Serena Soccoia e Pantaleo Gadaleta, maestri e compositori che a volte prestano la propria arte anche a Caparezza!

Serena Soccoia e Pantaleo Gadaleta sono due maestri e compositori che hanno partecipato all'album di Caparezza, inclusa China Town, splendida canzone, e giustamente sono anche ricordati su Wikipedia .

Entrambi fanno parte del Mondo della Luna , l'ensemble orchestrale diretto dal M° Grazia Bonasia, è espressione dell'omonima Associazione Culturale nata con l'obiettivo di produrre e promuovere la musica.


Sono anche su Twitter:
https://twitter.com/mondodellaluna/status/406843315913388032

Banche, il rigore non vale in Germania i salvataggi di Sparkasse e Landesbanken



da: http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2014/12/08/news/banche_il_rigore_non_vale_in_germania_i_salvataggi_di_sparkasse_e_landesbanken-102378650/

ANALISTI E OSSERVATORI RILEVANO UN TRATTAMENTO PRIVILEGIATO PER LE TEDESCHE. GRAN PARTE DEGLI ISTITUTI REGIONALI E LOCALI SONO SFUGGITI AGLI STRESS TEST, MENTRE SUI PARAMETRI ADOTTATI DALLA VIGILANZA HANNO PESATO IN MANIERA LIEVE DERIVATI E TITOLI STRUTTURATI



L' ultimo scandalo in ordine cronologico è stato piccante e galeotto, di natura sessuale. Walter Kleine, 55 anni, ha dovuto gettare la spugna dopo aver molestato per mesi alcune dipendenti giovani e carine. Può succedere ovunque. Ma il caso di Herr Kleine, numero uno appena dimessosi della Sparkasse di Hannover è solo la punta dell'iceberg. Di un iceberg visibile, anzi: Sparkassen e Landesbanken sono un mondo opaco. L e Sparkassen sono le casse di risparmio, le Landesbanken sono le banche che appartengono in comproprietà ad alcuni dei sedici Bundeslaender, cioè gli Stati che compongono la Repubblica federale. Lobbyismo, complicità, amicizie e favori con i poteri politici locali e federali, perdite per miliardi, affari illeciti. Se la trojka fosse stata incaricata di indagare su Sparkassen e Landesbanken con la durezza con cui ha posto sotto esame la Grecia, la Bundesrepublik ne sarebbe uscita male. Ma non è stato così: solo sei Landesbanken sono state sottoposte agli stress test e poi alla vigilanza unica della Banca Centrale Europea, e hanno passato l’esame. Le altre Landesbanken, e le Sparkassen, no. Ma è il sistema bancario tedesco nel suo complesso, che sembra essere sempre un po’ “più uguale degli altri”. Come ha detto Ignazio Angeloni, membro del supervisory board della vigilanza bancaria europea, i criteri di discrezionalità nazionali utilizzati in occasione dei due test di stress e sulla qualità degli attivi sono stati ben 103.
 E hanno pesato molto nel risultato finale, finendo per gonfiare di 126 miliardi la patrimonializzazione del campione esaminato. Parlando di singoli paesi, Angeloni ha notato che le banche tedesche hanno beneficiato di filtri prudenziali e altri tipi di deroghe per oltre 30 miliardi, quelle spagnole circa 25 miliardi, mentre per le italiane l’ammontare delle eccezioni è attorno ai 15 miliardi. 
«Ci vorrebbe più trasparenza su queste esenzioni, e in generale più certezza nelle misure di gestione e aumento di capitale, le quali non dovrebbero essere dipendenti da discrezionalità nazionali», ha dichiarato Angeloni all’agenzia Bloomberg. 

Ecco tre esempi di trattamento dispari: i crediti ristrutturati in Germania possono diventare immediatamente «buoni», mentre in Italia per almeno due anni le partite ristrutturate devono permanere tra i crediti deteriorati. Oppure i criteri di calcolo del valore delle garanzie: sempre a fair value al di qua delle Alpi, al valore nominale se si tratta di garanzie immobiliari tedesche. O infine gli avviamenti, che in Germania sono inclusi nel patrimonio, una possibilità che la Banca d’Italia non concede. Ci sono poi le asimmetrie risultanti dal modo in cui le verifiche sugli attivi svolte dalla Bce (i cosiddetti Aqr) hanno ponderato diversi tipi di rischi.
 Mentre i crediti sono stati falcidiati, l’Eurotower ha usato la mano leggera per derivati e strutture finanziarie complesse, quelle per cui la contabilizzazione è delegata a sistemi interni agli istituti. Le quattro banche europee più esposte su questi attivi, chiamati «di terzo livello», sono Bnp Paribas, Crédit Agricole, Bpce e Deutsche Bank, che a fine 2013 ne detenevano per 74 miliardi di euro. Ma in seguito agli Aqr le rettifiche complessive sono state di appena 1,2 miliardi di euro, l’1,6 per cento del valore di quegli attivi. E Deutsche Bank, che ne è un po’ la regina — nel 2013 aveva attivi level 3 pari al 70 per cento del patrimonio netto tangibile — le rettifiche sono state di 94 milioni, lo 0,32 per cento; fortuna che si parla di strumenti ad alto rischio e prezzi incerti. Ma si sa, ovunque un meccanismo collettivo veda la presenza dominante d’una potenza egemone, se tutti sono uguali alcuni sono più uguali degli altri. Per cui ad esempio gli aumenti di capitale sostenuti dalla mano pubblica per le banche. 
I dati ufficiali dell’Unione Europea parlano chiaro: tra il 2008 e il 2012 la Germania ha rimpolpato con 64 miliardi di euro il suo sistema bancario malato, che all’inizio della crisi dei subprime si fece trovare zeppo (circa 500 miliardi) di mutui immobiliari statunitensi di basso valore e alto rendimento, e quando scoppiò la crisi sovrana si rivelò il primo investitore dei debiti di Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna (altri 535 miliardi). Per questo la mano pubblica tedesca ha dovuto pagare forte, un assegno pari al 2,4% del Pil.

E qui si sorvola sul doppio gioco politico, perché è ormai una verità storica che la severità dei tedeschi nelle istituzioni comunitarie nei confronti dei paesi cicala è servita anche a proteggere l’esposizione e il rientro in emissioni periferiche delle banche teutoniche. 

