9-This is Italy: poverty

L’ultimo miglio della povertà (CARLO VERDELLI).

Povertà in Italia
Con la cravatta alla Caritas.
Imprenditori travolti dal crac, impiegati rimasti senza lavoro per la crisi: viaggio tra i nuovi poveri che affollano mense e dormitori.
MILANO -ROTOLATO grande e grosso com’era dal posto fisso alla strada, va in giro in scarpe da tennis, come il “barbun” di Jannacci. Come tanti e tante italiane che la crisi sta sbalzando fuori in massa dal treno della vita normale.
Rotolato grande e grosso com’era dal posto fisso alla strada, ci ha lasciato 30 chili, la dignità e anche il portafoglio, rubato una notte nella stazione centrale di Milano, binario laterale. Dentro ci teneva la foto del figlio. «È uguale a me, sputato, peccato non poterglielo far vedere». In compenso, ha conservato il biglietto da visita: Davide Prestifilippo, agente di commercio, salumi e formaggi (in piccolo, anche il numero di partita Iva e cellulare). Va in giro in scarpe da tennis, come il “barbun” di Jannacci cinquant’anni prima (“barbun” da barba lunga, ultimo gradino del vivere civile). Scarp de tennis come tanti e tante italiane che la crisi sta sbalzando fuori in massa dal treno della vita normale.
La porta del vagone di Davide si è spalancata di schianto il 26 settembre 2011, ore 7.30, via sms: la ditta per cui andava in giro a vendere mozzarelle per la pizza gli annunciava la chiusura. Da allora, infiniti tentativi di risalire, zero risultati. Perito industriale, 44 anni, dopo essere finito nel tritacarne Parmalat («Sono anch’io una vittima di Tanzi») e incappato nel fallimento di un paio di cooperative, Davide ha lasciato Vercelli per Milano, fuori di casa, niente più famiglia, uno scivolo rapido e stordente in fondo al quale c’è il marciapiede. «Non vado nei dormitori perché ho vergogna, non chiedo l’elemosina per lo stesso motivo. Da un po’ frequento una mensa dei frati, ho accettato di farmi fare il tesserino. Si passa uno a uno dai tornelli, sembrano quelli dello stadio. Sa che ero a Madrid a vedere l’Inter del triplete? E adesso qui a sgrinare, a sbattersi per trovare due lire, scusi, cinque euro, e un lavoro, sì, ciao».
«L’altro giorno, al tavolo con me, c’era un tizio distinto, pettinato. Giacca e cravatta. A un certo punto, prende l’Iphone 4 dalla tasca e se lo mette accanto al piatto. Allora gli ho detto: amico, non so cosa ti è capitato per essere qui, ma l’Iphone 4 mettilo via. È uno schiaffo per noi e un rischio per te».
Povera Italia che improvvisamente si scopre povera
Ai 4,8 milioni di persone che secondo l’Istat non ce la fanno più (8 per cento della popolazione, il doppio rispetto a 5 anni fa), vanno aggiunti altri 9 milioni e mezzo che tirano a campare con meno di 506 euro al mese. Il totale fa spavento, 14 milioni e rotti. E lo spavento cresce con i 6 milioni di analfabeti e un tasso di abbandono scolastico tra i più alti dell’Unione europea.
Come mai una simile bomba atomica sociale non occupa il centro del dibattito politico? Dice da tempo, inascoltato, Luigi Ciotti, prete e profeta degli ultimi, un’esistenza spesa a riscattarli, rincuorarli: «Dobbiamo rendere illegale la povertà». Basterebbe anche cominciare a riconoscerla, guardarla in faccia. Guardare oltre lo spread, indicatore nobile ma parziale. Guardare dietro la classifica, pubblicata proprio da Repubblica, che da quinta potenza industriale del mondo (anni Ottanta) ci ha visti scivolare al nono posto, e molto presto ancora più giù, fuori
dai primi dieci, anche dodici.
Milano, la città col più alto reddito d’Italia,è un buon punto di osservazione per misurare la nostra febbre da miseria. Al Centro Aiuto di via Ferrante Aporti, la prima boa per chi sta per affondare, bussano ormai in 13mila, 3mila in più di due anni fa. Il 30 per cento sono italiani, spiega Silvia Fiore che lo coordina. E la curva è destinata a crescere. L’inverno renderà ancora peggiori le cose, e la vita di gente come il signor Davide, ex agente per salumi e formaggi, uno dei 13mila.
La povertà si misura (anche) in metri. E si sta allungando. Due file mute e ordinate compaiono ogni mattino, domenica esclusa, di fronte e alle spalle del centro di Milano. Una sta in via Concordia, ma chi la frequenta dice “Piazza Tricolore” perché è la fermata annunciata dalla voce registrata dei tram 9 e 23 che passano di lì: piazza san Babila è a due passi. L’altra, via Canova, è la porta d’ingresso opposta, appena dietro Cadorna e il Castello. 
