Governo, il commissario Ue Oettinger: “I mercati insegneranno agli italiani a votare in modo giusto”

da: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/29/governo-il-commissario-ue-oettinger-i-mercati-insegneranno-agli-italiani-a-votare-in-modo-giusto/4389942/

Lunedì Angela Merkel aveva messo in parallelo lo stallo politico e istituzionale italiano con la crisi che ha stritolato la Grecia nel 2015. 
Oggi Gunther Oettinger scommette su un ruolo “educativo” che la finanza internazionale potrà avere nel consigliare gli italiani alle prossime elezioni politiche: “I mercati insegneranno agli italiani a votare in modo giusto”, ha detto il commissario europeo per il bilancio e le risorse umane – tedesco, esponente dell’Unione Cristiano Democratica della cancelliera – durante un’intervista all’emittente Deutsche Welle News che andrà in onda questa sera alle 21. Oettinger ha ritwittato l’anticipazione fatta su Twitter dal corrispondente da Bruxelles Bernd Thomas Riegert, che ha realizzato l’intervista, per poi cancellare il tweet.
“Abbiamo fiducia nel Presidente italiano, il quale ha richiamato i partner di coalizione del possibile governo ai loro diritti e doveri, che derivano dall’adesione all’Unione Europea e all’Eurozona”, è il virgolettato attribuito a Oettinger nell’articolo della Deutsche Welle. “Allo stesso modo (il commissario, ndr) si è detto fiducioso anche verso il nuovo governo tecnocratico – si legge ancora – Oettinger non condivide il timore che i partiti populisti possano diventare ancora più forti nelle eventuali nuove elezioni e che ciò potrebbe portare all’uscita dall’Italia dall’Eurozona o addirittura dalla stessa Ue. Il Commissario si aspetta piuttosto che i mercati e l’andamento dell’economia italiana possano essere un segnale per gli elettori: non votare i populisti di sinistra o di destra. Già ora, ad esempio, l’andamento dei titoli di stato è negativo”.

“Nell’intervista – si legge ancora nell’articolo – Oettinger si è mostrato allo stesso tempo ottimista sul fatto che l’Italia continuerà a essere un contributore netto, pagando cioè più soldi all’Ue di quanti non gliene tornino indietro. Innanzitutto, molte imprese hanno beneficiato del mercato unico. Inoltre, l’Ue sta fornendo sempre più risorse all’Italia, per esempio per i terremotati o per la gestione delle frontiere“. “Ciò significa – ha detto il commissario – che stiamo adeguando sempre più il nostro bilancio proprio alle esigenze dell’Italia”.
“In generale, il commissario Ue sostiene che l’accettazione dell’Ue da parte della popolazione è in aumento significativo”. “Ciò ha a che fare con Erdogan, con Trump e con la Brexit – ha proseguito Oettinger – la gente sa che si è in grado di agire come Team europeo”. Soprattutto in una “disputa commerciale prevedibile” con gli Stati Uniti, i vantaggi di essere una comunità sarebbero ovvi: “Cosa sarebbe un paese come l’Italia da solo? O come la Germania da sola? Ma come mercato unico europeo, come Unione, abbiamo l’opportunità di reagire a Trump”.

