La faccia sporca della Mela nella fabbrica-lager degli iPad

La faccia sporca della Mela nella fabbrica-lager degli iPad



da: La Repubblica del 27 gennaio 2012



Esplosioni, turni massacranti, polveri velenose: così si muore nei capannoni dove nascono i prodotti Apple..




I dirigenti del colosso americano si difendono: abbiamo un codice rigoroso che i fornitori devono rispettare




La faccia sporca della Mela nella fabbrica-lager degli iPad



di Charles Duhigg e David Barboza



Un venerdì sera del maggio scorso un’esplosione ha dilaniato l’Edificio A5. Quando le tute blu che erano a mensa sono corse fuori a guardare cosa fosse accaduto, hanno visto alzarsi fumo nero dall’area nella quale gli operai lucidavano migliaia di tavolette iPad al giorno. Due sono rimasti uccisi sul colpo e molte decine di altri hanno subito lesioni. Tra i feriti, uno pareva particolarmente grave: aveva i lineamenti del volto cancellati dalla forte esplosione. Bocca e naso erano ridotti a una poltiglia rossa e nera. «Lei è il padre di Lai Xiaodong?», ha chiesto una voce quando il telefono è squillato nella casa in cui è cresciuto Lai, e dalla quale il giovane ventiduenne si era trasferito a Chengdu, nel Sud Ovest della Cina, per diventare una delle milioni di ruote umane del grande ingranaggio che alimenta la più veloce e sofisticata catena di montaggio sulla Terra. «Suo figlio sta male. Si rechi subito in ospedale».



Negli ultimi dieci anni, Apple è diventata una delle più potenti, ricche aziende di successo al mondo. Malgrado ciò, gli operai che assemblano iPad, iPhone e altri apparecchi spesso lavorano in condizioni estreme, secondo quanto affermano i dipendenti delle fabbriche, i difensori dei lavoratori e alcuni documenti pubblicati dalle stesse aziende. I problemi vanno da ambienti di lavoro gravosi a questioni di sicurezza. Gli operai lavorano in turni lunghi, fanno molti straordinari, talvolta anche sette giorni su sette, e vivono in affollati dormitori. Alcuni stanno in piedi per così tante ore che le gambe si gonfiano al punto da non permettere loro di camminare. Operai in età minorile aiutano ad assemblare alcuni prodotti Apple, e le fabbriche che la riforniscono hanno smaltito in modo improprio rifiuti pericolosi e falsificato i registri: a sostenerlo sono alcuni rapporti aziendali e gruppi di difesa che, in Cina, sono spesso considerati affidabili.

La cosa più preoccupante, però — prosegue la denuncia del gruppo — è che le fabbriche non tengono in alcun conto la salute degli operai. Due anni fa presso uno stabilimento Apple della Cina orientale 137 operai si ammalarono gravemente dopo essere stati costretti a utilizzare una sostanza chimica tossica per lucidare gli schermi degli iPhone. Nel giro di soli sette mesi l’anno scorso due esplosioni avvenute in altrettante fabbriche di iPad—una a Chengdu —hanno fatto 4 morti e 77 feriti. L’Apple era stata avvisata delle condizioni pericolose di lavoro all’interno dell’impianto di Chengdu: così afferma il gruppo cinese che aveva reso noto l’avvertimento. «Se l’Apple era stata avvertita e non è intervenuta, è da biasimare» dice Nicholas Ashford, ex presidente del National Advisory Committee on Occupational Safety and Health, un ente che offre consulenze al Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti. L’Apple non è l’unica società di elettronica a fare affidamento su simili fabbriche e stabilimenti. Pessime condizioni di lavoro sono state documentate anche negli impianti di produzione di Dell, Hewlett-Packard, IBM, Lenovo, Motorola, Nokia, Sony, Toshiba e altri ancora.

Dirigenti ed ex dirigenti dell’Apple affermano che negli ultimi anni l’azienda ha messo a segno significativi progressi nel migliorare gli stabilimenti di produzione. L’Apple ha un codice comportamentale che gli stabilimenti dei fornitori sono tenuti a rispettare, e che precisa gli standard inerenti al lavoro, alla sicurezza, a numerose altre questioni. Apple ha anche avviato un’importante campagna di verifiche e revisioni. I problemi più significativi, però, sussistono. Si è scoperto che oltre la metà degli stabilimenti che riforniscono la Apple ha violato ogni anno e dal 2007 una almeno delle norme previste. «Alla Apple non è mai interessato altro che aumentare la qualità del prodotto e abbassare i costi di produzione», dice Li Mingqi, ex manager alla Foxconn Technology, uno dei più importanti partner della catena di produzione di Apple. Li, che ha portato in tribunale Foxconn per essere stato licenziato, ha aiutato a dirigere lo stabilimento di Chengdu dove si è verificata l’esplosione.

Lai Xiaodong sapeva che la fabbrica di Foxconn a Chengdu era particolare: gli operai costruiscono l’iPad, il prodotto della Apple più innovativo. Ottenuto un posto per riparare le apparecchiature dello stabilimento, avevano subito notato le luci, accecanti. I turni di lavoro erano anche di 24 ore al giorno e la fabbrica era illuminata notte e giorno. Alcuni avevano gambe talmente gonfie da trascinarsi a fatica. Dalle pareti i manifesti ammonivano i 120mila operai a “sgobbare sodo oggi o a sgobbare sodo domani per trovarsi un nuovo lavoro”. Il codice comportamentale della Apple per le fabbriche fornitrici prevede che, salvo eccezioni, gli operai non debbano lavorare più di 60 ore a settimana. A Foxconn, invece, alcuni lavoravano molto di più, come documentano le buste paga e alcuni sondaggi condotti da gruppi esterni. Gli operai che arrivavano in ritardo al lavoro spesso dovevano scrivere una confessione di colpevolezza e copiare citazioni. Da alcune rivelazioni risulta che c’erano “turni continui”. In alcuni dormitori della Foxconn dormono fino a 70mila persone, stipate anche in 20 in un trilocale. La Foxconn ha definito menzognere le dichiarazioni degli operai sui turni continui, gli straordinari e gli alloggi sovrappopolati.

La mattina in cui si è verificata l’esplosione, Lai si era recato al lavoro in bicicletta. L’iPad era stato appena lanciato sul mercato e gli operai avevano l’ordine di lucidarne a migliaia ogni giorno. Il lavoro nella fabbrica era frenetico. C’era polvere d’alluminio ovunque. Due ore dopo l’inizio del secondo turno di Lai si è verificata una serie di esplosioni. Alla fine il bilancio delle vittime sarebbe stato di quattro morti, e 18 feriti. Il corpo di Lai è stato straziato sul 90 per cento della superficie. La fabbrica ha fatto avere alla famiglia circa 150mila dollari. A dicembre è esplosa un’altra fabbrica di iPad, a Shanghai. Il bilancio delle vittime è stato di 59 feriti. Nel rapporto sulle proprie responsabilità, Apple ha scritto che anche se in entrambi i casi le esplosioni hanno coinvolto polvere di alluminio combustibile, le cause erano diverse, ma si è rifiutata di fornire dettagli. Per la famiglia di Lai, molte domande restano senza risposte.



New York Times-La Repubblica

Traduzione di Anna Bissanti

L’articolo fa parte di “iEconomy” una serie di inchieste sulle industrie cinesi che producono i nostri cellulari. Secondo “Fortune” otterrà il Pulitzer.

Articles in this series are examining challenges posed by increasingly globalized high-tech industries.


In China, Human Costs Are Built Into an iPad

By Charles Duhigg and David Barboza



Published: January 25, 2012




The iEconomy



How the U.S. Lost Out on iPhone Work

By Charles Duhigg and David Barboza

Italian shoe design managers do not want to go to China to teach how to make shoes

Stilinga was interviewed by a world know outsole brand, based in Italy, China and USA and the proposed position was to organize and teach to different industrial  (hired) outsole designers, in USA and in China, how to create real shoes, since these teams of creative people can design beautiful images (of shoes too) but they have no knowledge of how to make shoes!

That's crazy and normal for now the market is looking for designers who are very able in using 2D and 3D software to sketch amazing looking virtual shoes, outsoles, etc... but once these projects must be turned into real products, they are unfit, that's it: totally unfit!

So these famous shoe design  schools, from each part of the globe, are not teaching what a shoelast is? they are not educating shoe/outsoles designers to solve shoe factory issues, such as how to develop a shoeline from a to z?

Crazy and the most hurting thing is that Italian shoe designers and managers should go to China and USA to inform the so called and hired and very well paid shoe technicians about how to make real shoes? Since Chinese ones do not get the problem of a shoe, although they seem to know what a shoe is...but actually their shoes have got problems.

They seem, but they are not!

This role means to spread Italian know how, experience and view on shoes to places that have been destroying our shoe industry since now!

Stilinga hopes these Chinese shoe technicians and US ones will have the humbleness and courage to take classes by themselves on how making shoes that fit!

It's time for a real revolution: coming back to reality: shoes that fit instead of amazing virtual images of them!

Indonesia: Nike costretta a pagare straordinari a operai

Indonesia: Nike costretta a pagare straordinari a operai


Circa 4.500 operai che lavorano per in una fabbrica del gruppo Nike in Indonesia sono riusciti a ottenere il versamento degli arretrati per le ore straordinarie lavorate e mai pagate.

Lo ha annunciato il sindacato dei lavoratori Serikat Pekerja National (Spn) sottolineando che, dopo una battaglia di undici mesi, l'azienda produttrice di abbigliamento e accessori sportivi dovrà sborsare un milione di dollari (circa 700 mila euro) per pagare 593.468 ore di straordinario dei suoi operai della fabbrica di Serang, lavorate negli ultimi due anni.

Il leader del Spn, Bambang Wirahyoso, citato dalla Bbc, si augura che questa vittoria sindacale sia da esempio per le altre multinazionali dell'abbigliamento che operano in Indonesia.

Da: http://it.fashionmag.com/news-227266-Indonesia-Nike-costretta-a-pagare-straordinari-a-operai

Evento La Sala Bianca - Circolo degli Artisti- 29 Gennaio 2012- Roma

LA SALA BIANCA evento sfilata dedicato all'Altamoda


in collaborazione con LabCostume e The Hysterics



Il circolo degli Artisti ritorna con le domeniche dedicate alla moda indipendente con sfilate di moda e installazioni artistiche di laboratori artigianali;

questa sarà la... volta del laboratorio di costumi per lo spettacolo Labcostume che proporrà una sfilata davvero particolare dal nome “La sala bianca”.

