ERRI DE LUCA: “In un Paese sotto anestesia, i giovani nascono già vecchi”

di Anotnello Caporale
da: http://www.antonellocaporale.it/2016/04/03/alfabeto-erri-de-luca-in-un-paese-sotto-anestesia-i-giovani-nascono-gia-vecchi/

Erri De Luca, provi a illustrare questo nostro curioso tempo.
È l’età dell’anestesia, del torpore civile, dell’in differenza.
Siamo divenuti ospiti della nostra stessa vita. Come se nulla ci riguardasse immediatamente e completamente.
Ci manca la gioventù. A questa nostra società manca la linfa vitale della giovinezza. Noi vecchi siamo in maggioranza, e chi s’avvia alla vita prende coscienza della realtà dei numeri. Sa che sarà in minoranza e si adegua.
Anestesia, astinenza, astensione.
Sì può declinare anche così. Infatti un governo che chiede l’astensione al referendum sulle trivelle invoca l’astinenza civile, inietta anestetico nelle vene della società. Perciò io credo che il 17 aprile possa essere una prova anche di adrenalina, un risarcimento a noi stessi, alle nostre capacità di ribellione e rivalsa.
Manca la voglia di lottare.
Manca lo spirito di contraddizione, che è spirito essenzialmente giovanile. La voglia di non crederti, di essere scettico per principio, per predisposizione. La mia gioventù era figlia del dopoguerra, ed era una processione di rivolte, una forza inarrestabile di azioni, di energie messe in campo, di disordine creativo. Adesso i vecchi si fanno chiamare diversamente giovani. Siamo giunti al punto della contraffazione culturale, della rivoluzione grammaticale. Ma non dispero. Questo Paese mi riguarda e io sono in campo ogni qualvolta una ragione mi pare giusta, ha dignità di essere difesa, illustrata, denunziata.
Le trivelle, il petrolio, l’oro nero.
E prima la Val Susa e in mezzo gli ulivi pugliesi. Vado dove mi porta la ragione, dove sento il bisogno di stare, la necessità di dar voce.
Il petrolio, adesso.
Oramai non c’è opera pubblica che non sia collaterale a fenomeni di banditismo. E non c’è opera che non arrechi danno al territorio. Come si fa a non mettere in conto che in Val Susa si bucano montagne di amianto? E come si fa a non capire che in Lucania i reflui petroliferi sono veleni puri?
È così banale, così lucente e anche imponente la verità. Eppure facciamo fatica.
Siamo la generazione cavia da un punto di vista storico e biologico. Siamo tecnicamente sottoposti a processi vasti e sconosciuti di aggressione alla nostra salute. C’è una ragione se la vita s’allunga ma s’accorcia l’età del benessere fisico. Viviamo più a lungo ma ci ammaliamo prima. Dai settanta siamo scesi ai sessant’anni.
Il malato è un esubero della modernità?
Il malato è una persona sola, più debole e più fragile anzitutto.
Non teniamo nemmeno più alla nostra sorte.
Se non ti ammali non sai, non credi, non pensi. E se non c’è fermento non hai gambe per muoverti prima.
E se non c’è gioventù.
E se una parte di essa espatria.
È disperante così.
Invece io sono speranzoso e allegro. Giro molto, incontro tanta gente e noto che la presenza femminile è quella che più acutamente indaga e scruta l’orizzonte. Le femmine sono più avanti dei maschi, intorpiditi dall’anestesia. Penso che la classe dirigente che si andrà formando e che governerà l’Italia nei prossimi decenni sarà costituita prevalentemente al femminile.
Lei non si scoraggia.
Non mi posso scoraggiare, non mi devo scoraggiare. Intanto il 17 aprile vedremo chi è superfluo: il governo o il popolo.
Lei crede molto alla prova trivelle?
Sì, può essere una botta di adrenalina e finalmente la cronaca aiuta a capire quanto sia essenziale, utile, meritevole di attenzione la scelta di andare a votare. E votare Sì.
Siamo noi l’ultima istanza.
Bisogna lottare contro fenomeni di banditismo politico.
Banditi addirittura!
Sì, per me sono banditi. E mi compiaccio di non avere nella mia rubrica telefonica un sol numero di essi. Conosco solo gente perbene. La fortuna dell’Italia è che in tanti sono quelli perbene.
Saranno perbene ma vecchi.
O diversamente giovani.
Così camuffiamo.
E i giovani si dicono diversamente adulti.
Sembrano spompati.
Sono solo consapevoli di essere in minoranza e si adeguano.
Conformisti.
Il conformismo muove da una necessità. Perciò bisogna battersi per sovvertire questa logica. Io ci sono. Non giro l’Italia per promuovere i miei libri, ma per cogliere le luci che si accendono, le piccole e anche minuscole battaglie che avanzano ovunque, malgrado il silenzio colluso di gran parte dell’informazione.
C’è speranza dunque?
Eccome se c’è!
Da: Il Fatto Quotidiano, 2 aprile 2016

Le papere della fontana dei Quattro Fiumi di Piazza Navona!
















Una discarica sottomarina nel Canale di Sicilia

da: http://www.huffingtonpost.it/greenpeace-italia/discarica-sottomarina-canale-sicilia_b_9599802.html?utm_hp_ref=italy

L'indagine dei giornalisti investigativi di "Italian Offshore" fa emergere che la piattaforma Vega - tra il 1989 e il 2007 - ha illecitamente smaltito poco meno di mezzo milione di metri cubi di acque inquinate con metalli, idrocarburi ed altre sostanze. L'accusa è di "attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti". Non molto diversa da quella che ha portato al recentissimo intervento della magistratura in Val d'Agri.
In breve, la piattaforma Vega trasferiva le acque contaminate derivanti dal processo di estrazione di petrolio, a una nave appoggio, la Vega Oil (una ex petroliera) che poi illegalmente iniettava queste acque, assieme alle acque di sentina e alle acque di lavaggio della nave stessa, in un pozzo petrolifero sterile, alla profondità di 2.800 metri circa.
Praticamente, a una ventina di chilometri dalle coste siciliane, è stata creata una pericolosa discarica sottomarina che rischia di contaminare per secoli i fondali del Canale di Sicilia.
Il processo sul traffico di rifiuti del Campo Vega è iniziato nel 2007 e ormai si avvia alla prescrizione. I documenti di ISPRA sono del 2010. Come è stato possibile che il Ministero dello Sviluppo Economico nel 2012 abbia concesso una proroga alla continuazione di questa attività?
Quella proroga consente addirittura di realizzare nuovi pozzi nel campo Vega. Il "piano di lavoro" prevede infatti la realizzazione di un'altra piattaforma (Vega B) e la trivellazione di altri 12 nuovi pozzi: che si faranno nonostante il divieto di trivellazione entro le 12 miglia perché autorizzati prima.
Se passa il Sì al referendum del 17 aprile difficilmente Vega B si farà.