Il cuore ricco e famoso di Milano ha le arterie che si stanno vistosamente ingrossando di miseria: 6mila pasti al giorno nelle mense con la fila. E si concentrano non a caso qui i figli inattesi della grande depressione, come sulla poppa del Titanic dopo l’iceberg:il tentativo estremo di salvarsi, di ritrovare uno stipendio, un alloggio, la speranza. Persone dai 30 ai 60 anni in attesa di un pasto caldo gratis, una doccia, una camicia da lavare, un sacco a pelo o una coperta per dormire. La maggior parte sono stranieri, ma gli italiani stanno scalando in fretta posizioni. In pochi mesi, in molti dei centri comunali o cattolici che offrono aiuto, sono già diventati la seconda comunità dopo i rumeni e prima dei marocchini.
Sono poveri del terzo tipo: non hanno il barbone, anzi sono puliti e quasi sempre ben rasati, non mendicano, preferiscono sistemazioni di fortuna ai dormitori perché ancora non ci vogliono
credere di essere arrivati a quel punto, perché non era previsto né prevedibile. Accanto a loro, vagano per la città, in cerca di un rifugio, cibo o alcol, i poveri del primo e secondo tipo, cioè gli emarginati che si sono definitivamente arresi alla strada e le migliaia di nuovi migranti, molti dei quali ormai vivono l’Italia come una stazione di passaggio verso altri Paesi. Dei 150 siriani ospitati dal Comune in via Aldini, nessuno pensa di restare qui: per tutti, il sogno sono Germania
o Svezia.
Proprio accanto a via Aldini, periferia nord ovest, quartiere Quarto Oggiaro, c’è uno dei nuovi dormitori della Milano invisibile, quello di via Mambretti, nato due anni fa sulla scorta dell’emergenza recessione. È l’unico gratuito, gestito dalla cooperativa Arca(l’altro grande dormitorio pubblico, quello storico di via Ortles, arriva a 600 presenze ma costa un euro e mezzo per dormire e lo stesso per la cena: tutto esaurito, comunque, con un 40 per cento di italiani, moltissimi dei quali esodati di fresco nel vecchio casermone dallo tsunami della crisi). In via Mam-bretti, dove prima c’era una scuola, i posti sono 170, i letti (da 8 a 20 per stanza) hanno sostituito i banchi, valigie e borsoni gli zaini degli studenti. Al primo piano le donne, in qualche caso con bimbi piccoli, al secondo gli uomini. Si sta il tempo di dormire, dalle 19 (cena compresa) alle 8 (prima colazione). Il resto del giorno, aria. Tra gli inquilini, regole comprensibilmente severe: due assenze ingiustificate e si perde il posto, niente risse, niente urla. Un riparo dignitoso. Che però a Carau Antonio, camionista fino al fatidico 2011, sta diventando insopportabile. «Ho la patente C, 40 anni di esperienza, l’ultima nel trasporto di carta igienica ai supermercati. Licenziato, sbam, e nessuno che mi riprende perché a 60 anni, dicono, sono vecchio. Durante il giorno giro,come tutti noi fregati dal Duemila, spesso vado alla libreria Sormani dove danno dei film, faccio le code alle mense, mi ammazzo di colloqui per un lavoro. Ma il vero tormento è la notte. Dormo tra due marocchini. Ruttano, scoreggiano, non hanno rispetto, si lavano i piedi dove io devo lavarmi la faccia. Fortuna che ho un amico imbianchino. Gli ho chiesto di lasciarmi la sua macchina per la notte. Farà più freddo ma almeno non sentirò la puzza dei cameroni».
Anche Dario Colucci è un inquilino di Mambretti, anche lui ha conosciuto il salto in basso repentino, da rompersi le ossa. Odontotecnico diplomato, 30 anni da artigiano di dentiere e ponti fino alla specializzazione in modellazioni tridimensionali, ha perso tutto in
un colpo, come al casinò: lavoro, casa, famiglia, tre figli. «I clienti non pagavano, il laboratorio è soffocato, ci hanno uccisi di tasse. Avevo il mutuo della casa da pagare, ho consegnato le chiavi alla banca e mi sono trasferito nella mia Ford Fiesta». Licenziato, poi sfrattato: un classico. A Milano e provincia“saltano”18 mila appartamenti l’anno per morosità (va peggio solo a Roma). Nel 2007 c’era uno sfratto ogni 841 appartamenti, adesso uno ogni 358.