Sebbene i rapporti con il governo del presidente Donald Trump siano tesi, l’America rimane il partner e amico più vicino dell’Europa. Tuttavia, se Trump aumentasse i dazi sui prodotti europei, allora bisognerebbe restare uniti, indipendentemente da quale sia lo stato più colpito: “Se le auto fossero interessate, tutti dovrebbero aiutare. Se il Bordeaux fosse interessato o se i prodotti dall’Italia fossero interessati, gli altri dovrebbero aiutare. Dobbiamo farci vedere come un’Unione, se lasciamo uno solo sotto la pioggia, alla fine saremo tutti svantaggiati “.
Su Twitter Riegert ricostruisce così i contenuti dell’intervista: “I mercati e un outlook negativo (“darkened”) insegnerà agli elettori italiani a non votare per i partiti populisti alle prossime elezioni, mi ha detto il commissario Oettinger nella mia intervista esclusiva a Strasburgo. “Posso solo sperare che questo giocherà un ruolo nella campagna elettorale”.Il tweet era stato retwittato dallo stesso Oettinger, che poi ha cancellato il post. Riegert ha quindi fatto un altro tweet, in cui attribuisce al commissario un virgolettato molto più conciliante: “Abbiamo fiducia nel nuovo governo italiano”.
Lunedì i commenti dei leader degli altri Paesi Ue alla decisione di Sergio Mattarella di non dare seguito alla formazione del governo Lega-M5s erano stati più cauti, ma la cancelliera tedesca, dopo aver premesso di voler “collaborare con tutti i governi”, aveva ammonito sul fatto che “ci sono anche dei principinell’eurozona” ed evocato il caso della Grecia, ricordando: “Anche all’epoca, con la Grecia di Tsipras, ci furono problemi, e poi ci siamo accordati“.
Pierre Moscovici, commissario agli Affari economici, dal canto suo ha detto: “La mia posizione la conoscete già: è il rispetto delle regole democratiche dei ritmi democratici, gli italiani hanno il destino nelle loro mani e sono loro che lo definiscono, tutti come europei siamo attaccati all’idea dell’Italia pienamente europea, al cuore dell’Europa al cuore della zona euro, e ci auguriamo che questa situazione politica trovi la migliore soluzione”.

BISOGNA DAVVERO RINGRAZIARE OETTINGER PER QUESTO SLANCIO DI VERITA'. 
ANCHE IL M5S E LA LEGA DEBBONO RINGRAZIARE IL COMMISSARIO UE PER AVER RILANCIATO LA LORO CAMPAGNA ELETTORALE.
IL SUO PUNTO DI VISTA SGOMBRA LA STRADA DALLE FALSE ILLUSIONI, ORMAI E' CHIARO, L'EUROPA POLITICA NON ESISTE, ESISTE SOLO L'EURO E LA SPECULAZIONE FINANZIARIA.
GLI ITALIANI ORA SI STANNO RICOMPATTANDO, SONO ANCORA PIU' UNITI CHE MAI E IL DISAMORE PER IL GUSCIO VUOTO EUROPEO CHE HA PRODOTTO SOLO MALESSERE, POVERTA' E INEGUAGLIANZE E' SEMPRE IN CRESCITA.
BRAVO OETTINGER, CAPIAMO CHE LA GERMANIA CI CONSIDERA MALE E INVECE NOI GIA' SIAMO ALLA FINESTRA AD ASPETTARE CHE GLI SCHELETRI NEGLI ARMADI DEI TEDESCHI E FRANCESI VENGANO ESPOSTI.

Cina, bufera sulla fabbrica di scarpe di Ivanka: sfrutta gli operai



L'azienda che produceva la linea di calzature della figlia di Trump ha delocalizzato in Etiopia: i dipendenti denunciano condizioni di lavoro al limite della schiavitù




PECHINO - Produceva le scarpe disegnate da Ivanka Trump, prima che il padre diventasse presidente degli Stati Uniti costringendola a cambiare fornitore. È una delle star diAmazing China, il documentario di propaganda voluto dal governo cinese per celebrare le glorie dell'economia nazionale.

Ma ora si scopre che il successo del colosso cinese Huajian, il primo produttore di scarpe e articoli di pelletteria nel mondo, nasconde una realtà di sfruttamento. I suoi lavoratori in Etiopia, dove l'azienda ha delocalizzato buona parte degli impianti, hanno denunciato all'Associated Press di essere pagati 51 dollari al mese, maltrattati dai capi e costretti a turni interminabili, senza la possibilità di costituire organizzazioni sindacali.

