Lettera di appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla Campagna Navale “Sistema Paese in Movimento”

da: http://www.liberacittadinanza.it/carovana/petizioni/lettera-di-appello-al-presidente-della-repubblica

Lettera di appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla Campagna Navale “Sistema Paese in Movimento”


Liberacittadinanza aderisce all'appello della Rete Italiana per il Disarmo e invita tutti coloro che sono d'accordo a sottoscriverlo.


Al Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano
Palazzo del Quirinale
ROMA
Roma, 13 novembre 2013

Egregio Presidente,
prende il via oggi da Civitavecchia la Campagna Navale “Sistema Paese in Movimento”.
L’iniziativa, presentata martedì scorso dal Ministro della Difesa, Mario Mauro, insieme ai vertici del Ministero della Difesa intende impegnare per i prossimi cinque mesi il Gruppo Navale Cavour in una campagna promozionale dell’industria bellica italiana insieme ad altre attività commerciali, di tipo militare ed umanitarie.
L’iniziativa avrebbe lo scopo di “promuovere il made in Italy in ogni suo aspetto”, ma sono molteplici e differenti le finalità del progetto: dall’addestramento del personale militare alla sicurezza marittima, dalle operazioni di contrasto al fenomeno criminale della pirateria, al rafforzamento del dialogo e della cooperazione tra nazioni, organizzazioni e aziende.
Tale iniziativa è a nostro avviso inaccettabile in quanto mescola una serie di attività che per loro natura hanno finalità e caratteristiche differenti e che riteniamo sia importante continuare a tenere separate. Soprattutto crediamo che promuovere la vendita di sistemi militari o sostenere iniziative di tipo commerciale abbinandole ad operazioni umanitarie non sia un compito che il nostro ordinamento attribuisce al Ministero della Difesa o alle Forze Amate.
Consideriamo perciò particolarmente preoccupante la funzione che viene assunta dal Ministero della Difesa a sostegno di attività per la promozione di sistemi militari: ai sensi della legislazione vigente (legge n. 185 del 9 luglio 1990 e sue successive modifiche) l’esportazione di materiali di armamento deve essere “regolamentata dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”
(Legge n. 185/1990, Art. 1). In questo contesto non andrebbe sottovalutato lo stato di particolare tensione dell’intera zona mediorientale in cui il gruppo navale Cavour farà tappa e soprattutto il grave deficit di libertà democratiche a fronte di ingenti spese militari e di un livello basso di sviluppo umano di diversi dei Paesi che saranno visitati.
Riteniamo inoltre che debba essere attentamente valutata la partecipazione in questa “campagna navale” di alcune organizzazione umanitarie ed organizzazioni non governative. La normativa internazionale ribadisce infatti che l’aiuto umanitario non può essere utilizzato come “strumento di politica estera dei governi”. L’impiego di organizzazioni umanitarie da parte di attori militari e commerciali mette infatti in discussione non solo l’indipendenza, la neutralità e l’imparzialità delle organizzazioni autenticamente umanitarie, ma anche la stessa possibilità che gli operatori umanitari continuino ad intervenire efficacemente e in relativa sicurezza nei contesti di crisi.
Crediamo infine che si debba porre estrema attenzione al problema ripetutamente evidenziato da diversi pronunciamenti dell’Unione europea secondo cui la crisi economica sta trasformando alcuni ministeri della Difesa in espliciti promotori delle esportazioni di armamenti. Una tendenza che, per sostenere la competitività delle industrie militari dei rispettivi paesi, rischia di mettere a repentaglio gli sforzi in ambito comunitario per definire una politica organica di sicurezza e di difesa comune.
In considerazione del ruolo che la nostra Costituzione Le attribuisce, Le chiediamo di esprimersi su questa operazione che a nostro avviso configura un impiego delle Forze armate che non risponde al nostro ordinamento, e di agire affinché il programma della Campagna Navale venga discusso a livello istituzionale. Questo nostro appello verrà diffuso presso altre organizzazioni della società civile con la richiesta di adesione e sottoscrizione, che Le segnaleremo prontamente in una nostra successiva lettera.
Con l’occasione porgiamo i nostri migliori saluti di Pace

