IL COSTITUZIONALISTA: “NON È UN PLEBISCITO SU RENZI. IN GIOCO C’È LA DEMOCRAZIA”

di Silvia Truzzi
tempi: “L’11 gennaio le riforme saranno votate dalla Camera, ragionevolmente si andrà a stretto giro al Senato. Immaginiamo il referendum a ottobre 2016”. E i modi: “Se perdo il referendum costituzionale considero fallita la mia esperienza in politica”. Nella conferenza stampa di fine anno, Matteo Renzi ha dettato le condizioni. Più della sicumera, a preoccupare è la volontà di legare il proprio destino al cambiamento della Carta: se il referendum diventa un plebiscito a favore o contro il premier, il contenuto delle riforme passerà in secondo piano. Per questo il comitato dei No alla riforma è già in piena attività: lunedì ci sarà un primo confronto, nella sala della Regina alla Camera dei Deputati, proprio mentre a Montecitorio i deputati voteranno il ddl Boschi: tra i relatori ci sarà anche Gaetano Azzariti, ordinario di Diritto costituzionale alla Sapienza.
Professore, quali sono i rischi della personalizzazione del Referendum?
Renzi ha ragione: il referendum costituzionale è più importante delle amministrative. Sbaglia però, per egocentrismo, pensando che la rilevanza della sfida sia legata alla sua persona. La posta in gioco è ben più importante, concerne la qualità del nostro sistema democratico. Con questo referendum si deve stabilire se si deve porre il suggello ad un ventennio di regresso o se è possibile immaginare una ripartenza per una riqualificazione della democrazia. Il pericolo che vedo è che il dibattito pubblico non sia incentrato sul contenuto delle riforme, bensì solo sulla figura del presidente del Consiglio.
Per come l’ha messa il premier sembra che il referendum sia una gentile concessione. O una regalia.
I miei studenti vengono bocciati su questa domanda: basta leggere l’articolo 138. C’è scritto che in seconda votazione è necessaria la maggioranza dei due terzi. Tutto si può immaginare salvo che questa maggioranza qualificata venga raggiunta. Quindi il referendum potrà essere richiesto da quei soggetti elencati nell’articolo richiamato: tra questi non figura il governo.
I sostenitori del ddl Boschi puntano sui futuri risparmi del Senato dimezzato.
Vogliamo risparmiare? Chiudiamo il Parlamento. Vuol mettere il risparmio? Battute a parte, l’argomento è poco nobile. Per tagliare le spese basterebbe una diminuzione del numero dei nostri rappresentanti e degli emolumenti che percepiscono. Mille parlamentari sono troppi, ridurre però solo il numero dei senatori è un sintomo di falsa coscienza.
Cosa vi proponete di fare con i Comitati del No?
Bisogna in tutti i modi evitare di farsi trascinare nella rissa mediatica a base di slogan per concentrarsi sulle effettive ragioni di contrasto. Il primo punto riguarda la crisi della rappresentanza: la riforma e la nuova legge elettorale cercano di definire una democrazia senza popolo. Questa tendenza va contrastata proponendo un rilancio della rappresentanza politica: senza popolo non si governa democraticamente. L’altro elemento di crisi riguarda il sistema parlamentare. Il dibattito di questa riforma è stato dominato dalle tecnicalità del bicameralismo perfetto, perdendo di vista la crisi in cui versa il Parlamento. Io credo che sarebbe necessario riformare le istituzioni per dare più potere al Parlamento e meno al governo: l’opposto di quanto la maggioranza sostiene ora. I veri conservatori sono coloro che sono al governo: la riforma Boschi è in stretta linea di continuità con il ventennio precedente, caratterizzato dalla conservazione.
Avete parlato di nuovo di “torsione autoritaria”.
Mi stupisce la finta ingenuità della politica: negli studi di Diritto costituzionale se ne parla da vent’anni. Bisogna chiedersi se Italicum e ddl Boschi favoriscono o contrastano la tendenza verso la verticalizzazione del potere. Mi pare evidente che la risposta è affermativa.
Può chiarire la questione del referendum con funzione oppositiva?
L’articolo 138 prevede che possano fare domanda di referendum “un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali”. È uno strumento pensato per le minoranze che si vogliano opporre alla decisione del Parlamento. Il referendum del 2006 contro la riforma del centrodestra ne è un esempio: il corpo elettorale ha cancellato la decisione assunta dal Parlamento. Nel 2001 fu invece la maggioranza di centro sinistra a chiedere un’inutile conferma della riforma del Titolo V, snaturando la natura del referendum che da oppositivo si è fatto plebiscitario. Mi pare che Renzi abbia intenzione di riproporre questa formula: ma il referendum o è oppositivo o non è.
il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2016