E dopo la Fiesta, signor Dario? «Non resistevo più, ghiacciava anche dentro. Mi sono trovato un localino segreto all’ospedale di Niguarda, vicino alla sala prelievi. In cambio di non venir denunciato, aiutavo gratis quello che caricava le macchinette di bibite e merende alle 5 di mattina. Anche quando sono venuto in Mambretti, ho dato una mano. Pitturare i muri, pulizie. Adesso quelli dell’Arca mi hanno affidato l’incarico di operatore notturno. Lo dico sottovoce ma sto ritrovando fiducia». Quella fiducia che perdi per strada e che, se qualcuno non ti aiuta prima che sia dissolta l’ultima traccia di resistenza, non ritrovi mai più.
La fortuna di Milano è che, di gente che aiuta ce n’è parecchia. Il centro dell’Opera di San Francesco di via Concordia è un prodigio di carità organizzata, con 700 volontari di cui 200 medici. Lo coordina, non a caso, un ingegnere civile, padre Maurizio: 2.700 pasti al giorno (niente dolce, che però offrono i carmelitani scalzi di via Canova), 25mila docce in un anno, di cui 1.328 per le donne, 8.421 cambi di vestiti, 10.219 barbe, 37mila visite mediche nell’ambulatorio, 63mila farmaci prescritti e regalati. Tutti numeri, va da sé, in crescita, con i nuovi italiani in fuorigioco a ingrossare le fila.
Ci trovi di tutto, tra questi italiani maltrattati dalla recessione e trascurati dalle istituzioni romane. Per esempio, una signora sulla cinquantina, golfino verde, capelli lunghi biondi e occhi azzurri, che mangia da sola, molto composta, mentre il figlio trentenne fa lo stesso in tavolo riservato ai maschi. Vengono dal Piemonte, avevano una ditta di import-export finita in tribunale. Storia complicata, lei ha le lacrime trattenute, sembra cedere al pianto, poi s’accende: «Sono cresciuta nel mito di Almirante. Ora più che mai il mio motto è boia chi molla». Il figlio sembra più mesto ma ugualmente elegante.
Mentre se ne vanno dopo il pranzo delle 11 sotto la pioggia e un ombrello grande per due, lui si volta con un sorriso e dice: «Da imprenditore a questo posto qua. Bella carriera, non trova?».
Già, la pioggia. E presto anche il gelo. Il Comune ha appena avviato il “piano freddo” per i senza dimora: da novembre a fine marzo, 3.672 interventi nel 2012, molti di più nel 2013. Verrà a costare più di un milione di euro, a cui vanno aggiunti i soldi per il fondo anti crisi, quelli per il sostegno al reddito (domande aumentate del 300 per cento). In tutto, 25 milioni di euro, e solo per Milano.
Alla presentazione della legge di Stabilità, l’ineffabile ministro per le Politiche agricole, alimentari e forestali, Nunzia De Girolamo, ha comunicato al Paese: «Sono molto soddisfatta di poter dire che il governo ha destinato 5 milioni di euro agli indigenti». Cinque. Molto soddisfatta.
Pierfrancesco Majorino è l’assessore per le Politiche sociali di Milano, e non l’ha presa bene. «Che vergogna. Miliardi di euro ci vorrebbero. Tutto il peso della miseria delle persone ricade sulle nostre spalle di amministratori locali e sulla disperata voglia di fare qualcosa dei volontari, della Curia. Ma manca lo Stato, mancano misure nazionali di sostegno al reddito. Ci sono ovunque, tranne che in Grecia e da noi. Vorrei veder cadere un governo su una tragedia come questa della povertà, e invece se ne fa un tema di compassione».
Caterina Disi ha 48 anni, dei lunghi capelli neri senza neanche uno bianco e non cerca compassione. Nata in Sardegna, diploma di educatrice professionale alla Sapienza di Roma, un curriculum di dieci pagine, ultimo lavoro riconosciuto alla Asl di Ravenna che però la licenzia, da due anni e mezzo è in giro con le sue valigie. Single, dorme in un convento di suore, aspetta gli esiti della causa che ha intentato alla Asl («Mi daranno dei soldi ma non mi ridaranno il posto»), non va alle mense per la vergogna («Mangio biscotti, piuttosto »), entra ed esce dagli uffici di collocamento come dalle librerie, senza mai niente in mano. «Ma la fede non mi fa perdere la speranza. Avrei potuto schiantarmi nella depressione, invece non ho mai preso un farmaco. Il mio unico sonnifero è il rosario. Ma non ac-
tutto, non accetto più. Ho studiato tanto, lavorato tanto, non ho commesso reati e mi ritrovo nella povertà assoluta. Pretendo rispetto dal mio Paese. Pretendo autonomia e ruolo sociale. Voglio giustizia, perché la merito».
Da La Repubblica del 30/10/2013.