Le realtà aderenti alla Rete Italiana per il Disarmo
ACLI - Agenzia per la Pace Sondrio - Amnesty International - Archivio Disarmo - ARCI - ARCI Servizio Civile - Associazione Obiettori Nonviolenti - Associazione Papa Giovanni XXIII - Associazione per la Pace – Assopace Palestina - ATTAC - Beati i costruttori di Pace - Campagna Italiana contro le Mine - Campagna OSM-DPN - Centro Studi Difesa Civile - Conferenza degli Istituti Missionari in Italia - Coordinamento Comasco per la Pace - FIM-Cisl - FIOM-Cgil - Fondazione Culturale Responsabilità Etica - Gruppo Abele - ICS - Libera - Mani Tese - Movimento Internazionale della Riconciliazione - Movimento Nonviolento - OPAL - OSCAR Ires Toscana - Pax Christi - PeaceLink - Rete di Lilliput - Rete Radiè Resch - Traduttori per la Pace - Un ponte per...
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Rete Italiana per il Disarmo
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328/3399267

Gli affitti dei palazzi del potere non si toccano! E che c***o!

ROMA - «L’articolo 2-bis del decreto legge 15 ottobre 2013, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 dicembre 2013, n. 137, è soppresso». Chi ancora ha il coraggio di sostenere che il nostro sistema legislativo è lento e macchinoso si dovrà ricredere davanti a questo capolavoro di Palazzo Madama. Dove è stata cancellata al volo una norma che lo stesso Senato aveva approvato sorprendentemente soltanto sei giorni prima. La cosa era passata nel silenzio generale fra le pieghe di un provvedimento battezzato «manovrina», grazie a un emendamento presentato alla Camera dal deputato del Movimento 5 Stelle Massimo Fraccaro. Testuale: «Le amministrazioni dello Stato, le Regioni e gli enti locali, nonché gli organi costituzionali nell’ambito della propria autonomia, hanno facoltà di recedere, entro il 31 dicembre 2014, dai contratti di locazione di immobili in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il termine di preavviso per l’esercizio del diritto di recesso è stabilito in trenta giorni, anche in deroga a eventuali clausole difformi previste dal contratto».

Una bomba. Con un bersaglio preciso, come dimostra il passaggio sugli «organi costituzionali»: i palazzi Marini, quegli stabili che ospitano gli uffici dei deputati, presi in affitto con il meccanismo del «global service» dall’immobiliarista e grande allevatore di cavalli Sergio Scarpellini, munifico elargitore di contributi liberali ai partiti di destra e sinistra. È un’operazione che ha origine alla fine degli anni Novanta quando la Camera, d’accordo centrosinistra e centrodestra, decise di stipulare senza gara una serie di contratti con la società Milano 90, che metteva a disposizione di Montecitorio quattro immobili e relativi servizi. A un prezzo, oltre 500 euro annui al metro quadrato, tale da ripagare abbondantemente i mutui bancari contratti dal privato per acquistare le mura. Fatto sta che la Camera avrebbe speso in 18 anni ben 444 milioni solo per i canoni d’affitto, senza ritrovarsi in tasca un solo mattone. Una vicenda divenuta ben presto l’emblema degli sprechi del Palazzo, contro cui si erano scagliati a ripetizione con interrogazioni e denunce pubbliche i radicali. Ma inutilmente. Come inutili si erano rivelati i mal di pancia avvertiti da molti parlamentari consapevoli dell’abnormità della storia. A tutti era stato risposto che non c’era niente da fare: i contratti andavano rispettati e amen. Dopo molti sforzi si era riusciti a disdettarne almeno uno.
E l’emendamento Fraccaro, divenuto legge il 13 dicembre scorso a Palazzo Madama con l’approvazione senza modifiche della «manovrina» uscita da Montecitorio, avrebbe fatto cadere tutti gli ostacoli per la rescissione degli altri tre, che pesano sulle casse pubbliche 26 milioni per i soli canoni. Se però il giovedì seguente non fosse stato recapitato in Senato nella leggina di conversione di un decreto sulle «misure finanziarie urgenti in favore di regioni ed enti locali», un provvidenziale emendamento che sopprime quella disposizione passata sempre al Senato il venerdì precedente. Modifica prontamente approvata dalla maggioranza senza battere ciglio: con qualche voto in più, sembra, rispetto a quelli prevedibili. La battaglia si sposta adesso alla Camera, dove Fraccaro riproporrà tale e quale la norma bocciata. Ma intanto il segnale arrivato dalle Larghe intese, per paradosso proprio mentre Matteo Renzi, il nuovo segretario del Pd loro principale azionista dichiara pubblicamente guerra ai costi della politica, si può interpretare in modo inequivocabile: gli affitti dei palazzi del potere non si toccano. Altra motivazione non ci sarebbe. E l’impronta digitale della maggioranza, del resto, è facilmente riconoscibile.

