Casse di risparmio tedesche contro il "Bazooka" di Draghi...ma stanno nascondendo i loro problemi

da: http://www.repubblica.it/economia/2016/03/09/news/casse_di_risparmio_tedesche_contro_il_bazooka_di_draghi-135096728/



Hanno minacciato di non depositare più soldi presso la Bce se non viene abbandonata la politica dei tassi bassi. E ora i piccoli risparmiatori potrebbero cavalcare la protestadal nostro corrispondente TONIA MASTROBUONI


09 marzo 2016



BERLINO - Le casse di risparmio tedesche, le potenti Sparkassen, hanno dichiarato guerra a Mario Draghi. E una vera e propria ondata di isterìa sulle mosse della Bce sta investendo le assicurazioni, i grandi investitori, i fondi pensione in tutta la Germania. Che rischia di contagiare, anche a causa di un'incauta campagna mediatica, persino i piccoli risparmiatori.

Alla vigilia di una attesa riunione del consiglio direttivo, si moltiplicano i segnali di una rivolta nel sistema finanziario tedesco contro la lunga stagione dei tassi bassi. Un'ondata di "angst", di angoscia collettiva che potrebbe essere aggravata dopo l'appuntamento di domani, dove la maggior parte degli analisti si aspetta un taglio ulteriore dei rendimenti sui depositi e una generosa estensione del programma di acquisti dei titoli avviato l'anno scorso.
Le Sparkassen bavaresi hanno già minacciato la scorsa settimana di non depositare più i soldi presso la Bce - secondo la maggior parte degli analisti la "sanzione" sui depositi a breve potrebbero essere portata a 0,4/0,5% - e di tenerli nei forzieri. Ieri l'associazione che le riunisce a livello federale - sono circa 430 - ha fatto trapelare un rapporto di fuoco sugli effetti dei rendimenti al lumicino.

Il documento parla di "interventi frettolosi di politica monetaria che alimentano il clima da crisi e la perdita di fiducia nell'eurozona". Una prosecuzione della politica dei tassi minimi danneggerebbe i risparmiatori e chi vuole investire in assicurazioni sulla vita e fondi pensione, sostengono gli economisti delle casse di risparmio. Che suggeriscono di smetterla di adottare mosse espansive di politica monetaria e di abbassare l'obiettivo di inflazione della Bce dall'attuale 2%. Sembra demenziale, ma è una proposta seria...

In più, i media tedeschi fanno circolare da tempo un pericolosissimo quanto improbabile scenario. Prima o poi i tassi di interesse negativi - attualmente vengono applicati solo ai soldi depositati a brevissimo termine presso la Bce - potrebbero essere scaricati persino sui clienti. In Svizzera succede già: la Banca centrale elvetica applica il -0,75% alle banche da tempo. E da quest'anno la piccola Alternative Bank Schweiz li scarica su chiunque depositi anche solo un euro nei suoi forzieri. Altri istituti lo fanno solo oltre una certa soglia, ad esempio sui depositi oltre i 100mila euro. Ma il tabù, sostiene la stampa tedesca, è rotto e può contagiare anche la Germania.

Intanto, le piccole e grandi banche tedesche si stanno già "vendicando" del tasso negativo sui grandi clienti come i fondi pensione, che hanno l'abitudine di parcheggiare milioni di euro per periodi brevi presso di loro. Da quando queste ultime sono "punite" dal rendimento negativo sui depositi dell'Eurotower, perdono margini di guadagno. Dunque hanno deciso di trasferire quella sanzione sugli investitori di peso. Ad aprire le danze è stato, all'inizio del 2015, un piccolo istituto della Turingia, la Skatbank. Ma nel frattempo persino il colosso Commerzbanz ha cominciato a scaricare all'esterno i rendimenti negativi che subisce per parcheggiare i soldi a breve presso la Bce.

