Scuola, via 150 euro al mese agli insegnanti. POLITICI E GOVERNANTI MA ANNATE A M**I' AMMAZZATI!

Scuola, via 150 euro al mese agli insegnanti. La Carrozza scrive a Saccomanni: "Rinunciare"


Il governo ha bloccato retroattivamente gli scatti di anzianità dei docenti per tutto il 2014, decidendo la decurtazione della somma ogni mese "fino a concorrenza del debito". Il ministro chiede la retromarcia, ma il Mef replica: "Atto dovuto". Sindacati sul piede di guerra

INSEGNANTI sul piede di guerra, e il ministro dell'Istruzione si schiera al loro fianco. Il ministero dell’Economia chiede ai docenti degli istituti italiani di restituire gli scatti stipendiali – già percepiti nel 2013 – con una trattenuta di 150 euro mensili a partire da gennaio. E nel mondo della scuola scoppia la protesta. I sindacati minacciano lo sciopero generale e dal Pd viene inviata una lettera-petizione al ministro Maria Chiara Carrozza e al premier Enrico Letta che in poche ore ha raccolto migliaia di adesioni. A cui arriva una quasi immediata risposta di Maria Chiara Carrozza, che scrive a Saccomanni chiedendo di soprassedere.

E STILINGA PENSA CHE SE GLI INSEGNANTI NON BLOCCANO LE LEZIONI AD OLTRANZA SONO PROPRIO FESSI. MENTRE COLORO CHE CI (S)GOVERNANO SONO DEI GRAN LADRI PATENTATI ED IMPUNITI!

'STI DISGRAZIATI NON SE TAGLIANO NULLA, MANCO LE PENSIONI D'ORO, POI IN POCHI SECONDI CREANO GLI ESODATI E TAGLIANO GLI SCATTI DI ANZIANITA' ALLA CATEGORIA CHE PEGGIO SE LA PASSA IN QUESTO PAESE SENZA STATO, ABBANDONATO.
 ALLA LUCE DI COME VANNO LE COSE, POSSIAMO ASSERIRE ANCHE CHE LO STIVALE E' IN MANO AI MASSONI/MAFIOSI/ULTRACATTOLICI.
SI VERGOGNINO! 
E CHE GLI ITALIANI NON GLI SERVANO NULLA QUANDO VANNO AL BAR, AL RISTORANTE, ETC. E CHE NON LI CARICHINO SUI TAXI, E CHE NON GLI PULISCANO LE CASE E CHE NON GLI PRENDANO I FIGLI DA SCUOLA E CHE NON GLI FACCIANO I CAPELLI QUANDO VANNO AL PARRUCCHIERE E CHE.. ETC. ETC.
SIAMO OLTRE IL LIMITE.
POSSIBILE CHE AL PALAZZO NON L'ABBIANO CAPITO??? ALLORA TOCCA A NOI SVEGLIARE LE BELLE ADDORMENTATE DELLA POLITICA, I PROFESSIONISTI DELLA POLITICA RIPULITI DALLE GRANDI GRIFFE, MA MARCI DENTRO, GLI INCIUCISTI VEGLIARDI DI STATO!



Inps salvato dai precari senza pensione, e che c***o!




Da: http://ilmanifesto.it/linps-salvato-dai-precari-senza-pensione/


Dopo l’Ocse anche la Corte dei Conti denun­cia l’iniquità del Wel­fare ita­liano.

A ripia­nare le ingenti per­dite dell’Istituto nazio­nale della pre­vi­denza sociale (Inps)

sono le lavo­ra­trici e i lavo­ra­tori «para­su­bor­di­nati», le par­tite Iva, tutti coloro che sono impie­gati a tempo e in maniera inter­mit­tente.

Que­sta è una delle prin­ci­pali con­clu­sioni dell’esame del bilan­cio 2012 dell’Inps con­te­nuto nel report reso noto ieri dalla magi­stra­tura con­ta­bile. Per con­te­nere la gra­vosa per­dita cau­sata dall’incorporazione dell’Enpals e dell’Inpdap, l’Inps si avvale del «mas­sic­cio saldo posi­tivo di eser­ci­zio dei “para­su­bor­di­nati” e quello delle pre­sta­zioni tem­po­ra­nee, i cui netti patri­mo­niali con­sen­tono ancora la coper­tura di quelli nega­tivi delle altre prin­ci­pali gestioni e il man­te­ni­mento di un attivo nel bilan­cio gene­rale, espo­sto peral­tro ad un rapido azze­ra­mento». In altre parole, per la Corte dei conti, in un con­te­sto come quello ita­liano in cui i pen­sio­nati con­ti­nue­ranno a cre­scere, anche il capi­tale garan­tito dai lavo­ra­tori auto­nomi e dai pre­cari non basterà a «ripia­nare lo squi­li­brio» tra le gestioni in defi­cit. La con­se­guenza sarà «la dila­ta­zione dei saldi nega­tivi e dell’indebitamento, aggra­vati dal fondo dei dipen­denti pub­blici, in pro­gres­sivo e cre­scente dissesto».