L’emendamento porta la firma della relatrice delprovvedimento, circostanza che qualifica l’emendamento come iniziativa non personale. Ma essendo la senatrice del Pd Magda Zanoni esperta di contabilità statale, visto che il suo curriculum la qualifica come «consulente di bilanci pubblici», certo non ne può ignorare le conseguenze. E cioè che oltre a mettere in pericolo i contratti blindati e dorati dei palazzi Marini, quella perfida norma grillina consentirebbe a molte amministrazioni di liberarsi di onerosi contratti incautamente sottoscritti senza clausola di recesso: è appena il caso di ricordare che spendiamo circa 12 miliardi l’anno per gli affitti degli uffici pubblici. Chissà perché nessuno ci aveva pensato prima.
E Stilinga, infuriata, pensa che se 'sti cretinetti della politica non smettono di lavorare contro il popolo sovrano e il sovrano popolo li manderà a casa di corsa!
E non vengano a dirci che il debito esplode! e non aumentino le tasse! 
Si vergognino 'sti disgraziati che consegnano la cosa pubblica ai privati!
E basta! non se ne può più davvero!
Come ti giri trovi assessori regionali che a contratto, fuori busta, pagavano segretarie-escort, giudici di pace  corrotti dai tassisti abusivi, Ncc che pagavano in escort i vigili urbani, presidenti di regione che si compravano mutande verdi coi soldi pubblici, etc. etc.
E' tempo di aggiornare la Divina Commedia e il Decameron, la realtà è truce!

Niente crisi a Silicon Valley!

http://www.corriere.it/foto-gallery/tecnologia/social/13_dicembre_16/non-c-crisi-silicon-valley-party-natale-b9232a46-663f-11e3-8b64-f3a74c1a95d8.shtml#1

Crisi? Macché. Nella Silicon Valley si festeggia come se non ci fosse un domani. Anzi, «sembra che ogni giorno sia come nel 1999», scrive il New York Times. Ovvero: prima dello scoppio della crisi finanziaria e quando la bolla di Internet era ancora bella gonfia. Infatti, il 2013 per i big della tecnologia è stato un anno notevole, da Twitter a Snapchat, da Facebook a Google. Questi sono tempi favolosi per la Silicon Valley, è la comprensibile analisi degli investitori. E a fine anno, dipendenti e dirigenti, si raccolgono per il tradizionale party di Natale. Feste sfarzose che ricordano molto quelle del «Grande Gatsby».


E Stilinga pensa che siccome alcuni grandi marchi sella Silicon Valley non pagano un euro di tasse in Italia, allora è proprio scandaloso che costoro festeggino e brindino come se tutto fosse perfettamente in equilibrio nel mondo, come se tutti i popoli godessero dello stesso benessere.