Kering: forte rallentamento delle vendite Gucci nel terzo trimestre

Kering: forte rallentamento delle vendite Gucci nel terzo trimestre

da: http://it.fashionmag.com/news/Kering-forte-rallentamento-delle-vendite-Gucci-nel-terzo-trimestre,364432.html#.Um4eVPlWx8E


Il colosso francese del lusso Kering ha visto la crescita organica segnare il passo nel terzo trimestre, affossato da una forte decelerazione del marchio di punta Gucci e da un nuovo calo delle vendite del brand sportivo Puma. I ricavi del gruppo sono saliti del 3,4% a tassi di cambio costanti, dopo un incremento del 4,2% nel primo semestre.


Uno store Gucci

La griffe fiorentina, che pesa per oltre la metà della valutazione di Kering, dopo un +4% nei due trimestri precedenti, manda in archivio il terzo trimestre con vendite in crescita dello 0,6% e un incremento dei ricavi del 4% nei negozi diretti, mentre il canale wholesale subisce una contrazione a causa, si legge in una nota di Kering Group, della selettiva politica di distribuzione. Gucci registra risultati diversi a seconda dei vari mercati.

In Giappone e negli Stati Uniti (escluse le Hawaii) il giro d'affari è cresciuto costantemente, dimostrando l'efficacia della strategia di esclusività attuata in questi Paesi negli ultimi anni, anche se l'adozione di tale strategia nell'Asia-Pacifico ha pregiudicato il terzo trimestre. Nell'Europa Occidentale la performance di Gucci ha subito un forte impatto dall'Italia, suo maggiore mercato nella regione.

La divisione Pelletteria e Calzature ha registrato buoni risultati nei negozi a gestione diretta, mentre le vendite di borse sono state particolarmente importanti, trainate dal successo della linea 'no logo', dalla "Bamboo Shopper" e dalla "Lady Lock".

Puma ha proseguito il trend di discesa con una contrazione delle vendite dello 0,8%.

Fondo salva stati... e l'Italia finanzia Berlino!



da: http://www.repubblica.it/economia/2013/10/21/news/il_fondo_salva-stati_compra_bund_tedeschi_e_l_italia_finanzia_berlino-69053049/index.html

Il fondo salva-Stati compra bund tedeschi e l'Italia finanzia Berlino

La Bce incassa 10 miliardi di cedole dai Btp. Il nostro Paese ha versato all'Esm oltre 11 miliardi ma non  può utilizzarli per aiutare il credito

da:


PIÙ SI AVVICINA L'UNIONE BANCARIA, PIÙ VIENE ALLO SCOPERTO LA TENSIONE NELL'AREA EURO. IN GERMANIA PREVALE IL SOSPETTO CHE L'EUROPA DEL SUD VOGLIA USARE IL FONDO SALVATAGGI (ESM), NEL QUALE IL GOVERNO DI BERLINO È PRIMO AZIONISTA, SENZA POI RIMBORSARE.
Il timore ormai è così radicato che sfugge il lato opposto dell'equazione: per com'è stata strutturata la risposta all'eurocrisi, i contribuenti tedeschi oggi stanno ricevendo un sussidio silenzioso da parte di quelli italiani.

Né gli uni né gli altri lo hanno mai voluto, né probabilmente se ne sono resi conto. Eppure il trasferimento di risorse da Sud a Nord delle Alpi vale ormai diversi miliardi.

