La contro-riforma putiniana di Renzi, Boschi e Verdini

di Paolo Flores d'Arcais, da Repubblica
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Amici lettori, pensate davvero che la “riforma” costituzionale Renzi-Boschi-Verdini non costituisca un pericolo per le vostre libertà? Provate a ragionare su questi ineludibili dati di fatto.

Oggi in Italia vi sono tre schieramenti che ottengono grosso modo il 25/30% dei voti (il resto si disperde tra forze minori). Poiché ormai un terzo degli italiani non va a votare (e il fenomeno è in crescita), con la “riforma” suddetta e la concomitante nuova legge elettorale (sia nella versione Italicum che, forse ancora peggio, in quella “corretta Cuperlo”), chi rappresenta solo il 17/20% dei cittadini otterrà una schiacciante maggioranza assoluta in Parlamento (di nominati, dunque fedeli al Capo “perinde ac cadaver”), il controllo della Corte Costituzionale, del Consiglio Superiore della Magistratura (da cui dipendono tutte le nomine ai vertici di Procure Tribunali e Cassazione), la scelta del Presidente della Repubblica (e la possibilità di facile impeachment nel caso non piacesse più e non si “allineasse”), il controllo della Rai, tutte le nomine delle Authority di “garanzia” (Consob, Privacy, ecc.), oltre ovviamente al governo.

Potrebbe vincere Renzi, potrebbe vincere Grillo, potrebbe vincere la destra-destra (in declinazione Berlusconi/Salvini o Berlusconi/Parisi, a seconda degli umori di Arcore). Io voterò M5s, come faccio già da tempo, ma avrei paura se a questa forza andassero i poteri previsti dalla contro-riforma (chiamiamola col suo nome, vivaddio!) Renzi-Boschi-Verdini. E ne avrebbero anche i “cinquestelle”, responsabilmente, visto che hanno proposto una legge elettorale “proporzionale corretta” (tipo Spagna e in parte Germania) e sono impegnati per il No.

Perché con la contro-riforma costituzional-elettorale (le due cose sono inscindibilmente intrecciate proprio nel disegno dei promotori), un leader da 17/20% di consenso dei cittadini avrebbe un potere che sfiora quello di Putin e di Erdogan, senza necessità di ricorrere alla galera e alla violenza. E, ripeto, chi sia questo leader dipenderebbe da spostamenti minimi di voti (nel caso del turno unico saremmo addirittura alla roulette). Davvero questa prospettiva non vi gela il sangue?

Se non vi fa paura vuol dire che avete superato in atarassica serenità zen il più “disincarnato” dei monaci orientali, il che sarà magari ottimo per la vostra psiche e le vostre future reincarnazioni, ma per il funzionamento di una democrazia è micidiale. In ogni democrazia fondamentale è il rispetto delle minoranze, le garanzie per i bastian-contrari, i diritti civili e gli spazi di comunicazione reale di quella minoranza delle minoranze che è il singolo dissidente. Niente di tutto questo resta in piedi con le contro-riforme Renzi-Boschi-Verdini.

Vi flautano nelle orecchie: ma è il prezzo da pagare per l’efficienza, per la velocità del processo legislativo. Davvero ci siete cascati? Non l’avete ancora letto l’articolo 70 controriformato? Claudio Santamaria lo ha recitato in pubblico, alla manifestazione indetta da MicroMega con Maltese, Rodotà, Zagrebelsky, Carlassare, Ovadia e tanti altri, lo ha letto come si conviene a un grande attore e come esige la punteggiatura di quella pagina e mezzo (attualmente l’articolo 70 è di una riga): un incomprensibile labirinto mozzafiato di commi e sottocommi, su cui i giuristi hanno già dato una dozzina di interpretazioni diverse, una sbobba procedurale che garantirà ricorsi su ricorsi fino alla Corte Costituzionale. Santamaria ha detto che sembrava scritta da Gigi Proietti in uno dei suoi momenti satirici di grazia. Forse, ma certamente con la collaborazione del notissimo e manzoniano dottor Azzeccagarbugli.