La Corte avverte inol­tre che i lavo­ra­tori indi­pen­denti (appunto: pre­cari, par­tite Iva, inter­mit­tenti) saranno pena­liz­zati mag­gior­mente dal metodo con­tri­bu­tivo. Il loro trat­ta­mento pen­sio­ni­stico, sem­pre che rie­scano a tota­liz­zarlo, rischia di essere molto lon­tano da quello riser­vato a chi è andato, o andrà, in pen­sione con il metodo retri­bu­tivo. La Corte chiede «un costante moni­to­rag­gio degli effetti delle riforme del lavoro e della pre­vi­denza sulla spesa pen­sio­ni­stica e una cre­scente atten­zione al pro­filo di ade­gua­tezza delle pre­sta­zioni col­le­gate al metodo con­tri­bu­tivo e degli ecces­sivi divari nei trat­ta­menti con­nessi a quello retri­bu­tivo, uni­ta­mente all’urgenza di rilan­ciare la pre­vi­denza com­ple­men­tare». Una tesi molto simile a quella soste­nuta dall’Ocse. Resta tut­ta­via il mistero su come i lavo­ra­tori indi­pen­denti, ad esem­pio le par­tite Iva che ver­sano i con­tri­buti nella gestione sepa­rata dell’Inps con un red­dito medio men­sile pari a 753 euro pos­sano finan­ziarsi un fondo pri­vato. Per loro si pre­para un futuro senza pen­sione. L’Inps, con­clude la Corte, ha biso­gno di «indi­la­zio­na­bili misure di risanamento».

Gli eurobond che fecero l'unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania

Gli eurobond che fecero l'Unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania di Giuseppe Chiellino
da http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-06-30/eurobond-fecero-unita-italia-190357.shtml?uuid=AbDwao0F&p=2

 Il vertice europeo di fine giugno ha cancellato gli eurobond dall'agenda. Almeno per ora. Angela Merkel è stata drastica: «Mai finchè sarò viva» aveva detto in pubblico qualche giorno prima. Chissà se la cancelliera tedesca aveva avuto il tempo di leggere lo studio di Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles che è andata a spulciare negli archivi delle Borse di Parigi e Anversa per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond: l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia.
 Nella storia dello stato moderno è l'esperienza storicamente più vicina al faticosissimo tentativo di dare maggiore consistenza politica all'Unione europea, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e fiscali, compresi debiti sovrani dei 17 paesi dell'euro. Un precedente prezioso, secondo la Collet, per cercare di capire – mutatis mutandis - come potrebbero comportarsi i mercati finanziari di fronte all'unificazione del debito pubblico dei paesi della zona euro. «Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati» ricorda la studiosa. Grazie al fatto che anche dopo l'unificazione i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come "Italy-Neapolitean") la Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873. Un lavoro certosino di raccolta manuale dei dati dagli archivi e dai database originali per capire come si sono mosse le quotazioni, prima e dopo l'unità, politica ed economica. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio. La prima cosa che balza agli occhi è lo spread (anche allora!) tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo l'Unità. Quelli del Regno delle Due Sicilie (che erano un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%). Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l'Italia quello che oggi la Germania è per l'Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un'agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali. Subito dopo il 1861, però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più bassi. Proprio quello che oggi la Germania teme possa avvenire con gli eurobond: l'anno successivo, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli "Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli investitori, e non solo, che l'Unità era ormai irreversibile. L"Italia" non era più una mera "espressione geografica", come l'aveva definita Metternich nel 1847, ma dopo tre guerre d'indipendenza e più di vent'anni di manovre diplomatiche era diventata uno stato unitario. «L'integrazione dei debiti sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa» afferma Collet, ma nota anche che «un aumento del premio di rischio aggraverebbe la crisi del debito che sta vivendo l'Europa piuttosto che risolverla. Significherebbe che, se fossero introdotti gli eurobond, la Germania perderebbe il suo rating elevato».
Questo portava Collet a definire, già nei mesi scorsi, «remote» le speranze di vedere nel breve termine un mercato integrato dei titoli di debito dell'eurozona. Nel lungo termine, invece, i risultati della ricerca sul caso italiano dimostrano che «nel tempo i rendimenti dei titoli diminuirono». Alla luce di questo, oggi la domanda è: quanto tempo ci vorrà perché anche l'Europa sia considerata come un blocco unico e in grado di dotarsi di un vero e proprio piano di salvataggio per l'euro? Per l'Italia ci volle all'incirca un decennio. Considerato che quella italiana fu un'annessione anche militare e quella europea è un'integrazione consensuale, e che i mercati dei capitali si muovono a ritmi diversi rispetto alla seconda metà dell'800, anche Collet concorda che un aumento del costo del debito nel breve termine sarebbe un prezzo che potremmo permetterci di pagare se avessimo la certezza di avere, tra qualche anno, un'Europa più unita. Ma questa certezza nessuna ricerca, per quanto accurata, potrà mai darla. Serve, forse, la capacità di andare oltre il breve periodo, di guardare un po' più lontano rispetto alla prossima scadenza elettorale, superando la "veduta corta" che per Tommaso Padoa Schioppa è stata «la radice» della crisi.

