“DICA 33% …” NO GRAZIE!
I LAVORATORI AUTONOMI VOGLIONO VIVERE CON DIGNITÀ.
NO ALL’AUMENTO AL 33% DEI CONTRIBUTI ALLA GESTIONE SEPARATA DELL’INPS.
Il DDL di riforma del mercato del lavoro ha introdotto nell’articolo 36 un aumento graduale dei contributi
di 1 punto percentuale all’anno per gli iscritti alla Gestione Separata a partire dal 2013 e fino al 2018, quando raggiungeranno il 33%. La relazione tecnica al DDL, abbastanza doviziosa di particolari
sugli obiettivi e i benefici delle norme, non formula alcuna spiegazione sul perché di questa misura.
Tale piano pensione non offre alcun vantaggio agli iscritti alla Gestione Separata, obbligandoli a una
spesa annuale di migliaia di euro in più e rendendo loro economicamente impossibile il ricorso a
forme di previdenza integrativa privata, a fronte della certezza di una pensione pubblica irrisoria dopo
40 anni di contributi. Il montante contributivo – il complesso dei versamenti effettuati – si rivaluta
infatti a un tasso inferiore a quello offerto da investimenti alternativi, anche a causa delle agevolazioni
fiscali concesse a questi ultimi.
Noi chiediamo perciò la decontribuzione e la possibilità di orientarci verso schemi previdenziali
integrativi, perché è nostro diritto provare ad assicurarci una pensione dignitosa quando non potremo
più lavorare. (art. 38.2 Cost.: I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria).
SÌ ALLA SEPARAZIONE TRA CO.CO.PRO E P.IVA NELLA GS
Chiediamo che venga operata una distinzione fra co.co.pro. e professionisti indipendenti perché le esigenze
dei due gruppi sono diverse. I primi sono il più delle volte collaboratori legati da un rapporto di
parasubordinazione a un committente che versa nella Gestione Separata 2/3 dei contributi previdenziali.
Per loro si profila semmai la necessità di tutela dagli abusi nell’utilizzo del contratto a progetto,
dietro il quale molto spesso si cela un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato non tutelato.
I lavoratori autonomi con P. IVA sono invece integralmente responsabili del versamento dei propri
contributi previdenziali e si avvalgono unicamente di una rivalsa minima del 4% sul committente, alla
quale generalmente si rinuncia in caso di clientela estera per l’imbarazzo di dover spiegare la farraginosità
del sistema previdenziale italiano.
QUANDO “INDIPENDENZA” PUÒ FAR RIMA CON “MONOCOMMITTENZA”
Il DDL di riforma del mercato del lavoro si propone di combattere l’abuso dei rapporti di lavoro in regime
di partita IVA introducendo norme rigorose per scoraggiare la monocommittenza. Queste norme,
pur essendo state formulate con il lodevole intento di proteggere i lavoratori ricattabili, nella realtà
finiscono per penalizzare quei lavoratori autonomi che, pur derivando la maggior parte del proprio
fatturato da un singolo committente, operano in maniera pienamente indipendente da quest’ultimo.
Queste norme sono il portato di una distinzione forzata tra “finte” e “vere” partite IVA che, a nostro
avviso, non aiuta in alcun modo a trovare una soluzione che protegga i lavoratori più deboli ed esposti
al rischio di sfruttamento.
Una vera riforma del mercato del lavoro dovrebbe invece tutelare e valorizzare il lavoro in tutte le sue
forme, indipendente e dipendente, subordinato e autonomo.
A nostro avviso, piuttosto che insistere sulla distinzione tra “finti” e “veri” autonomi, che non può essere
risolta facilmente in via teorica e men che mai per via legislativa, ci si dovrebbe porre l’obiettivo
di individuare i lavoratori “economicamente vulnerabili” (a prescindere dall’inquadramento giuridico
del rapporto di lavoro) e predisporre adeguate forme di tutela per aiutarli a uscire dalla condizione di
vulnerabilità, lasciando gli altri liberi di lavorare e di produrre secondo le modalità che ritengono più
opportune.
SÌ ALL’EQUITÀ DI TRATTAMENTO PREVIDENZIALE TRA I LAVORATORI AUTONOMI
È auspicabile l’equiparazione previdenziale dei professionisti indipendenti con Partita IVA a quella
degli altri professionisti ordinisti che versano fino a un massimo del 15% o 20% di contributi previdenziali
nelle casse dei loro ordini.
Tale bassa contribuzione consente loro di usufruire delle agevolazioni fiscali offerte da altri schemi
previdenziali o comunque di impiegare in maniera più proficua i loro risparmi.
NO ALL’USO DELLA GESTIONE SEPARATA COME BANCOMAT DI STATO!
Come dichiarato negli stessi documenti programmatici del governo, l’aumento dei contributi a carico
dei lavoratori indipendenti iscritti alla Gestione Separata ha come principale obiettivo quello di reperire
risorse per fare fronte ai nuovi impegni previdenziali emersi a causa della crisi.
I liberi professionisti non ordinisti, pur essendo del tutto esclusi da qualsiasi forma di welfare, non
possono contare sul sostegno di potenti lobby di natura sindacale né socioeconomica: e quindi rappresentano
la categoria ideale alla quale attingere nuove risorse finanziarie.
La Gestione Separata è infatti ancora troppo giovane come cassa per erogare pensioni direttamente ai
suoi contribuenti, e viene nel frattempo utilizzata come fondo cui attingere per la Cassa Integrazione
Straordinaria delle imprese o per pagare le pensioni estremamente generose che venivano garantite dal
sistema retributivo.
Tutto questo è iniquo e alimenta un sistema malato in cui i lavoratori di oggi pagano i debiti, i privilegi
e gli errori di ieri con i soldi che in teoria dovrebbero essere la loro garanzia per il domani.
Assemblea dei lavoratori autonomi del 5 maggio a Roma, Porta Futuro
Gruppo Facebook “Contro l’aumento annunciato di 7% INPS Gestione separata”