"Non mi resta nulla alla fine del mese", dice Ayelech Geletu, 21 anni, operaio dello stabilimento alle porte di Addis Abeba. A cui fanno eco diversi colleghi: "Ci sono agenti chimici che feriscono mani e occhi, non ti forniscono guanti protettivi e se rifiuti di lavorare senza ti licenziano". Una versione molto diversa dai grandi sorrisi e i pollici all'insù mostrati dagli stessi lavoratori nelle immagini di Amazing China, con tanto di sottotitolo sul "meraviglioso futuro dell'umanità".

Un bell'imbarazzo per gli autori del documentario pensato per esaltare i successi della Cina di Xi Jinping (che compare 30 volte in 90 minuti), rilasciato non a caso pochi giorni prima della modifica costituzionale che lo ha reso presidente a vita e pompato al botteghino costringendo tutti gli iscritti al partito e i dipendenti delle aziende di Stato ad andare a vederlo.

Il motivo per cui Huajian abbia scelto di produrre in Etiopia, dove non esiste un salario minimo, non è un mistero. È lo stesso per cui tante aziende italiane, nei primi anni 2000, hanno spostato i loro stabilimenti in Ci
na: risparmiare. Eppure la propaganda ufficiale del Dragone presenta i suoi investimenti in Africa nell'ambito della nuova Via della seta come un modello di inclusione e sviluppo condiviso.

Il regista del documentario Wei Tie ha spiegato che non era al corrente delle controversie sulle condizioni di lavoro nello stabilimento che ha filmato, e ha spiegato che il motivo per cui lo ha scelto è che Huajian sta "portando l'esperienza cinese della prosperità in Africa". La realtà sembra parecchio diversa
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Robot e invecchiamento, una miscela micidiale



Robot e invecchiamento, una miscela micidiale

Demografia e automazione nel giro di dieci anni cambieranno l'economia Usa. Il risulatato sarà un calo del Pil. Uno studio di Karen Harris, managing director di Bain&Company, mostra uno scenario inquietante. E suggerisce a imprese e investitori di farsi una domanda: "Chi saranno i miei clienti futuri?"




ROMA - Metti insieme cambiamenti demografici e automazione e ne verrà fuori una miscela pericolosa. Specchio di un'economia destinata a calare piano piano, portandosi dietro quella classe media che fino a oggi è stata la forza trainante trainante di produzione e consumi. Ciò che ci attende, secondo un'analisi di Karen Harris, managing director di Bain&Company (nota azienda di consulenza statunitense) è una crescita della diseguaglianza e una diminuzione della domanda. L'analisi presenta nei giorni scorsi alla Strategic Investment Conference a San Diego, California, è sconsolante, ma visto che il futuro è difficile da leggere di questi tempi, l'ipotesi elaborata da Harris non è molto distante da quanto sta accadendo e da quanto sostengono molto economisti: l'automazione distruggerà posti di lavoro. Sui dati demografici poi c'è poco da discutere: si sa già il numero di vivi, morti, anziani. Non c'è molto che possa essere predetto da qui ai prossimi dieci anni, tranne i nati, ma il trend non dovrebbe distanziarsi molto da quello attuale e sull'aspettativa di vita, a meno di clamorose scoperte scientifiche, non ci saranno grandi avanzamenti.

“Labor 2030: The Collision of Demographics, Automation, and Inequality.” E' questo il titolo dello studio di Harris che secondo l'autrice cambierà non solo la vita delle persone, ma anche in modo in cui è intesa l'economia, che sarà vincolata alla domanda (e non più all'offerta). La forza lavoro, secondo la Harris, è destinata a dimuniure e se a ciò si aggiunge l'impatto di una automazione sempre più efficiente, la domanda di beni e servizi è destinata a diminuire mettendo un freno alla crescita economica. Un passaggio che non sarà indolore. Che colpirà soprattutto le classi medie e che inizierà a osservarsi tra una decina di anni.