Il caso della piattaforma "Vega" di Edison. Ministero Ambiente chiede danni, Governo autorizza raddoppio. E il processo finirà in prescrizione

da: http://www.huffingtonpost.it/2016/04/01/piattaforma-vega-edison_n_9592038.html?utm_hp_ref=italy

Prima ti chiedo i danni, poi ti premio. Il governo ha recentemente dato il via libera al raddoppio della piattaforma petrolifera Vega A, nel canale di Sicilia, gestita dalla società Edison, nonostante il ministero dell'Ambiente si sia costituito parte civile contro 6 manager e dirigenti del colosso energetico italo-francese in un processo per smaltimento illecito di rifiuti in corso presso la procura di Ragusa. Il ministero dell'Ambiente ha chiesto un risarcimento per ingiusto profitto pari a 69milioni di euro, come ha riportato il mensile siciliano “S”, diretto da Antonio Condorelli. Il procedimento giudiziario è aperto dal 2007, ma tra rinvii e vizi di forma non si è ancora chiuso il primo grado. Il 5 maggio a Ragusa si svolgerà l'udienza che probabilmente sancirà la prescrizione dei reati per i manager di Edison, difesi dagli avvocati Tullio Padovani e Marco De Luca, tra i più noti penalisti italiani.
Fin qui la cronaca giudiziaria. Poi viene quella politica: il 16 aprile 2015 il ministero dell'Ambiente ha dato parere positivo alla Valutazione di impatto ambientale per il raddoppio della piattaforma e il 13 novembre dello stesso anno il ministero dello Sviluppo economico ha concesso il rinnovo del permesso per 10 anni. A meno di 12 miglia dalla riserva naturale del fiume Irminio, tra Ragusa e Scicli, Edison potrà costruire una seconda piattaforma petrolifera offshore, Vega B, per continuare a sfruttare il giacimento, attivo dal lontano 1984. L'autorizzazione è arrivata subito prima dello stop alle nuove perforazioni sotto le 12 miglia deciso dal governo con l'ultima legge Finanziaria, entrata in vigore il primo gennaio 2016. Le motivazioni del via libera ministeriale appaiono paradossali: “La società ha ottemperato ai termini di buona gestione del giacimento...”, scrive il Mise in una nota del 12 dicembre 2014. Lo stesso governo che chiede ad Edison i danni in giudizio, la promuove a pieni voti nel momento in cui concede il rinnovo del permesso. In sintesi: grazie alla prescrizione Edison non pagherà i danni procurati, ma incassa dal governo un rinnovo della concessione per un decennio, alla modica cifra di un canone di appena 87 euro l'anno a chilometro quadrato, e con royalties da pagare allo Stato pari ad appena il 7% dei proventi (le royalties italiane sono le più basse d'Europa).
Il danno
A scoprire il presunto reato è stato il comandate Antonio Donato, allora al vertice della capitaneria di Pozzallo, oggi comandante ad Augusta, che nel 2007, durante una verifica ordinaria, notò che la società Edison non aveva riportato nei registri lo smaltimento dei rifiuti della piattaforma. Secondo i documenti dell'Ispra, redatti da Luigi Alcaro e Ezio Amato e finiti agli atti del processo di Ragusa, confermati dalla perizia della procura l'Edison tra il 1989 e il 2007 avrebbe iniettato illegalmente nel pozzo sterile V6, a 2.800 metri di profondità, ingenti quantità di rifiuti petroliferi altamente inquinanti: 147mila metri cubi di acque di strato, liquidi che si trovano nel sottosuolo insieme agli idrocarburi, contenenti alte concentrazioni di metalli pesanti e idrocarburi; 333mila metri cubi di acque di lavaggio delle cisterne della nave di stoccaggio del greggio denominata Vega Oil; e persino 14mila metri cubi di acque di sentina. In totale quasi mezzo milione di metri cubi di liquidi altamente inquinanti, definiti dalla legge “rifiuti speciali”. Mezzo miliardo di litri, l'equivalente del contenuto di 12.500 autocisterne. Secondo Ispra, se Edison avesse smaltito questi rifiuti seguendo le indicazioni di legge, avrebbe dovuto spendere ben 69milioni di euro. Secondo la procura «gli imputati si sono resi responsabili di gravi e reiterati attentati alla salubrità dell'ambiente e dell'ecosistema marino», mettendo in pratica «per pura finalità di contenimento dei costi e quindi di redditività aziendale, modalità criminali di smaltimento dei rifiuti pericolosi». Inoltre, specifica la Procura, gli imputati avrebbero immesso «negli strati geologici profondi sostanze, tra cui acido cloridrico, che hanno modificato le caratteristiche morfologico-strutturali» del sottosuolo marino, con l'obiettivo di aumentare la ricettività del pozzo.
Le conseguenze ambientali elencate dal Pm Francesco Puleio appaiono molto gravi: "dispersione e sversamento di idrocarburi e sostanze inquinanti nelle acque marine: contaminazioni ambientali per l'ecosistema marino, inquinamento delle falde idriche profonde, rischio di sismicità indotta". Il problema, conferma Alessandro Giannì direttore delle campagna di Greenpeace è che il pozzo in cui i rifiuti sono stati iniettati è sterile proprio perché potrebbe non essere a tenuta stagna. "Un giacimento petrolifero è come una botte, che è piena di idrocarburi solo se c'è un coperchio che la impermeabilizza. Il pozzo in cui sono stati iniettati questi rifiuti non ha il tappo, è come se fosse una botte con un buco". Secondo Giannì la vicenda di Vega potrebbe aver creato un danno ambientale molto grave: "I liquidi iniettati potrebbero disperdersi per anni nell'ambiente: praticamente abbiamo creato sul fondo del mare una discarica abusiva che potrebbe rilasciare veleni nell'ambiente per un periodo di tempo che non possiamo definire con esattezza, forse secoli". Non solo. Secondo Giannì "Edison sapeva di iniettare inquinanti in un pozzo non a tenuta, come dimostra il fatto che l'azienda abbia usato degli acidi per “allargare il buco", peggiorando una situazione già compromessa".
Il rinnovo
Nonostante questi precedenti, le pratiche per il rinnovo della concessione e per la costruzione della nuova piattaforma VegaB, inoltrate ai ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo dalla società Edison non hanno avuto particolari intoppi. Eppure la richiesta ha un problema immenso: l'area scelta per la realizzazione della piattaforma VegaB ricade all'interno della fascia di protezione delle 12 miglia dal sito di interesse comunitario (Sic) “Fondali e foce del fiume Irminio”. La legge impedirebbe di costruire nuove piattaforme così vicino a un'area protetta. Ma secondo i due ministeri la nuova piattaforma sarebbe nient'altro che il completamento del vecchio programma di lavori, approvato nel 1984, 32 anni fa. Sulle autorizzazioni concesse dal governo, Legambiente, Greenpeace e il Touring club hanno presentato ricorso al Tar del Lazio. A detta delle organizzazioni ambientaliste il governo avrebbe dovuto rigettare al mittente le richieste di autorizzazioni per numerosi inesattezze e irregolarità.
Il referendum
La vicenda di Vega incrocia anche il referendum sulle piattaforme offshore del 17 aprile, che riguarda la prorogabilità dei permessi petroliferi sotto le 12 miglia. Se nelle urne dovesse prevalere il “sì” l'investimento previsto da Edison per il raddoppio della piattaforma, circa 100 milioni di euro, potrebbe essere bloccato. Il rinnovo del permesso, infatti, scadrà nel 2022, e poiché si tratta di una concessione sotto le 12 miglia, in caso di vittoria dei “sì” non potrebbe più essere rinnovato: una durata troppo breve per ammortizzare i costi di costruzione e sviluppo di una nuova piattaforma offshore.
Salvatore Altiero, Manuele Bonaccorsi, Marcello Brecciaroli fanno parte di Italian Offshore un gruppo di inchiesta che ha vinto il premio Dig (Documentari, Inchieste, Giornalismi) del 2015, con un progetto di documentario sulle trivellazioni petrolifere nei mari italiani. Il gruppo ha lanciato una campagna di crowdfunding, sulla piattaforma indiegogo

