MA IL VOTO POPOLARE NON CANCELLA I REATI
(Giovanni Valentini)
La Repubblica,
I giudici non bastano mai a fermare la corruzione, se non se ne rimuovono le cause prime; e per farlo, la ragione morale non è mai sufficiente, soprattutto se indotta per via giudiziaria; ci vuole sempre e comunque la buona politica.
(da “Non ti delego” di Aldo Schiavone–Rizzoli,2013–pag.10)
(da “Non ti delego” di Aldo Schiavone–Rizzoli,2013–pag.10)
Nell’increscioso happening mediatico sulla cosiddetta “agibilità politica” di Silvio Berlusconi, quasi si trattasse di un immobile pericolante da restaurare, riqualificare e sottoporre magari a collaudo, c’è un punto focale su cui converrà soffermarsi per fugare equivoci o strumentalizzazioni. Ed è quello che riguarda la presunta ordalia elettorale che, secondo molti suoi sostenitori, dovrebbe annullare – come un giudizio divino, appunto – la sentenza della magistratura in forza dei voti raccolti nelle urne.
Ma tutta questa indecorosa vicenda, non c’è niente di più falso e ingannevole. Ammesso e non concesso che il responso degli elettori possa prevalere su un verdetto emesso dai giudici “in nome del popolo italiano”, nel caso specifico non vale evidentemente il “principio di maggioranza”. L’elettorato del Pdl corrisponde a un terzo dei votanti e a circa un quinto di tutti gli aventi diritto al voto: si tratta, quindi, pur sempre di una minoranza. E comunque, la storia è prodiga di esempi che dimostrano ampiamente come il popolo a volte “elegge” perfino dittatori o tiranni, colpevoli di misfatti e reati.
Un secondo motivo è che, prima della sentenza definitiva, gli elettori di Berlusconi potevano legittimamente ritenerlo innocente. Mentre oggi, di fronte al terzo verdetto della magistratura, molti hanno dovuto o dovranno cambiare idea. Il responso dell’ordalia, dunque, va quantomeno verificato attraverso un ulteriore passaggio elettorale.
Un altro motivo per respingere l’ordalia è l’influenza della televisione e in particolare delle reti Mediaset che hanno già prestato e continuano a prestare a Berlusconi un “sostegno privilegiato”: ancora alle ultime elezioni, secondo una ricerca del Censis, oltre il 55% degli elettori ha deciso come votare in base alle informazioni e ai commenti trasmessi dalla tv, in larga parte controllata dall’ex premier-tycoon. E un tale condizionamento, per prevenire le obiezioni di tante “anime belle”, non funziona solo in termini politici ed elettorali. Ma anche in termini di “cultura di massa”.
È proprio questa mentalità collettiva – o “senso comune”, indotto dall’imbonimento della televisione commerciale – che può contribuire a spiegare il deficit di indignazione, la carenza di una larga disapprovazione pubblica nei confronti degli atti illeciti di Berlusconi. Il processo di identificazione reciproca tra il leader e il suo popolo è arrivato al punto da ipnotizzare o narcotizzare il pubblico dei teledipendenti. Lui stesso ha incarnato così un “modello di comportamento” in negativo, trasferendolo dalla sfera degli affari a quella della politica.
Se manca l’indignazione pubblica, manca di conseguenza l’indegnità personale. Quella consapevolezza, cioè, che avrebbe già dovuto indurre Berlusconi a dimettersi da senatore, dopo la condanna a quattro anni di reclusione e cinque di interdizione dai pubblici uffici. Non si scopre oggi, del resto, che l’opinione pubblica italiana, per una serie di ragioni storiche e culturali, difetta di quell’etica civile che in altri Paesi è stata ispirata soprattutto dalla riforma protestante.
Altro che contenzioso giuridico, dunque, sulla retroattività o irretroattività della legge Severino. La decadenza è, in pratica, una conseguenza automatica della sentenza emessa dalla Corte di Cassazione. Al pari dell’incandidabilità, non può che scattare ex nunc,come dicono i giuristi, nel momento stesso in cui il parlamentare diventa un pregiudicato. E infatti, è una pena accessoria che si aggiunge a quella principale della reclusione, come una sanzione amministrativa, in analogia con gli effetti civili di una sentenza penale. Se un reo non può entrare in Parlamento, evidentemente deve uscirne appena si accerta in via definitiva la sua colpevolezza.