G20 summit: Flying fish leaps into Theresa May’s boat, Italian PM Matteo Renzi falls over trying to kick it back into the water

da: http://www.independent.co.uk/news/uk/politics/g20-summit-fish-theresa-may-boat-italy-pm-matteo-renzi-kick-fall-over-a7226166.html

World leaders were taking a boat tour as part of cultural activities laid on by the Chinese government




The G20 in Hangzhou has been intricately planned and executed with daunting efficiency. But even the Chinese government, with its legion of officials, could not avoid the subversive act of a fish.

It happened when they least expected it. During a relaxing boat tour on a lake, supposed to give world leaders a chance to kick back, enjoy a meal, a drink and each other's company.

Theresa May was on one of two boats and had been chatting happily with Angela Merkel and Australian Prime Minister Malcolm Turnbull when nature struck. The victim was Mrs May's respected Italian counterpart, Matteo Renzi.



Reports suggest that as the leaders mingled, a fish made a death-leap from the deep, straight into their boat, causing a furore as prime ministers and presidents tried to avoid getting their evening-wear covered in lake water.

Mr Renzi, however, stepped forward. Perhaps it's not surprising given his nickname “Il Rottamatore”, meaning “the scrapper”.


The Independent understands that Renzi may have tried to usher the fish back into the lake with his foot, but in an act of sublime irony ended up taking a tumble on the deck himself.

It is probably just as well there was some excitement, as over dinner the jetlagged leaders were subjected to a symphony orchestra programme consisting of a piece of music from every country in the G20. For the UK, the orchestra played “Annie Laurie”, a piece based on and old Scottish poem.
The meal consisted of pine mushroom soup, stir fried shrimps with longjing tea leaves and orange-flavoured crab meat washed down with Chinese wine.
There was also a performance consisting of a series of light and dance shows on different themes. It began with a set inspired by a poem written 1,300 years ago during the Tang dynasty, followed by a local ditty from Hangzhou and then interludes from Swan LakeClair de Lune and some Beethoven.

Calzature italiane: 1° semestre 2016 ancora difficile. Frenano USA e Medio Oriente


da: http://it.fashionnetwork.com/news/Calzature-italiane-1-semestre-2016-ancora-difficile-Frenano-USA-e-Medio-Oriente,728332.html#utm_source=newsletter&utm_medium=email

La voglia di rilancio che si respira al salone internazionale della calzatura theMICAM (in corso a Rho fieramilano con 1.478 aziende presenti, 827 italiane) cozza con le persistenti criticità evidenziate dai dati del 1° semestre 2016 del settore calzaturiero.

Secondo l’indagine realizzata dal Centro Studi di Assocalzaturifici si addensano infatti nuove nubi all’orizzonte per il comparto delle calzature. Innanzitutto sul versante occupazionale: la voce “calzaturifici” registra ancora a fine giugno un timido recupero nel numero di addetti rispetto a dicembre (+397 tra industria e artigianato, pari al +0,5%), ma allargando l’analisi anche ai produttori di componentistica il saldo per “calzature+parti” diventa negativo (-220 addetti, pari a un -0,2%).

Continua poi la selezione tra le imprese, il cui numero è nuovamente in calo. Considerando solo i calzaturifici (esclusa la componentistica), nel 1° semestre 2016 ci sono 59 aziende in meno rispetto a dicembre 2015, pari al -1,2%, e +397 addetti (pari al +0,5%). Calzaturifici+componentistica registrano invece -104 aziende rispetto a dicembre 2015, pari al -0,9%, e -220 addetti (pari al -0,2%), con -804 addetti nelle Marche, pari al -2,8% e -83 addetti in Emilia Romagna (-1,6%).
 
Forte aumento delle richieste di Cassa Integrazione Guadagni: +27,2% le ore autorizzate nei primi 7 mesi 2016 (con +48% per la CIG straordinaria). In particolare, Emilia Romagna +123%, Toscana +69%, Campania +44%, Veneto +34%, Marche +25%. Le Marche si confermano di gran lunga la regione col maggior numero di ore autorizzate (3,8 milioni) e sono la regione con la maggior crescita in termini assoluti (+774mila ore).

La CIG attuale è quasi doppia se raffrontata sui primi 7 mesi 2008 (pre-crisi); nelle Marche le ore sono oltre tre volte e mezzo rispetto ad allora (+284%) e più che triple anche in Emilia Romagna (+219%).Per quanto riguarda la produzione (indagine a campione tra gli Associati), essa nel primo semestre del 2016 ha registrato un calo del 2% in volume e una stabilità in valore (+0,1%).