Sarà un processo lento. E' iniziato negli anni Ottanta e secondo la Harris il punto di rottura, che lei chiama "Wile E. Coyote", si manifestrerà nei prossimi dieci anni appunto, anche se è difficile individuare quando. Un processo che lascerà molti cadaveri sul terreno perché avrà enormi implicazioni sociali, ma anche finanziarie. A esserne colpiti in modo più duro saranno i lavoratori a basso salario, i più deboli nella scala sociale, perché l'impatto dell'automazione sarà diseguale. Qualcuno pagherà molto, qualcun altro poco o nulla. Saranno i lavoratori con i salari più elevati e incassare i maggiori guadagni, mentre a sostenere i costi maggiori toccherà a chi ha salari bassi, questo almeno nel breve periodo. Senza contare che dal 2020 anche i baby boomers inizieranno a diminuire la loro spesa.

Una situazione che per Harris è non solo "socialmente instabile", ma finirà per ripercuotersi sulle stesse aziende che hanno sposato l'automazione. Quella che sembrerebbe un domanda banale la Harris se la pone: chi acquisterà i prodotti fatti dai robot? Non certo la classe media, scivolata verso il basso, né tantomeno i più poveri. La spesa totale dunque diminuirà e il risultato sarà che la crescita economica sarà "limitata alla domanda". Che visto come staranno le cose sarà ben più bassa. Ci sarà dunque, secondo l'allarme lanciato dalla Harris, una contrazione della domanda, dunque del Pil. Cosa che non farà piacere nemmeno alle aziende. E che si ripercuoterà anche sui mercati finanziari. Nello scenario disegnato la Harris suggerisce a imprese e investitori di porsi una domanda: "Chi saranno i miei clienti tra un decennio?". Lei, a quanto pare, ha iniziato a farsela.









E Stilinga pensa che se i produttori sostituiranno i lavoratori con i robot forse produrranno merci che non venderanno proprio, ma che ammasseranno nei vituperati magazzini, andando falliti in quanto non è saggio sottrarre lavoro e guadagni ai lavoratori che di fatto sono i veri big spenders. Non certo i pochissimi ricchi che hanno già tutto.

Del resto la globalizzazione, concetto che ha fatto da livellatore mentale in ogni economista mondiale, per cui non si immagina nessuna alternativa, e concetto che ha determinato la cancellazione della classe media, l'impoverimento dei paesi occidentali, la mancanza di qualità in ogni prodotto, l'invasione di merci che attraversano oceani sulle 60.000 navi degli armatori (veri vincitori del teorema Global) per distruggere la produzione autoctona, è stata concepita per schiavizzare gli animi prima e i corpi dopo e per realizzare un balzo indietro verso l'800, bruciando ogni diritto umano e creando le diseguaglianze per cui 1% del mondo si erge su miliardi di poveri. Una mentalità nazista.

Stilinga si augura che il deliro di onnipotenza dell'1% del mondo gli torni indietro come un boomerang e che  i ricchissimi paghino il 99% di tasse in ogni paese dove cerchano di approdare per eludere il fisco.



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La crisi fa le scarpe al settore calzaturiero: -33% di imprese in 20 anni

(Teleborsa) - La crisi ha fatto le scarpe al settore calzaturiero che ha subito una profonda crisi negli ultimi anni. Una crisi che si è attenuata da un paio di anni, ma che andrebbe arginata con provvedimenti legislativi adeguati. Dal 1996 ad oggi le imprese del settore moda (che comprende tessile-abbigliamento, pelli e calzature) sono diminuite del -33%; in circa 30 anni la produzione di calzature è diminuita ben del -75% e nel 2016 si è toccato il minimo storico di 188 milioni di paia di scarpe prodotte, dalle 531 milioni di paia del 1986. 