Lettera di appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla Campagna Navale “Sistema Paese in Movimento”

da: http://www.liberacittadinanza.it/carovana/petizioni/lettera-di-appello-al-presidente-della-repubblica

Lettera di appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla Campagna Navale “Sistema Paese in Movimento”


Liberacittadinanza aderisce all'appello della Rete Italiana per il Disarmo e invita tutti coloro che sono d'accordo a sottoscriverlo.


Al Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano
Palazzo del Quirinale
ROMA
Roma, 13 novembre 2013

Egregio Presidente,
prende il via oggi da Civitavecchia la Campagna Navale “Sistema Paese in Movimento”.
L’iniziativa, presentata martedì scorso dal Ministro della Difesa, Mario Mauro, insieme ai vertici del Ministero della Difesa intende impegnare per i prossimi cinque mesi il Gruppo Navale Cavour in una campagna promozionale dell’industria bellica italiana insieme ad altre attività commerciali, di tipo militare ed umanitarie.
L’iniziativa avrebbe lo scopo di “promuovere il made in Italy in ogni suo aspetto”, ma sono molteplici e differenti le finalità del progetto: dall’addestramento del personale militare alla sicurezza marittima, dalle operazioni di contrasto al fenomeno criminale della pirateria, al rafforzamento del dialogo e della cooperazione tra nazioni, organizzazioni e aziende.
Tale iniziativa è a nostro avviso inaccettabile in quanto mescola una serie di attività che per loro natura hanno finalità e caratteristiche differenti e che riteniamo sia importante continuare a tenere separate. Soprattutto crediamo che promuovere la vendita di sistemi militari o sostenere iniziative di tipo commerciale abbinandole ad operazioni umanitarie non sia un compito che il nostro ordinamento attribuisce al Ministero della Difesa o alle Forze Amate.
Consideriamo perciò particolarmente preoccupante la funzione che viene assunta dal Ministero della Difesa a sostegno di attività per la promozione di sistemi militari: ai sensi della legislazione vigente (legge n. 185 del 9 luglio 1990 e sue successive modifiche) l’esportazione di materiali di armamento deve essere “regolamentata dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”
(Legge n. 185/1990, Art. 1). In questo contesto non andrebbe sottovalutato lo stato di particolare tensione dell’intera zona mediorientale in cui il gruppo navale Cavour farà tappa e soprattutto il grave deficit di libertà democratiche a fronte di ingenti spese militari e di un livello basso di sviluppo umano di diversi dei Paesi che saranno visitati.
Riteniamo inoltre che debba essere attentamente valutata la partecipazione in questa “campagna navale” di alcune organizzazione umanitarie ed organizzazioni non governative. La normativa internazionale ribadisce infatti che l’aiuto umanitario non può essere utilizzato come “strumento di politica estera dei governi”. L’impiego di organizzazioni umanitarie da parte di attori militari e commerciali mette infatti in discussione non solo l’indipendenza, la neutralità e l’imparzialità delle organizzazioni autenticamente umanitarie, ma anche la stessa possibilità che gli operatori umanitari continuino ad intervenire efficacemente e in relativa sicurezza nei contesti di crisi.
Crediamo infine che si debba porre estrema attenzione al problema ripetutamente evidenziato da diversi pronunciamenti dell’Unione europea secondo cui la crisi economica sta trasformando alcuni ministeri della Difesa in espliciti promotori delle esportazioni di armamenti. Una tendenza che, per sostenere la competitività delle industrie militari dei rispettivi paesi, rischia di mettere a repentaglio gli sforzi in ambito comunitario per definire una politica organica di sicurezza e di difesa comune.
In considerazione del ruolo che la nostra Costituzione Le attribuisce, Le chiediamo di esprimersi su questa operazione che a nostro avviso configura un impiego delle Forze armate che non risponde al nostro ordinamento, e di agire affinché il programma della Campagna Navale venga discusso a livello istituzionale. Questo nostro appello verrà diffuso presso altre organizzazioni della società civile con la richiesta di adesione e sottoscrizione, che Le segnaleremo prontamente in una nostra successiva lettera.
Con l’occasione porgiamo i nostri migliori saluti di Pace