L'agitazione delle Sparkassen è difficile da ignorare. Lungi dall'essere un esempio di virtù, le casse di risparmio locali vantano tuttavia un asset da mille miliardi di euro - pari al 40% del sistema creditizio tedesco - hanno cinquanta milioni di clienti in Germania e sono da sempre considerate il simbolo del piccolo risparmiatore. Ma sono anche l'emblema di un sistema bancario pericolosamente legato alla politica e da sempre messo al riparo da qualsiasi tentativo di supervisione europea. Sono dei veri e propri potentati locali i cui margini di guadagno, a causa dei tassi di interesse quasi azzerati, si stanno talmente riducendo da metterne seriamente a repentaglio la sopravvivenza.
Mesi fa le Sparkassen avevano commissionato ad un esterno un rapporto sugli effetti della stagione dei tassi quasi azzerati sul loro futuro. Guarda caso, il documento redatto dall'economista Bernd Nolte, capo di 4P Consulting, non è mai stato pubblicato. Un quotidiano lo ha intercettato: il verdetto è devastante. Parla del rischio di una "crisi tedesca delle banche locali". 
Da qui al 2018 le politiche monetarie iper accomodanti rischiano di portare sull'orlo del collasso due terzi delle casse di risparmio. 
L'associazione delle Sparkassen ha replicato che si tratta di uno scenario "non realistico" che parte da "assunzioni sbagliate". 
Ma è ovvio che i rendimenti bassissimi danneggino anzitutto gli istituti di credito concentrati sul risparmi. Del resto, nelle settimane scorse è stato lo stesso presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, a mettere in guardia dagli effetti dei tassi bassi: entro il 2019 rischiano di mangiarsi fino al 75% degli utili delle banche. E intanto, secondo quanto emerso ieri dai database delle banche centrali, il QE sta gonfiando il bilancio della Bce: al momento vale il 25% del Pil dell'Eurozona, contro il 27% della Fed sull'economia Usa. Un divario che sarà rapidamente superato con l'attesa espansione dell'acquisto di titoli.

E Stilinga è convinta che è arrivato il momento in cui i tedesci e le sparkasse facciano i compiti a casa! e siano supervisionati dall'Europa. Insomma, un po' di giustizia ai fetosi tedeschi non guasterebbe!

La terra dei fuochi e i terreni coltivati: situazione atomica!


http://www.iene.mediaset.it/puntate/2016/02/23/toffa-la-terra-dei-fuochi_10020.shtml

http://mdst.it/03v596942/

E gli agricoltori ancora coltivano e distribuiscono per l'Europa con la GDO pomodori, melanzane, zucchine, cavolfiori, peperoncini, pesche noci tossici e pieni di metalli pesanti. 

E i controllori e i politici non fanno nulla, anzi non hanno fatto nulla per 20 anni e anzi per evitare il panico (de che? e speriamo che presto gli stessi idioti politici si mangino belle minestre e macedonie ai metalli pesanti così vediamo cosa provano quando poi andranno nei reparti di oncologia, altro che panico) nella popolazione si sono messi l'acqua in bocca (all'arsenico se spera) e hanno continuato come sempre a promettere, a non realizzare e ad andare avanti. 

Italiani alziamo la testa e pretendiamo bonifiche e distruzione dei prodotti tossici e risoluzione della terra dei fuochi.


Equality! Now! Oxfam says wealth of richest 1% equal to other 99%

From: http://www.bbc.com/news/business-35339475

Oxfam says wealth of richest 1% equal to other 99%

The richest 1% now has as much wealth as the rest of the world combined, according to Oxfam.
It uses data from Credit Suisse from October for the report, which urges leaders meeting in Davos this week to take action on inequality.
Oxfam also calculated that the richest 62 people in the world had as much wealth as the poorest half of the global population.
It criticised the work of lobbyists and the amount of money kept in tax havens.
Oxfam predicted that the 1% would overtake the rest of the world this time last year.
It takes cash and assets worth $68,800 (£48,300) to get into the top 10%, and $760,000 (£533,000) to be in the 1%. That means that if you own an average house in London without a mortgage, you are probably in the 1%.
The figures carry various caveats, for example, information about the wealth of the super-rich is hard to come by, which Credit Suisse says means its estimates of the proportion of wealth held by the 10% and the 1% is "likely to err on the low side".
As a global report, the figures also necessarily include some estimates of levels of wealth in countries from which accurate statistics are not available.