Riforme, la giurista Carlassare: “In gioco c’è la Costituzione, non il destino del premier. Dobbiamo mobilitare i cittadini”

La professoressa alla vigilia dell’incontro dei comitati contro il ddl Boschi: "L’approvazione della Camera sembra sicura. Evidentemente non c’è spazio per una riflessione critica. Così chi vince si prende tutto"
di Silvia Truzzi
Lunedì sarà il battesimo: nell’aula dei gruppi parlamentari della Camera dei deputati si terrà il primo incontro dei Comitati del No alla riforma Boschi: “Proveremo a sensibilizzare i cittadini”, spiega Lorenza Carlassare, uno dei relatori dell’incontro. “Speravo – in un eccesso di ottimismo – che ci fosse un ripensamento in Parlamento su alcuni aspetti della riforma costituzionale. Ci preoccupiamo di chiedere il referendum in base all’idea che questa riforma venga approvata così com’è, con tutti i difetti che ha. Addirittura una modifica che saggiamente la Camera aveva eliminato (l’attribuzione al Senato del potere di eleggere da solo due dei cinque giudici costituzionali che ora vengono eletti dal Parlamento in seduta comune) è stata ripristinata dal Senato, e ormai l’approvazione della Camera sembra sicura. Evidentemente non c’è spazio per una riflessione critica. Non resta che mobilitare le persone in vista del futuro referendum, che il presidente del Consiglio va annunziando come un’iniziativa sua: lui sottoporrà la riforma al popolo perché la approvi; lui, in caso contrario, si dimetterà. Si arriva al punto di personalizzare persino il referendum costituzionale. Ma non è questo il senso del referendum costituzionale che non è previsto per ‘acclamare’, ma per opporsi a una riforma sgradita”.
L’equivoco non è nuovo: nel 2001 votammo per confermare la riforma del Titolo V della Costituzione. Governo di centrosinistra.Si vede che è un’idea del Pd! Ma è sbagliata. E non si tratta di una sfumatura. Il referendum serve a rafforzare la rigidità della Costituzione impedendo alla maggioranza di cambiarla da sola. O la riforma è approvata da entrambe le Camere con la maggioranza dei due terzi – vale a dire con il concorso delle minoranze – oppure la legge, pubblicata per conoscenza, è sottoposta a referendum qualora entro tre mesi “ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o 500 mila elettori o cinque Consigli regionali”. Se nessuno chiede il referendum, trascorsi i tre mesi la legge costituzionale viene promulgata, pubblicata ed entra in vigore; interessato a chiedere il referendum dovrebbe essere chi è contrario ai contenuti della riforma, per impedirne l’entrata in vigore. L’art. 138 non si presta a equivoci. Il referendum quindi è una possibilità, quando la riforma non ha coinvolto le minoranze, per consentire a chi non è d’accordo di provare a farla fallire; può essere anche una minoranza esigua non essendo previsto un quorum di partecipazione.