La memoria della Moda tra passato e rielaborazione stilistica : un percorso dagli inizi del XX secolo fino alla rivoluzione del New Look.

Concept della sfilata

L’idea è quella di “mischiare” con equilibrio il recupero della storia in chiave

contemporanea.

Creazioni d’epoca sfileranno insieme ad abiti di couture ispirati al passato:

un percorso dagli anni ’10 fino alla rivoluzione del New Look.

Installazioni- Gli artigiani della moda

Cinque laboratori artigianali Romani presenteranno attraverso installazioni artistiche i loro lavori e mostreranno al pubblico dal vivo come nasce un cappello, una scarpa ed il loro

processo creativo dall'inizio alla fine.

Laboratori artigianali:

Le Teste Calde

Bumbukis Mood

Purple Accessories

Calzarium

Mami Kawai

Installazione Vintage Couture a cura di : Roberto Prili Di Rado

Selezioni musicali a cura di Supermarket



Aperitivo a cura di Tricolore monti dalle ore 19.00 free entry

Circolo degli Artisti - Via Casilina vecchia, 42 - Roma

Lavoro femminile, Italia peggio della Grecia ‘Siamo un paese tradizionalista e ingessato’ | Redazione Il Fatto Quotidiano | Il Fatto Quotidiano

Lavoro femminile, Italia peggio della Grecia ‘Siamo un paese tradizionalista e ingessato’ Redazione Il Fatto Quotidiano Il Fatto Quotidiano di Angela Gennaro

Secondo i calcoli della Ue, il tasso di occupazione delle donne senza figli in Italia tra i 25 e i 54 anni è pari al 63,9%. La media dell’Unione è del 75,8%. "Una differenza che si fa abissale - dice Carla Collicelli, vice direttore generale del Censis - quando si parla di giovani e donne".

Anno nuovo, vizi antichi: il 2011 si chiude con la conferma che per occupazione, retribuzione e condizione femminile l’Italia è ancora, in Europa, il fanalino di coda. Lo dice l’Eurostat: il tasso di donne occupate è tra i più bassi dell’Unione. E peggio di noi fa solo Malta.Secondo l’ufficio statistico Ue, il tasso di occupazione delle donne senza figli in Italia tra i 25 e i 54 anni, è pari al 63,9%.

La media dell’Unione è del 75,8%: in Germania il tasso, per la stessa fascia di età, è dell’81,8%. Malta è ferma al 56,6%.

“Siamo un paese così tradizionalista e ingessato”, sospira Carla Collicelli, vice direttore generale del Censis. “Troppo lontano dagli obiettivi europei”.

E la lontananza diviene abissale quando “si parla di giovani e donne”, e se il dato anagrafico viene geolocalizzato al Sud e nelle isole.

Lo ricorda l’Istat proprio in questi giorni: al Sud addirittura il 39% delle ragazze è in cerca di occupazione.

Ancora: nell’Unione a 27, il tasso di occupazione totale di donne e uomini è del 64,2%, con le donne a quota 58,2%. Alla fine del primo semestre 2011, il tasso italiano di occupazione per uomini e donne è del 57,2%, e scende al 46,7% per le sole donne. Anche la Grecia è sopra di noi, con il suo 48,1%.

E la disoccupazione?

In Italia il totale del primo semestre dello scorso anno è dell’8,2%: 7% per gli uomini, 9% per le donne. Al netto del lavoro nero. Non solo: una donna in Italia continua a prendere 1/5 in meno rispetto a un uomo, anche in casi di ruoli analoghi.

“Dipende dai contratti”, dice Carla Collicelli. “Per quelli che prevedono emolumenti aggiuntivi la paga di base non può cambiare, ma assegni, progressione di carriera, promozioni e scatti interni sì”.

La parola chiave è precariato. “I contratti atipici, nei quali si concentrano donne e giovani, rappresentano per il datore di lavoro una valvola di flessibilità in caso di necessità di ridimensionamento dell’attività produttiva”, dice la sociologa.

Per certi versi “permettono l’accesso al lavoro”, per altri ne permettono l’uscita “con altrettanta facilità”. “E non abbiamo trovato soluzioni adeguate”. È il “clou della discriminazione”: la perdita di posti si registra “nella stragrande maggioranza per i giovani e per le donne giovani, sotto i 40 anni”. Per la fascia sopra i 40, invece, “hanno tamponato gli ammortizzatori sociali”. Eppure il Consiglio europeo di Lisbona del 2000 aveva già posto come obiettivo quello di aumentare il tasso di occupazione globale dell’Unione al 70% e il tasso di occupazione femminile a più del 60% entro il 2010.

Una percentuale che vorrebbe dire un aumento del 7% del Pil. Il rischio di povertà dei figli passerebbe dal 22,5% al 2,7% e si avvierebbe un ciclo virtuoso di imprenditoria e occupazione, con l’implementazione di quei servizi di cura per bambini e anziani, cardine della cura ricostituente per l’occupazione femminile italiana.Secondo l’Istat, infatti, l’assenza di servizi di supporto nelle attività di cura costituisce un ostacolo per l’ingresso nel mercato del lavoro di 489mila donne non occupate, cioè dell’11,6%, e per il lavoro a tempo pieno per molte delle 204mila donne occupate part time, ovvero del 14,3%.

In Italia viene destinato solo l’1,4% del Pil a contributi, servizi e detrazioni fiscali per le famiglie: dato ben più basso rispetto a quell’1,8% destinato in ambito Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nei paesi a bassa fertilità.Con i contratti atipici, poi, chi va in maternità difficilmente ritorna al posto di lavoro lasciato prima del lieto evento.

“Ci siamo lasciati alle spalle i tristi episodi del passato, quando accadeva che alle donne assunte venisse richiesto l’impegno di non fare figli per un certo numero di anni”, racconta Carla Collicelli.

Ma oggi “la donna con contratto atipico si trova in una condizione altrettanto spiacevole: sa che se si allontanerà per maternità difficilmente potrà riprendere il proprio posto in seguito”.

In paesi come ed esempio il Belgio, la presenza di molte scuole materne permette all’occupazione femminile di rimanere invariata in caso di uno o due figli.

“Da noi invece il welfare è spostato totalmente sulle pensioni e su una sanità nella media che comincia a scricchiolare con liste di attesa drammatiche per la diagnostica”, spiega la sociologa.

Il tutto “mentre le famiglie affrontano problemi di casa, asilo nido, supporti economici, servizi”.

In Italia l’11% dei bambini va al nido, privato o pubblico. In Emilia la percentuale sale al 25,2%, in Sicilia non supera il 5,1%. “Un asilo pubblico costa 8700 euro a bambino all’anno”, racconta la Collicelli. “Un privato 7500”.

In alcuni casi i comuni danno alle famiglie un contributo per la retta: ma non è la regola. Secondo l’Istat, la percentuale di occupate è del 58,5% per le donne con un figlio di meno di 15 anni, e del 54% quando i figli sono due.

Se poi i figli sono tre o più, la percentuale precipita al 33,3%. E “se si ha in casa un anziano con handicap sono guai”. Anche nelle regioni più avanzate, dove “si fa fatica a dare un’assistenza adeguata, che sgravi la famiglia”. O meglio: figlie, mogli, sorelle.“All’inizio della mia carriera, il concetto di quota rosa mi ripugnava”, conclude Carla Collicelli. “Arrivata a questo punto sono favorevole: i tempi sono maturi per proporre di applicare criteri di proporzionalità di genere rispetto alla composizione della categoria”.

D’altro canto era il 1932 quando in Italia è arrivata la prima donna in un consiglio di amministrazione di un’azienda quotata. 80 anni dopo le donne sono 150: il 6% del totale. Lì dove si decide, ancora oggi, “sono tutti uomini, e in età avanzata”, dice la vice direttrice del Censis.

Ricetta per risolvere la crisi italiana ed europea

Stilinga ha letto molti articoli di giornali in queste feste natalizie e si è convinta che la ricetta (per lo più vecchia nella sua testa: è da un pezzo che Stilinga ha partorito e cresciuto tale visione/osservazione) per risolvere la crisi economica italiana ed europea (soprattutto dell'Europa meridionale) è far ripartire la produzione italiana ed europea, a detrimento dell'economia che esporta maggiormente da noi: quella cinese.

Di fatto, in questi ultimi decenni, che sono stati caratterizzati dalla "globalizzazione" (in realtà la nostra nazione ed il continente europeo in particolare è stato colpito dalla sola nuda e cruda "cinesizzazione"), si sono aumentate le importazioni cinesi (causa delocalizzazione sfrenata delle aziende italiane ed europee in Asia) e si è illuso il popolo italiano ed europeo che la patria - fabbrica del mondo sarebbe stato il luogo utopistico ove vendere montagne di prodotti autoctoni, dove un mercato di oltre un miliardo di persone non aspetterebbe altro che comprare prodotti italiani ed europei.

Insomma, una vera e grassa bugia.

Tale miliardo e passa di gente cinese, o almeno, la maggior parte di questa massa di potenziali acquirenti non sbarca manco il lunario e come può permettersi di comprare prodotti italiani ed europei? che ormai sono realizzati dai loro connazionali in Cina ed in Italia?

La cinesizzazione ha ucciso migliaia di posti di lavoro in tutto il Mediterraneo, arricchendo pochi ed impoverendo moltissimi, e ha invaso lo stesso con prodotti ad obsolescenza programmata ed ora le Erinni economiche devastano quello che resta, con speculazione e spread che vola, in quanto l'Europa di fatto a livello politico non esiste.

Allora la ricetta è: produrre tutto (dagli zampironi alle scarpe, dai pomodori ai prodotti tecnologici, etc., etc.) ma, proprio tutto qua in Italia, in Europa.

Promuovere per legge il rilancio dei distretti industriali e crearne di nuovi, istituire la filiera corta, il km zero dalla carta, alla frutta, dalla plastica alla verdura per far risorgere il LOCAL e ammazzare il rincaro sui prodotti, in quanto il carburante per trasportarli è alle stelle (ma poi perchè la merce non viaggia su ferro?).