In Italia, invece, gli aiuti di Stato sono stati quasi assenti: 6 miliardi nei quattro anni neri, uno 0,5% del Pil tricolore e quasi tutti restituiti con gli interessi (resta solo un miliardo di bond convertibili al Monte dei Paschi).
 E qui parliamo delle sole banche semipubbliche o locali che sono state ‘visitate’ dagli stress test: chissà quanto hanno intascato le altre, esentate a seguito del vittorioso pressing del potere il cui volto è inevitabilmente, sulla scena globale, quello di Angela Merkel. 
Le Landesbanken che sono state sottoposte allo stress test sono solo una parte, le Sparkassen si sono salvate.
 E anche questo non è stato un vantaggio da poco, per Berlino. Quando ai primi di settembre la Bce pubblicò l’elenco delle 120 banche che sarebbero finite sotto la lente della vigilanza unica, emerse rumorosamente l’assenza di mezza Germania bancaria: ben 1.697 banche su 3.532 tedesche non superavano la soglia sistemica, quindi sarebbero rimaste sotto l’ombrello grigio delle vigilanze locali. 
Tra queste tutte le Sparkassen, tutte le cooperative (Volksbanken o Raiffeisenbanken), che costituiscono l’ossatura finanziaria di imprese e politica locali in tutto il paese. L’autorevole pensatoio bruxellese Bruegel mise a nudo la cosa, negoziata al Consiglio Ecofin nove mesi prima: «L’eccezione fu introdotta durante il negoziato al Consiglio, apparentemente dopo la forte insistenza della Germania — ha detto l’economista Nicolas Véron — le conseguenze sulla struttura dell’Unione bancaria sono asimmetriche. Bisogna vedere se genereranno, o meno, tensioni politiche in futuro ». 
Ma parliamo delle sei Landesbanken, tutte promosse agli esami della Bce. 
Bayerische Landesbank, 10 miliardi bruciati per affari oscuri con la Alpe-Adria e con l’allora governo dello Stato austriaco di Carinzia ai tempi di Joerg Haider, il leader fondatore della nuova destra euroscettica austriaca, che poi morì guidando in eccesso di velocità sotto effetto di alcol e droghe dopo un party omosessuale. 
Hsh, la banca pubblica del Nord, uscita malissimo nei media per un’inchiesta. 
Landesbank Baden-Wuerttemberg; Landesbank Berlin della capitale iperindebitata che non riesce neanche a costruirsi un aeroporto moderno, decente e sicuro; la Landesbank che unisce l’Assia (lo Stato di Francoforte) e la Turingia, Stato-pilota dell’ex Est tedesco. 
Davvero sono tutte più sane e credibili delle banche italiane o di altri Stati dell’Europa meridionale bocciate negli stress test? 
E davvero non andrebbero esaminate, in nome di un settore bancario sano nell’Unione Europea, anche le Sparkassen? 
Le risposte dei massimi economisti tedeschi tendono a essere prudenti e quasi assolutorie, eppure qua e là ammettono o lasciano capire che qualcosa non va. «Le Sparkassen si sono rivelate un fattore di stabilità durante la crisi finanziaria internazionale», dice la professoressa Dorothea Schaefer, massima esperta in materia del Diw, forse il più indipendente tra i grandi istituti di analisi economica qui. E aggiunge: «Non è un problema di situazioni tipo ‘too big to fail, le Sparkassen hanno i loro affari tradizionali con clienti tradizionali, cioè depositi di risparmio e crediti ad aziende locali». Ma sulle Landesbanken già il giudizio di Schaefer si fa più differenziato: «Sono state fortemente coinvolte nella crisi, e una, la Westdeutsche Landesbank, è stata chiusa». E poi ancora: «I bilanci delle Landesbanken si sono molto rimpiccioliti, forse le Landesbanken sono ancora troppe, sebbene gli sviluppi degli ultimi anni vadano nella direzione giusta. In tema responsabilità c’è ancora molta strada da fare». 
Allora, continuare a chiudere? E come peserebbe ciò sul rating della potenza egemone d’Europa? Qui le risposte si fanno più possibiliste e vaghe. «Visto che la maggioranza delle banche tedesche hanno superato gli stress test, ciò riguarda sicuramente anche le Landesbanken esaminate», continua Dorothea Schaefer, e aggiunge: «E verosimilmente l’avrebbero superato anche la maggioranza delle Sparkassen. I loro affari sono soprattutto locali e vista la stabile situazione economica non hanno tanti crediti in sofferenza». Verità ufficiali, verità parziali. 
Le perdite delle Landesbanken negli ultimi anni ammontano a miliardi di euro, per crediti e affari dubbi decisi e conclusi con l’intesa dei poteri politici locali
Dalla Baviera, dove si parla appunto di 10 miliardi in rosso per lo scandalo dell’appoggio ad Alpe-Adria ai tempi di Haider, fino alla LBBW, la Landesbank del ricchissimo Baden-Wuerttemberg, i cui dirigenti sono stati oggetto di indagini della magistratura per sospetto di malversazione. O al caso limite della WestLb, Westdeutsche Landesbank, quella che appunto è stata costretta a chiudere dopo aver parcheggiato i propri affari più sofferenti e sporchi in una bad bank appoggiata dal potere pubblico locale. Il problema, dice Rolf Hess del sito investigativo Jungle World, è anche la confusione giuridica: le Landesbanken sono ‘istituzioni di diritto pubblico’, che però con le spalle coperte dai poteri politici si presentano sui mercati come banche d’affari. E insieme ai Bundeslaender, i loro proprietari o azionisti di riferimento sono le Sparkassen. Coesistenza d’affari e interessi diversi, perché appunto le Sparkassen vivono di piccola clientela prima di tutto, le Landesbanken appoggiano le grandi medie e piccole aziende locali. Con quali controlli, con quali garanzie di rigore? La HSH Nordbank, la banca semipubblica dei Bundeslaender di Amburgo e Schleswig Holstein, si è salvata di recente solo con aiuti per diversi miliardi di denaro dei contribuenti, dopo anni di pratiche finanziarie disinvolte e di retribuzioni spaventosamente alte dei suoi dirigenti. La WestLB è stata chiusa, come scrivevamo, ma solo per il pressing — un’eccezione — delle autorità di Bruxelles. 
I miliardi di perdite alla fine erano diventati troppi: 1,2 miliardi di perdite dopo la restituzione alle autorità di 1,4 miliardi di aiuti ritenuti illeciti dalla Ue nel 2004, poi 3,4 miliardi di altri aiuti illeciti denunciati e bocciati da Bruxelles nel 2010, alla fine (2013) perdite totali per 18 miliardi di euro. Dieci almeno, sempre secondo i media liberal tedeschi, sono i miliardi bruciati dalla Bayerische Landesbank con Alpe Adria ma anche, denuncia la Sueddeutsche, col controverso Bernie Ecclestone. E sospetti — nati in Austria sul conto della Bayerische Landesbank — di falso in bilancio. 