Vi sventolano davanti agli occhi lo specchietto per le allodole dei costi della politica che diminuiscono, davvero ve la siete bevuta? Qualche decina di milioni in meno: costa assai di più ogni settimana semplicemente tener in vita l’ipotesi del Ponte sullo Stretto (se poi, con il Sì nelle vele, lo costruiranno davvero, saremmo a una tragedia da piangere per generazioni). E se i senatori saranno un pochino di meno, in compenso i politici regionali e comunali che andranno in quegli scranni godranno del premio più ambito per i troppi politicanti che della politica fanno mercimonio e profitto: l’amatissima immunità. I costi della politica si tagliano in radici riducendo a zero le migliaia e migliaia di consigli di amministrazioni delle “partecipate”, le migliaia e migliaia di consulenze di nomina politica, il groviglio ciclopico di enti inutili, e insomma i milioni di persone che “vivono di politica”, e lautamente, per meriti che con il merito hanno ben poco a che fare.

Millantano che con il Sì combatterete la Casta, ma la Casta sono loro, ormai, il giglio magico e le sue infinite propaggini, l’indotto di nuovi piccoli satrapi messo in moto dalle Leopolde, le incredibili mediocrità assurte a posizioni apicali, le imbarazzanti nullità innalzate nell’Olimpo dell’intreccio affaristico-politico, che ormai fanno apparire uno statista perfino Cirino Pomicino.

Col No, il No che conta, vince invece la società civile di questo quarto di secolo di lotte. Che ha come programma l’unica grande riforma necessaria: realizzare la Costituzione, che i conservatori di sempre hanno bloccato, edulcorato, sfigurato, avvilendola nella camicia di forza della “Costituzione materiale”, democristiana prima, del Caf (Craxi Andreotti Forlani) poi, infine di Berlusconi (che con le sue televisioni ammicca al Sì e a chiacchiere sta col No, il solito piede in due scarpe), e oggi del suo nipotino Renzi.

Se col tuo voto vincerà il No, amico lettore, non ci sarà nessuna instabilità, semplicemente diventerà inevitabile un governo di coerenza costituzionale, e si aprirà la strada per l’unico rinnovamento di cui l’Italia ha bisogno, quello che porta scritto “giustizia e libertà” e come stella polare ha l’eguaglianza incisa nella Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza.

(21 novembre 2016)

Camilleri: “Sono diventato cieco, ma andrò a votare No”

intervista a Andrea Camilleri di Aldo Cazzullo, da il Corriere della Sera, 19 novembre 2016
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Novantantun anni, 102 libri, 26 milioni di copie solo in Italia: Andrea Camilleri è lo scrittore più importante che abbiamo. «Vorrei l' eutanasia, quando sarà il momento. La morte non mi fa paura. Ma dopo non c' è niente. E niente di me resterà: sarò dimenticato, come sono stati dimenticati scrittori molto più grandi. E quindi mi viene voglia di prendere il viagra, di ringiovanire, pur di vivere ancora qualche anno, e vedere come va a finire. Vedere che presidente sarà Trump: uno tsunami mondiale, un Berlusconi moltiplicato per diecimila. E vedere cosa sarà del mio Paese».

«A guardare l' Italia ridotta così, mi sento in colpa. Avrei voluto fare di più, impegnarmi di più. Nel Dopoguerra ci siamo combattuti duramente, ma avevamo lo stesso scopo: rimettere in piedi il Paese. Oggi quello spirito è scomparso».

Renzi non è un buon presidente del Consiglio?
«No. È un giocatore avventato e supponente. Mi fa paura quando racconta balle: ad esempio che il futuro dei nostri figli dipende dal referendum. Mi pare un gigantesco diversivo per realizzare un altro disegno».

Quale?
«Mi sfugge, ma c' è».

Al referendum andrà a votare?

«Pur di votare No mi sottoporrò a due visite oculistiche, obbligatorie per entrare nella cabina elettorale accompagnato. Io le riforme le voglio: il Senato deve controllare la Camera, non esserne il doppione. Ma questa riforma è pasticciata. E non ci consente di scegliere i nostri rappresentanti».