In Germania in realtà si cerca soprattutto di evitare l'opposto, gli aiuti all'Europa meridionale. La priorità tedesca oggi è rendere il fondo salvataggi europeo quasi inutilizzabile per l'unione bancaria. Di qui l'ultima proposta di Wolfgang Schaeuble, il ministro dell'Economia: prima che i fondi dell'Esm vengano spesi per sostenere una banca in difficoltà - chiede Schaeuble - vanno imposte perdite a tutti i creditori dell'istituto. Secondo Schaeuble ciò deve riguardare non solo gli obbligazionisti subordinati, quelli legalmente più esposti a un'insolvenza, ma anche chi ha comprato i bond più protetti.

La Germania fa poi un passo in più: chiede che queste perdite siano applicate fin da subito anche per istituti non in dissesto, ma che potrebbero esserlo in uno scenario (ipotetico) di crisi futura. È il modo tedesco di interpretare i cosiddetti "stress test", che 130 banche europee stanno per affrontare: si simula una caduta del Pil e si misura l'effetto che potrebbe avere sui bilanci degli istituti.

Così diventerebbe quasi impossibile usare il fondo salvataggi nell'unione bancaria, anche
perché la fiducia nelle banche sarebbe scossa molto prima. È qui però che la corrente nei vasi comunicanti fra paesi inizia a invertirsi. Con l'Esm di fatto inservibile per le banche, l'Italia in recessione e indebitata inizia a sussidiare una Germania sana e in ripresa. Possibile?

L'Esm ha una forza di fuoco potenziale di 700 miliardi di euro, raccolti in gran parte emettendo bond sui mercati. La sua base però è il capitale versato direttamente dai governi dell'area euro. La settimana scorsa hanno tutti trasferito la quarta tranche, per un totale di 64 miliardi, e entro la prima metà del 2014 si arriverà a ottanta. Poiché la Germania è primo azionista con una quota del 27,14%, ha già pagato al fondo europeo 17,3 miliardi e alla fine dovrà versarne 21,7. L'Italia, che è terzo azionista con il 17,91% (secondo è la Francia), ha versato 11,4 miliardi e nel 2014 saranno 14,3.

Le risorse pagate dal governo di Roma, se solo fossero rimaste in Italia, probabilmente basterebbero a gestire i problemi delle banche. Invece sono immobilizzate nell'Esm a Lussemburgo. Ciò sarebbe utile nel caso in cui il fondo europeo potesse essere usato per le banche senza prima distruggere la fiducia degli investitori. Per ora però di quei soldi dell'Esm si fa un uso diverso: vengono investiti prevalentemente in titoli di Stato tedeschi. Ciò contribuisce, con i soldi dei contribuenti italiani, a ridurre i tassi sui Bund e su tutto il sistema finanziario in Germania, quindi ad allargare lo spread e lo svantaggio competitivo delle imprese in Italia.

L'Esm non comunica in dettaglio come gestisce il capitale affidatogli, ma i criteri sono chiari: non può comprare titoli con rating sotto la "doppia A" (dunque Italia e Spagna sono fuori) e compra "attività liquide di alta qualità". Dunque certamente in buona parte Bund tedeschi.
È una scelta comprensibile, ma di fatto ciò significa che l'Europa del Sud sta sussidiando la Germania, senza poi poter attingere all'Esm per sostenere le proprie banche.

C'è poi un secondo, sostanziale trasferimento di risorse da Sud a Nord. Nel 2011 la Banca centrale europea acquistò circa 100 miliardi di euro in Btp in una fase in cui i rendimenti arrivarono anche a toccare l'8%. Fu un rischio e una scelta provvidenziale. Ma da allora il valore di quei titoli italiano è salito, in certi casi, anche di più del 20%. E il governo italiano ha onorato alla Bce cedole per oltre dieci miliardi in tutto. La Bce non aveva mai guadagnato tanto con un solo investimento e la Bundesbank, suo primo socio, ne beneficia per circa un terzo. Anche quei soldi sono andati dall'Italia al contribuente tedesco. Peccato che nessuno gliel'abbia mai spiegato.

E Stilinga pensa che siamo alla frutta, manco fresca, secca!

Se quanto riportato da Fubini è vero allora siamo proprio messi male. 

Ma se l'Italia è il terzo azionista dell'ESM che aspetta a battere i piedi e a reclamare voce in capitolo????

Possibile che dobbiamo solo prendere eterne fregature, a beneficio della cavola di Germania che invece farebbe bene a diventare guida d'Europa e quindi beccandosi pure tutte le responsabilità che ne conseguono, visto che vuole spadroneggiare in lungo e largo e poi se l'Italia è stata inclusa tra i PIIGS è  ora che un po' della nostra m***a se la carichi sul groppone pure lei che mai, nè in passato nè in futuro, è Uber Alles!