Le realtà aderenti alla Rete Italiana per il Disarmo
ACLI - Agenzia per la Pace Sondrio - Amnesty International - Archivio Disarmo - ARCI - ARCI Servizio Civile - Associazione Obiettori Nonviolenti - Associazione Papa Giovanni XXIII - Associazione per la Pace – Assopace Palestina - ATTAC - Beati i costruttori di Pace - Campagna Italiana contro le Mine - Campagna OSM-DPN - Centro Studi Difesa Civile - Conferenza degli Istituti Missionari in Italia - Coordinamento Comasco per la Pace - FIM-Cisl - FIOM-Cgil - Fondazione Culturale Responsabilità Etica - Gruppo Abele - ICS - Libera - Mani Tese - Movimento Internazionale della Riconciliazione - Movimento Nonviolento - OPAL - OSCAR Ires Toscana - Pax Christi - PeaceLink - Rete di Lilliput - Rete Radiè Resch - Traduttori per la Pace - Un ponte per...
___________________________________
Rete Italiana per il Disarmo
segreteria@disarmo.org
328/3399267

Gli affitti dei palazzi del potere non si toccano! E che c***o!

ROMA - «L’articolo 2-bis del decreto legge 15 ottobre 2013, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 dicembre 2013, n. 137, è soppresso». Chi ancora ha il coraggio di sostenere che il nostro sistema legislativo è lento e macchinoso si dovrà ricredere davanti a questo capolavoro di Palazzo Madama. Dove è stata cancellata al volo una norma che lo stesso Senato aveva approvato sorprendentemente soltanto sei giorni prima. La cosa era passata nel silenzio generale fra le pieghe di un provvedimento battezzato «manovrina», grazie a un emendamento presentato alla Camera dal deputato del Movimento 5 Stelle Massimo Fraccaro. Testuale: «Le amministrazioni dello Stato, le Regioni e gli enti locali, nonché gli organi costituzionali nell’ambito della propria autonomia, hanno facoltà di recedere, entro il 31 dicembre 2014, dai contratti di locazione di immobili in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il termine di preavviso per l’esercizio del diritto di recesso è stabilito in trenta giorni, anche in deroga a eventuali clausole difformi previste dal contratto».

Una bomba. Con un bersaglio preciso, come dimostra il passaggio sugli «organi costituzionali»: i palazzi Marini, quegli stabili che ospitano gli uffici dei deputati, presi in affitto con il meccanismo del «global service» dall’immobiliarista e grande allevatore di cavalli Sergio Scarpellini, munifico elargitore di contributi liberali ai partiti di destra e sinistra. È un’operazione che ha origine alla fine degli anni Novanta quando la Camera, d’accordo centrosinistra e centrodestra, decise di stipulare senza gara una serie di contratti con la società Milano 90, che metteva a disposizione di Montecitorio quattro immobili e relativi servizi. A un prezzo, oltre 500 euro annui al metro quadrato, tale da ripagare abbondantemente i mutui bancari contratti dal privato per acquistare le mura. Fatto sta che la Camera avrebbe speso in 18 anni ben 444 milioni solo per i canoni d’affitto, senza ritrovarsi in tasca un solo mattone. Una vicenda divenuta ben presto l’emblema degli sprechi del Palazzo, contro cui si erano scagliati a ripetizione con interrogazioni e denunce pubbliche i radicali. Ma inutilmente. Come inutili si erano rivelati i mal di pancia avvertiti da molti parlamentari consapevoli dell’abnormità della storia. A tutti era stato risposto che non c’era niente da fare: i contratti andavano rispettati e amen. Dopo molti sforzi si era riusciti a disdettarne almeno uno.
E l’emendamento Fraccaro, divenuto legge il 13 dicembre scorso a Palazzo Madama con l’approvazione senza modifiche della «manovrina» uscita da Montecitorio, avrebbe fatto cadere tutti gli ostacoli per la rescissione degli altri tre, che pesano sulle casse pubbliche 26 milioni per i soli canoni. Se però il giovedì seguente non fosse stato recapitato in Senato nella leggina di conversione di un decreto sulle «misure finanziarie urgenti in favore di regioni ed enti locali», un provvidenziale emendamento che sopprime quella disposizione passata sempre al Senato il venerdì precedente. Modifica prontamente approvata dalla maggioranza senza battere ciglio: con qualche voto in più, sembra, rispetto a quelli prevedibili. La battaglia si sposta adesso alla Camera, dove Fraccaro riproporrà tale e quale la norma bocciata. Ma intanto il segnale arrivato dalle Larghe intese, per paradosso proprio mentre Matteo Renzi, il nuovo segretario del Pd loro principale azionista dichiara pubblicamente guerra ai costi della politica, si può interpretare in modo inequivocabile: gli affitti dei palazzi del potere non si toccano. Altra motivazione non ci sarebbe. E l’impronta digitale della maggioranza, del resto, è facilmente riconoscibile.