Da oltre 8 anni poi, i consumi delle famiglie italiane diminuiscono in quantità. Il calo è meno elevato, ma non c'è ancora nessun segno di inversione. Nel 1° semestre del 2016 essi sono stati del -0,7% in quantità e del -2,3% in spesa.
 
Le cifre diffuse dall’Istat, relative all’export italiano di calzature nei primi cinque mesi del 2016 indicano un -0,7% in quantità e un +4,1% come valore.

Tiene nel complesso l’Unione Europea a 28, dove l'Italia vende sette scarpe su dieci esportate: -0,7% in volume, malgrado il -5,7% della Francia, con un +2,5% della Germania e un +15,3% dei Paesi Bassi.

Si ferma la caduta nella CSI (+3,2% in quantità, grazie a Russia +4,7% e Ucraina +45,4%, mentre per il Kazakistan ancora -17%), a fronte però di un calo di oltre il 12% dei prezzi medi (e quindi in valore, che scende ancora del -9,6%).
 Recuperi in volume, quelli in Russia e Ucraina, ovviamente per ora assolutamente limitati, dal momento che le vendite rimangono decisamente inferiori rispetto ai primi 5 mesi di due anni fa (-30% in quantità e -40% in valore per entrambi i mercati).
Rallentano la corsa, come largamente previsto, gli USA (+0,1% a volume e +0,5% a valore), con una frenata del 10% in quantità nel bimestre aprile-maggio.

Segni positivi nel Far East (+3% in quantità e +8,3% in valore nell’insieme), benché meno premianti a confronto col recente passato.

La Cina fa un +3,8% in quantità; Hong Kong un +4,8%: assieme sono il 5° mercato in valore per le scarpe d'Italia.

La Sud Corea, dopo gli exploit degli ultimi anni, frena in quantità (-1,6%) ma fa +12% in valore. Il Giappone recupera nel bimestre aprile-maggio chiudendo il cumulato dei primi 5 mesi con un +2,3% volume e un +8,6% valore che inverte il trend negativo dell’ultimo triennio.Male invece il Medio Oriente (-11,3% in quantità, con flessioni in Emirati e Arabia nell’ordine del 20% in volume).
 
Le importazioni italiane nei primi 5 mesi del 2016 sono invece cresciute del 5,7% in quantità e del 7,3% in valore.

 
Il saldo commerciale del settore nei primi 5 mesi del 2016 registra un attivo pari a 1.611,6 milioni di euro (+0,4% sui primi 5 mesi del 2015).