Che significato hanno le dichiarazioni con cui il premier ha legato il suo destino politico all’esito del referendum?Insisto: il referendum costituzionale non è uno strumento nelle mani del Presidente del Consiglio a fini di prestigio personale. In molti hanno messo in luce l’intenzione di trasformare la consultazione in un plebiscito pro o contro Renzi: ma qui è in ballo la sorte della Costituzione, non la sua. Invece, pensando che – 5Stelle e Sinistra Italiana a parte – non troverà oppositori sul suo cammino e il referendum sarà un trionfo, intende servirsene per rafforzare il suo potere personale, da esercitare senza controlli e contrappesi, senza che nessuno lo contraddica.
Risponderete con un’informazione basata sui contenuti della riforma: come pensate di farli passare? C’è il precedente del 2006 in cui i cittadini bocciarono la riforma Berlusconi: ma era Berlusconi, appunto.Questo è il vero problema. Mentre nel 2006 il progetto di modifica della forma di governo era chiara perché Berlusconi aveva parlato esplicitamente di premierato, ora apparentemente la forma di governo non viene modificata; ma nella sostanza – grazie al combinato disposto di Italicum e riforma Boschi – l’effetto è proprio quello di trasformare la forma di governo e persino la forma di Stato, vale a dire la democrazia costituzionale.
Il leitmotiv è stato “abolire il bicameralismo perfetto”.
Su questo erano d’accordo tutti. Bastava fare una riforma circoscritta, non c’era bisogno di sfigurare la Costituzione. Fra l’altro, una delle ragioni della riforma del bicameralismo perfetto era la semplificazione delle procedure: semplificazione che non c’è stata, semmai si è complicato e confuso il procedimento legislativo. Per alcune leggi il Senato interviene, per altre no. Per alcune il Senato vota, ma poi la Camera con maggioranze diverse deve tornare sul testo del Senato. Tutto irrazionale. Il vero dato è che la composizione del nuovo Senato – della quale abbiamo già detto molto nei mesi scorsi – lo rende agevolmente controllabile. Le riforme vanno tutte nella stessa direzione: pensi alla Rai!
Cioè “chi vince piglia tutto”?La legge elettorale che entra in vigore nel 2016 è una via traversa per giungere di fatto all’elezione diretta del premier. Quando si arriva al ballottaggio (per il quale non c’è quorum, e dunque le due liste più votate partecipano a prescindere dal seguito elettorale che hanno avuto), l’elettorato deve necessariamente schierarsi a favore di uno dei contendenti e chi vince si prende tutto. È una forma d’investitura popolare per chi guida il governo; un discorso non nuovo che precede Renzi di molti anni: le elezioni come strumento non tanto per eleggere il Parlamento, ma per scegliere e investire un governo e il suo Capo. E senza che a una simile trasformazione si accompagnino i contrappesi indispensabili in una democrazia costituzionale.
Da Il Fatto Quotidiano del 09/01/2016