E Stilinga ha subito creato un nesso con la metodologia usata dalla Germania con l'epidemia di E.Coli e i cetrioli spagnoli: la colpa da trovare era fuori dalla Germania e quindi si è passati a distruggere economicamente i produttori di cetrioli spagnoli e italiani  e non si è visto in casa propria dove invece nasceva l'epidemia. 

Questo modus operandi pare un must tedesco: la colpa è di altri, mai nostra! 

E così facendo i tedeschi, da una parte, arrivano ad avere un enorme vantaggio economico e dall'altra, nascondono al mondo, preservando la loro reputazione di paese civile (de che?) che le magagne le hanno create loro! 
E con le banche hanno fatto uguale uguale! 
La cosa assurda è che continuano a dettare le regole e ancora più assurdo è vedere come nessuno dell'Europa faccia la voce grossa contro la follia tedesca!

 E per ricordarci cosa accadde nel 2011 ecco di seguito un report:

da http://www.ilfattoalimentare.it/storia-errori-epidemia-escherichia-coli-o104h4.htmlda: 

1 maggio 2011
In Germania nella città di Amburgo e nell’area limitrofa si registrano i primi casi di intossicazione causati dal batterio denominato  Escherichia coli. 
22 maggio 2011
Gli  ospedali registrano un numero abnorme di persone intossicate da Escherichia coli (come emerge dai documenti ufficiali dell’istituto  Robert Koch Institute (Rki) responsabile della sorveglianza sanitaria in Germania), ma le autorità sanitarie cittadine solo dopo 3 settimane segnalano il caso al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Edcd).  
Questi 21 giorni sono considerati il primo grave errore, visto che le autorità sanitarie della Sassonia abitualmente una volta alla settimana inviano agli uffici centrali un report sulla situazione, e che questi a loro volta riferiscono al Robert Koch Institute ogni 7 giorni. 
26 maggio 2011
Quando ormai si contano centinaia di ricoveri ospedalieri e diversi morti, inizia la seconda fase della crisi, caratterizzata da comunicati stampa precipitosi e inesatti, con  risvolti sanitari ed economici gravissimi.Con una certa superficialità Prüfer-Cornelia Storck – responsabile sanitaria di Amburgo – dichiara di avere forti sospetti su alcune partite di cetrioli biologici importati dalla Spagna, sui quali sono state trovate  tracce di Escherichia coli.
In  poche ore il panico si diffonde e  i tedeschi  smettono di mangiare cetrioli e verdure,  mentre in Europa  le importazioni di legumi e ortaggi dalla Spagna crollano vertiginosamente. Purtroppo la notizia è priva di fondamento tanto che i  ricoveri ospedalieri non si riducono e i morti aumentano.

31 maggio
Cornelia Prüfer-Storcks cambia versione “esprime dubbi sulla responsabilità dei cetrioli spagnoli” e sostiene che “la fonte dell’avvelenamento non è stata ancora identificata”. A supporto di questa nuova tesi cita i risultati del team di Helge Karch (uno dei più eminenti studiosi del settore dell’Università di Münster), che  48 ore dopo avere ricevuto l’incarico di esaminare il caso, identifica nell’Escherichia coli  O104: H4, il ceppo di microrganismi responsabile dell’avvelenamento (diverso da quello trovato sui cetrioli spagnoli).
Siamo di fronte al secondo errore delle autorità tedesche. Cornelia Prüfer-Storcks ha scatenato il panico in Europa basandosi su dati analitici incompleti e imprecisi, adducendo come motivo il numero elevato di morti che hanno spinto a  diffondere notizie incomplete per cercare di arginare l’epidemia. Pur comprendendo la criticità della situazione, il rigore scientifico è un requisito indispensabile ed è comunque difficile giustificare una simile leggerezza.
I misteri del questionario
Il questionario fatto compilare dalla maggior parte dei pazienti per  individuare la causa dell’intossicazione (che gli esperti chiamano scheda epidemiologica caso-controllo),  non conteneva tra le categorie sospette da indicare la parola germogli. 
Secondo la rivista Agriculture & Environnement i germogli erano presenti nel primo questionario, datato 20 maggio e inviato ai primi pazienti. La categoria è stata cancellata in un secondo tempo perché nella fase di ricerca iniziale, solo una parte degli intervistati aveva dichiarato di aver consumato i germogli nei giorni precedenti. A questo punto si è  focalizzata l’attenzione su  insalata, cetrioli e pomodori consumati dal 95% delle persone colpite.
5 giugno 2011
Il 36° giorno di crisi,  quando si contano 23 morti e 2.000 ricoveri ospedalieri, il mistero dell’epidemia viene finalmente risolto: le autorità sanitarie tedesche individuano come  responsabili  germogli di semi mangiati crudi.
Le autorità giungono a questa conclusione dopo aver mobilitano 150 persone (molte delle quali dipendenti dall’istituto Rki) e aver riesaminato le schede epidemiologiche caso–controllo compilate dai pazienti.  In questo modo si è focalizzata l’attenzione  su alcuni ristoranti dove avevano mangiato diciassette pazienti.
In questi 36 giorni mentre cetrioli, pomodori e lattuga erano banditi dalle tavole, i cittadini hanno continuato a consumare germogli e ad ammalarsi. A livello agricolo il danno è stato molto grave perchè 6.000 tonnellate di cetrioli, più di 3.500 tonnellate di pomodori e 1.300 ettari di terreno coltivato a  lattuga  sono stati inutilmente distrutti, con perdite economiche pari a circa  mezzo miliardo di euro.
10 giugno 2011
Le autorità sanitarie individuano la fattoria biologica di Klaus Verbeck di Amburgo come l’azienda agricola che ha distribuito i germogli contaminati in cinque regioni e stabiliscono l’immediata sospensione dell’attività. Nei giorni successivi si assiste alla graduale riduzione  dei ricoveri. Per dovere di cronaca va detto che i servizi sanitari tedeschi durante il sopralluogo in azienda hanno  esaminato l’impianto idrico e di ventilazione e le aree di lavoro senza riscontrare tracce dell’Escherichia coli E104: H4. L’unico riscontro interessante è che il germe viene isolato in alcuni dipendenti dell’azienda che avevano consumato i germogli e sviluppato la malattia.
La pista dei germogli della fattoria biologica di Klaus Verbeck spiega perchè l’epidemia risulta circoscritta in un’area limitata e anche il  protrarsi dell’infezione, probabilmente dovuto all’impiego dello stesso lotto di semi contaminato per produrre nuovi germogli. Anche l’elevato numero di donne colpite e la scarsa  presenza di bambini si può giustificare considerando la propensione delle donne  a consumare più di frequente insalate con semi.
L’ipotesi dei germogli trascurata all’inizio è invece più che plausibile alla luce delle epidemie che questo tipo di cibo ha  provocato negli ultimi anni. Basta ricordare quella del 1992 a Sakai City  in Giappone ( dove  l’ Escherichia  coli O157: H7  nei semi di ravanello  provocò 7.000 vittime). Anche negli Stati Uniti e in Canada, nel periodo che va dal 1995 al 2003 si  registrano più di 20 episodi di avvelenamento causati da germogli contaminati. Il rischio è correlato alla procedura di  germinazione , che richiede un ambiente caldo-umido considerato ideale per la crescita di microrganismi patogeni eventualmente presenti sulla superficie.
24 giugno 2011
In Francia viene segnalato un focolaio di diarrea emorragica che colpisce 16 persone (di cui 8 con Seu) , dovuto a un ceppo di Escherichia coli O104:H4 simile a quello isolato in Germania. Vittime sono persone  che nel corso di una festa scolastica hanno mangiato germogli crudi di semi di fieno greco, di rucola e di senape, coltivati dai bambini. Di fronte a questo episodio l’ipotesi dei germogli come fonte del focolaio diventa quasi una certezza, anche se mancano riscontri analitici sul prodotto .
Le cause 
Come ha fatto l’Escherichia coli ad introdursi nel sistema produttivo dell’azienda agricola Klaus Verbeck. Le ipotesi sono diverse: l’uso di acqua contaminata, un livello igienico inadeguato,  un inquinamento causato dal personale, l’uso di  sementi contaminate all’origine fatte poi germogliare. La maggior parte degli episodi riportati in letteratura di epidemia da Coli focalizzano l’attenzione sull’utilizzo di semi contaminati durante le pratiche agricole di coltivazione, di fertilizzazione, di raccolta o di  stoccaggio. Il contatto con i batteri può avvenire anche durante la preparazione dei germogli, a causa di pratiche igieniche scorrette da parte degli operatori, che potrebbero a loro volta essere portatori dei microrganismi patogeni.