Produzione industriale, i numeri di un disastro che non ha precedenti

Dal dopoguerra non s’era mai visto un crollo come quello degli anni scorsi. E con Renzi? L’indice in ventotto mesi è passato da 91,6 a 91,8: l’Italia non riparte
Di Alberto Bagnai
Due elettori mediani commentano il fatto politico del giorno: “Hai visto che scandalo? Poi dicono che c’è la crisi! Ma il problema è che se sò magnatitutto…”. L’amico, sconsolato: “Che ci vuoi fare: ogni popolo ha i politici che si merita…”. Su queste parole i due si congedano, ebbri di assolutoriaautocommiserazione. Ognuno di noi ha assistito a simili siparietti. Qualcuno invece potrebbe essersi perso un fatto che apparentemente non ha nulla a che vedere con quanto precede. Il 5 agosto scorso, alle 12:19, l’Ansa ha twittato: “Istat, economia frena, meglio ultimi mesi”. Frenare, in italiano, significa diminuire la propria velocità. Letto così, il lancio sembrerebbe indicare che l’economia italiana cresca di meno (freni), ma che negli ultimi mesi la situazione stia migliorando (cioè si stia tornando a crescere di più). Nei dati leggiamo che a giugno l’indice della produzione industriale (Ipi) è diminuito dello 0,4%, mentre a maggio la diminuzione era stata dello 0,6%.
L’Ansa ha ragione: la velocità dell’economia italiana è diminuita. Quindi tutto bene? Non me ne voglia l’agenzia di stampa, ma direi di no. Non stiamo andando “meglio” (crescendo di più): stiamo andando “meno peggio” (diminuendo di meno). Non stiamo frenando: stiamo andando amarcia indietro, e questa non è una sfumatura, ma un fallimento epocale.
Renzi è in carica dal febbraio 2014, quando l’indice della produzione industriale era a 91,6. Ventotto mesi dopo l’indice è a 91,8: un aumento dello 0,2%, e questo mentre l’Unione Europea, nostro principale cliente, è ripartita, passando dall’1,4% al 2% di crescita fra 2014 e 2015. Certo, nessuno si aspetta che oggi la produzione industriale possa raddoppiare in un decennio, come al tempo del miracolo economico (fra 1955 e 1965), con un paese da ricostruire. Ma il -18% del decennio 2005-2015 è una catastrofe senza precedenti.
Negli ultimi 64 anni le due annate più infauste per l’Ipi sono state il 2009 (-19%) e il 1975 (-9%). La terza ce l’ha regalata Monti (-6% nel 2012), riportando l’indice ai valori di 26 anni prima (ma questo i media ce l’hanno taciuto, vantando i successi delle “riforme”). Da quando siamo nell’euro, un anno su due è stato in rosso (ci verrebbe un bel titolo, che nessun giornale ha mai scritto).
Le recessioni, naturalmente, ci sono sempre state: il problema è che oggi non ci sono le riprese. Questo non è un caso: è il cambio rigido, che in caso di crisi costringe a tagliare i salari per recuperare competitività. Rendere i lavoratori ricattabili col Jobs act facilita il compito. Incassata questa “riforma” la Confindustria ricambia il favore al governo: i suoi economisti elogiano la riforma costituzionale, con uno studio sbriciolato daMassimiliano Tancioni sul “Menabò di etica ed economia” (cosa che la stampa allineata non credo vi abbia detto). Quanto agli industriali, poverini, loro proprio non arrivano a capire che dipendenti sottopagati sono clienti col braccino corto: distruggere il mercato interno per inseguire quello estero non è una buona idea, e il fallimento di Renzi è tutto in questa frase (che lui non capirebbe, e che chi lo circonda, occupato a mettersi in salvo, non ha tempo di spiegargli).
I danni dell’euro sono ormai conclamati. L’ultimo rapporto sui mercati esteri del Fondo monetario internazionale, pubblicato il 27 luglio, è cristallino: a 17 anni dall’adozione, l’euro è ancora troppo forte di circa il 5% per Italia e Francia, e troppo debole di circa il 15% per la Germania (nessun giornale italiano ve l’ha detto, ma ai francesi ne ha parlato il Figaro). Non a caso il 29 aprile il dipartimento del Tesoro americano ha messo la Germania nella lista dei manipolatori di valute (cosa che avete letto solo qui). I nostri media, però, continuano tetragoni a ripeterci che ci siamo scelti degli ottimi compagni di strada (sarebbero quelli della Volkswagen, per capirci), e che se non ce la facciamo è colpa nostra.
Il grafico è eloquente: gli episodi di contrazione prolungata dell’Ipi sono tre, e coincidono con l’entrata nel Sistema Monetario Europeo (inizio degli anni ’80), con il suo irrigidimento (inizio degli anni ’90) e con l’entrata nell’euro (dal 1999). È naturale che in un paese esportatore come il nostro l’eccessiva rigidità del cambio porti con sé de-industrializzazione. Porta anche accresciuta mobilità dei capitali, che fa molto comodo all’industria finanziaria. Insomma: alle banche.
Come dimostra Luigi Zingales sul blog dell’Università di Chicago, queste controllano in vari modi i giornali, con l’unica eccezione del Fatto Quotidiano (ipse dixit). Sarà per questo che qui ogni tanto trovate notizie non allineate. Torno al punto: per scegliere bene i politici, gli elettori hanno bisogno di informazioni corrette, senza le quali la democrazia non funziona.
Se siamo nei guai, quindi, non è solo per colpa dei politici che ci siamo scelti noi (e che quindi ci meriteremmo), ma anche per colpa dei media che ci hanno scelto le banche (e che forse non ci meritiamo). Non è insomma colpa loro se, bombardati dal messaggio che “va tutto bene”, gli italiani non riescono a scegliere politici che facciano anche i loro interessi, e non solo quelli della finanza internazionale. Parafrasando Brecht: “Sventurata lademocrazia che ha bisogno di blogger”.

Il governo Renzi sa come farsi odiare...

Il governo Renzi sa davvero come darsi la zappa sui piedi e farsi lungamente odiare e disprezzare: dalla questione delle Banche (Etruria in primis e le altre) al papocchio incasinato delle assunzioni dei precari della scuola si apprezza il totale cinismo impastato di cattiveria distillata e gratuita che non solo il capo ma anche tutti i suoi ministri esprimono contro il popolo italiano.

E ci risiamo!

Odiare i cittadini e conterranei porta a ricevere altrettanto odio e desertificazione alle elezioni (il Pd ancora non lo scarica? aspetta l'eutanasia politica?).