In Senato per la prima volta insieme tutte le parti sociali (Confindustria, Confartigianato, Cna, Cgil, Cisl, Uil) chiedono a gran voce un segnale forte dalla politica: accelerare la ripresa del comparto attraverso un'efficace politica industriale a sostegno del Made in Italy. Nel periodo 2010-2016 sono stati colpiti i principali distretti delle calzature che hanno perso centinaia di migliaia di calzaturifici localizzati in Italia: Campania -8%; Emilia Romagna -19%; Lombardia -11%; Marche -17%, Puglia -24%; Toscana -16%; Veneto -19%.Una crisi non circoscritta alle calzature, visto che l'intero sistema moda in tre anni ha lasciato sul campo 33 mila addetti.
https://finanza.repubblica.it/News/2017/11/24/la_crisi_fa_le_scarpe_al_settore_calzaturiero_33percento_di_imprese_in_20_anni-97/

Caserta, la clamorosa sceneggiata della cliente al centro commerciale: «Mi avete venduto il vestito cinese»

Caserta, la clamorosa sceneggiata della cliente al centro commerciale: «Mi avete venduto il vestito cinese»


E ora ci si accorge che siamo inondati solo da prodotti cinesi?

Svegliatevi, gente! Bisogna tornare al vero made in Italy, magari prodotto dai sarti italiani, in modo da arginare la marea dei prodotti asiatici che affamano gli italiani e non solo, in quanto veri monopolisti. Basta affamarli: non comprando i prodotti realizzati fuori dall'Italia.