Purtroppo non è così e questi party fanno specie!

Si avverte una distanza enorme, un abisso esistenziale e reale tra clienti sempre più bombardati dalle pubblicità che esortano a comprare nuovi smortphones (proprio smort) e ipad e a passare il tempo on line, altrimenti sei fuori dalla vita e  questi figuri che si sollazzano coi soldi e con le  energie che i consumatori buttano online! 

Ormai è chiaro che il web è utile solo a chi lo gestisce! 

Spagnolo inventa lampadina che dura 100 anni ma viene minacciato di morte

da: http://pianetablunews.wordpress.com/2013/12/02/spagnolo-inventa-lampadina-che-dura-100-anni-ma-viene-minacciato-di-morte/

Spagnolo inventa lampadina che dura 100 anni ma viene minacciato di morte

la lampadina di Benito Muros
Guardate la foto qui sopra. Nell’immagine è evidenziata apparentemente una semplice e comune lampadina. Ma questa lampadina ha una particolarità che la rende praticamente “immortale”: è stata sviluppata con una tecnologia (per il momento non nota) che, al contrario delle normali lampadine, non è sottoposta al fenomeno dell’obsolescenza programmata”. Cosa significa questo termine? Solitamente tutto ciò che troviamo in commercio ha una scadenza propria, una fine “programmata” che permette alle industrie di immettere sul mercato mondiale prodotti tecnologicamente sempre più avanzati e di livello superiore, a scapito di quelli già presenti.
Benito Muros
Questo avviene nell’economia industriale, soprattutto per prodotti di origine elettrica (come appunto le lampadine) o elettronica. In pratica le industrie produttrici utilizzano appositamente materiali di qualità inferiore o componenti facilmente deteriorabili che accorciano la vita del prodotto rendendolo obsoleto o inutilizzabile dopo un certo periodo di tempo, spesso in prossimità dell’uscita sul mercato di prodotti simili ma tecnologicamente più aggiornati.
Tutto questo, ovviamente, serve esclusivamente ad aumentare i fatturati commerciali. Ora però questa torbida tattica industriale sta per essere messa a rischio dall’invenzione di un giovane impiegato, Benito Muros, che lavora presso l’OEP Electrics come responsabile di un programma appositamente ideato per combattere l’obsolescenza pianificata. In pratica l’uomo ha ideato un tipo di lampadina che arriva a risparmiare dal 70% al 95% dell’energia normalmente utilizzata da una normale lampadina. Ciò vuol dire che sei voi utilizzaste una di queste lampadine per la vostra camera da letto essa sopravvivrebbe anche alla vostra dipartita, continuando a funzionare nel tempo. In più (e non è cosa da poco) essa possiede anche la caratteristica di non scottare al tatto e di non bruciarsi se sottoposta a ripetute accensioni. Un’intervista a Benito Muros:
La notizia, ovviamente positiva per tutti noi, non lo è stato però interamente per il giovane inventore spagnolo che avrebbe subito serie ma prevedibili minacce di morte per se e per i suoi familiari qualora avesse introdotto sul mercato questa nuova tecnologia. Nonostante le minacce ricevute l’uomo ha però coraggiosamente denunciato il fatto alle autorità locali dichiarando che continuerà a difendere il programma per il quale sta ancora attualmente lavorando.
Vi siete mai chiesti perché certi giocattoli si rompono subito? Perché è così faticoso trovare pezzi di ricambio per un elettrodomestico? Perché il computer che avete in casa dopo pochi mesi è già diventato un pezzo da museo? La risposta è più semplice di quanto, forse, immaginate e si racchiude in appena due parole: obsolescenza programmata. Significa che vi sono prodotti che vengono progettati e costruiti per durare poco, rompersi in fretta ed essere così continuamente sostituiti. Il ragionamento è impietoso ma chiaro: sembra che il sistemo economico-monetario che regola la nostra società stia in piedi solo se si continua a “consumare” senza sosta e per avere la certezza che ciò avvenga occorre creare il “bisogno”, la “necessità”. Quindi, cosa c’è di più efficace del mettere a disposizione dei consumatori oggetti pensati e realizzati per durare poco, in modo che vengano costantemente ricomprati? Un video che tratta l’argomento:
Per completezza d’informazione, vi informiamo che esiste anche un’intervista a tale Leon, un presunto ex socio di Muros che cerca di denigrare l’invenzione in questione spiegando che la lampadina ideata da Muros non sarebbe “infinita” ma facilmente riparabile a basso costo. Inoltre si allude a spostamenti finanziari non poco chiari da parte dell’ideatore del progetto. Non sappiamo se queste dichiarazioni corrispondano al vero ma la cosa curiosa è che questa seconda intervista è stata fatta dallo stesso sito web che ha intervistato Muros circa un mese prima. Ecco il link:
www.vice.com/es/read/entrevista-ferran-leon-benito-muros
Ad ogni modo esiste un sito ufficiale del prodotto disponibile al seguente indirizzo: www.oepelectrics.es