Assicurare la piena occupazione alla forza lavorativa attiva italiana ed europea, aumenterebbe le entrate fiscali, la crescita e potremmo finalmente permetterci (qua da noi, in questo paese crudele e arrogante) anche il sussidio minimo di cittadinanza per diventare finalmente civili.

Altrimenti il pericolo è il collasso dell'Italia (dove vivere ora - ma pure ieri- è una lotta alla sopravvivenza, un perdersi nella burocrazia bizantina, un arrabbiarsi continuo, una dannazione infernale).

Allora cosa aspettiamo?

Licenziamenti falso problema di Luciano Gallino

"Licenziamenti falso problema” (Luciano Gallino).


C´è una realtà sotto gli occhi di milioni di italiani, che essi vedono e patiscono ogni giorno.

L´industria italiana sta perdendo i pezzi.

Lo dicono, più ancora che i media nazionali, che si debbono per forza concentrare sui casi più eclatanti, la miriade di Tg regionali e di giornali locali. Non ce n´è uno, da settimane, che non rechi in prima pagina l´allarme per un´impresa del luogo che sta per chiudere. Da Varese a Palermo, dal Cuneese al Friuli, da Ancona a Cagliari. Per tal via sono già scomparsi centinaia di migliaia di posti di lavoro; altrettanti rischiano di seguirli nel prossimo anno.

Nessun settore sembra salvarsi.

Sono in crisi l´auto (ovviamente Fiat: 550.000 vetture prodotte in Italia nel 2010, un quarto rispetto a vent´anni fa) e l´aerospazio (vari siti di Alenia); la costruzione di grandi navi, di cui l´Italia fu leader mondiale (almeno sei siti di Fincantieri) e gli elettrodomestici (Merloni di Fabriano e Nocera Umbra); la microelettronica (ST-Microelectronics a Catania) e il trasporto navale di container (Mct di Gioia Tauro); la siderurgia (Ilva a Taranto) e la chimica (Montefibre a Venezia, Petrolchimico e Vinyls a Porto Torres). Si potrebbe continuare per un paio di pagine. Sono anche crisi, tutte, accompagnate da forti perdite di posti di lavoro nell´indotto e nei servizi, poiché è pur sempre l´industria il settore da cui proviene la maggior domanda di essi.

Di fronte a una simile realtà, ed alla inettitudine dimostrata al riguardo dal precedente governo, ci si poteva aspettare che il governo nuovo aprisse una robusta discussione con sindacati, industriali, manager, esperti del settore, per vedere se si trova il modo o di rilanciare rapidamente le industrie in crisi, o di svilupparne di nuove affinché assorbano il maggior numero di disoccupati presenti e futuri.

Invece no.

Il governo apre un tavolo di discussione per decidere quali riforme introdurre sul mercato del lavoro al fine di renderlo più flessibile. Ed i sindacati, anziché ribattere che il problema primo e vitale è quello di creare lavoro, accettano di discutere sul come riformare le norme d´ingresso e di uscita da un mercato che intanto rischia una contrazione senza precedenti. Il che equivale a chiedere all´orchestra, tutti insieme, di suonare il valzer preferito mentre la nave è in vista dell´iceberg che la porterà a fondo. Fondo che in questo caso si chiama una durissima recessione, con milioni di disoccupati di lunga durata.

Dinanzi a una simile disconnessione dalla realtà di ambedue le controparti non restano che due strade. Una è arcibattuta: se mai c´è stato in passato un frammento di evidenza empirica comprovante che una maggior flessibilità in uscita accresce il numero degli occupati, a causa della crisi economica in atto tale affermazione è ancora più illusoria.

Le imprese non assumono perché non ricevono ordinativi.

In molti casi è chiaro che è colpa loro. La grande cantieristica, per citare un caso paradigmatico, conta ancora nel mondo numerose società che producono ogni anno decine di navi d´ogni genere, dalle petroliere ecologiche ai trasporti adatti alle autostrade del mare. Non avendo saputo riconvertirsi, i cantieri di Fincantieri si ritrovano ora con zero commesse.

Davvero si può pensare che se gli facilitassero i licenziamenti individuali essi assumerebbero folle di lavoratori?

Un altro argomento che occorre pur ripetere è che il proposito di far assumere come lavoratori dipendenti un buon numero di precari è decisamente apprezzabile.

Ma se il contratto di breve durata che caratterizza le occupazioni atipiche si riproduce nell´area dei nuovi contratti perché questi implicano la possibilità di licenziare il nuovo assunto, anche senza giusta causa, per un periodo che addirittura supera di molto l´attuale durata media dei contratti atipici, la precarietà cambierà di pelle giuridica, ma resterà tal quale nella realtà.

Le imprese che in questi anni sono ricorse a milioni di contratti di breve durata in forza della legge 30/2003, allo scopo precipuo di adattare la forza lavoro in carico all´andamento degli ordinativi, useranno il periodo di prova, di apprendistato o come si voglia chiamarlo, lungo addirittura tre anni e più, per perseguire il medesimo scopo.

Duole dire che anche le proposte di un potenziamento degli ammortizzatori sociali, sponsorizzato in specie dal Pd, appare arretrato di fronte alla realtà della disoccupazione ed alle sue cause.

Certo, se si ritiene che non ci siano alternative, come diceva la signora Thatcher, meglio un sussidio che non la miseria.

Ma creare nuovi posti di lavoro in realtà non costerebbe molto di più, immaginazione politica ed economica aiutando.

E un lavoro stabile e remunerato intorno o poco sotto alla media salariale è una soluzione che molti preferirebbero rispetto a sette od ottocento euro di sussidio percepito magari per anni, ma senza la possibilità di ritrovare un lavoro. Oltre ad essere, in tema di difesa delle competenze professionali e della coesione sociale, assai più efficace.



Da La Repubblica del 05/01/2012.

"Odio il Capodanno" di Antonio Gramsci

Odio il capodanno di A. Gramsci

Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.

Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna. E sono diventati cosí invadenti e cosí fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Cosí la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa la film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.
Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.



(Antonio Gramsci, 1° Gennaio 1916 su l’Avanti!, edizione torinese, rubrica “Sotto la Mole”)



http://violapost.wordpress.com/2011/12/31/odio-il-capodanno/

Hai una missione da compiere: alzati e combatti.

Hai una missione da compiere: alzati e combatti.


"(...) C’è un mondo migliore da costruire e c’è un mucchio di cose impossibili da fare subito.
Quindi, se il mondo ama l’impossibile ti conviene capire che non c’è di peggio che morire rendendosi conto che potevi fare di tutto e non ci hai provato! E’ quello l’inferno. E ci sono dei diavoli carogne che ti buttano tutti i giorni giù da un grattacielo sopra un’istrice di pali di ferro roventi.
Quindi alzati e combatti. Se non fai niente rischi troppo."

di Jacopo Fo  http://www.jacopofo.com/

Polverinicrazia, nuovi vitalizi e posti d’oro

Polverinicrazia, nuovi vitalizi e posti d’oro


in aziende esterne alla regione Lazio

La lista dei berlusconiani che rimase fuori dalle elezioni perché presentata in ritardo, andava sistemata. Per questo i sei non eletti sono stati collocati in aziende satelliti della Regione

Il pacco firmato Regione Lazio è complicato. La manovra dei vitalizi per assessori esterni e consiglieri decaduti nasconde tagli e tasse per 1,4 miliardi di euro. Come incartare i sacrifici (per i cittadini) con i privilegi (per i politici). Eppure il governatore Renata Polverini mette su il viso del dispiacere, quel senso di pudore nel chiedere euro ai cittadini, sempre e comunque ai cittadini: “Era l’unica possibile”. Già, mica poteva lasciare senza pensione la Giunta oppure i tre consiglieri del centrodestra transitati per sbaglio in Regione? Il regalo farà contento il sindaco Giovanni Di Giorgi che, nervosamente, deve scegliere la poltrona giusta: resta nel Consiglio laziale o si dedica al comune di Latina? Un dilemma e un sollievo: qualsiasi decisione prenda Di Giorgi, il vitalizio è garantito a 50 anni con una riduzione del 5 per cento, a 55 al 100 per cento.



Nessun dubbio, però, sui rincari: aumentano le imposte (+ 0, 33 % Irpef), la benzina con un’accisa inedita (20 centesimi al litro), il bollo per l’automobile (+ 10 %). Mentre calano i fondi per il sociale e le opere pubbliche (-100 milioni di euro). Com’era? “L’unica manovra possibile”. Peccato che il centrosinistra suggeriva al Governatore di vietare un mal costume tipico di una regione grossa, indebitata e spendacciona: un dirigente pubblico deve rispettare un tetto massimo di stipendio senza cumulare l’incarico in corso con il vitalizio regionale. Non conosciamo la risposta perché l’ex sindacalista si è rifiutata di rispondere ai partiti di opposizione: rischiava di bombardare l’alleanza con il Pdl che si regge sui favori reciproci e il potere condiviso.



Il mandato Polverini ha un difetto di nascita: la lista dei berlusconiani rimase fuori perché presentata in ritardo, e dunque i cacicchi locali, non eletti, andavano sistemati. Quelli che sommano lo stipendio pubblico con il vitalizio già maturato in banca o in tasca. Ecco i sei candidati trombati in partenza e ora, momentaneamente, occupati in aziende satelliti della Regione Lazio. C’è l’imprenditore Luigi Celori, 54 anni, a spasso con una rendita di tre legislature: è stato nominato presidente di Autostrade del Lazio, superati mesi di inattività politica. C’è Tommaso Luzzi, 61 anni, per 15 anni in Regione: si è accontentato di Astral, una società che pulisce e asfalta le tangenziali e i raccordi. C’è il socialista Donato Robilotta, 56 anni, commissario straordinario di Ipab Sant’Alessio, un centro per ciechi che gestiva un imponente patrimonio immobiliare. C’è Bruno Prestagiovanni, 54 anni, commissario straordinario di Ater Roma, un carrozzone che assegna le case pubbliche. C’è Massimiliano Maselli, 44 anni, presidente di Sviluppo Lazio, dove transitano bandi di gara e studi scientifici. C’è Erder Mazzocchi, 43 anni, commissario straordinario di Arsial, l’agenzia regionale per l’agricoltura.