Spera nei Cinque Stelle?
«Non mi interessano. Non ci credo. Mi ricordano l' Uomo Qualunque: Grillo è Guglielmo Giannini con Internet. Nascono dal discredito della politica, ma non hanno retto alla prova dei fatti: Pizzarotti è stato espulso dal movimento; la Raggi non mi pare stia facendo grandi cose».

Se vince il No cosa succede?
«Entra in campo Mattarella. Che si comporterà bene; perché è un gran galantuomo».

Il padre fascista e Montalbano

«Galantuomo era mio padre Giuseppe, anche se avevamo idee politiche opposte. Lui aveva fatto tutta la Grande guerra nella brigata Sassari. Adorava il suo comandante: Emilio Lussu. Vide morire Filippo Corridoni. Poi divenne fascista e fece la marcia su Roma. Però quando il mio compagno Filippo Pera mi disse che non sarebbe più venuto a scuola perché era ebreo, mio padre si indignò: "È una sciocchezza che il Duce fa per il suo amico Hitler".

Lealtà, fedeltà alla parola data, ironia, arte di guardare oltre le cose: sotto molti aspetti Montalbano è il ritratto di papà. Fu mia moglie Rosetta a farmelo notare. I padri si innamorano sempre un po' delle mogli dei figli; e Rosetta a lui ha voluto molto bene».

«Il matrimonio dei miei genitori era stato combinato. Nozze di zolfo, toccate anche a Pirandello: gli zolfatari facevano sposare i loro eredi per concentrare la proprietà, e ritardare il fallimento cui erano condannati. Però il matrimonio dei miei era riuscito. Quando mio padre morì, Turiddu Hamel, il sarto, si inchinò al passaggio della bara. Hamel era l' antifascista del paese. Mi raccontò che, quando stava morendo di fame perché entrava e usciva dal carcere, papà gli aveva commissionato una divisa nera: "E sia chiaro che non lo faccio per sfregio…". "To patri sapiva campari" mi disse il vecchio sarto: Giuseppe Camilleri sapeva vivere».

La guerra di casa

«Anche io sono stato fascista. Avevo sedici anni quando il Duce annunciò la guerra: ascoltai il discorso dagli altoparlanti in piazza. Tornai a casa entusiasta, e trovai nonna Elvira e nonna Carolina in lacrime. Tutte e due avevano perso un figlio nelle trincee: "A guerra sempre tinta è", la guerra è sempre cattiva. Anche mio padre la conosceva. E conosceva gli inglesi».

«Il primo a dirmi che in realtà ero comunista fu il vescovo di Agrigento, Giovanbattista Peruzzo, piemontese di Alessandria. Leggevo le firme delle riviste del Guf, Mario Alicata, Pietro Ingrao, e mi riconoscevo. Ma la vera svolta fu un libro, che mi fece venire la febbre e mi aprì gli occhi: La condizione umana di Malraux».

«Nell' estate del '42 andai a Firenze al raduno della gioventù fascista. C' era il capo della Hitler Jugend, Baldur von Schirach, venuto ad annunciare l' Europa di domani: un' enorme caserma, con un unico vangelo, il Mein Kampf. C' erano ragazzi e ragazze di tutta l' Europa occupata: Francia, Spagna, Polonia, Ungheria; le ungheresi erano bellissime, facemmo amicizia parlando latino. Sul fondale c' era un' enorme bandiera tedesca. Protestai: "Siamo in Italia!". Così issarono anche un tricolore. Ma Pavolini mi individuò tra la folla, mi chiamò, e mi rifilò un terribile càvucio nei cabasisi: insomma, un calcio nelle palle. Finii in ospedale. Il prefetto, che era amico di mio padre, mi fece trasferire in una clinica privata, nel caso che Pavolini mi avesse cercato».

«Fui richiamato il primo luglio 1943. Mi presentai alla base navale di Augusta e chiesi la divisa. "Quale divisa?". Mi mandarono a spalare macerie in pantaloncini, maglietta, sandali e fascia con la scritta Crem: Corpo reale equipaggi marittimi. La mia guerra durò nove giorni. Nella notte dell' 8 luglio il compagno che dormiva nel letto a castello accanto al mio sussurrò: "Stanno sbarcando". Uscii sotto le bombe, buttai la fascia, tentai l' autostop: incredibilmente un camion si fermò. Arrivai così a Serradifalco, nella villa con la grande pistacchiera dove erano sfollate le donne di famiglia. Zia Giovannina fece chiudere i cancelli e mettere i catenacci: "Qui la guerra non deve entrare!". Arrivarono gli americani e abbatterono tutto con i carri armati».