Casse di risparmio tedesche contro il "Bazooka" di Draghi...ma stanno nascondendo i loro problemi

da: http://www.repubblica.it/economia/2016/03/09/news/casse_di_risparmio_tedesche_contro_il_bazooka_di_draghi-135096728/



Hanno minacciato di non depositare più soldi presso la Bce se non viene abbandonata la politica dei tassi bassi. E ora i piccoli risparmiatori potrebbero cavalcare la protestadal nostro corrispondente TONIA MASTROBUONI


09 marzo 2016



BERLINO - Le casse di risparmio tedesche, le potenti Sparkassen, hanno dichiarato guerra a Mario Draghi. E una vera e propria ondata di isterìa sulle mosse della Bce sta investendo le assicurazioni, i grandi investitori, i fondi pensione in tutta la Germania. Che rischia di contagiare, anche a causa di un'incauta campagna mediatica, persino i piccoli risparmiatori.

Alla vigilia di una attesa riunione del consiglio direttivo, si moltiplicano i segnali di una rivolta nel sistema finanziario tedesco contro la lunga stagione dei tassi bassi. Un'ondata di "angst", di angoscia collettiva che potrebbe essere aggravata dopo l'appuntamento di domani, dove la maggior parte degli analisti si aspetta un taglio ulteriore dei rendimenti sui depositi e una generosa estensione del programma di acquisti dei titoli avviato l'anno scorso.
Le Sparkassen bavaresi hanno già minacciato la scorsa settimana di non depositare più i soldi presso la Bce - secondo la maggior parte degli analisti la "sanzione" sui depositi a breve potrebbero essere portata a 0,4/0,5% - e di tenerli nei forzieri. Ieri l'associazione che le riunisce a livello federale - sono circa 430 - ha fatto trapelare un rapporto di fuoco sugli effetti dei rendimenti al lumicino.

Il documento parla di "interventi frettolosi di politica monetaria che alimentano il clima da crisi e la perdita di fiducia nell'eurozona". Una prosecuzione della politica dei tassi minimi danneggerebbe i risparmiatori e chi vuole investire in assicurazioni sulla vita e fondi pensione, sostengono gli economisti delle casse di risparmio. Che suggeriscono di smetterla di adottare mosse espansive di politica monetaria e di abbassare l'obiettivo di inflazione della Bce dall'attuale 2%. Sembra demenziale, ma è una proposta seria...

In più, i media tedeschi fanno circolare da tempo un pericolosissimo quanto improbabile scenario. Prima o poi i tassi di interesse negativi - attualmente vengono applicati solo ai soldi depositati a brevissimo termine presso la Bce - potrebbero essere scaricati persino sui clienti. In Svizzera succede già: la Banca centrale elvetica applica il -0,75% alle banche da tempo. E da quest'anno la piccola Alternative Bank Schweiz li scarica su chiunque depositi anche solo un euro nei suoi forzieri. Altri istituti lo fanno solo oltre una certa soglia, ad esempio sui depositi oltre i 100mila euro. Ma il tabù, sostiene la stampa tedesca, è rotto e può contagiare anche la Germania.

Intanto, le piccole e grandi banche tedesche si stanno già "vendicando" del tasso negativo sui grandi clienti come i fondi pensione, che hanno l'abitudine di parcheggiare milioni di euro per periodi brevi presso di loro. Da quando queste ultime sono "punite" dal rendimento negativo sui depositi dell'Eurotower, perdono margini di guadagno. Dunque hanno deciso di trasferire quella sanzione sugli investitori di peso. Ad aprire le danze è stato, all'inizio del 2015, un piccolo istituto della Turingia, la Skatbank. Ma nel frattempo persino il colosso Commerzbanz ha cominciato a scaricare all'esterno i rendimenti negativi che subisce per parcheggiare i soldi a breve presso la Bce.

L'agitazione delle Sparkassen è difficile da ignorare. Lungi dall'essere un esempio di virtù, le casse di risparmio locali vantano tuttavia un asset da mille miliardi di euro - pari al 40% del sistema creditizio tedesco - hanno cinquanta milioni di clienti in Germania e sono da sempre considerate il simbolo del piccolo risparmiatore. Ma sono anche l'emblema di un sistema bancario pericolosamente legato alla politica e da sempre messo al riparo da qualsiasi tentativo di supervisione europea. Sono dei veri e propri potentati locali i cui margini di guadagno, a causa dei tassi di interesse quasi azzerati, si stanno talmente riducendo da metterne seriamente a repentaglio la sopravvivenza.
Mesi fa le Sparkassen avevano commissionato ad un esterno un rapporto sugli effetti della stagione dei tassi quasi azzerati sul loro futuro. Guarda caso, il documento redatto dall'economista Bernd Nolte, capo di 4P Consulting, non è mai stato pubblicato. Un quotidiano lo ha intercettato: il verdetto è devastante. Parla del rischio di una "crisi tedesca delle banche locali". 
Da qui al 2018 le politiche monetarie iper accomodanti rischiano di portare sull'orlo del collasso due terzi delle casse di risparmio. 
L'associazione delle Sparkassen ha replicato che si tratta di uno scenario "non realistico" che parte da "assunzioni sbagliate". 
Ma è ovvio che i rendimenti bassissimi danneggino anzitutto gli istituti di credito concentrati sul risparmi. Del resto, nelle settimane scorse è stato lo stesso presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, a mettere in guardia dagli effetti dei tassi bassi: entro il 2019 rischiano di mangiarsi fino al 75% degli utili delle banche. E intanto, secondo quanto emerso ieri dai database delle banche centrali, il QE sta gonfiando il bilancio della Bce: al momento vale il 25% del Pil dell'Eurozona, contro il 27% della Fed sull'economia Usa. Un divario che sarà rapidamente superato con l'attesa espansione dell'acquisto di titoli.