I magnifici sei incassano un degno e meritato stipendio pubblico, servono serenamente le istituzioni sapendo di incassare (in futuro o adesso) un sostanzioso vitalizio. I magnifici sei, soprattutto, assicurano l’esistenza politica di Renata Polverini. Al traguardo di una serie di nomi e scrivanie, fra le proteste cestinate e negate, c’è un’ultima idea che i partiti di opposizione hanno presentato al governatore: perché confermare il rimborso chilometrico per i consiglieri? Vi può suonare stonato, ma i rappresentanti laziali, se abitano a 15 chilometri dal palazzo regionale, recuperano un quinto di un pieno di benzina. I 71 consiglieri laziali vengono pagati per il mandato in Regione (indennità), per essere presenti in aula (diaria), per raggiungere il palazzo (rimborso), per presiedere o partecipare in commissione (e sono venti). Però, va detto che la Polverini ci ha provato. Voleva fare una manovra con meno tasse ai cittadini e più tagli ai politici. Il Governatore ha deluso i cronisti che speravano in un ripensamento sui vitalizi: “Niente passo indietro. Da due giorni siamo in linea con le altre Regioni. Avevamo una discriminazione che colpiva solo i nostri assessori esterni, abbiamo messo le cose a posto”. E il Codacons che fa ricorso contro la manovra? “Che devo fare?”, ha risposto la Polverini. Se sapesse cosa fare, sarebbe il governatore del Lazio che toglie ai ricchi e dà ai poveri, non viceversa. O forse, caspita, è proprio lei?



da Il Fatto Quotidiano del 24 dicembre 2011

Dal Fatto Quotidiano: La casta ingrassa sulla nostra pelle

LA CASTA INGRASSA SULLA NOSTRA PELLE  di Giorgio Meletti.
NESSUNA TRASPARENZA DA STATO E AZIENDE: COME I POTENTI NASCONDONO I LORO MOVIMENTI


“Non ti rispondo” Così sopravvive il potere.

Un banale confronto storico sarà utile per capire il drammatico problema di trasparenza che grava sull’Italia dell’anno 2011. Trentasette anni fa, l’8 agosto 1974, il presidente americano Richard Nixon fu costretto a dimettersi per non piegarsi all’ordine della Corte Suprema di consegnare alla Commissione d’inchiesta sullo scandalo Watergate i nastri registrati di tutte le sue conversazioni alla Casa Bianca. Il sistema era stato introdotto da John Kennedy 51 anni fa: ogni

respiro del presidente veniva registrato. E il concetto di trasparenza della politica americana imponeva di far ascoltare i nastri agli inquirenti che dovessero verificare qualche caso, diciamo così, dubbio.



L’Italia è ancora all’età della pietra. Politici di ogni rango e valore continuano imperterriti ad accampare pretese di privacy sulle proprie condotte, forse indotti in errore dal fatto che molto spesso gli affari pubblici sono sovrastati dagli interessi privati. Basta elencare la piccola serie di difficoltà incontrati dai cronisti del Fatto negli ultimi giorni per capire che cosa vuol dire remare controcorrente.

Primo caso. Il giornalista Daniele Martini chiede ripetutamente al capo ufficio stampa delle Fs, Federico Fabretti, quanto investano in pubblicità le Ferrovie e a beneficio di quali televisioni o testate cartacee. Ottiene un risposta stupefacente, secondo la quale quei dati non sono a conoscenza dell’ufficio stampa, che sta facendo apposite ricerche presso gli uffici competenti, ma che comunque non ha alcuna intenzione di rendere pubblico il risultato dell’accurata indagine.

Secondo caso. La giornalista Sandra Amurri (qui l’articolo) chiede a Emilia Saugo, capo della segreteria del deputato questore Francesco Colucci, chiarimenti sulle prebende e sulle attività dell’onorevole, che in quanto questore ha voce in capitolo nel piatto ricco delle forniture della Camera. La Saugo reagisce chiedendo ai commessi della Camera di accompagnare “la signora” fuori del palazzo di Montecitorio. I commessi eseguono. Colucci poco dopo commenta l’accaduto con tono disturbato: “Non sono tenuto a dare risposte a chicchessia rispetto all’attività legata al mio incarico istituzionale”. Chicchessia.

Terzo caso. Un giornalista del Fatto chiede all’ufficio stampa del consorzio Patti Chiari, creato dalle banche per migliorare il rapporto di fiducia tra gli istituti di credito e i loro clienti, di quante risorse disponga l’organizzazione per svolgere i suoi compiti di informazione e formazione dei risparmiatori. Si sente rispondere che l’ufficio stampa ignora il dato, e che risulta impossibile, nel pomeriggio di giovedì 22 dicembre, rintracciare qualcuno che sia a conoscenza del misterioso dato. La verità evidente è che anche in questo caso prevale la volontà di occultare al pubblico un’informazione di basilare trasparenza sul funzionamento di una lobby che punta dichiaratamente a condizionare il rapporto tra le banche e i risparmiatori.

Quarto caso. Un anno e mezzo fa Il Fatto quotidiano ha chiesto alla direzione generale della Rai una lista trasparente dei compensi assegnati a collaboratori esterni, società appaltatrici e consulenti. La Rai si è appellata alla tutela della privacy degli interessati, ma, avendo anche un obbligo di trasparenza sui dati richiesti, ha chiesto all’Authority per la privacy un parere. Il parere è arrivato, e ha dato ragione alla richiesta del Fatto: secondo il garante Francesco Pizzetti il diritto dei cittadini a essere informati in modo trasparente sulla destinazione del denaro pubblico prevale su quello alla riservatezza dei beneficiari delle consulenze. Risultato: la Rai ancora non ha fornito i dati richiesti, ed è passato un anno e mezzo.

Abbiamo fatto solo quattro esempi. Si potrebbe continuare a lungo. Un altro caso tra i tanti: gli obblighi di trasparenza imposti dalle leggi e dalle regole della Consob alle società italiane sono molto più blandi di quelli vigenti in altri Paesi più evoluti, Stati Uniti in testa. Così capita che gli uffici stampa delle società italiane quotate anche alla Borsa di New York si rifiutino di dare ai giornalisti italiani informazioni che sono pubblicate nei prospetti informativi obbligatori per il mercato americano.

Spesso i dialoghi surreali di cui sopra avvengono tra giornalisti che danno le notizie e giornalisti, regolarmente iscritti all’Ordine professionale, che lavorano per la comunicazione delle aziende. Per gli uni e per gli altri dovrebbe vale la Carta dei doveri del giornalista, che obbligherebbe i comunicatori d’impresa a “diffondere ogni notizia che ritengano di pubblico interesse”, e quelli delle testate di informazione a diffondere le notizie “nonostante gli ostacoli” e compiendo “ogni sforzo” per garantire “la conoscenza degli atti pubblici”. Solo una cosa hanno dimenticato di scrivere nella Carta dei doveri: l’obbligo di sopportare che altri giornalisti ti trattino da molestatore solo perché fai il tuo dovere.

Da Il Fatto Quotidiano del 24/12/2011.

Michelle Obama and the National Tree lighting Cerimony Christmas with Santa and Kermit!

National Christmas Tree Lighting Ceremony Held On DC's Ellipse


In This Photo: Michelle Obama, Barack Obama, Malia Obama, Carson Daly, Sasha Obama


President Barack Obama (R), Santa Clause (2nd-R), Carson Daly (C), Kermit the Frog, first lady Michelle Obama, and daughters, Sasha and Malia, sing a song during the National Christmas Tree light ceremony on December 1, 2011 at the Ellipse, south of the White House, in Washington, DC. The first family participated in the 89th annual National Christmas Tree Lighting Ceremony.


(November 30, 2011 - Photo by Mark Wilson/Getty Images North America)


From:
http://www.zimbio.com/pictures/6wgtTcilJxj/National+Christmas+Tree+Lighting+Ceremony/xZ8GvOBMgHU/Sasha+Obama


Stilinga is still shocked:

was it really Kermit on Michelle Obama's shoulder?

Has she seen right? 

She cannot believe her eyes!

Stilinga cried when the Obamas arrived at the White House, after Bush.

We, here in Europe, were very touched by this big change in the US. We thanked the US people for this new President.

But now... what is this?

What are the Obamas doing: advertising?

Are they the chosen celebrities for the Kermit and the Muppets new movie advertising? And why?

Is the USA Presidential couple gone mad?

What about elegance, sobriety and  institutional representation?

What about a pure cerimony made for the only glory or the US Democracy and the people?

Why are Michelle and Barack Obama on the stage with the products of the US movie industries and of the famous beverage?

No Prime Minister, no President would ever accept such a ceremony here in Europe or everywhere else.

Are these the only USA values that the Presidential pair needs to spread all over the world?  Companies? US Economy? Nothing else? just marketing?

Is USA a democracy or something similar to Disneyworld?

Please tell me that you feel the same difficulty. Let us out of this disgusting nightmare.

Politica Italiana Malata: Tutti lo fanno tranne loro... i politici

A Stilinga è arrivato questo bel messaggio, via mail:

LO STATO chiede l’aumento dell'età
pensionabile perché in EUROPA tutti lo fanno……..

 NOI CHIEDIAMO IN CAMBIO:  di arrestare tutti i politici
corrotti , di allontanare dai pubblici uffici tutti quelli condannati in via definitiva perché in EUROPA tutti lo fanno, o si dimettono da soli per evitare imbarazzanti figure.

 NOI CHIEDIAMO di dimezzare il numero di parlamentari perche’ in EUROPA nessun paese ha cosi’
 tanti politici !!
 NOI CHIEDIAMO  di diminuire in modo drastico gli stipendi
 e i privilegi a parlamentari e senatori, perché in EUROPA nessuno guadagna come loro.

NOI CHIEDIAMO di poter esercitare il “mestiere” di politico al massimo per 2 legislature come in
 EUROPA tutti fanno !!