Poi se Renzi fosse il portavoce dei poteri occulti (tipo massoneria) allora si deve proprio dirlo: i massoni sono INCAPACI. E si capisce il flop della classe politica al governo del paese.

Ma su tutta la linea: idioti, presuntuosi e ignoranti. Abbagliati solo dalla propria grettezza e avidità.

Meglio che sparisca lui e i suoi sodali, i ministri che sostengono l'insostenibile con arguta vacuità, ammantata di saper fare ma sostanzialmente si  capisce lontano km che non sono all'altezza della situazione.

Pare comunque che la cosa stia disintegrandosi da sola: a breve non parleremo più nè di Matteo nè dei renziani e già  per questo ringraziamo il cielo! Davvero!

Assocalzaturifici: “La Cina non è un’economia di mercato”

da: http://it.fashionmag.com/news/Assocalzaturifici-La-Cina-non-e-un-economia-di-mercato-,715539.html#utm_source=newsletter&utm_medium=email

Assocalzaturifici, l’associazione dei calzaturieri italiani, dice “no” allo Status di Economia di Mercato (MES) alla Cina, che vanificherebbe le difese antidumping dell’Europa. È quanto ribadisce il presidente dell’Associazione, Annarita Pilotti, alla vigilia della riunione a Bruxelles del Collegio dei Commissari dell’Unione. Il vertice, presieduto dal presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, fa seguito al recente Summit bilaterale UE-Cina avvenuto a Pechino e rappresenta un passaggio fondamentale in vista dell’ormai prossima presentazione in sede europea della proposta legislativa che porterà a una decisione definitiva entro dicembre.


“Il rischio per il settore calzaturiero”, ha affermato Annarita Pilotti, che ha inviato una lettera alla Commissione europea e al Consiglio, “è di non potersi più tutelare in modo efficace perché la concessione dello status di economia di mercato alla Cina avrebbe un impatto immediato sull’efficacia degli strumenti europei di difesa commerciale. Un cambiamento di metodologia che accettasse i prezzi e costi cinesi, palesemente distorti data la pesante ingerenza dello stato nell’economia, renderebbe il sistema antidumping dell’Unione europea inefficace a contrastare le pratiche commerciali sleali della Cina”.

“Assocalzaturifici ha partecipato attivamente all’inchiesta condotta a Bruxelles dalla CEC, Confederazione Europea della Calzatura, che ha portato nel 2006 all’approvazione del Consiglio dei Ministri UE di misure antidumping contro le importazioni sottocosto da Cina e Vietnam; misure mantenute in vigore sino al 2011”, ha continuato Pilotti. “Con un diverso regolamento non sarebbe stato possibile adottare dazi efficaci. La Commissione deve prendere una posizione chiara contro il riconoscimento del MES al Paese, difendendo la produzione industriale europea e italiana. Ciò anche in considerazione del fatto che la Cina rispetta attualmente solo uno dei cinque criteri economici stabiliti dalla UE per il riconoscimento dello status di economia di mercato”.

Il Parlamento europeo, lo scorso 12 maggio, si è espresso contro il riconoscimento di economia di mercato a Pechino, in una risoluzione approvata a larga maggioranza e dalle principali forze politiche europee.

La posta in gioco, per un settore che si confronta con una domanda interna in calo da otto anni e che fatica a uscire dalla crisi iniziata nel 2008, è molto elevata. In termini di paia di calzature la Cina ha pesato per il 40% del totale delle importazioni italiane nel 2014 e per il 39% nel 2015. Aegis Europe, un’alleanza di oltre 30 associazioni manifatturiere europee, stima la perdita di oltre 300mila posti di lavoro, qualora il mercato comunitario venisse nuovamente inondato di prodotti cinesi sottocosto. L’Italia, oltretutto, sarebbe il paese
più colpito.