L’emendamento porta la firma della relatrice delprovvedimento, circostanza che qualifica l’emendamento come iniziativa non personale. Ma essendo la senatrice del Pd Magda Zanoni esperta di contabilità statale, visto che il suo curriculum la qualifica come «consulente di bilanci pubblici», certo non ne può ignorare le conseguenze. E cioè che oltre a mettere in pericolo i contratti blindati e dorati dei palazzi Marini, quella perfida norma grillina consentirebbe a molte amministrazioni di liberarsi di onerosi contratti incautamente sottoscritti senza clausola di recesso: è appena il caso di ricordare che spendiamo circa 12 miliardi l’anno per gli affitti degli uffici pubblici. Chissà perché nessuno ci aveva pensato prima.
E Stilinga, infuriata, pensa che se 'sti cretinetti della politica non smettono di lavorare contro il popolo sovrano e il sovrano popolo li manderà a casa di corsa!
E non vengano a dirci che il debito esplode! e non aumentino le tasse! 
Si vergognino 'sti disgraziati che consegnano la cosa pubblica ai privati!
E basta! non se ne può più davvero!
Come ti giri trovi assessori regionali che a contratto, fuori busta, pagavano segretarie-escort, giudici di pace  corrotti dai tassisti abusivi, Ncc che pagavano in escort i vigili urbani, presidenti di regione che si compravano mutande verdi coi soldi pubblici, etc. etc.
E' tempo di aggiornare la Divina Commedia e il Decameron, la realtà è truce!

Niente crisi a Silicon Valley!

http://www.corriere.it/foto-gallery/tecnologia/social/13_dicembre_16/non-c-crisi-silicon-valley-party-natale-b9232a46-663f-11e3-8b64-f3a74c1a95d8.shtml#1

Crisi? Macché. Nella Silicon Valley si festeggia come se non ci fosse un domani. Anzi, «sembra che ogni giorno sia come nel 1999», scrive il New York Times. Ovvero: prima dello scoppio della crisi finanziaria e quando la bolla di Internet era ancora bella gonfia. Infatti, il 2013 per i big della tecnologia è stato un anno notevole, da Twitter a Snapchat, da Facebook a Google. Questi sono tempi favolosi per la Silicon Valley, è la comprensibile analisi degli investitori. E a fine anno, dipendenti e dirigenti, si raccolgono per il tradizionale party di Natale. Feste sfarzose che ricordano molto quelle del «Grande Gatsby».


E Stilinga pensa che siccome alcuni grandi marchi sella Silicon Valley non pagano un euro di tasse in Italia, allora è proprio scandaloso che costoro festeggino e brindino come se tutto fosse perfettamente in equilibrio nel mondo, come se tutti i popoli godessero dello stesso benessere.

Purtroppo non è così e questi party fanno specie!

Si avverte una distanza enorme, un abisso esistenziale e reale tra clienti sempre più bombardati dalle pubblicità che esortano a comprare nuovi smortphones (proprio smort) e ipad e a passare il tempo on line, altrimenti sei fuori dalla vita e  questi figuri che si sollazzano coi soldi e con le  energie che i consumatori buttano online! 

Ormai è chiaro che il web è utile solo a chi lo gestisce!