'Misleading'

Some free market think tanks questioned the credibility of the figures.
The Institute of Economic Affairs' director general Mark Littlewood said the statistics were "bogus".
"The methodology of adding up assets and subtracting debts and then making a global 'net wealth' distribution implies that many of the poorest in the world are those in advanced countries with high debts. Whilst we might have sympathy for the Harvard law graduate's plight, it is unclear that worrying about her should be the focus of a development organisation," he said.
The Adam Smith Institute's head of research Ben Southwood also said the data was "misleading".
"More meaningful measures show greater equality. Those in the middle and bottom of the world income distribution have all got pay rises of around 40% between 1988-2008. Global inequality of life expectancy and height are narrowing too—showing better nutrition and better healthcare where it matters most.
"What we should care about is the welfare of the poor, not the wealth of the rich," he added.
Oxfam said that the 62 richest people having as much wealth as the poorest 50% of the population is a remarkable concentration of wealth, given that it would have taken 388 individuals to have the same wealth as the bottom 50% in 2010.
Chart comparing wealth of richest 62 people with the bottom 50%
"Instead of an economy that works for the prosperity of all, for future generations, and for the planet, we have instead created an economy for the 1%," Oxfam's report says.
The trend over the period that Credit Suisse has been carrying out this research has been that the proportion of wealth held by the top 1% fell gradually from 2000 to 2009 and has risen every year since then.
In fact, it is only in the 2015 figures that the proportion held by the top 1% overtakes the share taken by them in the first report in 2000.
Oxfam calls on governments to take action to reverse this trend.
It wants workers paid a living wage and the gap with executive rewards to be narrowed.
It calls for an end to the gender pay gap, compensation for unpaid care and the promotion of equal land and inheritance rights for women.
And it wants governments to take action on lobbying, reducing the price of medicines, taxing wealth rather than consumption and using progressive public spending to tackle inequality.

Quando ho scoperto le disuguaglianze

da: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/02/10/quando-ho-scoperto-le-disuguaglianze49.html

Nessuno oggi può negare che esista negli Stati Uniti una grande frattura tra i super ricchi – a volte definiti l'1 per cento – e gli altri. La loro vita è diversa: hanno preoccupazioni, aspirazioni e stili di vita diversi. Gli americani comuni si preoccupano di come pagheranno il college ai figli, di che cosa succederebbe se qualcuno in famiglia si ammalasse seriamente, di come faranno quando andranno in pensione. Negli abissi della Grande recessione, decine di milioni di persone si chiedevano se sarebbero riuscite a conservare la loro casa. Milioni di esse non ci sono riuscite.

Gli appartenenti all'1 per cento – e ancor più i membri del primo 0,1 per cento – discutono di altre questioni: che tipo di jet comprare, o il modo migliore per nascondere il reddito al fisco («Cosa accadrebbe se gli Stati Uniti dovessero premere per la fine del segreto bancario in Svizzera? Poi verrebbero le Isole Cayman? E Andorra: è sicura? »). Sulle spiagge di Southampton, a Long Island, si lamentano del rumore che fanno i vicini con l'elicottero quando tornano da New York. Si preoccupano anche di che cosa succederebbe se dovessero cadere dal piedistallo: significherebbe cadere da una certa altezza, e in rare occasioni avviene.