«In testa c' era un generale su una jeep guidata da un negro. Passando vide una croce, là dove i tedeschi avevano sepolto un camerata fatto a pezzi da una scheggia. Il generale battè con le nocche sull' elmetto del negro, e la jeep si fermò. Prese la croce, la spezzò, la gettò via. Poi diede altri due colpi sull' elmetto, e la jeep ripartì. Sfilarono altri sedici uomini. Io ero annichilito dalla paura. L' ultimo mi sorrise e mi parlò: "Ce l' hai tanticchia d' olio, paisà? Agghio cogliuto l' insalatedda…". Erano tutti siciliani. Mi sciolsi in un pianto dirotto, e andai a prendere l' olio per l' insalata. Poi chiesi chi fosse l' uomo sulla jeep. Mi risposero: "Chisto è o mejo generale che avemo; ma como omo è fitusu. S' acchiama Patton"».

I litigi con Sciascia

«Noi comunisti siciliani le elezioni le avevamo vinte. Alle Regionali dell' aprile 1947 il Blocco del popolo prese 200 mila voti più della Dc.

Il Primo maggio mi ritrovai con gli amici a festeggiare, e mi ubriacai. Arrivò la notizia di Portella della Ginestra: gli agrari avevano fatto sparare sui compagni. Vomitai tutto. Da allora non ho più toccato un goccio di vino».

«Leonardo Sciascia era di un anticomunismo viscerale. Eravamo molto amici, ma abbiamo litigato come pazzi. Nei giorni del sequestro Moro lui e Guttuso andarono da Berlinguer e lo trovarono distrutto: Kgb e Cia, disse, erano d' accordo nel volere la morte del prigioniero. Sciascia lo scrisse. Berlinguer smentì, e Guttuso diede ragione a Berlinguer. Io mi schierai con Renato: era nella direzione del Pci, cos' altro poteva fare? Leonardo la prese malissimo: "Tutti uguali voiauti comunisti, il partito viene prima della verità e dell' amicizia!"».

«Un' altra cosa non mi convinceva di Sciascia. Nei suoi libri a volte rendeva la mafia simpatica. A teatro gli spettatori applaudivano, quando nel Giorno della civetta don Mariano distingue tra "uomini, mezzi uomini, ominicchi, piglianculo e quaquaraquà". Leonardo mi chiedeva: ma perché applaudono? "Perché hai sbagliato" gli rispondevo. Altre volte rendeva la mafia affascinante. "Lei è un uomo" fa dire a don Mariano. Ma la mafia non ti elogia, la mafia ti uccide; per questo di mafia ho scritto pochissimo, perché non voglio darle nobiltà. Eppure a Leonardo ho voluto un bene dell' anima. Andavo di continuo a rileggere i suoi libri. Per me erano come un elettrauto: mi ricaricavano».

La cecità

«Da quando sono diventato cieco, i pensieri tinti mi visitano più spesso. Cerco di scartarli; però tornano. A volte mi viene la paura del buio, come da bambino. Una paura fisica, irrazionale. Allora mi alzo e a tentoni corro di là, da mia moglie. Per fortuna ho Valentina, cui detto i libri: è l' unica che sa scrivere nella lingua di Montalbano, anche se è abruzzese.

Fino a poco fa vedevo ancora le ombre. Sono felice di aver fatto in tempo a indovinare il viso della mia pronipote, Matilde. Ora ha tre anni, è cresciuta, mi dicono che è bellissima, ma io non la vedo più. Di notte però riesco a ricostruire le immagini. L' altra sera mi sono ricordato la Flagellazione di Piero della Francesca. Ho pensato all' ultima volta che l' ho vista, a Urbino - aprirono il Castello apposta per me -, e l' ho rimessa insieme pezzo a pezzo. È stato meraviglioso».

(19 novembre 2016)