E Stilinga è convinta che è arrivato il momento in cui i tedesci e le sparkasse facciano i compiti a casa! e siano supervisionati dall'Europa. Insomma, un po' di giustizia ai fetosi tedeschi non guasterebbe!

La terra dei fuochi e i terreni coltivati: situazione atomica!


http://www.iene.mediaset.it/puntate/2016/02/23/toffa-la-terra-dei-fuochi_10020.shtml

http://mdst.it/03v596942/

E gli agricoltori ancora coltivano e distribuiscono per l'Europa con la GDO pomodori, melanzane, zucchine, cavolfiori, peperoncini, pesche noci tossici e pieni di metalli pesanti. 

E i controllori e i politici non fanno nulla, anzi non hanno fatto nulla per 20 anni e anzi per evitare il panico (de che? e speriamo che presto gli stessi idioti politici si mangino belle minestre e macedonie ai metalli pesanti così vediamo cosa provano quando poi andranno nei reparti di oncologia, altro che panico) nella popolazione si sono messi l'acqua in bocca (all'arsenico se spera) e hanno continuato come sempre a promettere, a non realizzare e ad andare avanti. 

Italiani alziamo la testa e pretendiamo bonifiche e distruzione dei prodotti tossici e risoluzione della terra dei fuochi.


Equality! Now! Oxfam says wealth of richest 1% equal to other 99%

From: http://www.bbc.com/news/business-35339475

Oxfam says wealth of richest 1% equal to other 99%

The richest 1% now has as much wealth as the rest of the world combined, according to Oxfam.
It uses data from Credit Suisse from October for the report, which urges leaders meeting in Davos this week to take action on inequality.
Oxfam also calculated that the richest 62 people in the world had as much wealth as the poorest half of the global population.
It criticised the work of lobbyists and the amount of money kept in tax havens.
Oxfam predicted that the 1% would overtake the rest of the world this time last year.
It takes cash and assets worth $68,800 (£48,300) to get into the top 10%, and $760,000 (£533,000) to be in the 1%. That means that if you own an average house in London without a mortgage, you are probably in the 1%.
The figures carry various caveats, for example, information about the wealth of the super-rich is hard to come by, which Credit Suisse says means its estimates of the proportion of wealth held by the 10% and the 1% is "likely to err on the low side".
As a global report, the figures also necessarily include some estimates of levels of wealth in countries from which accurate statistics are not available.

'Misleading'

Some free market think tanks questioned the credibility of the figures.
The Institute of Economic Affairs' director general Mark Littlewood said the statistics were "bogus".
"The methodology of adding up assets and subtracting debts and then making a global 'net wealth' distribution implies that many of the poorest in the world are those in advanced countries with high debts. Whilst we might have sympathy for the Harvard law graduate's plight, it is unclear that worrying about her should be the focus of a development organisation," he said.
The Adam Smith Institute's head of research Ben Southwood also said the data was "misleading".
"More meaningful measures show greater equality. Those in the middle and bottom of the world income distribution have all got pay rises of around 40% between 1988-2008. Global inequality of life expectancy and height are narrowing too—showing better nutrition and better healthcare where it matters most.
"What we should care about is the welfare of the poor, not the wealth of the rich," he added.
Oxfam said that the 62 richest people having as much wealth as the poorest 50% of the population is a remarkable concentration of wealth, given that it would have taken 388 individuals to have the same wealth as the bottom 50% in 2010.
Chart comparing wealth of richest 62 people with the bottom 50%
"Instead of an economy that works for the prosperity of all, for future generations, and for the planet, we have instead created an economy for the 1%," Oxfam's report says.
The trend over the period that Credit Suisse has been carrying out this research has been that the proportion of wealth held by the top 1% fell gradually from 2000 to 2009 and has risen every year since then.
In fact, it is only in the 2015 figures that the proportion held by the top 1% overtakes the share taken by them in the first report in 2000.
Oxfam calls on governments to take action to reverse this trend.
It wants workers paid a living wage and the gap with executive rewards to be narrowed.
It calls for an end to the gender pay gap, compensation for unpaid care and the promotion of equal land and inheritance rights for women.
And it wants governments to take action on lobbying, reducing the price of medicines, taxing wealth rather than consumption and using progressive public spending to tackle inequality.

Quando ho scoperto le disuguaglianze

da: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/02/10/quando-ho-scoperto-le-disuguaglianze49.html

Nessuno oggi può negare che esista negli Stati Uniti una grande frattura tra i super ricchi – a volte definiti l'1 per cento – e gli altri. La loro vita è diversa: hanno preoccupazioni, aspirazioni e stili di vita diversi. Gli americani comuni si preoccupano di come pagheranno il college ai figli, di che cosa succederebbe se qualcuno in famiglia si ammalasse seriamente, di come faranno quando andranno in pensione. Negli abissi della Grande recessione, decine di milioni di persone si chiedevano se sarebbero riuscite a conservare la loro casa. Milioni di esse non ci sono riuscite.

Gli appartenenti all'1 per cento – e ancor più i membri del primo 0,1 per cento – discutono di altre questioni: che tipo di jet comprare, o il modo migliore per nascondere il reddito al fisco («Cosa accadrebbe se gli Stati Uniti dovessero premere per la fine del segreto bancario in Svizzera? Poi verrebbero le Isole Cayman? E Andorra: è sicura? »). Sulle spiagge di Southampton, a Long Island, si lamentano del rumore che fanno i vicini con l'elicottero quando tornano da New York. Si preoccupano anche di che cosa succederebbe se dovessero cadere dal piedistallo: significherebbe cadere da una certa altezza, e in rare occasioni avviene.