I conti veri si faranno dopo le elezioni

http://contropiano.org/news/news-economia/2017/11/13/state-tranquilli-potete-conti-veri-si-le-elezioni-097630
Tutto va bene, madama la marchesa… A patto di stare a sentire soltanto i Tg o leggere gli editoriali di Repubblica. Se invece si prova a guardare ai dati e agli accordi internazionali, il quadro per l’Italietta renziana e post-elezioni si rovescia completamente.
Partiamo dalle sirene ufficiali. Stamattina il Fmi, nel suo Regional Economic Outlook per l’Europa, conferma la ripresa dell’Italia: quest’anno chiuderà a +1,5%. Del resto l’accelerazione italiana avviene in un contesto positivo, di crescita rafforzata in Europa e nell’Eurozona (che però è molto sueriore: 2,4% nel 2017, in rialzo rispetto al +1,7% del 2016, per poi rallentare al +2,1%)
Ma il rallentamento nella crescita arriverà subito dopo: il pil italiano è previsto in crescitadell’1,1% nel 2018 e appena dello 0,9% nel 2019. Non ne vengono naturalmente spiegate le ragioni, ma sono intuibilmente connesse alla scarsa produttività dei settori in cui questa crescita avviene (tramite lavoro semi-gratuito, precario, poco qualificato, part time, ecc), con scarsissimi investimenti e alta intensità di lavoro.
Almeno un effetto temporaneamente positivo ci sarebbe: le stime del Fmi per la disoccupazione dicono che calerà all’11,4% nel 2017, ma naturalmente l’istituto di Washington non vede differenza tra lavori stabili ben retribuiti e lavoretti precari pagati un tozzo di pane. E sappiamo dall’Istat che l’occupazione che cresce è fatti di contratti a termine, quando va bene...
Le raccomandazioni del Fmi concernono come sempre il debito pubblico da ridurre, specie ora che c’è una congiuntura moderatamente positiva. Quest’anno è atteso al 133%, ma dovrebbe scendere al 131,4% nel 2018 e al 128,8% nel 2019. Vero è che non siamo gli unici in condizioni pessime (l’elenco del Fmi comprende anche Belgio, Francia, Portogallo, Spagna e Regno Unito), ma diversi analisti ricordano che – senza la recente modifica dei criteri di calcolo, che hanno introdotto anche “l’economia sommersa”, insomma droga, prostituzione, ecc – oggi staremmo al 155%
E naturalmente la Grecia ha sperimentato la “cura” della Troika quando è arrivata a toccare il 140%. Insomma, siamo in una zona comunque pericolosa che dovrebbe escludere ottimismi…
Ma siamo in vista delle elezioni. I partiti di governo e quelli del centrodestra sono accomunati dallo stesso interesse tattico: nessun allarmismo sul prossimo futuro, al massimo un po’ di polemichetta sul “abbiamo fatto miracoli” contrapposto al “non avete fatto le cose giuste”.
Da questo interesse comune discende una legge di stabilità – in discussione in Parlamento – considerata “leggera”, ovvero concentrata su poche tasse subito e molte rinviate a “dopo”, un numero non esagerato (ma egualmente doloroso) di tagli alla spesa pubblica, numeri flessibili e non traumetici.
Su questo c’è il consenso pieno dell’Unione Europea, certificato da numerose dichiarazioni ufficiali da parte degli stessi “controllori”. Nessuno a Bruxelles sente infatti bisogno di un altro paese sotto incertezza politica in vista delle elezioni. Tanto quel che ci sarà da fare “dopo” è già stato stabilito e tutti i “concorrenti” alla poltrona di Palazzo Chigi lo sanno bene. Anzi, sanno tutti che per la Ue si deve andare a votare il prima possibile dopo l’approvazione della legge di stabilità (che ha come scadenza Natale, al massimo Capodanno), proprio perché le “misure vere” – a partire da una “manovra correttiva” durissima dovranno essere varate il prima possibile.
Il punto su cui la Germania – più ancora della Ue – non è disposta a transigere è infatti il taglio drastico del debito pubblico, altrimenti non è pensabile che l’Italia possa stare nella prima fascia della “Ue a due velocità”. Formalmente, per una “ragione nobile”: portarsi dietro un problema di queste dimensioni sarebbe una zavorra che rischia di far naufragare subito una zattera d’emergenza.
Ai fini pratici, per una ragione assai meno ammissibile, articolata – spiega Scenari Economici – in almeno tre obiettivi: appropriarsi degli attivi italici fatti di aziende e risparmio privato, rendere di fatto l’Italia una colonia che acquista i prodotti eurotedeschi e soprattutto abbattere il principale alleato USA non anglosassone in Europa, ricordando che ormai Berlino ha sfidato apertamente Washington volendosi sostituire agli americani al comando del Vecchio Continente”.
In effetti l’Italia ha parecchi asset ancora interessanti, un sacco di risparmio affidato a banche pericolanti e una stolida servilità agli Usa (tollerabile fino alla caduta del Muro, ma progressivamente sempre meno compatibile con la costruzione di un soggetto imperialista “europeo”). Dunque la correzione sistemica che questo paese deve subire è di grandi dimensioni, dolorosa ovviamente per il mondo del lavoro – che ha già subito un rovesciamento totale delle condizioni di vita, perdendo tutte le conquiste ottenute tra la fine degli anni ‘60 e la fine dei ‘70 – ma anche per la classe media propriamente detta.
Del resto, racimolare 400 miliardi – questa la cifra che circola tra gli analisti – richiede un allargamento sostanziale della platea dei “tosabili”. Non a caso, entro questa prospettiva, la famosa tassa patrimoniale – sempre considerata, non del tutto a torto, come una “tassa di sinistra” se orientata a riequilibrare il prelievo fiscale tra le diverse classi sociali – diventa una possibilità concreta. Ma pensata e agita da Bruxelles, o meglio da Berlino, e dunque non certo a fini di redistribuzione della ricchezza all’interno del paese.
Diamo ancora la parola a Scenari Economici:
l’EU è stata chiara, o le leggi lacrime e sangue l’Italia se le fa da sola o arriva la troika. E per “aiutare” il prossimo governo a prendere le decisioni “giuste” post elezione – o magari anche appena prima, per indirizzare il voto – è già pronta una crisi del debito italiano per il 2018, tipo crisi dello spread versione 2011, crisi comunque sempre utile per far svalutare l’euro contro il dollaro ossia per aiutare gli esportatori tedeschi.
Ok, ma tale imposta sarà almeno risolutiva?
Assolutamente no, sarà la prima di una discreta serie, diciamo che gli italiani devono mettere in conto imposte patrimoniali dichiarate o sotto mentite spoglie volute dall’Europa per circa 1000 miliardi nei prossimi 5-10 anni restando nell’euro. Si perché tale provvedimento “patrimoniale” – se attuato – bloccherà i consumi ossia peggiorerà la crisi imponendo ulteriori e continui correttivi fiscali, ossia comporterà altri provvedimenti straordinari a maggior ragione vista la contingenza globale assai critica fatta di borse ai massimi con multipli insostenibili e nel bel mezzo di una guerra commerciale con gli USA, oltre a tassi inevitabilmente destinati a salire a termine. Per tale ragione la versione Capaldo è la più gettonata, perché sposterebbe negli anni l’incasso mettendo per altro a garanzia asset reali, ossia le ipoteche sulle case degli italiani. A tale scopo il governo ha già previsto la cartolarizzazione delle imposte future per il tramite di un pool di banche internazionali che anticiperanno i flussi di cassa ed a cui resteranno in pancia le ipoteche dei cittadini. L’incredibile miglioramento del rating italiano da parte di S&P ottobre scorso, promozione assolutamente ingiustificata, deriva appunto dalla richiesta di Roma di scontare il meno possibile i flussi di tassazione futuri da parte delle banche in tale scenario. E per fare questo bisognava abbassare lo spread, cosa puntualmente avvenuta. Faccio presente che nell’ipotesi sopra citata, a termine, gli italiani di fatto saranno a forte rischio di perdita della proprie abitazioni, che verranno messe a garanzia a favore delle banche internazionali per le imposte future che i cittadini dovranno pagare a termine, a maggior ragione se NON ci sarà crescita economica in Italia, scontato con una patrimoniale che toglierà qualsiasi residuo di ottimismo dal mercato interno. Abbiamo già visto le “prove tecniche di cartolarizzazione” delle cartelle esattoriali dei cittadini alcune settimane fa con il provvedimento ritirato in extremis del governo: tutto fatto ad arte per introdurlo col botto al prossimo giro, oggi si voleva solo preparare la platea”.
Non è menzionato, ma si sa benissimo quale sia il trattato che ha incardinato questo meccanismo: il Fiscal Compact. Venti anni di riduzione del debito pubblico, nella misura del 5% annuo, per arrivare vivi – o preferibilmente morti – all’”appuntamento con la storia”. Quale storia non si sa, in fondo è solo una promessa…