 NOI CHIEDIAMO di mettere un tetto massimo all’importo  delle pensioni erogate dallo stato (anche retroattive), max. 5.000, 00 euro al mese di chiunque, politici e non, poiche’ in EUROPA nessuno percepisce 15.000,00-20.000,00 oppure 37.000,00 euro al mese di pensione come avviene in ITALIA

NOI CHIEDIAMO di far pagare i medicinali visite specialistiche e cure mediche ai familiari dei politici poiche’ in EUROPA nessun familiare dei politici ne usufruisce come avviene invece in ITALIA dove con la scusa dell’immagine vengono addirittura messi a carico dello stato anche gli interventi di chirurgia estetica, cure balneotermali ed elioterapioche dei familiari dei nostri politici !!

 CARI MINISTRI,
non ci paragonate alla GERMANIA dove non si pagano le autostrade, i libri di testo per le scuole sono a carico dello stato sino al 18° anno d’eta’, il 90 % degli  asili nido sono aziendali e gratuiti e non ti chiedono 400/450 euro come gli
asili statali italiani !!

 IN FRANCIA  le donne possono evitare di andare a lavorare part time per racimolare qualche soldo indispensabile in famiglia e percepiscono dallo stato un assegno di 500,00 euro al mese come casalinghe piu’ altri bonus in base al numero di figli .

IN FRANCIA non pagano le accise sui carburanti delle campagne di Napoleone, noi le paghiamo
ancora per la guerra d’Abissinia!!

NOI CHIEDIAMO A VOI POLITICI
 che la smettiate di offendere la nostra intelligenza, il popolo
 italiano chiude un occhio, a volte due, un
orecchio e pure l’altro ma la corda che state tirando da troppo tempo sista’ spezzando.

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Egyptian women are doing right!

I want to give my support to the Egyptian women who have to be proud of herselves: fighting those idiot and ignorant  soldiers is the thing to do in order to make a real positive change in Egypt.

So I do wish that girl is enough strong to go on and NOT TO QUIT THE FIGHT! You are all women! Please never forget it!

Italian women are with the Egytian ones! What about you women of the rest of the world?

More info:
http://news.nationalpost.com/2011/12/20/beating-of-blue-bra-woman-reignites-egyptian-protests/

Storie di ordinaria ferocia nella Cina della dittatura

D - La Repubblica - 17 dicembre 2011 - pag. 42


Piccole storie (non solo) cinesi

Se la tigre mangia i figli

Concorrenza e selezione spietata, a partire dall'infanzia e in ogni campo Ma la ricetta ha un prezzo terribile
di Giampaolo Visetti


Se muoio, giuro che la colpa è della professoressa di matematica. Lasciate che gli agenti se la portino via". Firmato Z., scolara di undici anni iscritta alle elementari di Funan, regione dell'Anhui. Quando i compagni hanno scoperto il messaggio sulla lavagna, era troppo tardi. Z. e la sua vicina di banco X. si erano già divise una bottiglia di pesticida. Due settimane in coma, stomaco e intestino bruciati, prima di essere riportate alla vita. Un miracolo, ma la Cina è sotto shock. La madre di Z. ha raccontato che, mentre era incosciente, la figlia ripeteva che doveva filare a fare i compiti, altrimenti l'insegnante l'avrebbe punita. Le due compagne hanno confermato. "Eravamo depresse. Non tenevamo il passo e i professori ci umiliavano. Non volevamo più vivere".

Anche X. aveva lasciato un messaggio per la famiglia. Sull'armadietto di classe ha scritto: "Sono stanca, nessuno mi capisce, voglio morire". Uscite dall'ospedale, sono state convocate dal direttore della scuola. "Abbiamo lasciato le nostre ultime parole - hanno spiegato - per far sapere a tutti chi ci aveva ucciso e chi doveva rispondere per la nostra fine". L'insegnante di matematica, ora sotto inchiesta, nega. Giura di non aver mai picchiato le due aspiranti suicide e di essersi limitata a farle sedere in fondo alla classe. "Erano pigre, rallentavano il lavoro dei compagni. Ho deciso di ignorarle".

È l'indifferenza, a scuola e in casa, che secondo gli assistenti sociali avrebbe indotto Z. e X. a farla finita a undici anni. Ma il dramma di Funan porta alla luce il lato oscuro della Cina: concorrenza e selezione spietata, a partire dall'infanzia e in ogni campo. Chi perde un colpo è perduto. La scuola, da luogo che apre gli occhi sulla conoscenza, è ridotta a setaccio del destino. I bambini che non eccellono subito, vengono dirottati verso fabbriche e campagne. Prima dei quattordici anni, luogo di vita e ruolo nella società sono decisi dagli insegnanti. Sotto accusa ci sono però ora proprio loro, maestri e professori. Carriera e stipendio sono proporzionali ai risultati degli allievi: più questi eccellono nei test di ammissione all'università e più quelli guadagnano, o maggiori possibilità hanno di lasciare i villaggi per avvicinarsi agli istituti di città. Un intreccio fatale: il destino dei bambini è nelle mani dei docenti e la vita degli insegnanti dipende dagli scolari.

In Cina non è in gioco l'ambizione: è questione di vita o di morte. Pressione e stress, ora che eccellere significa diventare ricchi, toccano livelli insostenibili. Anche un bambino della scuola media di Luoyang, nello Henan, si è gettato dal sesto piano dell'istituto dopo una prova andata male. "Per punizione doveva fare centro flessioni davanti ai compagni - ha raccontato il padre - ma sapeva che non ce l'avrebbe fatta". Y, a tredici anni, ha visto il cielo fuori dalla finestra e gli si è buttato dentro.

I cinesi, sconvolti, iniziano a domandarsi se la severità aiuta a educare, oppure se è il velo che copre un sistema fallito: professori valutati in base al rendimento degli alunni, scuole finanziate in proporzione al successo degli allievi, famiglie premiate in relazione ai risultati dei figli. Appena venuti al mondo, invece di consumare il proprio tempo della felicità, si è trasformati nel capitale degli altri. Uno studio ha rilanciato l'allarme. In Cina il 68% di chi ha tra i sei e i 26 anni, trascorre almeno nove ore al giorno sui libri. Bambini e adolescenti, a causa del carico di compiti, dormono meno di sette ore per notte. Il disagio coinvolge gli insegnanti e si allarga alle famiglie. "I genitori - dice Hongcai Wang, direttore dell'istituto di educazione dell'università di Xiamen - sono costretti a riporre attese troppo alte sui figli, spesso unici e loro sola opportunità di riscatto. Crescono barriere di silenzio e l'impossibilità di liberare le emozioni sfociano sempre più spesso in azioni estreme".

Trent'anni di rincorsa prodigiosa, ma la società si scopre esausta e scavata dall'ansia. La "madre tigre" intuisce di divorare "figli agnelli", ma il presidente Hu Jintao non rinuncia a un appello agli scolari: "Siate consapevoli della sacra missione che la patria vi affida: sostenere la torcia della ricerca e della scienza, creare un'alba nuova per l'arte e la cultura". Sacrificio e talento, creatività e successo: per ordine di partito.

Servizio Pubblico: evitare la catastrofe!

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/09/servizio-pubblico-evitare-catastrofe-video-youtube/176191/

La chiesa greca dona il patrimonio immobiliare alla nazione in difficolta’. E’ un’idea…

La chiesa greca dona il patrimonio immobiliare alla nazione in difficolta’. E’ un’idea…


7 luglio 2011

By Luciano Priori Friggi

I greci hanno ancora una nazione

C’e’ questa notiziuola di mercoledì che un’agenzia impertinente, l’AGI, ci spedisce da Atene e il cui sound e’ questo: “la chiesa ortodossa greca sarebbe pronta a cedere parte del suo vasto patrimonio immobiliare per aiutare il paese a contrastare la grave crisi economica”.

Fermi tutti, mi sono detto, la chiesa? e cedere a chi?

Questo il seguito. A rendere nota la proposta non e’ stato un prelato piu’ o meno titolato da un balcone, o da uno scranno messo su per l’occasione, ma “il ministro delle Finanze ellenico, Evangelos Venizelos, al termine di un colloquio con il l’arcivescovo Ieronymos II, massima autorita’ spirituale della nazione”. Discrezione e concretezza.



Gia’ la nazione. Insomma i greci hanno ancora una nazione, e un prelato va dal ministro e gli dice, questi sono i nostri beni e sono a disposizione della nazione. Il prelato ha detto al ministro di essere anche “molto ottimista sulle possibilita’ di cooperazione con la chiesa su strumenti pratici per alleviare le sofferenze dei piu’ bisognosi”.



Il religioso ha detto infine che le trattative sono “molto costruttive” e ha promesso che “la chiesa continuera’ a combattere per la gente in questi momenti cruciali”.



Parole semplici, fatti. E da noi? Un fiume di denaro va dallo stato alle confessioni religiose: ad es. cio’ che va alla Chiesa cattolica deve essere impiegato “per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo”.



Di che cifre parliamo? Nel 2008 di 1002 milioni di euro (fonte Wikipedia, “Otto per mille”), che nel 1990 erano 398. Ovviamente ripartite fra le varie religioni. Non conosco le proporzioni, ma e’ facile ipotizzare, dati i rapporti numerici, che vada quasi tutto alla Chiesa cattolica.



Ora, quest’ultima ha anche un patrimonio immobiliare. Secondo una stima di Franco Alemani del gruppo Re, si sa che «Il 20-22% del patrimonio immobiliare nazionale è della Chiesa». Si tratta di donazioni, lasciti (erano proibite nell’Ottocento in vari stati europei), e quindi spessisimo di rendite che vanno ad aggiungersi ai contributi dello stato (perche’ l’8 per mille e’ sottratto alla fiscalita’ generale, non e’ qualcosa in piu’ che i contribuenti danno).



Che fara’ la Chiesa, o le Chiese di fronte al grande debito nazionale e alle sofferenze che ci attendono?



Tremonti intanto, in attesa che si faccia vivo qualcuno, sull’esempio della Grecia, si prende tutto quel riesce a prendere ai poveri risparmiatori. Ma di questo abbiamo parlato ampiamente e per ora soprassediamo.



LPF – Luciano Priori Friggi

(L_pf@yahoo.it)



http://www.borsaplus.com/index.php/archives/2011/07/07/la-chiesa-greca-dona-il-patrimonio-immobiliare-alla-nazione-in-difficolta-e-unidea/

new shoes from Rome, Italy


The Pony ballerina

The classy and sporty sneaker for the citizen man, near Montecitorio.