Per individuare la causa in modo certo bisognerebbe avere eseguito test e analisi microbiologiche su ogni lotto di semi e di germogli (controllo non previsto dalla normativa e quindi non realizzato dalla Klaus Verbeck). Va però detto che, secondo il sopralluogo condotto  in azienda dopo circa un mese, l’azienda  presenta una situazione di assoluta regolarità per quanto riguarda le norme igieniche e si è anche scoperto che nella struttura  non  si usano fertilizzanti organici e non si  allevano animali.
Premesso ciò,  l’ipotesi dei semi contaminati all’origine risulta comunque credibile per i riscontri epidemiologici rilevati in Germania e anche in Francia,.
Le indagini condotte in seguito congiuntamentedall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e dal CEPCM  hanno individuato il fornitore dei semi di fieno biologici contaminati la società egiziana Aga Saat che ha fornito lotti nel 2009 e nel  2010. Anche i questo caso però non ci sono riscontri analitici  sulla presenza dell’Escherichia coli in questi semi e quindi non si può sostenere con certezza l’origine di tutte le tossinfezioni.
I microbiologi non escludono l’ipotesi di una contaminazione causata dall’uomo,  visto che il serbatoio naturale del ceppo di Escherichia coli O104: H4 è l’intestino umano e non quello degli animali. Il ceppo è stato trovato la prima volta nel 2001 negli esseri umani e anche di recente in modo sporadico. E’ lecito ipotizzare che nell’intestino di cittadini europei classificati come portatori sani ci sia il ceppo di Escherichia coli O104: H4 .
Il motivo per cui solo nel maggio 2011 è scoppiata l’epidemia è che la trasmissione del batterio da uomo a uomo è complicata e quindi difficilmente realizzabile. Se però  nello schema subentra un vettore esterno come i germogli che contaminati  riproducono sulla loro superficie un elevata carica di Escherichia coli  e questi vengono  consumati crudi allora l’ipotesi della trasmissione diventa realistica.
Di fronte alla recente  epidemia causata da germogli di semi,  sarebbe opportuno introdurre nuove regole e nuove procedure per la vendita di semi destinati ad essere consumati crudi. La cosa più logica sarebbe quella di obbligare i produttori ad una preventiva sterilizzazione di tutti i semi. E’ troppo rischioso affidare ai consumatori la germinazione, senza informarli sulle precauzioni da adottate. Sino ad ora però le etichette dei prodotti non sono cambiate ( Secondo il Canadian Food Inspection la soluzione migliore per evitare  problemi è di sterilizzare i semi  prima della germinazione con acqua clorata oppure con l’irradiazione; un’alternativa l’immersione in aceto o in acqua calda a 70°C per pochi minuti).
In Italia le metodiche per la ricerca di VTEC O104:H4 negli alimenti e i relativi materiali di riferimento sono stati distribuiti agli Istituti Zooprofilattici Sperimentali. I test di laboratorio condotti su varie matrici alimentari e su semi di specie varie destinati alla produzione di germogli hanno sempre dato esito negativo. Sono state anche condotte indagini di laboratorio su casi umani sospetti per sintomatologia e/o anamnesi ma sempre con esito negativo.
Roberto La Pira

Referenze
- Epidemia di panico in Europa, Natura, 7 giugno 2011.
- La Germania, forse il ruolo di cetrioli spagnolo, AFP, 31 maggio 2011.
-  Enteroemorragica Escherichia coli (EHEC), l’OMS, Foglio n. 125, maggio 2005.
-  E. coli: le autorità tedesche hanno messo la morte in nome della “sfortuna”, EurActiv, 14 giugno 2011.
- Valutazione dei rischi per la sicurezza degli alimenti di origine vegetale, Direzione per le ispezioni alimentari del Canada, nel dicembre 2002.
-  Semi germinati: Bio si scaglia, Le Nouvel Observateur, 13 giugno 2011.
Foto:Photos.com
-  Come ha Germogli tedesco contaminati?, Gretchen Goetche, www.foodsafetynews.com, 14 giugno 2011.
Ultimo commento di Stilinga: anche i tedeschi sono brutti, sporchi e cattivi, oltre che pezzenti, proprio come gli abitanti del resto d'Europa e del mondo! Non sono superiori a nessuno neanche nelle epidemie e nei casini economici e sono pure pasticcioni e truffatori!

