Dal Fatto Quotidiano: La casta ingrassa sulla nostra pelle

LA CASTA INGRASSA SULLA NOSTRA PELLE  di Giorgio Meletti.
NESSUNA TRASPARENZA DA STATO E AZIENDE: COME I POTENTI NASCONDONO I LORO MOVIMENTI


“Non ti rispondo” Così sopravvive il potere.

Un banale confronto storico sarà utile per capire il drammatico problema di trasparenza che grava sull’Italia dell’anno 2011. Trentasette anni fa, l’8 agosto 1974, il presidente americano Richard Nixon fu costretto a dimettersi per non piegarsi all’ordine della Corte Suprema di consegnare alla Commissione d’inchiesta sullo scandalo Watergate i nastri registrati di tutte le sue conversazioni alla Casa Bianca. Il sistema era stato introdotto da John Kennedy 51 anni fa: ogni

respiro del presidente veniva registrato. E il concetto di trasparenza della politica americana imponeva di far ascoltare i nastri agli inquirenti che dovessero verificare qualche caso, diciamo così, dubbio.



L’Italia è ancora all’età della pietra. Politici di ogni rango e valore continuano imperterriti ad accampare pretese di privacy sulle proprie condotte, forse indotti in errore dal fatto che molto spesso gli affari pubblici sono sovrastati dagli interessi privati. Basta elencare la piccola serie di difficoltà incontrati dai cronisti del Fatto negli ultimi giorni per capire che cosa vuol dire remare controcorrente.

Primo caso. Il giornalista Daniele Martini chiede ripetutamente al capo ufficio stampa delle Fs, Federico Fabretti, quanto investano in pubblicità le Ferrovie e a beneficio di quali televisioni o testate cartacee. Ottiene un risposta stupefacente, secondo la quale quei dati non sono a conoscenza dell’ufficio stampa, che sta facendo apposite ricerche presso gli uffici competenti, ma che comunque non ha alcuna intenzione di rendere pubblico il risultato dell’accurata indagine.

Secondo caso. La giornalista Sandra Amurri (qui l’articolo) chiede a Emilia Saugo, capo della segreteria del deputato questore Francesco Colucci, chiarimenti sulle prebende e sulle attività dell’onorevole, che in quanto questore ha voce in capitolo nel piatto ricco delle forniture della Camera. La Saugo reagisce chiedendo ai commessi della Camera di accompagnare “la signora” fuori del palazzo di Montecitorio. I commessi eseguono. Colucci poco dopo commenta l’accaduto con tono disturbato: “Non sono tenuto a dare risposte a chicchessia rispetto all’attività legata al mio incarico istituzionale”. Chicchessia.

Terzo caso. Un giornalista del Fatto chiede all’ufficio stampa del consorzio Patti Chiari, creato dalle banche per migliorare il rapporto di fiducia tra gli istituti di credito e i loro clienti, di quante risorse disponga l’organizzazione per svolgere i suoi compiti di informazione e formazione dei risparmiatori. Si sente rispondere che l’ufficio stampa ignora il dato, e che risulta impossibile, nel pomeriggio di giovedì 22 dicembre, rintracciare qualcuno che sia a conoscenza del misterioso dato. La verità evidente è che anche in questo caso prevale la volontà di occultare al pubblico un’informazione di basilare trasparenza sul funzionamento di una lobby che punta dichiaratamente a condizionare il rapporto tra le banche e i risparmiatori.

Quarto caso. Un anno e mezzo fa Il Fatto quotidiano ha chiesto alla direzione generale della Rai una lista trasparente dei compensi assegnati a collaboratori esterni, società appaltatrici e consulenti. La Rai si è appellata alla tutela della privacy degli interessati, ma, avendo anche un obbligo di trasparenza sui dati richiesti, ha chiesto all’Authority per la privacy un parere. Il parere è arrivato, e ha dato ragione alla richiesta del Fatto: secondo il garante Francesco Pizzetti il diritto dei cittadini a essere informati in modo trasparente sulla destinazione del denaro pubblico prevale su quello alla riservatezza dei beneficiari delle consulenze. Risultato: la Rai ancora non ha fornito i dati richiesti, ed è passato un anno e mezzo.

Abbiamo fatto solo quattro esempi. Si potrebbe continuare a lungo. Un altro caso tra i tanti: gli obblighi di trasparenza imposti dalle leggi e dalle regole della Consob alle società italiane sono molto più blandi di quelli vigenti in altri Paesi più evoluti, Stati Uniti in testa. Così capita che gli uffici stampa delle società italiane quotate anche alla Borsa di New York si rifiutino di dare ai giornalisti italiani informazioni che sono pubblicate nei prospetti informativi obbligatori per il mercato americano.

Spesso i dialoghi surreali di cui sopra avvengono tra giornalisti che danno le notizie e giornalisti, regolarmente iscritti all’Ordine professionale, che lavorano per la comunicazione delle aziende. Per gli uni e per gli altri dovrebbe vale la Carta dei doveri del giornalista, che obbligherebbe i comunicatori d’impresa a “diffondere ogni notizia che ritengano di pubblico interesse”, e quelli delle testate di informazione a diffondere le notizie “nonostante gli ostacoli” e compiendo “ogni sforzo” per garantire “la conoscenza degli atti pubblici”. Solo una cosa hanno dimenticato di scrivere nella Carta dei doveri: l’obbligo di sopportare che altri giornalisti ti trattino da molestatore solo perché fai il tuo dovere.

Da Il Fatto Quotidiano del 24/12/2011.