“Il Porcellum ha creato il Monstrum”

di Silvia Truzzi da www.ilfattoquotidiano.it


Se chiedi ad Alessandro Pace perché è contrario alla riforma Boschi ti risponde così: «Le ragioni sono molte. Intanto perché privilegia la governabilità sulla rappresentatività; elimina i contro-poteri esterni alla Camera senza compensarli con contropoteri interni; riduce l’iniziativa legislativa del Parlamento a vantaggio di quella del governo; prevede almeno sei tipi diversi di votazione delle leggi ordinarie con conseguenze pregiudizievoli per la funzionalità delle Camere; nega l’elettività diretta del Senato ancorché gli ribadisca la spettanza della funzione legislativa e di revisione costituzionale; sottodimensiona irrazionalmente la composizione del Senato rendendo irrilevante il voto dei senatori nelle riunioni del Parlamento in seduta comune; pregiudica il corretto adempimento delle funzioni senatoriali, divenute part-timedelle funzioni dei consiglieri regionali e dei sindaci». Tutte queste ragioni saranno illustrate domani al primo incontro del Comitato per il No, i cui lavori saranno introdotti proprio dal presidente Alessandro Pace.

Da dove cominciamo? 
«Dall’inizio, da quello che io credo essere il vizio d’origine della riforma. La Corte costituzionale, nel dichiarare l’incostituzionalità del Porcellum consentì espressamente alle Camere di continuare a operare, ma non in forza della legge elettorale dichiarata incostituzionale, bensì grazie al “principio fondamentale della continuità dello Stato”. La Corte aggiunse a tal riguardo che, al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione sia a prevedere, all’articolo 61, che, a seguito delle elezioni, sussiste la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti finché non siano riunite le nuove Camere; sia a prescrivere, all’articolo 77, che, per la conversione in legge di decreti legge adottati dal governo “le Camere anche se sciolte sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni”». 

La sentenza della Consulta è di due anni fa... 
«È vero, ma i due limiti temporali del principio della continuità dello Stato, richiamati dagli articoli 61 e 77, sono assai brevi (meno di tre mesi!). E quindi, ammesso che il Parlamento non potesse essere sciolto nei primi mesi del 2014 perché lo scioglimento avrebbe portato alle stelle lo spread, è però evidente l’azzardo istituzionale, da parte del premier Matteo Renzi e dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di iniziare una revisione costituzionale di così ampia portata nonostante la dichiarazione d’incostituzionalità del Porcellum avesse fotografato un Parlamento di “nominati”, insicuri di essere rieletti, e quindi ricattabili ed esposti alla mercé del migliore offerente. Il che è dimostrato dal record, nella XVII legislatura, di passaggi da un gruppo parlamentare all’altro con 325 migrazioni tra Camera e Senato in poco più di due anni e mezzo, per un totale di 246 parlamentari coinvolti». 

Renzi si è impegnato a dimettersi se il referendum bocciasse la riforma. 
«Evidentemente nel lanciare questa sfida alle opposizioni e agli elettori, Renzi ha inequivocabilmente ammesso che la paternità della riforma costituzionale è del governo e non del Parlamento. Come invece dovrebbe essere e avrebbe dovuto essere. Il che risponde alla semplice, ma ovvia, ragione di non coinvolgere nell’indirizzo politico di maggioranza il procedimento di revisione costituzionale, che si pone a ben più alto livello della politica quotidiana, un livello nel quale anche le opposizioni dovrebbero avere un adeguata voce in capitolo». 

Il governo voleva andare in fretta. I senatori Mario Mauro e Corradino Mineo furono rimossi dalla commissione Affari costituzionali del Senato per aver invocato il rispetto della libertà di coscienza per ciò che attiene alle modifiche della Carta.
Fu dapprima loro assicurato che, per i lavori in aula, diversamente da quelli in commissione, l’art. 67 Cost. sarebbe stato rispettato. Il che era ed è contraddittorio perché se sussiste la tutela della libertà di coscienza del parlamentare su dati argomenti, la tutela non viene meno a seconda del luogo o del contesto nel quale essa viene eccepita. Successivamente, venne altresì eccepito, dall’allora vice capogruppo del Pd in Senato, che la libertà di coscienza non poteva essere invocata perché “tra i principi fondamentali della Costituzione non rientrano certo le modalità di elezione del Senato”, evidentemente confondendo lo stravolgimento in atto del ruolo e delle funzioni del Senato con una semplice modifica del sistema elettorale».
Altre violazioni? 
Quella commessa l’ultimo giorno dei lavori del Senato, il 2 ottobre, nel quale si trattava di votare l’art. 2 del disegno di legge che modificava l’art. 57 della Costituzione. La maggioranza, pur di non confermare l’elettività diretta del Senato, che consegue dall’art. 1 della Costituzione, che garantisce al popolo l’esercizio della sovranità “nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ha partorito un monstrum inconcepibile nel testo di una Costituzione. Ha approvato, nello stesso articolo, due commi tra loro antitetici: uno che prevede che i senatori saranno eletti dai Consigli regionali, l’altro che tale elezione dovrà avvenire “in conformità alle scelte degli elettori”. Dunque o l’elezione da parte dei Consigli regionali sarà meramente riproduttiva della volontà degli elettori e quindi inutile; oppure se ne distaccherà, e in tal caso finirebbe per violare l’art. 1 sopra riportato, che garantisce appunto l’elettività diretta degli organi titolari della potestà legislativa, come tra l’altro sottolineato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014.