Non molto tempo fa, mi trovavo a una cena offerta da un brillante e preoccupato membro dell'1 per cento. Consapevole della grande frattura, il nostro ospite aveva radunato importanti miliardari, accademici e altri personaggi allarmati dalla disuguaglianza. Dopo i primi convenevoli, udii un miliardario – che si era affacciato alla vita ereditando una fortuna – discutere con un altro del problema degli americani scansafatiche che stavano cercando di vivere alle spalle degli altri. Poco dopo, i due passarono senza soluzione di continuità a parlare dei paradisi fiscali, apparentemente ignari dell'ironia. Più volte, quella sera, i plutocrati riuniti evocarono Maria Antonietta e la ghigliottina mentre si rammentavano reciprocamente i rischi di lasciar crescere troppo la disuguaglianza: «Ricordati della ghigliottina» era il ritornello. E ripetendo il ritornello concordavano implicitamente: il livello di disuguaglianza in America non è inevitabile, non è il risultato di leggi economiche inesorabili. È questione di politica e di politiche. E possibile, sembrava che dicessero quei potenti, porvi rimedio.

Questo è soltanto uno dei motivi per via dei quali i timori riguardo alla disuguaglianza sono diventati materia urgente anche tra l'1 per cento: sono sempre più numerosi gli appartenenti a questo gruppo consapevoli del fatto che una crescita economica sostenuta, condizione della loro stessa prosperità, non può aver luogo mentre la grande maggioranza dei cittadini ha redditi stagnanti.

Nel 2014, al raduno annuale dell'élite mondiale a Davos, Oxfam ha presentato con ineludibile chiarezza la misura della crescente disuguaglianza globale ricorrendo a un esempio: quell'anno, un autobus contenente 85 miliardari del mondo avrebbe trasportato una ricchezza pari a quella della metà inferiore della popolazione globale, qualcosa come tre miliardi di persone. Nel giro di un altro anno l'autobus si sarebbe rimpicciolito: sarebbero bastati 80 posti. In modo altrettanto drammatico, Oxfam rivelò che il primo 1 per cento degli abitanti del pianeta possedeva quasi la metà della ricchezza mondiale ed entro il 2016 ne avrebbe posseduta tanta quanta il restante 99 per cento complessivamente.

La grande frattura incombeva da tempo. Nei primi decenni successivi alla Seconda guerra mondiale la crescita nel nostro paese tenne un passo mai visto prima, e interessò l'intera popolazione. Tutti i segmenti della società videro aumentare il proprio reddito: era una prosperità condivisa. I redditi di chi stava in basso crescevano più velocemente di quelli di chi stava in cima.

Fu un'età dell'oro in America, ma i miei giovani occhi vi scorgevano già qualche ombra. Mentre crescevo – sulla sponda meridionale del lago Michigan, in una delle città industriali simbolo del paese, Gary, nell'Indiana – vedevo intorno a me povertà, disuguaglianza, discriminazione razziale e a volte disoccupazione, mentre una recessione dopo l'altra colpiva la nazione. I conflitti sociali erano all'ordine del giorno, perché i lavoratori lottavano per ottenere una giusta parte della meritatamente acclamata prosperità americana. Ascoltavo la retorica della società statunitense quale società della classe media, ma perlopiù la gente che vedevo occupava i livelli più bassi di quella presunta società della classe media, e le loro voci non erano fra quelle che incidevano sulla realtà del paese.

Non eravamo ricchi, ma i miei genitori avevano adeguato il loro stile di vita al reddito che percepivano, il che alla fine fa molto. I miei vestiti erano quelli che mi passava mio fratello e che mia madre comprava sempre durante i saldi [...]. Insieme a molti miei contemporanei, anelavo a un cambiamento. Ci veniva detto che cambiare la società era difficile, che ci voleva tempo. Anche se non avevo patito il genere di difficoltà che tanti miei amici affrontavano a Gary (a parte un po' di discriminazione), mi identificavo con loro. Mancavano decenni al giorno in cui avrei esaminato nei dettagli le statistiche sui redditi, ma sentivo che l'America non era la terra di opportunità che dichiarava di essere: esistevano grandi occasioni per alcuni, ma poche per altri. I racconti di Horatio Alger, almeno in parte, erano favole: molti americani che lavoravano duramente non ce l'avrebbero mai fatta. Eppure fui uno dei fortunati ai quali il paese offrì un'opportunità: una borsa di studio nazionale al merito presso l'Amherst College. Più di qualunque altra cosa, quell'opportunità apriva un mondo di altre opportunità nel corso del tempo. [...] Purtroppo, a causa della crescente disuguaglianza, il modello economico statunitense non ha funzionato per ampie fette della popolazione: la tipica famiglia americana oggi sta peggio di come stava venticinque anni fa, tenendo conto dell'inflazione. La percentuale dei poveri è aumentata. Benché l'espansione della Cina sia anch'essa caratterizzata da elevati livelli di disuguaglianza e da un deficit di democrazia, la sua economia funziona meglio per la maggior parte dei suoi abitanti, avendone fatti uscire dalla povertà qualcosa come 500 milioni nello stesso periodo in cui la stagnazione imprigionava la classe media americana.

Un modello economico che non serve alla maggioranza dei suoi cittadini difficilmente può assumere il ruolo di modello da emulare per altri paesi.[…] Di fatto, la crisi non è stata il frutto di un volere divino, come un diluvio o un terremoto che capita un'unica volta in un secolo. È stata una cosa che ci siamo procurati da soli: al pari della nostra smisurata disuguaglianza, è stata il risultato delle nostre politiche e della nostra politica.

© 2015 Joseph E. Stiglitz. All Rights Reserved.

Published by arrangement with Agenzia Letteraria Santachiara Pubblichiamo parte dell'introduzione a La grande frattura in uscita da Einaudi




* IL LIBRO La grande frattura

( Einaudi, trad. di D. Cavallini e M. L. Chiesara pagg. 435 euro 22)
Joseph E. Stiglitz

Deputati, assessori e giudici: ecco chi sono i 30 mila pensionati «d’oro»


di Enrico Marro

La politica li ha tenuti al riparo dalle riforme che negli ultimi 25 anni hanno invece tagliato la previdenza dei comuni mortali. Assegni che oscillano in media tra i 40 mila e i 200 mila euro all’anno.


Ci sono circa 30 mila pensioni in Italia che rappresentano un mondo a parte, di assoluto privilegio, che la politica ha tenuto al riparo dalle riforme che negli ultimi 25 anni hanno invece tagliato la previdenza dei comuni mortali. Sono le pensioni del personale della Camera e del Senato; quelle degli ex deputati e senatori (ipocritamente definite «vitalizi»); le pensioni dei dipendenti della Regione Sicilia; quelle del personale della presidenza della Repubblica; quelle dei dipendenti della Corte Costituzionale e degli ex giudici della stessa; i vitalizi degli ex consiglieri regionali. 

Di questi assegni, che oscillano in media tra i 40 mila e i 200 mila euro all’anno, si sa poco o nulla, se non appunto che sono d’oro e costruiti su regole di assoluto favore. Eppure da dodici anni c’è una legge che imporrebbe di conoscere tutto di queste pensioni, i cui dati dovrebbero essere trasmessi al Casellario centrale della previdenza. Solo che la legge viene disattesa. E non si trova il modo di farla rispettare, perché gli organi costituzionali invocano l’autodichia, cioè il principio di autonomia regolamentare garantito dalla carta fondamentale, e la Sicilia il suo statuto speciale.