ACTA con Daniela: il tumore non è uguale per tutti.

da: http://www.actainrete.it/2013/12/acta-con-daniela-il-tumore-non-e-uguale-per-tutti/

ACTA con Daniela: il tumore non è uguale per tutti.

| 13 DICEMBRE 2013 | LETTO: 741 VOLTE | 5 COMMENTI | AUTORE: ACTA | SHORT URL |



  
nastro rosaACTA ha deciso di condividere la battaglia di Daniela Fregosi, freelance ammalata di tumore al seno, ancora senza indennità di malattia ma obbligata a versare gli anticipi INPS!
Stiamo raccogliendo informazioni, materiali e testimonianze per capire come intervenire per aiutarla in questa lotta, che poi è la lotta di tutti noi.
Se hai informazioni o esperienze da raccontare segnalacele!
Stiamo organizzando una campagna per rivendicare il diritto dei freelance gravemente malati a vedere riconosciute le tutele di cui dovrebbero godere. Chiederemo la deroga degli anticipi INPS in caso di malattia grave, una revisione delle sanzioni per il ritardato pagamento e tempi certi per l’erogazione delle indennità di malattia. Vorremmo anche maggiore attenzione da parte dell’INPS nella corretta informazione ai lavoratori autonomi malati, per consentire loro di accedere più facilmente alle prestazioni di cui hanno diritto.
A Daniela abbiamo chiesto di raccontare qui la sua storia.
Ammalarsi seriamente è un’esperienza spiacevole per chiunque, ma quando succede a un lavoratore autonomo inizia un doppio calvario. Se poi sei donna e il malaccio è un tumore al seno, hai proprio fatto bingo.
Fin dal momento della diagnosi, intuendo le difficoltà che mi aspettavano, ho cominciato a mettere in atto una serie di strategie di adattamento alla mia nuova condizione. In questo un lavoratore autonomo è un grande esperto perché la flessibilità è il suo pane quotidiano. Ma per quanto tu riesca ad accogliere e gestire il cambiamento, un tumore rimane un tumore e non è un’influenza che, massimo 10 giorni, te la levi di torno. Ho iniziato a informarmi su quali potessero essere gli “ammortizzatori sociali” a cui avevo diritto. Nessuno sapeva nulla. Nonostante dicessi che non ero al pari di una lavoratrice dipendente, che può tranquillamente continuare a contare sul suo stipendio (io sin dal primo mese sono stata costretta a fermarmi), nessun consiglio mi arrivava dai medici e dal commercialista. Un far west terrificante nei patronati, code interminabili di utenti in cerca di informazioni, il call center dell’Inps a cui ho dovuto spiegare io l’ultima circolare del maggio 2013 riguardante i lavoratori autonomi a gestione separata (!). Insomma, meno male che il tumore mi è arrivato alla tetta e non al cervello e che sono molto brava nella navigazione internet, altrimenti ero fritta.