Contro l'aumento annunciato di 7 punti % INPS gestione separata!

Laboratorio PREVIDENZA & LAVORO – Idv Lazio
11/12/2014
Le Partite IVA abbandonate! Fuggiranno in massa dalla Gestione Separata INPS?
La Fornero con la sua “verve e arroganza” dichiarò guerra a tutti con la sua pseudo-riforma e soprattutto se prese di mira chi non era dipendenti ed in particolare si accanì con le Partite Iva, vere e false, aumentando i loro contributi Inps sino al 33%, fregandosene apertamente delle contrarietà dei lavoratori autonomi e delle loro associazione. 
La politica di allora (e di oggi) al solito rimase in silenzio compresi i tanto agguerriti sindacati o meglio tutti insieme se ne fregarono altamente, e così dal 2012 le partite Iva sono costrette ogni anno ad “elemosinare” ai politici e ministri di turno di applicare “il blocco dell’aumento” che costringerebbe di fatto molti di loro a….chiudere la loro attività! 
Anche quest’anno chiaramente si sta verificando la solita manfrina, tra i politici che a parole continuano ad assicurare le associazioni e le partite iva che “…..sicuramente bloccheremo l’aumento” dei contributi Inps (oggi ricordiamolo che si si paga il 27,72 per arrivare al 33%, soldi sborsati soltanto ed unicamente dalle partite iva, contro il 15% delle casse ordinistiche e il 9,19% dei lavoratori dipendenti e il 22% dei commercianti e artigiani!!!!) per poi dimenticarsene spesso quando si recano tra i loro posti nelle Commissioni parlamentari.
 Come non ricordare l’on. Damiano presidente della Commissione Lavoro che dinanzi alla platea dell’IDV a Sansepolcro nel dibattito con le partite iva rappresentate da Anna Soru di ACTA ha affermato pubblicamente di chiedere sicuramente il blocco dell’aumento mentre oggi è tutto preso solo a discutere contro Renzi su ben altro!! 
Parliamo dello stesso on. Damiano che quando era Ministro del Lavoro aumentò di colpo i contributi di ben 5% dal 18 al 23% dichiarando in seguito di aver sbagliato perché non conosceva a fondo i problemi delle partite iva!!!!

Le partite Iva non dimentichiamolo con il loro gettito contributivo consentono alla Gestione Separata INPS di essere l’unica gestione attiva dell’Inps (quella con i soldi!!) e pertanto di riempire le tasche di moltissimi pensionati anche quelli d’oro! 
Pensate un po’ in Italia a sostenere i pensionati attuali ci pensano le partite iva e gli immigrati, le categorie spesso più invise politicamente e socialmente, infatti spesso e volentieri nessuno riesce a togliere dalla mente dei cittadini medi la convinzione che le partite iva appartengono alla categoria degli “evasori” fiscali e gli immigrati a quella di “ladri e spacciatori”!! 
Senza minimamente poi rendersi conto che il forte gettito delle partite iva comunque li renderà più….poveri, grazie sia al prelievo così elevato (oggi) che non avrà domani nessun riscontro nella pensione che sarà assolutamente non in linea con quanto versato!!
Insomma le partite iva sono di diritto nel club “dei cornuti e mazziati”!!

E’ il momento che il Governo si impegni ad effettuare immediatamente il blocco dell’aumento contributivo in primis ed a rivedere l’intera questione delle partite iva in seguito, se non avverrà ciò le partite iva minacciano di uscire e fuggire in massa dalla Gestione Separata e trasmigrare verso altre gestioni previdenziali meno care (es. commercianti) lasciando le casse Inps quindi a…..secco!! 

E’ il momento di considerare finalmente le partite iva per quello che sono in realtà, cittadini di serie A e non soltanto un “bancomat previdenziale” usato dall’INPS per riempire le sue casse quando ne ha bisogno!! 
E’ il momento che la politica consideri le partite iva degne di essere poste finalmente al centro di discussioni serie e non di semplici e banali affermazioni senza alcun riscontro con la realtà! 

E’ il momento che si ridisegni il futuro pensionistico delle partite iva (come per tutti i lavoratori) per un futuro degno di essere ……vissuto

Luci d'autore a Roma? Light Music, of course!


Le lampade artistiche di Sandro Melaranci partono dagli strumenti musicali, che oltre ad emettere suoni, sono esteticamente belli, e quindi le loro rifiniture, le loro curve, i loro colori e  tutti gli splendidi dettagli  diventano pezzi d'arredo nelle case delle rock stars, dei musicisti e di chi vuole punti luce innovativi e unici, oltre che realizzati a mano, of course.
https://it-it.facebook.com/Lightmusiceu

http://www.lightmusic.eu/

Design innovativo dello studio Pecoramello, visti al MakerFaire di Roma

Una bella scoperta fatta al MakerFaire di Roma il 4 ottobre del 2014:
lo Studio PecoraMello di Napoli che progetta e realizza bei prodotti innovativi e sorprendenti, come la lampada Sfogliata

E come scrivono sul sito http://www.architetturaeingegnerianapoli.org/

"L’attività del gruppo si muove su principi di promozione e ricerca di progettualità e tecnologie sostenibili, basate sull’idea che anche tramite lo strumento del “design” si possa ricucire il rapporto uomo-natura: attraverso le sue forme, il suo messaggio ed il suo processo di produzione e riciclo. 
Principio informatore del progetto diventa quindi, l’equilibrio armonico con l’ambiente ed il territorio, attraverso un linguaggio formale spontaneo e familiare, che accolga il suo fruitore e ne memorizzi il segno antropico per restituirgli la possibilità di identificarsi ed esprimersi tramite esso.
 La gioia che si prova guardando la natura è procurata dall’ equilibrio armonico che si stabilisce tra i diversi elementi e da forme che hanno uno sviluppo spontaneo, guidato solo dalle loro caratteristiche organiche.(...)" 

Tutta la loro visione e filosofia è espressa coerentemente nel loro design.