The beautiful quality of Salvatore Ferragamo, in Via dei Condotti.

A Napoli balie italiane per bebè cinesi

A Napoli balie italiane per bebè cinesi

preso da :
http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/a-napoli-balie-italiane-per-bebe-cinesi-1031350/






ROMA – Capita, nella zona della stazione centrale di Napoli, di vedere nei passeggini bebè con gli occhi a mandorla scarrozzati da donne mediterranee. All'inizio si può pensare che i piccolini siano adottati o in affido, ma poi la spiegazione: sono mamme in affitto. Si tratta di un lavoro che napoletane quarantenni si sono industriate a fare.



Nella città che meno opportunità offre alle donne, dove 3 su 4 sono fuori dal mercato del lavoro, fanno quello che riesce loro meglio: crescere i figli. Ma a pagamento. Contribuiscono all'economia di casa prendendosi cura a casa propria dei bambini di imprenditori e grossisti cinesi con una tariffa modica rispetto a quanto costerebbe una 'vera' baby sitter.



Proprio come per le badanti c'è un tariffario anche per la balia napoletana. La mamma riceve 500 euro netti o 600 euro se provvede anche a cibo e pannolini. In nero, manco a dirlo. E si prende cura del bimbo generalmente fino ai 3-4 anni.



Succede da tempo nella provincia vesuviana – Terzigno, Somma, San Giuseppe – dove anni fa si sono impiantati i primi opifici cinesi. Ora anche in città, nella zona popolare e ad alta densità della Stazione dove sono venuti ad abitare anche i commercianti all'ingrosso che hanno colonizzato con i loro capannoni la periferia est.



I nuovi ricchi cinesi hanno una certa capacità economica, ma – impegnati a lavorare 12-13 ore al giorno – non si concedono il lusso di crescere un figlio. Non li lasciano – forse per far integrare meglio i bambini – nei nidi dormitorio all'interno della propria comunità. Li affidano notte e giorno a una donna che surroghi l'amore materno. E se accudire gli anziani è un lavoro spesso delegato alle donne immigrate, quelle italiane trovano più accettabile dedicarsi ai bambini. A sentire alcune storie si capisce che tra le nuove balie ci sono donne in cerca di un figlio mai avuto o che ne crescono uno per dare da mangiare ad altri. Una di loro è Annamaria, 40 anni, 3 figli e un marito che lavora saltuariamente.



Così attraverso un contatto con uno studio che sbriga pratiche di tutti i tipi ha trovato un lavoro atipico ed è lei che porta in casa la fetta maggiore di reddito familiare. Il nuovo arrivato è il figlio di un grossista che abita nella sua zona, nel rione Case Nuove, proprio accanto alla stazione Centrale. La mamma del piccolo è tornata in Cina, lasciando a Napoli il figlio. Dal lunedì al sabato Annamaria fa la mamma oltre che dei suoi figli anche del bimbo, che ora ha quasi due anni, e quando l'ha preso ne aveva 6. Il piccolo mangia, dorme, la chiama ''mamma'', impara l'italiano (o meglio il dialetto) dai ''fratelli''. Poi la domenica sta un po' col papà di sangue anche se ''non vuole andarci – spiega la donna – non lo riconosce e non lo capisce quando parla''.



Quando avrà l'età per andare a scuola, potrebbe partire. E' già successo al bimbo cresciuto da una balia sua conoscente. A quattro anni è volato verso la Cina per indottrinarsi alla disciplina d'origine.



Le storie sono tante e diverse. Donne senza scolarità, e con poche alternative. Ma anche casalinghe col desiderio di un figlio. Franca ha avuto una piccolina cinese che ha chiamato Sabrina, ora ha 8 mesi. La bimba non è figlia sua, ma a volte sembra dimenticarselo. E se un giorno dovessero riprendersela? "Non ci voglio nemmeno pensare, per adesso mi godo mia figlia", dice.



26 novembre 2011
13:18



http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/a-napoli-balie-italiane-per-bebe-cinesi-1031350/

An artisanal shoe workshop in Rome: Calzarium

One of the last truly artisanal shoe workshop of Rome: Calzarium, in Via Morichini, 30 (tel. 06 44 241 808)

Orazio and Mario have been making shoes by hands for more than 40 years.

They are the "old school" of the Roman shoe makers: they make bespoke shoes, on the client's mesuraments and following the client's tastes.
 Every pair of shoes is one of a kind, made with fine leathers.




Tetsuya Uenobe: an amazing shoe artisan/designer from Japan


Stilinga is glad to presernt a very interesting Japanese shoe artisan and designer: Testuya Uenobe who has presented his orignal handmade sandal collection at the Micam, september 2011.
All his sandals are handmade with love!

Ma cosa accade nell'Acea?

Pare che l'Acea sia al collasso: è difficilissimo ottenere una risposta al numero dedicato alla clientela e di conseguenza è arduo risolvere problemi piuttosto semplici come l'allaccio dell'utenza, manco fossimo sulla luna.
Inoltre, dopo che non si è ricevuta una risposta adeguata alle proprie domande e si è deciso di andare di persona a piazzale Ostiense, per risolvere il problema, si scopre che la fila che ci attende è appena (si fa per dire) di 190 MINUTI!
E benvenuti a Roma!
Pare inoltre che proprio oggi un povero utente/cliente, ma è meglio definirlo CITTADINO, si sia così arrabbiato da aver rotto il vetro di uno sportello.

Evidentemente questo accade se l'ufficio manda ai pesci i propri clienti.

E se questo è l'andazzo burocratico per le cose idiote, figuriamoci per le cose importanti!

Insomma, Roma sta declinando piuttosto male e lo fa purtroppo anche nelle questioni piccole come l'allaccio di una semplice utenza.

SIAMO INDIGNATI! DAVVERO NON SE NE PUO' PIU'. Ma è troppo chiedere di vivere civilmente?

Il concetto di "donna" e Piero Marrazzo

Stilinga è sconcertata da quanto Piero Marrazzo ha rilasciato in un'intervista di Cocita De Gregorio su La Repubblica di oggi, 15.08.11 ed in particolare in merito a questa risposta:


"So che non è bello da sentire e non è facile da dirsi, ma una prostituta è molto rassicurante. È una presenza accogliente che non giudica. I transessuali sono donne all'ennesima potenza, esercitano una capacità di accudimento straordinaria. Mi sono avvicinato per questo a loro. È, tra i rapporti mercenari, la relazione più riposante. Mi scuso per quel che sto dicendo, ne avverto gli aspetti moralmente condannabili, ma è così. Un riposo. Avevo bisogno di suonare a quella porta, ogni tanto, e che quella porta si aprisse".

Cioè per Marrazzo "(...) I transessuali sono donne all'ennesima potenza, esercitano una capacità di accudimento straordinaria.(...)".

Essere donne significa, per Marrazzo e per molti altri uomini ahimè, avere una capacità d'accudimento?

Essere donne vuol dire, per Marrazzo e per molti altri uomini ahimè, essere il "luogo fisico" del "riposo del guerriero"?

Essere donne significa, per Marrazzo e per molti altri uomini ahimè, essere rassicuranti?

Stilinga vorrebbe esporre il suo concetto di essere donna (donna davvero, non trans, non travestita) e si riallaccia alla primissima definizione del dizionario:

"Donna (è) Femmina fisicamente adulta della specie umana".

Appunto fisicamente adulta e appartenente alla specie umana.

Il concetto di donna non è legato per natura a quello di accudimento, semmai lo è in determinati contesti culturali, e non naturali, piuttosto retrogradi e mentalmente conservatori; lo è in quei contesti maschili e machisti in cui la donna risolleva l'uomo dalle fatiche delle battaglie...cioè? cioè roba di 1.000 anni fa.

La donna del 2011, repubblicana ed italiana è una donna che porta a fatica sulle sue spalle le scelte subite di una cultura idiota maschile e dura a morire (ma qui almeno ammazziamola questa mentalità malata) per cui deve smarcarsi dall'essere l'angelo del focolare (immagine proiettata su di lei dalla visione cattolica e pretesca) e cercare semplicemente di essere se stessa: un essere umano con gli stessi sconforti, le stesse paure, le stesse incertezze di coloro che (forse) appartengono alla stessa specie ma sono nati maschi.

In più, la vita è stata preorganizzata per lei, in questo paese aspro (non certo il paese del sole e dei mandolini...), perché ella soffra,  e più dei maschi, sul lavoro, nella società, in famiglia ed in casa.

Perché ella abbia, di fatto, meno diritti e se decide di essere madre debba pure sobbarcarsi il peso dell'accudimento al 100%, in quanto qua in Italia non esistono adeguate strutture che la aiutino a vivere decentemente ed inoltre un donna deve, qualora accade, occuparsi anche della generazione che l'ha preceduta sempre in virtù della pessima dimenticanza statale nei suoi confronti.

Ecco chi è una donna italiana, ma forse lo sono tutte le donne del mondo, e Marrazzo parla di trans come donne all'ennesima potenza? perché  i trans hanno provato ad occuparsi del lavoro, della casa, dei figli e dei genitori e tutto nello stesso momento? perché le trans sanno quanto è duro il mondo italiano verso le donne?

Stilinga si augura che Marrazzo non voglia più usare il concetto di donna e non voglia tanto meno accostarlo a quello di trans. Lo faccia per carità femminile, sempre che abbia del rispetto per il nostro genere.

Le trans non sono donne, sono trans ed esercitano una professione a pagamento.

Le donne sono altro e non sono retribuite per il loro sincero e spontaneo "accudimento" quando abbiano voglia e possibilità di elargirlo, ed inoltre sono molto di più di una "fonte di riposo": sono creative, intelligenti, spiazzanti e critiche, generose e solidali ma pure carogne e meschine, vendicative e gatte morte, artiste e chirurghe, postine ed insegnanti, imprenditrici e cantanti, insomma sono esseri umani pensanti e Mr Marrazzo farebbe bene ad informarsi un po' meglio su cosa esse pensano, desiderano, vogliono, insomma Stilinga trova che Marrazzo sia un analfabeta del genere umano, dei rapporti umani e con rammarico Stilinga trova che Marrazzo non abbia affatto un'ideologia di sinistra, ma ahimè di estrema destra e anche delle più retrive. E strano che non l'abbia ancora capito finora.