C’è poi da difendersi dalla classica domanda: “Ma come, non hai un’assicurazione privata?” Una cosa così la chiedono solo ai liberi professionisti, tutti convinti che, siccome ce la spassiamo alla grande a non aver padroni, a evadere di brutto e ad arricchirci alla faccia degli altri, il minimo è che cacciamo i soldi per le assicurazioni private e non rompiamo troppo le scatole all’Inps, anche se abbiamo un tumore.
Ho letto innumerevoli guide e libretti informativi per pazienti oncologici, dove venivano descritti i diritti dei lavoratori, dipendenti però. Di noi neppure un cenno. Come se in Italia non ci fosse il popolo delle P.Iva. Come se nessun lavoratore autonomo statisticamente si ammalasse mai seriamente o avesse diritto di ammalarsi come gli altri.
Eppure la malattia per gli autonomi è un problema diffuso, ma se ne parla poco perchè gli interessati sono i primi a nascondersi, temendo ripercussioni lavorative. Già si sono ammalati e hanno pochi diritti; cercano almeno di non bruciarsi un mercato (pure in crisi) fatto di clienti poco propensi ad assoldare professionisti meno efficienti e performanti.
Ma un paziente oncologico non è un paziente oncologico e basta? Evidentemente no.
Noi siamo malati di cancro di serie B e per noi gli art. 32 e 38 della Costituzione, che riguardano rispettivamente il diritto alla salute e il diritto agli aiuti in caso di impossibilità di lavorare, sono opzionali.Perché?
Un lavoratore autonomo con gestione separata ha diritto a un massimo di 61 giorni di malattia in un intero anno solare. E se fai un bel ciclo di chemio per 6 mesi? Beh, puoi sperare di star talmente male da avere diritto all’assegno ordinario di invalidità (una misura temporanea con cifre da fame) oppure puntare sull’invalidità civile. Occhio però che anche lì per ottenere il diritto a un aiuto economico devi stare proprio male e in ogni caso vanno a vedere il tuo reddito nell’anno precedente, quando eri sano, e ti aiutano solo se già da prima avevi un reddito da fame. Uno non sa se augurarsi le metastasi o la miseria. In quel caso incappi comunque in altri sbarramenti, quelli del numero minimo di mesi contributivi versati.
Ho reso l’idea del gran casino che si trova davanti una donna che ha appena scoperto di avere un tumore al seno?
I pochi spiccioli a cui avrei poi diritto me li devo conquistare, tra funzionari che non sono informati, portale INPS che è inadeguato, tempi lunghi di attesa.
E nel frattempo arrivano le scadenze, tra cui il pagamento degli anticipi. Ma come, mi si chiede di pagare INPS e IRPEF in anticipo mentre non ho ancora ricevuto le scarsissime indennità che mi spettano?
Il commercialista mi avvisa che devo provvedere, soprattutto devo versare gli anticipi INPS, perché in caso di ritardo le sanzioni sono pesanti, e, a differenza dell’IRPEF, non è previsto il “ravvedimento operoso”. L’INPS non ammette ritardi, neppure in caso di decesso!
Mentre sei lì tra interventi chirurgici (io ne ho fatto già 2 e si spera di fermarsi lì, perché con un tumore di certezze non ce ne stanno), visite, esami, terapie e riabilitazione, questo è il modo con cui Stato e Inps ti ripagano di anni di tasse versate e contributi. Sapete tutto questo come mi fa sentire? Un bancomat. Un bancomat con un tumore al seno. Non è il massimo.
Chissà, forse dobbiamo espiare qualche colpa. Un’amica libera professionista ha la sua teoria in merito.“In una società conformista, giudicante, che annienta le diversità, il motivo per dare contro a chi pensa, vive e lavora in modo autonomo è che questi soggetti sono di fatto un pericolo per il sistema”. Forse non ha tutti i torti. Io sono più cinica (con un tumore me lo posso permettere) e credo che il motivo sia che dietro ai lavoratori autonomi a gestione separata semplicemente manca un potere forte, un sindacato, un ordine professionale, per cui diventano facilmente oggetto di comportamenti predatori, perché per definizione sono soggetti deboli sul mercato.
Per tutti questi motivi, oltre a denunciare la condizione dei lavoratori autonomi che si ammalano seriamente,ho deciso di fare un gesto concreto. Ho iniziato la mia disobbedienza civile rifiutandomi di pagare l’acconto delle tasse per il 2013.
Caro Thoreau, padre della lotta allo Stato e al potere, oltreché emblema della disobbedienza civile e della resistenza fiscale, aiutami tu. Sostienimi e incoraggiami con le tue parole sagge e non farmi sentire sola: “Tutti gli esseri umani riconoscono il diritto alla rivoluzione; vale a dire, il diritto di rifiutare obbedienza e di resistere al governo quando la sua tirannia o la sua inefficienza sono grandi e intollerabili. Ma quasi tutti dicono che attualmente non ci troviamo in questa situazione……”.
Se sarò sola in questa lotta è perchè il nostro Paese ha ormai perso la capacità di indignarsi, ci hanno lentamente abituato a essere calpestati e, pur lamentandoci moltissimo, non sentiamo più un vero dolore.
Io però sono in una condizione diversa. Come sosteneva Tiziano Terzani prima di morire, un tumore ti concede una sorta di free pass, una carta premio con la quale puoi permetterti di dire e fare cose altrimenti impensabili.
Perchè un tumore o ti schiaccia o ti dà il coraggio di batterti per te stessa e per un mondo più giusto per tutti.
Daniela