Il Censis e l'Italia: "Famiglie e imprese bloccate dalla paura del futuro"

da: http://www.repubblica.it/economia/2014/12/04/news/rapporto_censis-102141895/?ref=HREC1-2

Un aumento più che consistente del risparmio testimonia i timori degli italiani: il 60% teme di poter diventare povero da un momento all'altro. De Rita: "Questo Paese ha il capitale, ma non lo sa usare". Alla politica: "Orienti le aspettative". Forte aumento dei  Neet e della disoccupazione giovanile, aumentano le disuguaglianze, eppure l'Italia ancora piace: 200 milioni nel mondo parlano la nostra lingua

ROMA - Una società stremata da sei anni di crisi e che ormai si aspetta solo il peggio. Le famiglie che si barricano dietro un risparmio che cresce nonostante il crollo dei redditi, ma che non si traduce né in consumi né in investimenti, è "un cash di tutela". Un capitale umano che vorrebbe essere energia lavorativa ma che rimane al palo. Un patrimonio culturale ingente ma che non produce valore perché è mal gestito o non è gestito affatto. E' sempre più l'Italia dei social network, utilizzati dal 49% della popolazione e dall'80% degli under 29, ma anche della solitudine segnata dalla diffidenza: solo il 20,4% degli italiani pensa che gran parte della gente sia degna di fiducia, mentre il 79,6% è invece convinto che bisogna stare molto attenti. E infatti domina la paura: il 60% degli italiani ritiene che "a chiunque possa capitare di finire in povertà". E' il Paese descritto dal 48° Rapporto del Censis, presentato stamane al Cnel.

"Questo è un Paese che ha capitale, e non lo sa usare - dice il presidente del Censis, Giuseppe De Rita - E' il Paese del capitale inagito". Non solo per le famiglie, anche per le imprese, che non investono più: gli investimenti nel 2013 hanno raggiunto il livello più basso degli ultimi 13 anni. Nello spreco di otto milioni di persone che non lavorano, di un patrimonio culturale che non viene utilizzato. "Questo capitale inagito è la cosa più angosciante che c'è in Italia", lamenta De Rita, che cita le parole del frate francescano Bernardino da Feltre: "Moneta potest esse considerata vel rei vel, si movimentata est, capitale", solo la moneta movimentata diventa capitale. Il presidente del Censis fa appello alla politica, perché ridiventi "arte di guida", immedesimandosi nuovamente nello Stato e recuperando la reputazione persa. Alla politica non tocca tanto la gestione del potere, quanto l'orientamento delle aspettative del Paese: "Nessuno più sa orientare le aspettative, eppure tutto nasce da un'aspettativa". 

Senza aspettative, rimane solo "un adattamento alla mediocrità: si regge. Due tre anni fa alla domanda come va si rispondeva ancora 'stiamo malissimo - ricorda De Rita - adesso abbiamo preso atto che la ripresa non c'è, non c'è neanche la ripresina, quindi reggiamo. Rimane la solitudine del singolo, che non sa dove andare. Si è liquefatto il sistema: stiamo diventando non tanto una società liquida o molecolare, ma una società profondamente asistemica". Che si deteriora di giorno in giorno: "Il rischio è che l'attuale deflazione economica si trasformi in deflazione delle aspettative, che porta all'attendismo e al cinismo, alla solitudine e allo sfilacciamento dei legami comunitari", osserva il direttore della comunicazione del Censis, Massimiliano Valerii, che quest'anno ha presentato per la prima volta la sintesi del rapporto.

Famiglie "liquide" e strategie di evasione. E' singolare che in un Paese in recessione per la terza volta in sei anni contanti e depositi bancari possano aumentare, eppure è così, più 4,9% tra il 2007 e il 2013. Il 44,6% delle famiglie destina il proprio risparmio  alla copertura da possibili imprevisti. In più, il contante è anche lo strumento preferito per quella che il Censis chiama "l'immersione difensiva degli italiani": il nero, il sommerso, l'evasione e l'elusione fiscale. La spesa pagata in contanti dalle famiglie italiane, le ultime in Europa per l'utilizzo dei sistemi di pagamento elettronici, si può stimare in circa 410 miliardi di euro, il 41% del totale. 

I giovani: il grande spreco. I 15-34enni costituivano già prima della crisi il 50,9% dei disoccupati, ma adesso sono arrivati a quota 75,9%. 
In forte aumento anche i Neet, i giovani che non studiano, non lavorano e non svolgono attività di formazione, passati dai 1.946.000 del 2004 ai 2.435.000 del 2013. 
I giovani sono anche la maggior parte dei sottoinquadrai, orami il 19,5% degli occupati. 
Nel 2004 era occupato il 60,5% dei giovani, nel 2012 era occupato il 48%: in meno di dieci anni sono scomparsi oltre 2,6 milioni di occupati, con una perdita di oltre 142 miliardi di euro che si ripercuote drammaticamente già adesso sul sistema di welfare. 
Per chi lavora i salari sono bassissimi: di 4,7 milioni di giovani che vivono per conto proprio, oltre la metà ricevono un aiuto economico dai genitori.

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E lo spreco del patrimonio culturale. L'Italia non spreca solo le sue energie umane migliori, ma anche un patrimonio culturale che pone il nostro Paese al primo posto nella graduatoria dei siti Unesco. Se ne occupano infatti solo 304.000 lavoratori, l'1,3% del totale, la metà di quelli del Regno Unito (755.000) e della Germania (670.000), ma molto meno anche dei 409.000 della Spagna. I risultati sono evidenti in termini economici: nel 2013 il settore della cultura produceva un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro, contro i 35 miliardi di euro della Germania e i 27 della Francia. Calano anche i consumi culturali interni, visto che gli italiani sono costretti a tagliare su tutto: la quota di chi è andato a visitare un museo o una mostra è passata dal 30,1% del 2010 al 25,9% del 2013, mentre quella di chi ha visitato siti archeologici e monumenti dal 23,2% al 20,7% e di chi ha assistito a uno spettacolo teatrlae dal 22,5% al 18,5%.

Cosa conta davvero nella vita.
 Non c'è da stupirsi di come, in una società così spaventata, impoverita e ripiegata su se stessa gli italiani siano particolarmente cinici nel rispondere alla domanda su quali siano i fattori più importanti per riuscire nella vita. L'intelligenza raccoglie solo il 7% delle risposte, il valore più basso dell'Unione Europea. All'istruzione va meglio perché viene indicata dal 51% contro però l'82% della Germania e il 63% della media europea, mentre il lavoro duro conta per il 46% degli intervistati contro il 74% del Regno Unito. Superiamo gli altri Paesi quando si arriva alle conoscenze giuste (indicate come fattore chiave dal 29% degli italiani contro il 19% dei britannici), alla provenienza da una famiglia benestante (20% contro il 5% indicato dai francesi).

L'aumento delle distanze e della disuguaglianza. Con la crisi le distanze tra le aree del Paese si sono acutizzate. Così, se il tasso di occupazione della fascia 25-34 anni a Bologna è il 79,3%, a Napoli si ferma al 34,2%, mentre la quota di laureati passa dall'11,1% di Catania al 20,9% di Milano e la quota di persone che non pagano il canone Rai passa dal 58,9% ancora una volta di Napoli al 26,8% di Roma.