Per Stilinga, Marrazzo farebbe bene a rinchiudersi definitivamente in convento cattolico, in seno alla cultura che lo ha allevato ed erroneamente educato, dove sono tutti maschi e con idee sbagliate su cosa sia e cosa debba fare una donna.

E dire che Stilinga lo ha pure votato!!







Le confessioni di Marrazzo di Concita De Gregorio

Le confessioni di Marrazzo


"Perché andavo in via Gradoli"

L'ex governatore del Lazio due anni dopo si racconta. Lo scandalo, le dimissioni, la solitudine. Una confessione: "Ho sbagliato per fragilità, chiedo scusa. Un uomo pubblico deve controllare le sue debolezze". E poi: "Non ero drogato né omosessuale. Ma ricattabile sì. Perché i trans? Sono donne all'ennesima potenza, rassicuranti"

di CONCITA DE GREGORIO

Piero Marrazzo

NEL CORSO di questa intervista, iniziata la sera del primo turno delle amministrative di maggio con le proiezioni che continuamente irrompevano dai cellulari e finita ad agosto a Monterano, borgo abbandonato dove è nata una quercia dentro una chiesa disegnata dal Bernini, Piero Marrazzo ha detto ventiquattro volte "perché io sono il figlio di Joe Marrazzo".



L'ultima volta - era il giorno del congedo di Paolo Ruffini dall'azienda - lo ha detto a proposito della Rai: "Perché io sono entrato per la prima volta alla Rai da bambino per mano a mio padre". Nei primi due incontri, segnati dalla sua estrema diffidenza e in definitiva dal tentativo reciproco di capire se saremmo riusciti a parlare della "cosa", ha raccontato solo della sua famiglia.



Del padre, del padre e poi ancora del padre, per ore. Della madre americana, la cui vita è un romanzo. Delle figlie ragazze, i loro studi. Con grandissima prudenza della moglie Roberta, "certo che la amo ancora, come sempre". In ultimo della loro figlia bambina. Il secondo incontro è finito così, con una lunga pausa alla domanda "come ha raccontato quello che è successo a sua figlia di dieci anni?". Dopo un paio di minuti ha risposto: "Le ho detto che papà è andato alla festa sbagliata". Poi due mesi di silenzio, come se quella frase fosse stato tutto quel che c'era da dire.



Al suo ritorno da un viaggio in Armenia - ha ricominciato a girare documentari per la Rai - ci siamo incontrati di nuovo. Grotta romana di Stigliano, il luogo dove i soldati feriti andavano a recuperare le forze e a curarsi. Catacombe da cui si esce risorti. "Magari funziona", sorride. Una settimana prima otto persone, tra cui tre carabinieri, erano state rinviate a giudizio per tentata estorsione ai suoi danni.

Soddisfatto?

"Come potrei essere soddisfatto? Sono due anni che vivo solo, che non parlo di questo con nessuno, che provo a ritrovare il bandolo della vita. Sono il figlio di Joe Marrazzo, ce la farò. Ce l'ho fatta già. Ma la soddisfazione, mi creda, in questa storia non è contemplata".

Un paio d'ore più tardi ne abbiamo parlato. Avrei solo sei o sette domande, gli ho detto. Cos'è successo davvero quella sera, perché, cosa non si perdona, a chi attribuisce le responsabilità, cosa le è successo nella vita politica e privata in quei mesi, come pensa il futuro, se la politica la tenta ancora o se è una storia finita. Va bene?
"Va bene. Ma solo perché in cima o in coda a queste domande c'è una sola cosa che sento di dover dire. Pubblicamente, alle persone che si sono fidate di me".

Che cosa?

"Che ho sbagliato. Ho fatto un errore. Di questo errore voglio chiedere scusa. Ho sbagliato, scusatemi. Ecco. Solo questo".

Sono passati più di due anni da quel giorno. L'errore è stato andare in via Gradoli, andarci con l'auto di servizio, assumere droga, fidarsi della persona sbagliata, non aver capito, non averlo detto a chi avrebbe potuto, non aver denunciato il ricatto? Di quale errore parla?

"Un errore più grande di tutti questi. Una mia fragilità di fondo, un bisogno privato e così difficile da spiegare, una mia debolezza. Un uomo che assume un incarico pubblico non può avere debolezze. Le deve controllare. Per questo mi sono dimesso, per quanto fossi vittima di un reato come oggi quei rinvii a giudizio dicono. Vittima, non colpevole. Ma l'aspetto giudiziario è secondario: so di non aver commesso reati, di non aver violato alcuna legge. Umanamente però, nei confronti della mia famiglia, e politicamente, verso i miei elettori e la comunità che governavo, ho sbagliato. Così mi sono dimesso".

È andato a far visita a una persona per motivi privati con l'auto di servizio.

"È vero. È stata in molti anni la prima volta che è successo. Avevo sempre usato la mia macchina. Quel giorno ero confuso, stanco, ho avuto un impulso di andare lì subito. Un impulso, ecco un errore grave. C'erano anche ragioni di sicurezza: non avrei mai dovuto muovermi da solo - secondo le regole - e ogni volta che lo facevo era complicatissimo. Quel giorno non ho avuto l'energia di allestire un meccanismo complicato. Ero stanco, volevo andare lì e dimenticare il resto. Ho fatto parcheggiare lontano, ma certo questo non scusa. È stata la prima volta, e naturalmente l'ultima".

C'era della droga nella stanza.

"Non faccio uso di droghe. Mi sarà successo tre o quattro volte nella vita, a distanza di molti anni. Da ragazzo, un paio. Un paio da adulto. Sono pronto a fare l'analisi del capello per dimostrarlo. So che non è un argomento, ma sono certo che moltissimi "insospettabili", anche tra gli attuali miei censori, non potrebbero dire altrettanto. Quel giorno è successo: anche in questo ho sbagliato. Penso al messaggio devastante che ho mandato, soprattutto ai più giovani".

Vedeva abitualmente quella persona? Era come si è scritto "la sua fidanzata"?

"Assolutamente no. Per anni non ho visto nessuno. Mi era capitato in passato di avere rapporti con prostitute, come a volte agli uomini accade - specie se oberati dal dovere di essere all'altezza delle aspettative, pubbliche e private. Ho fatto un intenso lavoro terapeutico in questi anni per capire. Intendo capire le ragioni del mio comportamento".

Un lavoro di analisi?

"Sì. Ho provato a capire attraverso l'analisi, e la parola e l'ascolto, che cosa mi fosse davvero accaduto. Credo di dovere alla terapia molte delle risposte".

Diceva della fatica di essere all'altezza delle aspettative.

"So che non è bello da sentire e non è facile da dirsi, ma una prostituta è molto rassicurante. È una presenza accogliente che non giudica. I transessuali sono donne all'ennesima potenza, esercitano una capacità di accudimento straordinaria. Mi sono avvicinato per questo a loro. È, tra i rapporti mercenari, la relazione più riposante. Mi scuso per quel che sto dicendo, ne avverto gli aspetti moralmente condannabili, ma è così. Un riposo. Avevo bisogno di suonare a quella porta, ogni tanto, e che quella porta si aprisse".

Non c'entra l'omosessualità? Ricorda la battuta del presidente del Consiglio: almeno a me piacciono le donne? Se fosse, lo direbbe?

"La ricordo. Io non sono omosessuale. Non ne faccio un vanto, ma non lo sono. È così. Ho amato solo donne. Moltissimo, e con frequente reciprocità. Dai transessuali cercavo un sollievo legato alla loro femminilità. Il fatto che abbiano attributi maschili è irrilevante nel rapporto, almeno nel mio caso. Non importa, non c'è scambio su quel piano. È il loro comportamento, non la loro fisicità, quello che le rende desiderabili. Ma temo che ogni parola possa suonare come una giustificazione: non è quello che voglio. Quando sei padre le scelte in questo ambito, giuste o sbagliate che siano, se date in pasto alla pubblica opinione fanno male non a te ma ai tuoi figli. È questo che non mi perdonerò mai".

Lei aveva un appuntamento in via Gradoli quella sera?

"Non esattamente. Sono andato per suonare alla porta. Il desiderio è questo: suoni alla porta, e si apre. Poi riposi".

E se l'appartamento fosse stato occupato da altri?

"Sarei andato via".
Un rischio enorme.

"In effetti".

E come spiega allora la trappola. L'orchestrazione, la cocaina, il video?

"Aspettavano che arrivassi. Era successo altre volte. È un giro così. Ho saputo nei mesi successivi che quei cosiddetti rappresentanti dell'ordine erano coinvolti in molti altri episodi. Un sistema. Avrei dovuto accorgermene ma le difese, come le ho spiegato, in quei momenti sono molto basse. Non dimentichi, comunque, che nel mio caso è scattata l'azione giudiziaria solo perché io ho denunciato i fatti. È il nodo centrale: tutto è avvenuto perché ho denunciato, testimoniato. Se non l'avessi fatto nulla sarebbe emerso".

Quanto le costava tutto questo? Come poteva disporre di tanto denaro?

"Sono stato per molti anni un professionista affermato. Non ho accettato la candidatura per motivi economici, sono abituato a vivere del mio. Quello che ho guadagnato è frutto del mio lavoro, ho speso solo soldi miei".

Due persone sono morte: Brenda e il pusher Cafasso. Si è parlato della mano dei Servizi segreti. Si è detto che gli appartamenti di via Gradoli fossero controllati dai servizi.

"L'idea che mi sono fatto è che la dietrologia non aiuta mai a capire. C'è un'inchiesta in corso, bisogna aspettare. I giornali non sempre hanno aiutato la ricerca e la comprensione dei fatti, in questa vicenda. Ho letto in prima pagina sul Corriere un'intervista sulla morte di Brenda che non avevo mai rilasciato".

Quel video girava da mesi.

"Sì, ma nessuno mi stava ricattando. Io l'ho saputo dopo. Ho ricevuto una sola telefonata, non personalmente tra l'altro, molto ambigua. Non ho dato risposta. Non c'era un tentativo di estorsione in corso: se ci fosse stato, le assicuro, lo avrei denunciato mesi prima. Cosa sarebbe cambiato?".

