austerità quando servivano stimoli, il timore dell'inflazione quando il rischio reale è la deflazione. E tutto per paura che il debito esplodesse sulla scia della recessione. Ma se è così chiaro, si chiede l'economista, perché non riusciamo a uscirne?
"La risposta, credo, sta in un eccesso di virtù. La giustizia sta uccidendo l'economia mondiale". Storicamente, spiega il Nobel, la risposta è sempre stata la remissione dei debiti: "Nel 1930 Roosvelt aiutò a rifinanziare i mutui delle case con altri molto più economici. Durante questa crisi l'Islanda ha annullato una parte significativa del debito accumulato dalle famiglie negli anni della bolla". Più spesso, la riduzione del debito avviene implicitamente, attraverso una sorta di "contenimento economico": politiche governative tese a tenere bassi i tassi di interesse, mentre l'inflazione erode il valore reale del debito. "Ciò che colpisce di questi anni, è quanto poco la riduzione del debito ha effettivamente avuto luogo. Semmai il peso del debito è stato aggravato dal calo dell'inflazione".
Già. Ma, si chiede l'esimio professore di Princeton, perché i debitori ricevono così poco sollievo? "Eccesso di giustizia: qualsiasi tipo di remissione del debito rappresenta un cattivo esempio morale".
Insomma, la risposta politica a una crisi aggravata dal debito eccessivo è la pretesa che i debitori paghino i loro debiti in pieno. Eppure la storia insegna che semplicemente non funziona. Basti pensare agli sforzi della Gran Bretagna alla fine della prima guerra mondiale, quando cercò di pagare il suo debito con enormi surplus di bilancio. Nonostante anni di sacrifici, non fece quasi nessun progresso nel ridurre il rapporto fra debito e Pil.
È quello che sta accadendo ora. I livelli di debito sono in aumento grazie alla scarsa performance economica. "Forse una cattiva notizia - per esempio, la recessione in Germania - porrà fine a questo ciclo distruttivo di virtù". Ma, aggiunge, meglio non contarci troppo...