Non molto tempo fa, mi trovavo a una cena offerta da un brillante e preoccupato membro dell'1 per cento. Consapevole della grande frattura, il nostro ospite aveva radunato importanti miliardari, accademici e altri personaggi allarmati dalla disuguaglianza. Dopo i primi convenevoli, udii un miliardario – che si era affacciato alla vita ereditando una fortuna – discutere con un altro del problema degli americani scansafatiche che stavano cercando di vivere alle spalle degli altri. Poco dopo, i due passarono senza soluzione di continuità a parlare dei paradisi fiscali, apparentemente ignari dell'ironia. Più volte, quella sera, i plutocrati riuniti evocarono Maria Antonietta e la ghigliottina mentre si rammentavano reciprocamente i rischi di lasciar crescere troppo la disuguaglianza: «Ricordati della ghigliottina» era il ritornello. E ripetendo il ritornello concordavano implicitamente: il livello di disuguaglianza in America non è inevitabile, non è il risultato di leggi economiche inesorabili. È questione di politica e di politiche. E possibile, sembrava che dicessero quei potenti, porvi rimedio.

Questo è soltanto uno dei motivi per via dei quali i timori riguardo alla disuguaglianza sono diventati materia urgente anche tra l'1 per cento: sono sempre più numerosi gli appartenenti a questo gruppo consapevoli del fatto che una crescita economica sostenuta, condizione della loro stessa prosperità, non può aver luogo mentre la grande maggioranza dei cittadini ha redditi stagnanti.

Nel 2014, al raduno annuale dell'élite mondiale a Davos, Oxfam ha presentato con ineludibile chiarezza la misura della crescente disuguaglianza globale ricorrendo a un esempio: quell'anno, un autobus contenente 85 miliardari del mondo avrebbe trasportato una ricchezza pari a quella della metà inferiore della popolazione globale, qualcosa come tre miliardi di persone. Nel giro di un altro anno l'autobus si sarebbe rimpicciolito: sarebbero bastati 80 posti. In modo altrettanto drammatico, Oxfam rivelò che il primo 1 per cento degli abitanti del pianeta possedeva quasi la metà della ricchezza mondiale ed entro il 2016 ne avrebbe posseduta tanta quanta il restante 99 per cento complessivamente.

La grande frattura incombeva da tempo. Nei primi decenni successivi alla Seconda guerra mondiale la crescita nel nostro paese tenne un passo mai visto prima, e interessò l'intera popolazione. Tutti i segmenti della società videro aumentare il proprio reddito: era una prosperità condivisa. I redditi di chi stava in basso crescevano più velocemente di quelli di chi stava in cima.

Fu un'età dell'oro in America, ma i miei giovani occhi vi scorgevano già qualche ombra. Mentre crescevo – sulla sponda meridionale del lago Michigan, in una delle città industriali simbolo del paese, Gary, nell'Indiana – vedevo intorno a me povertà, disuguaglianza, discriminazione razziale e a volte disoccupazione, mentre una recessione dopo l'altra colpiva la nazione. I conflitti sociali erano all'ordine del giorno, perché i lavoratori lottavano per ottenere una giusta parte della meritatamente acclamata prosperità americana. Ascoltavo la retorica della società statunitense quale società della classe media, ma perlopiù la gente che vedevo occupava i livelli più bassi di quella presunta società della classe media, e le loro voci non erano fra quelle che incidevano sulla realtà del paese.