Crisi: dal 2009 chiuse 1,6 mln di aziende

da: http://it.fashionmag.com/news/Crisi-dal-2009-chiuse-1-6-mln-di-aziende,373283.html#.UqWr-dLuKSM

Crisi: dal 2009 chiuse 1,6 mln di aziende

La crisi ha portato alla chiusura di oltre un milione e mezzo di aziende in Italia negli ultimi quattro anni, mentre è cresciuto contemporaneamente nel Paese il fenomeno delle imprese di proprietà di immigrati che rappresentano ormai circa l'11% del totale.

"La recessione ha portato alla cessazione di più di un 1,6 milioni di imprese tra il 2009 e oggi", si legge nel rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese, mentre "il commercio ambulante è cresciuto di quasi l'8% (da 168.000 operatori a quasi 181.000)" e così quello online aumentato nello stesso periodo del 20%.

"L'impresa immigrata è ormai una realtà vasta e significativa nel nostro Paese" con 379.584 i imprenditori stranieri che lavorano in Italia: +16,5% tra il 2009 e il 2012, +4,4% solo nell'ultimo anno, secondo il rapporto.

L'imprenditoria straniera si concentra in particolare nelle costruzioni (il 21,2% del totale) e nel commercio al dettaglio: un negozio su 5 è in mano ad immigrati.

Di fronte alla crisi che sta colpendo i negozi italiani - che dal 2009 sono diminuiti del 3,3% - gli stranieri sono invece cresciuti del 21,3% nel comparto al dettaglio (dove gli esercizi commerciali a titolarità straniera sono 120.626) e del 9,1% nel settore dell'ingrosso (21.440).

Quanto alla nazionalità dei proprietari, oltre 40.000 negozi sono gestiti da marocchini e più di 12.000 da cinesi. Sono 85.000 gli stranieri che lavorano in proprio. Si tratta per lo più di giovani artigiani con dipendenti italiani e stranieri. Negli ultimi quattro anni, mentre gli italiani diminuivano del 3,6%, sono aumentati del 14,3%.
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