Scuola, la rivolta dei docenti: "Stipendi uguali per tutti e in linea con quelli europei"

Una doppia petizione, che in pochi giorni ha raccolto oltre cinquemila firme, rilancia il tema caldo delle buste paga degli insegnanti. Due le richieste: guadagnare quanto i colleghi della Ue e avere retribuzioni e ore di lavoro equiparate in ogni ordine di istituto. Compresa l'università.


BOLOGNA - "Per insegnare occorre la laurea, abbiamo specializzazioni e master, al concorso ci chiedono competenze di informatica e di inglese. Eppure valiamo di meno in busta paga dei colleghi che insegnano alle medie, alle superiori e in università: non è giusto". E' la rivolta estiva dei maestri dell'infanzia e della primaria partita con due petizioni lanciate alla vigilia di Ferragosto e che in pochi giorni hanno già raccolto rispettivamente 4.300 e quasi 6.000 firme. Due le richieste. Una petizione, sostenuta da insegnanti di ogni ordine e grado, reclama stipendi uguali ai colleghi europei; l'altra vuole l'equiparazione delle buste paga e delle ore di lavoro tra chi sale in cattedra in Italia, dalla materna all'università. Una provocazione, quest'ultima - maestri pagati come gli accademici - destinata a fare discutere. Si tratta comunque di un tema caldo, quello delle basse retribuzioni degli insegnanti italiani, che ora riemerge via social, raccoglie consensi e chiede attenzione al ministero all'istruzione, a cui sono rivolte le due raccolte di firme.

