Il Fatto Quotidiano, 23 aprile 2015 di Roberta De Monticelli
C'è un fenomeno talmente appariscente che non lo vediamo più. Grande come un monumento - talmente familiare che diventa invisibile. O forse è invisibile come l'aria, o perché ci nuotiamo dentro, come pesci nell'acqua. Chiamiamolo con il suo nome. È una specie di conversione di massa. Ma non a Dio, e neppure al nulla.
Non è un'esaltazione di massa, o un suicidio di massa, come la storia umana ne ha visti. È qualcosa di apparentemente più banale. È una conversione alla realtà. "Tutto quel che è reale è razionale" - dice il filosofo che dà ragione alla forza, purché vinca. "Tutto quello che è reale è normale", dice il cinismo - che ha permeato il linguaggio comune. Alla parola "normalità", nel suo uso corrente, non è rimasta più neppure una traccia di quello fra i suoi significati che discendeva direttamente dalla parola "norma".
Normale è ciò che si fa, in particolare contro le norme. Corruzione a norma di legge: non è solo il titolo di un bel libro di Barbieri e Giavazzi sulle Grandi Opere, ma è il nome più generale di quello che ci accade. Tagliamo ormai sistematicamente i vestiti sulla misura delle gobbe. Pare che tornerà presto fuori uno dei vestiti gobbi più carini proposti dal governo Renzi: la modica quantità di frode fiscale. Normale è l'abuso di potere, normale la condanna, ci si rimedia abusando al quadrato: si corre per la presidenza della propria regione, con gli auguri e l'affetto del presidente del Consiglio, un cavillo per non applicare la legge ci sarà pure.
Normale è trafficare con le mafie e governare, anzi essere condannato per associazione a delinquere, quindi vincere le primarie e candidarsi a sindaco. E perché non deve succedere a Giugliano, se dalle Alpi alla Sicilia l'immenso cantiere a delinquere ha prodotto 600 opere incompiute per una voragine di miliardi intascati.
Anzi, che sarà mai un abuso di potere o un'associazione a delinquere, se correre per la presidenza della propria regione non si nega neppure a chi è indagato per disastro e omicidio colposo, anche se il partito che ti sostiene è quello che la regione l'ha massacrata a furia di incuria e cemento. Che sarà mai. Mica han fatto ammazzare e torturare qualcuno, no, questi?
Allora sì che uno lo si punisce, per esempio con la presidenza di Finmeccanica (è noto che per fare i capi d'industria e i capi della polizia le competenze son le stesse). Anche la svendita dell'ultimo bene comune, la bellezza, dalle nostre parti, è a norma di legge. Leggere l'ultimo libro di Tomaso Montanari, Pri - vati del patrimonio (Einaudi, 2015) per credere. Ricorderete la scena del presidente del Consiglio che si fa venir sonno soltanto a nominare la parola "Sovrintendenze": già alla terza sillaba, dice, uno casca addormentato.
L'ha detto e l'ha scritto: ma non è una battuta, è il preciso progetto di smantellare il sistema delle Sovrintendenze per trasformarlo in quello delle Fondazioni, che - dal Museo Egizio di Torino fino al Maxxi di Roma - sono esempi disastrosi di pura e semplice lottizzazione politica del patrimonio.
Né Stato Paternalista-Custode né efficienza economica privatistica, ma molto peggio di entrambe le cose: appropriazione privata di risorse pubbliche, tramite loro concessione da parte delle consorterie politiche alle consorterie amiche.
È parte integrante del progetto massacra-paese che hanno chiamato Sblocca-Italia. Sblocca: proprio perché così chi ci si fosse opposto sembrasse un "bloccatore", uno che mette le pastoie, uno ossessionato dalla conservazione.
Del resto il primo dei beni pubblici è la nostra lingua: corrompiamo anche quella, e addio alla logica, al senso critico, alle distinzioni. Un "conservatore" di museo lo impallina il suo nome: via, via, abolire! Svolta buona!
Piero Calamandrei nel lontano 1954 parlava di "...questa scissione fra popolo e Stato, per cui il popolo ha sentito lo Stato come una oppressione estranea, come una tirannia, come un nemico che stava al di fuori e al di sopra di lui".
Ma oggi? Quando il senso dello Stato come oppressione estranea è espresso da chi lo governa, non è nei confronti dello Stato la sfiducia, ma nei confronti dell'idealità che uno Stato dovrebbe incarnare. Sono gli stessi uomini di Stato che hanno smesso di credere - semmai in Italia abbiano creduto - al valore e all'altezza del loro servizio. Forse sotto sotto è sempre stato così, in Italia.
Don Chisciotte è morto per la Repubblica, ma a governarla è andato Sancho Panza. Ma no, molto peggio. C'è andato don Rodrigo, assieme a don Abbondio, con l'aiuto di Scarpìa. Siamo abituati a legare l'espressione "banalità del male" ai totalitarismi del secolo scorso, alle figure dei gerarchi nazisti o fascisti. Ma questo è sbagliato. Lo stesso errore che hanno fatto i tantissimi che hanno reagito con scherno e incredulità quando "Libertà e giustizia" ha cominciato a denunciare, un anno fa, la svolta autoritaria.
Perché tutti legano alle parole immagini del passato, e non vedendo in giro manganelli e fez credono che siano esagerazioni di gufi e cornacchie. Ma è sempre lo stesso sbaglio. Come i valori non sono cose della tradizione, ma dato nuovo d'esperienza quotidiana, così i disvalori non sono mai gli stessi di prima. Quello che resta uguale, è solo la nostra colpa. La cieca e dissennata assenza, la desistenza di cui parlava Calamandrei.
Della realtà che avanza ha colpa, come al solito, non chi sta al potere, ma chi lo regge, sorregge e legittima: noi. Se lo Stato buono siamo noi, siamo noi anche lo Stato cattivo, quello che sopprime i vincoli di legalità per rafforzare i vincoli di consorteria. L'articolo 1 della nostra Costituzione dice che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. C'è un'ovvia interpretazione che magari non piacerà ad alcuni, ma credo che sia quella buona. La suggerì Gherardo Colombo. È una Repubblica fondata sul lavoro della cittadinanza. Sulla veglia, l'attenzione, l'impegno, la presenza dei cittadini. Tutte cose faticosissime. Senza le quali, la Costituzione si svuota di senso: a quel punto, stravolgerla è facilissimo. Come stanno facendo ora.