Il rapporto

Un tentativo di censire questo piccolo paradiso delle pensioni è contenuto nel rapporto «ll bilancio del sistema previdenziale italiano» appena diffuso dal centro studi di Itinerari previdenziali, presieduto da Alberto Brambilla, esperto di pensioni ed ex presidente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale presso il ministero del Lavoro, istituito dalla legge Dini del 1995. Il Nucleo è poi stato chiuso nel 2012. Ma Brambilla ha continuato a sfornare il rapporto annuale, aiutato dai migliori esperti del settore. E nell’ultima edizione, «per la prima volta», ha inserito un capitolo dedicato a quello che viene definito «l’altro sistema previdenziale», quello appunto che si sottrae a tutte le riforme. «Reperire questi dati è difficile – si sottolinea – poiché mancano le informazioni di questi soggetti che non comunicano i dati, come previsto dalla legge 243 del 23 agosto 2004, al Casellario centrale». Non si sa, in particolare, quanti contributi vengono pagati e quante pensioni e per quali importi sono erogate.


I dati e la mancata trasparenza

Ad oggi, le amministrazioni ed enti che non comunicano i dati sono: Camera e Senato, che hanno proprie regole previdenziali approvate dagli stessi parlamentari sia per i propri dipendenti sia per deputati e senatori; la Regione Sicilia, «che gestisce un fondo di previdenza sostitutivo per i propri dipendenti», quindi fuori dal regime Inps; la Corte costituzionale per i giudici e i propri dipendenti (anche qui vige un regolamento interno); la Presidenza della Repubblica per il proprio personale; le Regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale per le cariche elettive. Infine, c’è lo strano caso del Fama («una anomalia tutta italiana»), il Fondo agenti marittimi ed aerei, con sede a Genova, che gestisce la previdenza per gli agenti marittimi: «Non pubblica dati» e «non risulta sottoposto a particolari controlli», dice il Rapporto.

Un mondo a parte

Per ovviare a questa situazione, gli esperti coordinati da Brambilla hanno esaminato i bilanci degli enti e degli organi costituzionali per scattare una prima fotografia di questo mondo a parte. I dati sono contenuti nella tabella che pubblichiamo.

Le 29.725 pensioni d’oro censite costano più di un miliardo e mezzo l’anno. 

Gli assegni medi oscillano tra i circa 40 mila euro lordi dei 16.377 pensionati della Regione Sicilia (3.338 euro al mese) ai 200 mila euro dei 29 ex giudici costituzionali (16.666 al mese), passando per i circa 91 mila euro dei vitalizi di Camera, Senato e Regioni (7.583 al mese), i 55 mila euro dei pensionati ex dipendenti del Parlamento e del Quirinale (4.583 al mese), che stanno un po’ peggio – si fa per dire – di quelli della Consulta, che ricevono in media 68.200 euro (5.683 al mese). Per avere un’idea di quanto siano ricchi questi assegni, basti dire che la pensione media dei dipendenti statali è di 26 mila euro lordi l’anno (2.166 euro al mese), quella dei dipendenti privati di 12.500 euro (1.041 al mese), quella degli avvocati di 27 mila euro (2.250 al mese) e quella dei dirigenti d’azienda di 50 mila (4.166 al mese).



Regole «autonome»

Ma non c’è solo questa sperequazione negli importi. C’è che le pensioni dell’«altra previdenza» hanno seguito sempre proprie regole sull’età di pensionamento, infischiandosene delle riforme generali. Sulla base di anacronistici e malintesi principi di autonomia hanno subito solo qualche timido correttivo ai loro privilegi e comunque con molto ritardo. Prendiamo i parlamentari. Fino al 1997 bastava aver fatto una legislatura (anche se le camere erano state sciolte anticipatamente) per andare in pensione a 60 anni e per ogni ulteriore legislatura il limite per ottenere il vitalizio si abbassava di 5 anni. Solo dal 2012 l’età di pensionamento è stata portata a 65 anni e servono 5 anni effettivi di legislatura. E comunque per ogni anno in più di presenza in Parlamento l’età pensionabile scende di un anno fino al limite dei 60 anni. Giova ricordare che per i comuni mortali, nel regime Inps, servono 66 anni e 7 mesi d’età per la pensione di vecchiaia oppure 42 anni e 10 mesi di lavoro per ottenere la pensione anticipata. Certo, un miliardo e mezzo di euro all’anno di spesa per le pensioni dell’«altra previdenza» sono una goccia rispetto al mare magnum dei 250 miliardi di euro che si spendono ogni anno per tutte le pensioni (pensioni, invalidità, superstiti). Ma una goccia che ancora oggi non accetta di confondersi con le altre.

Allarme demografico in Italia: nascite restano al minimo dall'Unità d'Italia. Picco dei decessi dal dopoguerra

da: http://www.repubblica.it/cronaca/2016/02/19/news/istat_crollano_le_nascite_minimo_storico_da_unita_d_italia_9_1_decessi_picco_piu_alto_da_dopoguerra-133758996/?ref=HREC1-3

I dati dell'Istat. La popolazione residente in Italia si riduce di 139 mila unità. Al 1 gennaio 2016 i residenti erano 60 milioni 656 mila. Centomila italiani (+12,4%) hanno lasciato Paese
 
E' ancora allarme demografico in Italia con nascite in caduta libera e un amento dei decessi. Nel 2015 sono nati 488mila bambini, 8 per mille residenti, quindicimila in meno rispetto al 2014, toccando il minimo storico dalla nascita dello Stato Italiano. Lo dice l'Istat che ha diffuso gli indici demografici.Il numero dei figli medi per donna,è di 1,35 al 2015 che si conferma il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità. L'eta media delle donne al momento del parto è salita a 31,6 anni.

Mentre nascono sempre meno bambini aumenta il numero delle morti. Nel 2015 si è toccato il picco più alto di decessi dal secondo dopoguerra: i morti, secondo gli indicatori dell'Istat, sono stati 653 mila, 54 mila in più dell'anno precedente (+9,1%). L'aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni).

Il tasso di mortalità, pari al 10,7 per mille, è il più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra in poi. Dal punto di vista demografico, il picco di mortalità del 2015 è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all'invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza. Diminuisce la speranza di vita alla nascita. Per gli uomini si attesta a 80,1 anni (da 80,3 del 2014), per le donne a 84,7 anni (da 85).