Non eravamo ricchi, ma i miei genitori avevano adeguato il loro stile di vita al reddito che percepivano, il che alla fine fa molto. I miei vestiti erano quelli che mi passava mio fratello e che mia madre comprava sempre durante i saldi [...]. Insieme a molti miei contemporanei, anelavo a un cambiamento. Ci veniva detto che cambiare la società era difficile, che ci voleva tempo. Anche se non avevo patito il genere di difficoltà che tanti miei amici affrontavano a Gary (a parte un po' di discriminazione), mi identificavo con loro. Mancavano decenni al giorno in cui avrei esaminato nei dettagli le statistiche sui redditi, ma sentivo che l'America non era la terra di opportunità che dichiarava di essere: esistevano grandi occasioni per alcuni, ma poche per altri. I racconti di Horatio Alger, almeno in parte, erano favole: molti americani che lavoravano duramente non ce l'avrebbero mai fatta. Eppure fui uno dei fortunati ai quali il paese offrì un'opportunità: una borsa di studio nazionale al merito presso l'Amherst College. Più di qualunque altra cosa, quell'opportunità apriva un mondo di altre opportunità nel corso del tempo. [...] Purtroppo, a causa della crescente disuguaglianza, il modello economico statunitense non ha funzionato per ampie fette della popolazione: la tipica famiglia americana oggi sta peggio di come stava venticinque anni fa, tenendo conto dell'inflazione. La percentuale dei poveri è aumentata. Benché l'espansione della Cina sia anch'essa caratterizzata da elevati livelli di disuguaglianza e da un deficit di democrazia, la sua economia funziona meglio per la maggior parte dei suoi abitanti, avendone fatti uscire dalla povertà qualcosa come 500 milioni nello stesso periodo in cui la stagnazione imprigionava la classe media americana.

Un modello economico che non serve alla maggioranza dei suoi cittadini difficilmente può assumere il ruolo di modello da emulare per altri paesi.[…] Di fatto, la crisi non è stata il frutto di un volere divino, come un diluvio o un terremoto che capita un'unica volta in un secolo. È stata una cosa che ci siamo procurati da soli: al pari della nostra smisurata disuguaglianza, è stata il risultato delle nostre politiche e della nostra politica.

© 2015 Joseph E. Stiglitz. All Rights Reserved.

Published by arrangement with Agenzia Letteraria Santachiara Pubblichiamo parte dell'introduzione a La grande frattura in uscita da Einaudi




* IL LIBRO La grande frattura

( Einaudi, trad. di D. Cavallini e M. L. Chiesara pagg. 435 euro 22)
Joseph E. Stiglitz

Deputati, assessori e giudici: ecco chi sono i 30 mila pensionati «d’oro»


di Enrico Marro

La politica li ha tenuti al riparo dalle riforme che negli ultimi 25 anni hanno invece tagliato la previdenza dei comuni mortali. Assegni che oscillano in media tra i 40 mila e i 200 mila euro all’anno.


Ci sono circa 30 mila pensioni in Italia che rappresentano un mondo a parte, di assoluto privilegio, che la politica ha tenuto al riparo dalle riforme che negli ultimi 25 anni hanno invece tagliato la previdenza dei comuni mortali. Sono le pensioni del personale della Camera e del Senato; quelle degli ex deputati e senatori (ipocritamente definite «vitalizi»); le pensioni dei dipendenti della Regione Sicilia; quelle del personale della presidenza della Repubblica; quelle dei dipendenti della Corte Costituzionale e degli ex giudici della stessa; i vitalizi degli ex consiglieri regionali. 

Di questi assegni, che oscillano in media tra i 40 mila e i 200 mila euro all’anno, si sa poco o nulla, se non appunto che sono d’oro e costruiti su regole di assoluto favore. Eppure da dodici anni c’è una legge che imporrebbe di conoscere tutto di queste pensioni, i cui dati dovrebbero essere trasmessi al Casellario centrale della previdenza. Solo che la legge viene disattesa. E non si trova il modo di farla rispettare, perché gli organi costituzionali invocano l’autodichia, cioè il principio di autonomia regolamentare garantito dalla carta fondamentale, e la Sicilia il suo statuto speciale.



