di Anna Soru*
Caro Ministro,
durante l’incontro organizzato giovedì dal Corriere della Sera, ci ha spiegato che il motivo per cui si è deciso di aumentare i contributi é quello di assicurarci una pensione più elevata. Perché solo a noi? Perché questa preoccupazione non riguarda tutti gli altri autonomi che versano molto di meno ovvero il 14-16% se professionisti il 21% se commercianti?
durante l’incontro organizzato giovedì dal Corriere della Sera, ci ha spiegato che il motivo per cui si è deciso di aumentare i contributi é quello di assicurarci una pensione più elevata. Perché solo a noi? Perché questa preoccupazione non riguarda tutti gli altri autonomi che versano molto di meno ovvero il 14-16% se professionisti il 21% se commercianti?
O anche i dipendenti, che versano meno, se utilizziamo la stessa base di riferimento: sia esso il costo del lavoro (25,6% contro il nostro 27%), l’imponibile Irpef (36,3% contro 37,4%) o il reddito netto (46,6% contro 50,9%), come si evince dalla tavola successiva, che confronta lo schema dei costi per un lavoratore dipendente e un professionista autonomo iscritto alla gestione separata, smentendo la vulgata secondo cui l’aumento al 33% parificherebbe la nostra contribuzione a quella dei dipendenti.
No, la spiegazione non ci convince. La verità é che la nostra contribuzione serve a sanare i deficit di altre gestioni che sono state molto generose con molti degli attuali pensionati, i cui diritti acquisiti hanno ormai tutto l’aspetto di veri e propri privilegi e che come tali andrebbero affrontati. Ma ci opponiamo al 33% soprattutto perché è del tutto sproporzionato e non possiamo pagarli. Un 33% per la sola pensione é insostenibile, una follia appunto.
Non a caso in nessun paese la contribuzione pensionistica supera il 23% e quasi sempre resta sotto il 20%. Se facciamo riferimento alla Svezia e alla Polonia, i due paesi che hanno un sistema pensionistico analogo al nostro (contributivo a ripartizione), la contribuzione pensionistica totale é pari rispettivamente a 18,5% e 19,5%, di cui una quota (rispettivamente 2 e 7%) verso fondi di investimento (il secondo pilastro appunto).
Ma il 33% non e’ giustificabile neppure in termini attuariali. Se verso il 33% dei mio fatturato per la pensione, con 2 anni di contributi dovrei coprire un anno di pensione (il mio reddito al lordo delle imposte attuale è il 66%, una pensione al lordo delle imposte pari ad esso garantirebbe lo stesso reddito netto, perché dalla pensione non vengono detratti i contributi).
Con 40 anni di versamenti dovrei quindi coprire 20 anni di pensione, molti di più della speranza di vita residua al momento del pensionamento. Se il sistema assicurasse anche solo il mantenimento del potere d’acquisto (senza alcun rendimento del capitale in termini reali), si dovrebbe percepire una pensione superiore al reddito lavorativo medio. Così non sarà perché appunto i nostri soldi servono a pagare le attuali pensioni retributive e i nuovi servizi a cui noi non accederemo (ASPI).
Caro Ministro, io La ringrazio ancora per averci incontrato e Le chiedo di ascoltare davvero le nostre ragioni, prima che sia approvata una misura iniqua, che rischia di distruggere oggi il futuro (anche pensionistico) di tanti lavoratori che hanno accettato la sfida della flessibilità, in particolare di tutti coloro che non potranno fuggire dalla gestione separata o dal nostro Paese.
*presidente Acta, Associazione Consulenti Terziario Avanzato