E' ancora allarme demografico quindi nel nostro paese. Nel 2015, secondo i dati del Report Istat, la popolazione residente in Italia si riduce di 139 mila unità (-2,3 per mille). Al 1 gennaio 2016 la popolazione totale è di 60 milioni 656 mila residenti. Gli stranieri residenti in Italia al 1 gennaio 2016 sono 5 milioni 54 mila e rappresentano l'8,3% della popolazione totale. Rispetto a un anno prima si riscontra un incremento di 39 mila unità. La popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, conseguendo una perdita di 179 mila residenti. Nel 2015 centomila cittadini italiani si sono cancellati dall'anagrafe per trasferirsi all'estero. Un dato in aumento (+12,4%) rispetto al 2014. L'anno scorso, le iscrizioni anagrafiche dall'estero di stranieri sono state 245 mila; 28 mila, invece, i rientri in patria degli italiani. Le cancellazioni per l'estero hanno riguardato 45 mila stranieri (-4,8% sul 2014) e centomila italiani.

E Stilinga pensa: ma che siamo kamikaze a mettere al mondo figli senza entrate economiche stabili, senza prospettive più che rosee per il futuro, senza servizi efficaci e per tutti, senza un welfare degno di questo nome, in un paese ingessato da burocrazia che serve solo a se stessa, baroni, massoni, camorristi, 'ndranghetusi, mafiosi, appartenenti alla Scu, etc. etc.? No, ecco perchè non ci sono figli italiani. E i politici se beccassero lo schifo che ci rifilano ogni giorno dai tg e dai super summit anche europei, utili solo a farsi le foto in coro. Ma cosa si fotografano? Sono personaggi inutili anzi dannosi!

IL PROFESSOR PADOAN HA CONFESSATO CHE IL MINISTRO NON CAPISCE NIENTE

di Alberto Bagnai 
da Il Fatto Quotidiano, 10 febbraio 2016

Ho iniziato la mia carriera nel dipartimento fondato da Federico Caffè alla Sapienza, dal quale provengono tanti personaggi illustri. Voglio parlarvi di un paio di loro, cominciando dal più giovane, Pier Carlo Padoan. Lo ricordo negli anni ’80 salire a piedi le scale della facoltà, severo, assorto, il corpo sbilanciato dal peso di una borsa stracolma di libri e tabulati (erano i tempi delle stampanti a catena). Per me, giovane laureando, Padoan era una figura autorevole, carismatica. Per un po’ scomparve: era al Fmi. Poi tornò. Lo ricordo, sempre per le scale, sopraffatto da una quantità esorbitante di compiti da correggere. Nel frattempo io, diventato ricercatore, ironizzavo sul regalo che gli avevano fatto i suoi colleghi, assegnandogli un affollatissimo corso del primo anno. Lui, burbero ma spiritoso, stava al gioco. Partì per Parigi, e io, più modestamente, per Pescara.
L’ho poi rivisto, come voi, in televisione, dove gli ho sentito dire cose che il suo ruolo istituzionale gli imponeva di dire, ma della cui assurdità, ne sono certo, era lui stesso, per primo, dolorosamente consapevole: annunciare nel 2014 una ripresa che non era nei numeri, difendere nel 2015 riforme dell’offerta (come il jobs act) che non avevano alcuna logica in una crisi di domanda. Poi, all’improvviso, nel 2016, forse provato dalla Caporetto bancaria, Padoan, in un attimo di cedimento, ha confessato. È successo il 26 gennaio, e se ne sono accorti in pochi. Parlando a Bruxelles, Padoan ha detto che occorre un sussidio di disoccupazione europeo,perché in assenza dell’aggiustamento del cambio, la risposta alle crisi avviene “con la compressione del mercato del lavoro”. Quest’idea “risale agli anni ‘70”, e la misura deve essere “di natura temporanea”, perché “sarebbe controproducente se ci fosse un trasferimento permanente di risorse da un Paese all’altro”.
L’espressione “compressione del mercato” è pudica al limite del criptico. Ve la traduco. Se il resto del mondo va in crisi, compra di meno da noi. Visto che il cambio non può flettersi, per rilanciare le esportazioni dobbiamo far calare i prezzi dei nostri prodotti, e quindi i rispettivi costi, primo fra tutti quello del lavoro. Ma siccome nessuno accetta volentieri un taglio del salario, ecco che con austerità e jobs act si crea un po’ di disoccupazione, sperando che chi si trova a spasso accetti di farsi pagare di meno, e che ciò renda più “competitivi” (cioè più convenienti per l’estero) i nostri prodotti. Unico neo: senza lavoro non si campa. Per rimediare a questo effetto collaterale, mamma Europa dovrebbe raccogliere risorse dai paesi in crescita, e ridistribuirle via sussidio di disoccupazione a quelli in crisi. Chiaro? Padoan ha confessato che quando l’aggiustamento non si fa col cambio, lo si fa con la disoccupazione, e che questa cosa è nota fin dagli anni ’70. In effetti, a quei tempi Luciano Barca ammoniva che l’integrazione monetaria europea era “una politica di recessione e di deflazione antioperaia”, e Padoan oggi, a danno fatto, ce lo conferma. Allo studioso fattosi politico mi viene da porre una sola domanda: caro Pier Carlo, visto che tutti sapevano che questo sussidio era necessario, secondo te perché nessuno ha imposto che lo si allestisse prima di entrare nella moneta unica? Forse per lo stesso motivo per il quale i nostri governi hanno accettato il Fiscal compact primache si approvassero gli eurobond, o l’Unione bancaria prima che si creasse un’assicurazione europea sui depositi bancari.
Mi umilia questo comportamento dei nostri governi, che prima accettano patti penalizzanti per noi, e poi mendicano pietà; e mi scottano le parole di Wolfgang Munchau, che ha definito questa prassi “un miscuglio di codardia e incompetenza”: se dicono Nein i tedeschi, in effetti, potremmo dirlo anche noi. Certo, da loro abbiamo molto da imparare: come truccare un motore Diesel, come imbottire di subprime Deutsche Bank, come salvare con 16 miliardi di denaro pubblico Nordbank, e così via… Ma non mi sentirei troppo in soggezione per questo. Aggiungo due parole su un altro preclaro personaggio proveniente dallo stesso dipartimento: Mario Draghi. Di lui non posso avere alcun ricordo personale: ci separano anagrafe e carriera. Però, in qualche modo, gli sono affezionato: gli devo la più azzeccata delle mie previsioni, quella emessa il 30 luglio 2012, quando specificai sul mio blog che non sarebbe riuscito a far nulla di risolutivo per la crisi dell’Eurozona. Infatti non c’è riuscito, e l’ha ammesso: il 4 febbraio ha detto che forze globali congiurano a mantenere bassa l’inflazione. Abbiamo così appreso due cose: che l’inflazione bassa è un problema (ma non era un vantaggio?), e che creare un impero europeo per contrastare i mercati globali non serve a nulla. Prevederlo era facile, anche perché, se ci fate caso, le forze globali c’entrano ben poco: la colpa è nostra.
Abbiamo fatto l’euro per comprimere i salari, e ora ci lamentiamo che i prezzi non crescano abbastanza. Recriminazioni che, se la gente non crepasse di fame, farebbero crepare dalle risate.