Il rapporto

Un tentativo di censire questo piccolo paradiso delle pensioni è contenuto nel rapporto «ll bilancio del sistema previdenziale italiano» appena diffuso dal centro studi di Itinerari previdenziali, presieduto da Alberto Brambilla, esperto di pensioni ed ex presidente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale presso il ministero del Lavoro, istituito dalla legge Dini del 1995. Il Nucleo è poi stato chiuso nel 2012. Ma Brambilla ha continuato a sfornare il rapporto annuale, aiutato dai migliori esperti del settore. E nell’ultima edizione, «per la prima volta», ha inserito un capitolo dedicato a quello che viene definito «l’altro sistema previdenziale», quello appunto che si sottrae a tutte le riforme. «Reperire questi dati è difficile – si sottolinea – poiché mancano le informazioni di questi soggetti che non comunicano i dati, come previsto dalla legge 243 del 23 agosto 2004, al Casellario centrale». Non si sa, in particolare, quanti contributi vengono pagati e quante pensioni e per quali importi sono erogate.


I dati e la mancata trasparenza

Ad oggi, le amministrazioni ed enti che non comunicano i dati sono: Camera e Senato, che hanno proprie regole previdenziali approvate dagli stessi parlamentari sia per i propri dipendenti sia per deputati e senatori; la Regione Sicilia, «che gestisce un fondo di previdenza sostitutivo per i propri dipendenti», quindi fuori dal regime Inps; la Corte costituzionale per i giudici e i propri dipendenti (anche qui vige un regolamento interno); la Presidenza della Repubblica per il proprio personale; le Regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale per le cariche elettive. Infine, c’è lo strano caso del Fama («una anomalia tutta italiana»), il Fondo agenti marittimi ed aerei, con sede a Genova, che gestisce la previdenza per gli agenti marittimi: «Non pubblica dati» e «non risulta sottoposto a particolari controlli», dice il Rapporto.

Un mondo a parte

Per ovviare a questa situazione, gli esperti coordinati da Brambilla hanno esaminato i bilanci degli enti e degli organi costituzionali per scattare una prima fotografia di questo mondo a parte. I dati sono contenuti nella tabella che pubblichiamo.

Le 29.725 pensioni d’oro censite costano più di un miliardo e mezzo l’anno. 

Gli assegni medi oscillano tra i circa 40 mila euro lordi dei 16.377 pensionati della Regione Sicilia (3.338 euro al mese) ai 200 mila euro dei 29 ex giudici costituzionali (16.666 al mese), passando per i circa 91 mila euro dei vitalizi di Camera, Senato e Regioni (7.583 al mese), i 55 mila euro dei pensionati ex dipendenti del Parlamento e del Quirinale (4.583 al mese), che stanno un po’ peggio – si fa per dire – di quelli della Consulta, che ricevono in media 68.200 euro (5.683 al mese). Per avere un’idea di quanto siano ricchi questi assegni, basti dire che la pensione media dei dipendenti statali è di 26 mila euro lordi l’anno (2.166 euro al mese), quella dei dipendenti privati di 12.500 euro (1.041 al mese), quella degli avvocati di 27 mila euro (2.250 al mese) e quella dei dirigenti d’azienda di 50 mila (4.166 al mese).



Regole «autonome»

Ma non c’è solo questa sperequazione negli importi. C’è che le pensioni dell’«altra previdenza» hanno seguito sempre proprie regole sull’età di pensionamento, infischiandosene delle riforme generali. Sulla base di anacronistici e malintesi principi di autonomia hanno subito solo qualche timido correttivo ai loro privilegi e comunque con molto ritardo. Prendiamo i parlamentari. Fino al 1997 bastava aver fatto una legislatura (anche se le camere erano state sciolte anticipatamente) per andare in pensione a 60 anni e per ogni ulteriore legislatura il limite per ottenere il vitalizio si abbassava di 5 anni. Solo dal 2012 l’età di pensionamento è stata portata a 65 anni e servono 5 anni effettivi di legislatura. E comunque per ogni anno in più di presenza in Parlamento l’età pensionabile scende di un anno fino al limite dei 60 anni. Giova ricordare che per i comuni mortali, nel regime Inps, servono 66 anni e 7 mesi d’età per la pensione di vecchiaia oppure 42 anni e 10 mesi di lavoro per ottenere la pensione anticipata. Certo, un miliardo e mezzo di euro all’anno di spesa per le pensioni dell’«altra previdenza» sono una goccia rispetto al mare magnum dei 250 miliardi di euro che si spendono ogni anno per tutte le pensioni (pensioni, invalidità, superstiti). Ma una goccia che ancora oggi non accetta di confondersi con le altre.