L'ascesa degli immigrati. Gli immigrati sembrano affrontare la crisi meglio degli italiani. Negli ultimi sette anni infatti le imprese con titolare extracomunitario sono aumentate del 31,4% mentre quelle gestite da italiani sono diminuite del 10%. Diffusissimi i negozi di alimentari gestiti da stranieri, soprattutto quelli di frutta e verdura, che a fine 2010 rappresentavano il 10% del totale. Vi fanno la spesa, almeno qualche volta, 33 milioni di italiani. Bene anche le imprese artigiane, cresciute del 2,9% negli ultimi due anni contro il calo del 4,5% di quelle italiane.

Eppure l'Italia ha ancora appeal. 
In questo panorama desolante, il Censis ha raccolto alcuni dati che testimoniano la persistenza di un certo fascino del "modello Italia" all'estero. Siamo la quinta destinazione turistica al mondo con 186,1 milioni di presenze turistiche straniere nel 2013 e 20,7 miliardi di euro spesi, con un aumento del 6,8% rispetto al 2012. L'export del Made in Italy è aumentato del 30,1% in termini nominali tra il 2009 e il 2013. E poi, forse il dato più stupefacente, 200 milioni di persone parlano la nostra lingua nel mondo.

Gallino: “Il Jobs Act? Una pericolosa riforma di destra” ...e la Germania che crea lavoratori poveri!

intervista a Luciano Gallino, di Giacomo Russo Spena
Domani, mercoledì 3 dicembre, è il fatidico giorno. Il premier Renzi, l’Europa e i mercati lo auspicano da tempo, meno gli operai, i precari e gli studenti che saranno in piazza ad assediare il Senato. Finito l’iter il Jobs Act sarà legge, per il sociologo Luciano Gallino siamo “alla mercificazione del lavoro, è un provvedimento stantio e pericoloso”. 

Scusi professore, lei parla di un progetto vecchio eppure il governo – che del nuovismo ha fatto un cavallo di battaglia – lo sponsorizza proprio per modernizzare il Paese. Dov’è l’imbroglio? 

Nel Jobs Act non vi è alcun elemento né innovativo né rivoluzionario, tutto già visto 15-20 anni fa. E’ una creatura del passato che getta le proprie basi nella riforma del mercato anglosassone di stampo blairiano, nell’agenda sul lavoro del 2003 in Germania e, più in generale, nelle ricerche dell’Ocse della metà anni ’90. Inoltre si tratta di una legge delega, un grosso contenitore semivuoto che sarà riempito nei prossimi mesi o chissà quando. Non mi sembra un provvedimento che arginerà la piaga della precarietà né che rilancerà l’occupazione nel Paese. 

Una bocciatura netta. E del premier che giudizio esprime, molti iniziano a considerare il renzismo come il compimento del berlusconismo. E’ d’accordo? 

Per certi aspetti sì, il Jobs Act potrebbe tranquillamente esser stato scritto da un ministro di un passato governo Berlusconi. Non a caso Maurizio Sacconi è uno dei politici più entusiasti. Renzi continua nel solco di politiche di destra impostate sul taglio ai diritti sul lavoro, sulla compressione salariale e sulla possibilità di un maggiore controllo delle imprese sui dipendenti, vedi l’uso delle telecamere. 

In un recente editoriale su Repubblica ha contrapposto alla Leopolda renziana, la piazza della Cgil. Eppure in altre occasioni passate aveva espresso dubbi sull’organizzazione di Susanna Camusso, accusandola di aver “appannato la bandiera del sindacato”. Ha cambiato idea? 

Negli ultimi mesi ad esser cambiata è la Cgil. In diversi frangenti non ha contrastato i nefasti provvedimenti avanzati dai governi, come nel caso della riforma pensionistica. Ha accettato supinamente leggi micidiali e lo smantellamento del nostro welfare. SulJobs Act è stata incisiva mettendo in piedi una dura resistenza. E le divergenze tra Cgil e Fiom – che invece ha sempre mantenuto la barra dritta – ora sono minori, questo va salutato positivamente. 

Le nostre politiche economiche vengono dettate da quell’Europa che sta imponendo soprattutto ai Paesi del Sud Europa dure misure di austerity e privatizzazioni. Che credibilità ha Renzi quando minaccia di sbattere i pugni a Bruxelles? 

Dagli anni ’90 i socialisti europei e le differenti branche della socialdemocrazia hanno abdicato e sono stati contagiati dall’ideologia neoliberale abbracciando così l’idea dei mercati da anteporre alla democrazia. Alla finanza che disciplina i governi. In questo quadro, le affermazioni del premier sono vuote, alle invettive non corrispondono i fatti: il Jobs Act e la legge di Stabilità ne sono la palese prova. Persiste l’ortodossa ubbidienza ai diktat dell’Europa, Renzi non è altro che un fedele esecutore della Troika. 

Non crede in repentine svolte in Europa e a strade alternative? 

Siamo lontani dal contrastare le politiche imposte da Bruxelles. La sinistra italiana come espressione di massa di fatto non esiste più. Sono rimaste delle schegge, anche interessanti, ma politicamente ininfluenti soprattutto di fronte a quel che dovrebbe essere il domani di una sinistra in grado di rappresentare una valida opzione e un’opposizione solida in Parlamento. In Europa Podemos e Syriza rappresentano segnali importanti, iniziano ad avere una valenza di massa. In generale, le recenti elezioni hanno confermato quasi ovunque governi di destra o, ad essere gentili, di centrodestra. Ciò significa che la maggioranza degli elettori dell’eurozona preferisce lo status quo, purtroppo. La Germania ha rivotato in massa la cancelliera Angela Merkel e il ministro Wolfgang Schäuble malgrado le politiche restrittive e del rigore

Per l’Italia auspica la nascita di un forte soggetto a sinistra del renzismo? 

Detesto le sfere di cristallo, il futuro non è prevedibile. Bisogna costruirlo. E di certo nel Paese esistono milioni di persone mosse da ideali e sensibilità di sinistra alla ricerca di una nuova modalità di aggregazione. Le varie schegge esistenti dovrebbero riformularsi, diventare un’unica forza per poter così rappresentare una reale alternativa. Ma c’è molta strada da percorrere, molta. 

Lei ha firmato insieme agli economisti Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini un appello che propone la nascita di una moneta parallela all’euro per uscire dalla trappola della liquidità e del debito. In che consiste? 