E Stilinga propone di svalutare l'euro, altro che il lavoro che ormai è sotto i piedi per chi lo ha ed è una chimera per chi lo cerca. A questo siamo arrivati e coi robot la situazione sarà pure peggio, si deve ridare valore al lavoro e alle persone e si deve ossigenare il bacino del Mediterraneo, puntando sul local. 
Col global non è che le cose siano andate bene, solo  pochi si sono arricchiti e  però se la disuguaglianza permane o si aggrava, a breve questi pochi vivranno anche loro in un mondo in guerra totale.

Ecco le dieci città più felici d'Europa I più infelici sono gli italiani

da: http://www.corriere.it/cronache/cards/ecco-dieci-citta-piu-felici-d-europai-piu-infelici-sono-italiani/i-piu-insoddisfatti-noi-italiani.shtml


La felicità non alberga nelle città mediterranee del Vecchio Continente. Lo rivela l'ultimo sondaggio di Eurobarometro sulla «percezione della qualità della vita in Europa» per il quale sono state consultate oltre 40 mila persone che vivono in 83 differenti città. Dalla ricerca il sito Business Insider ha ricavato due classifiche: la prima mette in fila le città più felici d'Europa, la seconda quelle in cui i cittadini si dichiarano più soddisfatti del proprio lavoro. Entrambe le graduatorie confermano la crisi dell'Europa meridionale e l'insoddisfazione dei suoi residenti. 

I cittadini meno soddisfatti delle proprie città vivono prevalentemente nell'Europa meridionale. Il più basso tasso di benessere si registra a Istanbul (65%), Palermo (67%), Atene (67%), Napoli (75%) and Miskolc in Ungheria (79%).Stesso discorso per quanto riguarda il lavoro. I cittadini più scontenti del proprio impiego vivono principalmente nelle metropoli dell'Europa meridionale. Tra i tassi di insoddisfazione più alti spiccano quelli di Atene (45%), Torino (36%), Madrid (34%), Palermo (33%), Napoli (32%) Roma e Bologna (30%). Anche la ricerca di un nuovo lavoro appare davvero problematica ai cittadini dell'Europa meridionale. I più scoraggiati appaiono i residenti delle città italiane e vivono a Palermo (96%), Napoli (93%) e Torino (85%). 

E Stilinga sottolinea che la Dolce Vita sullo Stivale è ormai amara, e questi cretinetti di politici italiani si devono scervellare per renderci la vita più easy e piacevole, visto che lo scontento del popolo sovrano a breve li "catafotterà" fuori dall'agone politico, e buona notte al secchio!

Europarlamient: the lobby place, not the Europeans one. Smog, l'europarlamento raddoppia i limiti di emissioni per le auto

Con pochi voti di scarto, approvata la modifica del regolamento sugli ossidi di azoto, i precursori delle polveri sottili. Socialisti e verdi si sono opposti ma hanno perso

ROMA – Largo alle polveri sottili, quelle che corrodono i nostri polmoni, quelle che fanno scattare la febbre da smog contro la quale ci limitiamo a prendere l’aspirina dei blocchi del traffico. Misure vere no. O, almeno, no se entrano in conflitto con le industrie che contano. Oggi l’europarlamento ha votato a strettissima maggioranza l’approvazione di una modifica del regolamento che stabilisce il tetto delle emissioni di NOx, gli ossidi di azoto che sono precursori delle polveri sottili. La dose ammessa per legge è stata generosamente raddoppiata. Le auto potranno inquinare, per gli NOx, il 110% in più di quello che era stato stabilito prima del dieselgate.

Una volta scoppiato lo scandalo sono emersi infatti i trucchi di serie, il fatto che i laboratori di omologazione dei nuovi modelli, finanziati dalle case automobilistiche, ricorrevano a ogni sorta di stratagemmi (gomme super gonfie, lubrificanti speciali, aerodinamica modificata) per far sì che dalle prove in questi ambienti ovattati, dalle caratteristiche lunari, emergessero dati ben lontani da quelli misurabili sulle strade terrestri. E naturalmente molto più confortanti.

Ora che bisogna fare sul serio, con test veri che mostrano quanto inquina realmente ogni auto, cambiano le norme. Il tetto si alza. Il regolamento europeo 715 del 2007 aveva stabilito che per i veicoli euro 6 il limite di emissione per gli ossidi di azoto (NOx) fosse di 80 milligrammi a chilometro. Il voto del Parlamento ha fatto passare la norma proposta dalla Commissione che alza i limiti per gli NOx del 110% nel periodo che va dal settembre 2017 al 31 dicembre 2018 e del 50% nel periodo successivo. Invece di respirare 80 milligrammi di NOX per ogni chilometro per ogni macchina in circolazione, l’anno prossimo ne respireremo 168.

 “La maggioranza degli europarlamentari ha fatto il gioco della parte più retriva dell’industria automobilistica, senza curarsi della salute dei cittadini che dovranno subire livelli di inquinamento sempre più alti e pericolosi”, accusa Monica Frassoni, copresidente dei Verdi europei. “È sorprendente che nella lista dei votanti a favore ci sia anche il presidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo, la cui maggioranza si era schierata contro l’indebolimento dei limiti stabiliti”.

In aula ha prevalso il voto suggerito dai gruppi, con i popolari che hanno guidato la battaglia per alzare i limiti, mentre verdi e socialisti, con qualche eccezione, si sono opposti. “È certamente uno schiaffo all’ambiente e alla salute dei cittadini, ma è anche uno schiaffo all’idea di un’Europa vicina alle persone, capace di difendere interessi concreti e non solo percentuali sul debito”, commenta Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club. “Per restituire dignità alla politica e speranza a tutti bisogna cambiare rotta”.

Una "scelta assurda e insensata che va contro la salute dei cittadini e l'ambiente. Un vero e proprio condono che premia i furbi e non l'innovazione e la qualità". Così ha commentato il direttore generale di Legambiente, Stefano Ciafani. "In piena emergenza smog e con i livelli di inquinamento alle stelle", continua, "quello che è avvenuto è veramente assurdo, ed è solo a favore delle lobby automobilistiche".

E Stilinga pensa che un'arma fondamentale è fare sentire economicamente la voce dei consumatori: boicottare Volkswagen, Renault e chi ha truccato i test è la via da seguire.