La sua ricandidatura alla Regione, per esempio.


"Non mi sarei mai ricandidato sapendo di essere sotto ricatto. Difatti non è avvenuto".

Berlusconi l'ha avvertita dell'esistenza del video.


"Sì, era il 19 ottobre del 2009".

Cosa le ha detto? Come mai aveva il video?

"Mi ha detto che lo aveva avuto da uno dei suoi giornali a cui era stato offerto. Si è proposto di aiutarmi".

E lei cos'ha pensato? Che volesse aiutarla o tenerla sotto scacco?

"Ho pensato solo che non potevo restare in una posizione di tanta debolezza. Che comunque quella telefonata segnava uno spartiacque. Che non avrei più potuto fare il mio lavoro con la stessa autonomia, responsabilità, libertà. È stato l'inizio della mia decisione di parlare. C'è voluto un po' di tempo, dovevo prima dirlo in famiglia".

Sua moglie non sapeva niente delle sue abitudini, neppure di quelle remote, precedenti al vostro incontro?

"Lei cosa pensa?".

Immagino sia un no. Non ha mai pensato di parlargliene?

"No. Anche questo è stato un errore, di cui non so più come chiederle scusa. Ma è molto complicato, è qualcosa che riguarda davvero le nostre vite private".

Oggi siete separati.

"Purtroppo sì. Sono stati mesi molto duri per lei. Un giorno è persino uscito un articolo di giornale in cui si diceva che ricevevo una transessuale in Regione. Non era vero, non è vero, non l'ho fatto né l'avrei fatto mai. Questa persona è stata probabilmente indotta a dirlo in un tentativo orchestrato da altri di screditarmi anche sul piano della condotta pubblica. Un piano su cui so di non avere macchie. Quando sono andato in Procura a rendere dichiarazioni spontanee sull'episodio mi hanno detto: non c'è alcuna deposizione in proposito, non può dichiarare sul niente".

Lei dice di non avere macchie sul piano della conduzione della Regione. Nei mesi in cui si immaginava che a qualcuno convenisse tenerla sotto ricatto, però, si è molto parlato di alcune sue indulgenze in materia di sanità. Si diceva che Angelucci venisse in Regione in tuta da ginnastica, come fosse a casa sua la domenica, e che la trattasse da padrone.

"Veniva in tuta, è vero. Era un suo problema, non un mio problema. Lo facevo sedere, lo ascoltavo, e poi gli dicevo di no. Ho detto molti no, parlano gli atti per me. La sfido a trovare una singola carta che dimostri un mio trattamento di favore verso gli Angelucci. Non esiste. Al contrario, vedrà. Ho toccato interessi molto consistenti, e non solo a danno dell'imprenditore che lei nomina. La sanità è un territorio esteso, gli interessi sono trasversali. E poi c'è stata la tutela dell'ambiente nelle zone del basso Lazio, gli appetiti dell'edilizia sui parchi, il racket dei rifiuti. A Fondi ho commissariato il mercato ortofrutticolo inquinato dalla camorra e ho fatto saltare le speculazioni urbanistiche intorno al lago dichiarandolo "monumento naturale". Su questo ci sarebbe molto da dire. Ho scontato un isolamento ed un'ostilità assolute, dopo. Bipartisan, si dice in politica".

Si è sentito isolato anche a sinistra?

"Cambiano i caratteri, le modalità private di relazione fra persone. Alcuni sono stati più cortesi e compassionevoli, anche questo può essere umiliante, altri più sferzanti. In sostanza hanno tutti concordato sulla straordinaria opportunità che offriva la mia uscita di scena. Circolavano sondaggi che mostravano come avrei vinto comunque le elezioni. Non me ne sono curato, sono andato via. Avevo sbagliato. Che io sparissi dalla scena pubblica in quel momento - Polverini era la candidata di Fini, ricorda? - faceva comodo e piacere a molti non solo sul piano locale. In ogni caso avevo davvero altro a cui pensare. Per un mese intero sono stato in un convento".

Era Montecassino, da dove ha scritto la lettera al Papa?

"Non ho scritto al Papa. Dopo qualche giorno a Montecassino, e ancora oggi sono grato al Padre Abate e alla comunità monastica per come mi hanno accolto, ho sentito il bisogno di scrivere al cardinal Bertone per spiegare i motivi che mi avevano spinto a chiedere ospitalità. Non erano giorni facili, sapevo quale disagio potevo causare. Il senso di quella lettera era "la mia vita riparte da qui". Ricordo le parole "non posso che sedermi all'ultimo banco". A Montecassino ho ripreso in mano due libri, le confessioni di Sant'Agostino e l'autobiografia di Simenon. Il primo mi ha aiutato a capire che se hai conosciuto il male non devi più nasconderti, devi continuare a guardarlo in faccia. Nella vita di Simenon mi interessava il tema dei sensi di colpa di un padre. Ecco, sono ripartito da questo".

E oggi, che cosa pensa? Tornerebbe in politica? Se ne parla molto.

"Lo so, lo so. So che molti lo temono, anche fra gli "amici". Ho conservato un rapporto straordinario con le persone, con la gente per strada. Mi chiedono sempre, anche stasera - ha visto? - presidente, quando torna? Le persone comuni capiscono benissimo le vicende della vita, sanno distinguere, sanno giudicare e trarre le conseguenze. Sanno anche perdonare, se la colpa è una debolezza e non una frode ai loro danni. Ne sono sicuro, lo so perché lo vedo. La distanza di questa politica dalla vita reale è diventata il vero problema del paese. Hanno paura - tutti, nelle loro blindate stanze - di tutto ciò che è autentico, anche nell'errore. La popolarità, il consenso di chi non sia manovrabile, ricattabile è per loro un pericolo tremendo. È la misura del loro limite. Quelli che si comportano come se avessero un mandato a vita per rappresentare gli altri sono uno dei problemi della nostra politica. Chi governa deve essere chiamato a farlo dai cittadini ed avere la loro fiducia. Parlare di liste civiche, dei protagonismi di questo o quel personaggio in un momento di crisi come questo mi sembra fuori luogo, miope e presuntuoso insieme. Detto questo: da uomo pubblico non ci si dimette".
In che senso?

"Lasci l'incarico, ma non lasci mai il carico di responsabilità che hai agli occhi degli altri. L'ho capito a mie spese. Un giorno Enrico Mentana, col quale avevo lavorato al Tg2, mi ha detto: Piero, è inutile girarci intorno. Ogni uomo pubblico viene ricordato per un episodio e tu sai che lo scandalo è entrato nella memoria collettiva per sempre. È vero, e ho apprezzato la sua franchezza, ma sentivo che c'era qualcosa di più. C'è la vita di un uomo, la vita prima e la vita dopo. Questo la memoria collettiva, per quanto impietosa, non può cancellarlo".
Lei era ricattabile, mi pare che questo resti il punto.

"Ero ricattabile, sì. Infatti è andata com'è andata. Però vorrei che si ricordasse sempre che mi sono dimesso, che era una debolezza privata, che non ho fatto torto a nessuno se non alla mia famiglia. Che la corruzione era in chi avrebbe dovuto proteggerci e non credo alle "mele marce", non posso credere che nessuno vedesse e sapesse tra chi comandava quel nucleo criminale. Che gli interessi enormi che ho toccato sono ancora tutti lì, che le vicende umane sono state devastanti per molti e letali per alcuni. Ma io sono il figlio di Joe Marrazzo, mio padre lo voleva morto la mafia. Ho sbagliato e chiedo scusa, lo chiederei a lui prima che agli altri se fosse qui. Per il futuro vedremo, nessuno di noi può darselo da solo. Sconto il mio errore come è giusto. La vita è davanti".

(15 agosto 2011) da http://www.repubblica.it/

design competitions are the way to get free design job at no cost!

These horrible crisis days are the days of getting free design work without paying designers:
there are many web sites where companies such as important sport/fashion brands decide to create a design competition, (not for designers, but for themself!) with prizes, etc, etc, and in reality they get tons of free design work for nothing!

I do not understand why these huge names of sport, fashion and footwear company do not use their own designers, since they must have some to go on!

So maybe the head hunters made a bad work while they presented candidates to the above mentioned companies? or what? when a designer is hired he/she decides not to create anything?

And most of all PLEASE UNEMPLOYED DESIGNERS DO NOT WASTE TIME WITH THESE USELESS COMPETITIONS! BETTER FIND A REAL JOB!

Bennett & Collins the shoe boutique in Killyleagh




These amazing creations are all handmade: bags and shoes and can be ordered at Bennett&Collins
 in Killyleagh, Northen Ireland.

This shoe boutique follows the client from the initial idea to the delivery of the items, since the products are bespoke and handmade in Italy and England.

E' normale che le borse affondino...

E' normale che le borse affondino: in questi anni solo la disoccupazione è in crescita assieme con la delocalizzazione.

L'affondamento quotidiano dell'economia internazionale, gli scontri di Londra, le rivolte nel nord Africa, etc., etc. sono sintomi della stessa malattia poco e malissimo affrontata e governata: la globalizzazione.

Strano che i capitalisti, i  capitani d'azienda, i manager abbiano pensato che la fabbrica del mondo cinese non avrebbe intaccato le fortezze economiche USA ed europee.

Ma, e questo è gravissimo, delocalizzare significa lasciare macerie sociali nei paesi di provenienza che si sono impoveriti e (attenzione) hanno smesso di comprare (con quali soldi? visto che se si è in cassa integrazione o peggio, a zero euro o zer dollari e allora non c'è proprio lo stimolo ad acquistare?) e se il mondo occidentale smette di consumare (la robaccia economica e usa e getta prodotta in fretta da lavoratori asiatici, dell'est, africani, etc.etc. sfruttatissimi e senza quasi diritti), la globalizzazione si impalla.

Del resto non c'è mercanzia che tenga: la qualità è scomparsa e lo stimolo, ammesso che ci siano i soldi per "consumare" è incenerito.

La cosa bislacca è che i papaveri teorici dell'economia e appunto coloro che hanno sostenuto la delocalizzazione e la globalizzazione non si siamo immaginati la macelleria sociale che determinavano nel mondo occidentale che ora giustamente non ha possibilità di continuare a consumare.