Qui non si tratta di uscire dall’euro ma di avere in Italia dei titoli pubblici con la possibilità di poterli spendere e scambiare come se fossero una moneta. Nel manifesto si parla esplicitamente della fuoriuscita dall’euro come atto con conseguenze disastrose per la nostra economia. Penso alla fuga dei capitali, alla possibile svalutazione della nuova moneta e alle complicazioni burocratiche. Ci sono milioni di contratti con soggetti esteri denominati in euro, che dovrebbero essere ritoccati e modificati. Un’assurdità. Nell’euro ci siamo, consci che ci sono gravissimi problemi che andrebbero analizzati e discussi mentre Bruxelles e in primis la Germania lo vietano in maniera categorica. La nostra proposta è un modo per ovviare a livello nazionale alle rigidità dell’euro e far circolare contante a chi ne ha meno, compresi lavoratori e medie e piccole imprese. 

Un modo di riottenere la sovranità perduta? 

Certamente. Il trasferimento di poteri da Roma a Bruxelles forse è andato oltre anche a quel che era previsto a Maastricht. Viviamo in un’Europa delle diseguaglianze che necessita di alcuni urgenti interventi, al momento non sembra ci siano le condizioni: la Commissione non vuole modificare la propria linea economica con Junker sostenuto convintamente dalla Germania. L’euro sarà destinato a propagare guai ancora per molto tempo e l’emissione in Italia di Certificati di Credito Fiscale (CCF) potrebbe mitigare i disastri della moneta unica, così pensata. 

Pablo Iglesias, leader di Podemos, parla esplicitamente di una Spagna “colonia della Germania”. Il discorso può valere per l’Italia? 

Il termine colonia è un po’ forte. Però di fatto le politiche che stanno strangolando i Paesi con tagli alla spesa pubblica, con l’ossessione dell’avanzo primario – quindi tartassare sempre maggiormente i cittadini e nello stesso momento diminuire servizi – sono procedimenti suicidi e insensati. E molte di queste imposizioni sono volute dalla Germania, dietro alla durezza del governo tedesco ci sono le banche tedesche che si erano esposte con l’acquisto di titoli internazionali. La Germania ha pensato di salvare le proprie banche. Forse non siamo una colonia, di certo soggetti ad una forma di imposizione esterna. Come noi anche gli altri Paesi dell’Europa del Sud e la Francia. 

Anche la Francia? 

Di meno, è sempre la seconda economia dell’eurozona ed ha legami storici con la Germania dai tempi di Mitterrand. Ma ha subito forte pressioni ed è stato costretta a tagliare salari, pensioni e sanità. Lo stesso governo tedesco ha introdotto nel proprio Paese le misure d’austerity, a partire dall’agenda 2010 del 2003, arrivando alla creazione del settore dei lavoratori poveri più ampio d’Europa: 15 milioni di persone che guadagnano meno di 6 euro l’ora oppure occupati 15 ore alla settimana per 450 euro al mese. 15 milioni è circa un quarto della forza lavoro tedesca… 

(2 dicembre 2014)

CI SIAMO ROTTI! Fermiamo l'aumento inps al 33%!

da http://youmedia.fanpage.it/video/aa/VH-v6-SworoTg95c

Decine di freelance a Milano (ma anche a Roma, Firenze e Palermo) si sono uniti per protestare contro l'aumento dell'aliquota Inps al 33%, che è già passato alla Camera senza emendamenti. 

Secondo l'Osservatorio dei lavoratori ci sono 1,7 milioni di persone iscritti alla gestione separata. 

Sono una massa inafferrabile, che non si vede spesso in piazza, e che raccoglie categorie disparate e divise a compartimenti stagni. 

Non sono solo professionisti, ma anche subordinati camuffati da lavoratori autonomi. "Da una parte il Governo dice che il posto fisso non ci sarà più – dice la Presidente di Acta – dall'altro però non fa niente per tutelarci e per tutelare i giovani". 

Al centro della polemica, infatti, c'è anche la modifica del regime dei minimi. "L'aumento al 33% ci rende tutti uguali, – ci dice un lavoratore a partita Iva – pagheremo come se fossimo sia i padroni che i dipendenti di noi stessi".

#siamorotti: istruzioni per partecipare alla nostra azione di ROTTURA

Sei a Milano, Roma, Firenze o Palermo? Vuoi dire anche tu che #siamorotti? Vuoi fermare l'aumento dell'aliquota INPS al 33%?

Vieni stasera alle 19.33 nei coworking elencati qui sotto, portati un salvadanaio, unmartello, altri freelance come te e magari qualcosa da bere e da mangiare per il dopo.

A Milano l'appuntamento è presso inCOWO in via Montegani 23: www.incowo.it

A Roma l'appuntamento è presso Millepiani in via Nicolò Odero, 13: www.millepiani.eu

A Firenze l'appuntamento è presso LoFoIo in via del Campuccio 23R: www.lofoio.it

A Palermo l'appuntamento è presso Re Federico in via Re Federico 23:www.coworkingpalermo.net


La tua partecipazione è importante, perché più siamo, più contiamo! 

Giornalisti e TV saranno presenti, ma a fare la differenza siamo noi e allora attiviamoci!

Conferma la tua presenza ora, scrivi una mail a join@actainrete.it specificando la città in cui sarai. Grazie!

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Non sei in queste città, ma vuoi partecipare lo stesso?


Ecco cosa puoi fare sui social media per dire che #siamorotti.

Su Facebook, cambia la foto del tuo profilo con questa immagine: http://www.actainrete.it/wp-content/uploads/2014/12/siamorotti-screen.png
Invita i tuoi amici freelance a fare altrettanto.

Su Twitter, puoi fare lo stesso e in più ritwitta i tweet di @actainrete e invia tweet con gli hashtag #siamorotti e #dicano33. Coinvolgi politici e media in modo da aiutarci a fare pressione sui contatti e sui canali giusti.

Se conosci giornalisti, TV e radio, anche locali, manda loro il nostro comunicato stampahttp://www.actainrete.it/wp-content/uploads/2014/12/CS_siamorotti.pdf

Invia una mail a tutti i tuoi colleghi e amici freelance per invitarli a partecipare.

A partire dalle 20.33 di stasera (NON PRIMA) insieme a noi potrai partecipare LIVE alla nostra azione di rottura. Preparati con salvadanaio, martello e/o immagine stampata del nostro #siamorotti che trovi qui: http://www.actainrete.it/wp-content/uploads/2014/12/siamorotti-print.png.
Tieni pronto il PC o lo smartphone e scalda i polpastrelli!

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