Allarme demografico in Italia: nascite restano al minimo dall'Unità d'Italia. Picco dei decessi dal dopoguerra

da: http://www.repubblica.it/cronaca/2016/02/19/news/istat_crollano_le_nascite_minimo_storico_da_unita_d_italia_9_1_decessi_picco_piu_alto_da_dopoguerra-133758996/?ref=HREC1-3

I dati dell'Istat. La popolazione residente in Italia si riduce di 139 mila unità. Al 1 gennaio 2016 i residenti erano 60 milioni 656 mila. Centomila italiani (+12,4%) hanno lasciato Paese
 
E' ancora allarme demografico in Italia con nascite in caduta libera e un amento dei decessi. Nel 2015 sono nati 488mila bambini, 8 per mille residenti, quindicimila in meno rispetto al 2014, toccando il minimo storico dalla nascita dello Stato Italiano. Lo dice l'Istat che ha diffuso gli indici demografici.Il numero dei figli medi per donna,è di 1,35 al 2015 che si conferma il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità. L'eta media delle donne al momento del parto è salita a 31,6 anni.

Mentre nascono sempre meno bambini aumenta il numero delle morti. Nel 2015 si è toccato il picco più alto di decessi dal secondo dopoguerra: i morti, secondo gli indicatori dell'Istat, sono stati 653 mila, 54 mila in più dell'anno precedente (+9,1%). L'aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni).

Il tasso di mortalità, pari al 10,7 per mille, è il più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra in poi. Dal punto di vista demografico, il picco di mortalità del 2015 è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all'invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza. Diminuisce la speranza di vita alla nascita. Per gli uomini si attesta a 80,1 anni (da 80,3 del 2014), per le donne a 84,7 anni (da 85).


E' ancora allarme demografico quindi nel nostro paese. Nel 2015, secondo i dati del Report Istat, la popolazione residente in Italia si riduce di 139 mila unità (-2,3 per mille). Al 1 gennaio 2016 la popolazione totale è di 60 milioni 656 mila residenti. Gli stranieri residenti in Italia al 1 gennaio 2016 sono 5 milioni 54 mila e rappresentano l'8,3% della popolazione totale. Rispetto a un anno prima si riscontra un incremento di 39 mila unità. La popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, conseguendo una perdita di 179 mila residenti. Nel 2015 centomila cittadini italiani si sono cancellati dall'anagrafe per trasferirsi all'estero. Un dato in aumento (+12,4%) rispetto al 2014. L'anno scorso, le iscrizioni anagrafiche dall'estero di stranieri sono state 245 mila; 28 mila, invece, i rientri in patria degli italiani. Le cancellazioni per l'estero hanno riguardato 45 mila stranieri (-4,8% sul 2014) e centomila italiani.

E Stilinga pensa: ma che siamo kamikaze a mettere al mondo figli senza entrate economiche stabili, senza prospettive più che rosee per il futuro, senza servizi efficaci e per tutti, senza un welfare degno di questo nome, in un paese ingessato da burocrazia che serve solo a se stessa, baroni, massoni, camorristi, 'ndranghetusi, mafiosi, appartenenti alla Scu, etc. etc.? No, ecco perchè non ci sono figli italiani. E i politici se beccassero lo schifo che ci rifilano ogni giorno dai tg e dai super summit anche europei, utili solo a farsi le foto in coro. Ma cosa si fotografano? Sono personaggi inutili anzi dannosi!