Di Laura Galbiati

DOMENICO DE MASI: “L’Italia è diventata una Repubblica fondata sugli asini”

di Antonello Caporale
Se l’Italia è una Repubblica tendenzialmente fondata sugli asini c’è un perché. E l’asineria, i meridionali la chiamano con sentimento “ciucciaggine”, è madre legittima della raccomandazione, ritornata in cattedra con le vicende della famiglia Alfano, il ministro dell’Interno. Domenico De Masi è sociologo di razza e studioso appassionato del nostro vizio capitale.
De Masi, siamo un popolo di raccomandati perché siamo asini?
Se non hai altro metodo per valutare il curriculum suo da quello mio, resta la raccomandazione come unico punto dirimente.
Lei parla di asini di massa al tempo di Internet in cui il sapere è orizzontale, la conoscenza è istantanea.
Io parlo? Metto i numeri sul tavolo. Negli Stati Uniti 94 studenti su 100 che completano il ciclo scolastico proseguono per l’università. In Germania sono 78 su 100. In Italia siamo inchiodati al 36 per cento. E di questa minoranza 22 si fermano alla triennale e 14 proseguono per la laurea magistrale.
Ma perché?
Perché la cultura è disprezzata. Al ministero dell’Università serviva un genio e hanno messo la Gelmini, ora nemmeno ricordo il nome della attuale titolare. E l’idea beceramente produttivistica ha fatto sì che nel Nord-Est i padri spingessero i figli a entrare immediatamente in officina. Tanto il lavoro c’è e si guadagna anche di più.
L’università ha infatti perso valore.
Ma la cultura serve per vivere, Dio santo! Non solo per mangiare. E l’università la facciamo con i piedi. Puoi laurearti negli anni curriculari, o anche farne il doppio o il triplo e nessuno ti chiede nulla, ti dice nulla. Il costo delle tasse universitarie è talmente basso che sembra un parcheggio di oziosi imbelli. Come si fa a non capire che il livello della cultura generale è direttamente proporzionale al livello della partecipazione democratica?
Più sei colto più ti appassioni alla politica.
Washington ha il 49 per cento dei suoi cittadini che sono laureati. Alle elezioni la soglia dei votanti è del 70 per cento. Yuma, e siamo sempre negli Usa, ha l’11 per cento dei suoi cittadini laureati. I votanti si fermano al 30 per cento. Se sei colto hai minori possibilità di essere razzista, di essere violento. Anche la criminalità subisce la dura relazione con la cultura.
Ma se non c’è cultura esiste la raccomandazione.
La vicenda Alfano è spettacolare ma non turba. È dentro lo spirito nazionale, sicuramente è un gene della società meridionale. D’altronde è logico che se non hai altra possibilità di selezionare…
Essendo tutti asini.
L’asineria è la mamma felice della raccomandazione.
La signorina raccomandazione.
L’unico gancio è la conoscenza, intesa come relazione col potente.
Infatti Angelino Alfano si è stupito di tanta curiosità e attenzione nei confronti della propria famiglia. È l’idea che la raccomandazione possa assomigliare a una carezza gentile e non a un peccato mortale.
Ma certo che si stupisce! Il poveretto è dentro la cultura della spintarella. Dove non c’è studio c’è lo spingi spingi.
Siamo fregati.
Abbiamo avuto cattivi maestri e cattivi leader. Vetroni, D’Alema, Bertinotti, Rutelli non sono laureati e sono stati testimonial favolosi che – al fondo –la fatica quotidiana di sbattersi sui libri fosse superflua. Bastava essere intelligenti, avere talento e stop. Ma la cultura media occorrente per una società complessa dev’essere elevata. Altrimenti non la governi.
E noi siamo dentro lo sgoverno.
È la conseguenza diretta della incompetenza di massa.
L’asineria trionferà.
Tempo fa per scrivere un libro che era anche dedicato ai temi dell’Islam ho dovuto documentarmi ed è trascorso un anno. Tempo impiegato a sfogliare, rileggere, scoprire o riscoprire. I mass media chi convocano, chi intervistano? Mi dica perché diavolo io debba ascoltare la Santanchè sull’Islam. Ma cosa ne sa lei? Mi chiedo, anzi lo chiedo a lei che è giornalista: perché vi ostinate a domandare agli incompetenti? Capisco che per essere un bravo pianista devi studiare dieci anni, e invece in dieci giorni puoi anche trasformarti in un perfetto politico, in un serial killer dell’intelligenza. Però noi cittadini, quale delitto abbiamo commesso per essere obbligati quotidianamente a queste flebo di insipienza?
Professore, lei è troppo pessimista.
Fossi stato in Renzi avrei destinato all’università tutti i soldi che ha buttato altrove. Gli 80 euro a famiglia sono costati dieci miliardi? Dieci miliardi all’università. Lei pensi che fuoco ardente, che vigoria intellettuale, che fantastico processo di acculturamento di massa. Dieci miliardi e in dieci anni ci saremmo appaiati ai migliori.
Ma senza asini sarebbero finite anche le raccomandazioni.
Eh già.
E sarebbe stato un bel problema.
Sul punto non posso darle torto.
Da: Il Fatto Quotidiano, 9 luglio 2016