"Vogliamo rivendicare il principio secondo cui è inaccettabile l'ingiusta distribuzione economica e di ore di servizio.
Non è possibile che chi più lavora (docenti dell'infanzia e della primaria) percepisce meno rispetto ai colleghi dei gradi d'istruzione superiore", si legge nella prima petizione. "Nell'epoca in cui per accedere all'insegnamento di qualsiasi ordine e grado d'istruzione è prevista la laurea, in cui tutti i docenti sono laureati o addirittura in possesso di titoli post laurea non è pensabile né tollerabile questa diversità di trattamento, legata a vecchi schemi". A lanciare l'iniziativa è Ilenia Barca, 40 anni, originaria di Nuoro, docente alla primaria, con nove anni e mezzo di precariato alle spalle, e pedagogista. "Siamo un gruppo di insegnanti sparsi in tutta Italia - spiega - queste nostre richieste sono partite da una riflessione comune sul ruolo dei docenti in Italia e all'estero".

·Gli stipendi, il punto debole. A inizio carriera un insegnante di scuola primaria guadagna 22.394 euro lordi, a fine carriera arriva a 32.924, secondo dati che si riferiscono al 2013-14. I docenti di scuola media partono come i colleghi delle superiori: 24.141 euro a inizio carriera; ma i primi arrivano a 36.157 euro mentre i secondi raggiungono i 37.799 euro con 35 anni di contribuzione. Qui sta il gap da colmare, secondo i promotori della petizione, che ricordano le 24 ore settimanali di insegnamento previste per i maestri di scuola primaria contro le 18 per medie e superiori.


Scuola, la rivolta dei docenti: "Stipendi uguali per tutti e in linea con quelli europei"
Ilenia Barca difende la scelta anche per un altro motivo: "Più piccoli sono gli alunni maggiori sono le responsabilità di formazione in capo ai docenti. Non si può disconoscere il valore educativo e didattico in generale in nessun ordine e grado dell'istruzione. Ma certo è che, come dimostrano recenti studi, la fascia di età più importante per lo sviluppo dei piccoli studenti di oggi e cittadini di domani è quella compresa tra i 3 e i 10 anni". Salvo Altadonna, portavoce del comitato Asi (area sostegno e inclusione), parla di "macroscopica lesione del diritto al salario di funzione che subiscono i docenti". Se la laurea è il titolo unico di accesso all’insegnamento per tutte le scuole di ogni ordine e grado, osserva in un approfondimento su Orizzonte Scuola, "non si comprende la sperequazione in atto tra docenti del primo e docenti del secondo ciclo di istruzione: una revisione del contratto sarebbe inevitabile".

·La comparazione tra insegnanti italiani ed europei. La seconda petizione riguarda un tema più volte sollevato: gli stipendi bassi dei professori italiani nella comparazione con quanto avviene in Europa. Nella tabella allegata sono evidenti le differenze: si va da un minimo per chi insegna alle superiori in Italia di 24.846 euro ai 33.887 che percepiscono i colleghi spagnoli, ai 34.286 in Svezia sino ai 40.142 euro in Germania.

"E' impensabile stare in Europa e assistere ad una sperequazione di trattamento economico tra docenti di nazionalità differenti - si legge nel testo - I nostri colleghi europei lavorano in media meno di noi italiani, ma percepiscono stipendi più alti, non vivono l'incubo del precariato come accade in Italia, non hanno l'accesso all'insegnamento veicolato dalle classi di concorso, godono di migliori possibilità di crescita professionale e di maggiori condizioni di tutela e promozione della salute"

Tante le reazioni. "È arrivato il momento di dare il giusto valore a noi docenti Italiani", scrive Pietro Lepore da Bari. "Il trattamento economico dei docenti italiani mortifica e non riconosce la loro professionalità, la loro passione e il loro quotidiano impegno", il parere di Viria Capoluongo. "Nel mio cv ho dottorato, post-doc, assegni di ricerca all'università e presso fondazioni bancarie. Da antropologa culturale e museale ho svolto ricerche in Africa occidentale, ho stretto accordi universitari internazionali e coordinato progetti nazionali e locali. Pur apprezzando la libertà di insegnamento che in Italia è ancora salvaguardata, il salario non risulta adeguato al curriculum dei docenti", la testimonianza di Roberta Cafuri.