Luci d'autore a Roma? Light Music, of course!


Le lampade artistiche di Sandro Melaranci partono dagli strumenti musicali, che oltre ad emettere suoni, sono esteticamente belli, e quindi le loro rifiniture, le loro curve, i loro colori e  tutti gli splendidi dettagli  diventano pezzi d'arredo nelle case delle rock stars, dei musicisti e di chi vuole punti luce innovativi e unici, oltre che realizzati a mano, of course.
https://it-it.facebook.com/Lightmusiceu

http://www.lightmusic.eu/

Design innovativo dello studio Pecoramello, visti al MakerFaire di Roma

Una bella scoperta fatta al MakerFaire di Roma il 4 ottobre del 2014:
lo Studio PecoraMello di Napoli che progetta e realizza bei prodotti innovativi e sorprendenti, come la lampada Sfogliata

E come scrivono sul sito http://www.architetturaeingegnerianapoli.org/

"L’attività del gruppo si muove su principi di promozione e ricerca di progettualità e tecnologie sostenibili, basate sull’idea che anche tramite lo strumento del “design” si possa ricucire il rapporto uomo-natura: attraverso le sue forme, il suo messaggio ed il suo processo di produzione e riciclo. 
Principio informatore del progetto diventa quindi, l’equilibrio armonico con l’ambiente ed il territorio, attraverso un linguaggio formale spontaneo e familiare, che accolga il suo fruitore e ne memorizzi il segno antropico per restituirgli la possibilità di identificarsi ed esprimersi tramite esso.
 La gioia che si prova guardando la natura è procurata dall’ equilibrio armonico che si stabilisce tra i diversi elementi e da forme che hanno uno sviluppo spontaneo, guidato solo dalle loro caratteristiche organiche.(...)" 

Tutta la loro visione e filosofia è espressa coerentemente nel loro design.



Il Censis e l'Italia: "Famiglie e imprese bloccate dalla paura del futuro"

da: http://www.repubblica.it/economia/2014/12/04/news/rapporto_censis-102141895/?ref=HREC1-2

Un aumento più che consistente del risparmio testimonia i timori degli italiani: il 60% teme di poter diventare povero da un momento all'altro. De Rita: "Questo Paese ha il capitale, ma non lo sa usare". Alla politica: "Orienti le aspettative". Forte aumento dei  Neet e della disoccupazione giovanile, aumentano le disuguaglianze, eppure l'Italia ancora piace: 200 milioni nel mondo parlano la nostra lingua

ROMA - Una società stremata da sei anni di crisi e che ormai si aspetta solo il peggio. Le famiglie che si barricano dietro un risparmio che cresce nonostante il crollo dei redditi, ma che non si traduce né in consumi né in investimenti, è "un cash di tutela". Un capitale umano che vorrebbe essere energia lavorativa ma che rimane al palo. Un patrimonio culturale ingente ma che non produce valore perché è mal gestito o non è gestito affatto. E' sempre più l'Italia dei social network, utilizzati dal 49% della popolazione e dall'80% degli under 29, ma anche della solitudine segnata dalla diffidenza: solo il 20,4% degli italiani pensa che gran parte della gente sia degna di fiducia, mentre il 79,6% è invece convinto che bisogna stare molto attenti. E infatti domina la paura: il 60% degli italiani ritiene che "a chiunque possa capitare di finire in povertà". E' il Paese descritto dal 48° Rapporto del Censis, presentato stamane al Cnel.

"Questo è un Paese che ha capitale, e non lo sa usare - dice il presidente del Censis, Giuseppe De Rita - E' il Paese del capitale inagito". Non solo per le famiglie, anche per le imprese, che non investono più: gli investimenti nel 2013 hanno raggiunto il livello più basso degli ultimi 13 anni. Nello spreco di otto milioni di persone che non lavorano, di un patrimonio culturale che non viene utilizzato. "Questo capitale inagito è la cosa più angosciante che c'è in Italia", lamenta De Rita, che cita le parole del frate francescano Bernardino da Feltre: "Moneta potest esse considerata vel rei vel, si movimentata est, capitale", solo la moneta movimentata diventa capitale. Il presidente del Censis fa appello alla politica, perché ridiventi "arte di guida", immedesimandosi nuovamente nello Stato e recuperando la reputazione persa. Alla politica non tocca tanto la gestione del potere, quanto l'orientamento delle aspettative del Paese: "Nessuno più sa orientare le aspettative, eppure tutto nasce da un'aspettativa". 

Senza aspettative, rimane solo "un adattamento alla mediocrità: si regge. Due tre anni fa alla domanda come va si rispondeva ancora 'stiamo malissimo - ricorda De Rita - adesso abbiamo preso atto che la ripresa non c'è, non c'è neanche la ripresina, quindi reggiamo. Rimane la solitudine del singolo, che non sa dove andare. Si è liquefatto il sistema: stiamo diventando non tanto una società liquida o molecolare, ma una società profondamente asistemica". Che si deteriora di giorno in giorno: "Il rischio è che l'attuale deflazione economica si trasformi in deflazione delle aspettative, che porta all'attendismo e al cinismo, alla solitudine e allo sfilacciamento dei legami comunitari", osserva il direttore della comunicazione del Censis, Massimiliano Valerii, che quest'anno ha presentato per la prima volta la sintesi del rapporto.

Famiglie "liquide" e strategie di evasione. E' singolare che in un Paese in recessione per la terza volta in sei anni contanti e depositi bancari possano aumentare, eppure è così, più 4,9% tra il 2007 e il 2013. Il 44,6% delle famiglie destina il proprio risparmio  alla copertura da possibili imprevisti. In più, il contante è anche lo strumento preferito per quella che il Censis chiama "l'immersione difensiva degli italiani": il nero, il sommerso, l'evasione e l'elusione fiscale. La spesa pagata in contanti dalle famiglie italiane, le ultime in Europa per l'utilizzo dei sistemi di pagamento elettronici, si può stimare in circa 410 miliardi di euro, il 41% del totale. 

I giovani: il grande spreco. I 15-34enni costituivano già prima della crisi il 50,9% dei disoccupati, ma adesso sono arrivati a quota 75,9%. 
In forte aumento anche i Neet, i giovani che non studiano, non lavorano e non svolgono attività di formazione, passati dai 1.946.000 del 2004 ai 2.435.000 del 2013. 
I giovani sono anche la maggior parte dei sottoinquadrai, orami il 19,5% degli occupati. 
Nel 2004 era occupato il 60,5% dei giovani, nel 2012 era occupato il 48%: in meno di dieci anni sono scomparsi oltre 2,6 milioni di occupati, con una perdita di oltre 142 miliardi di euro che si ripercuote drammaticamente già adesso sul sistema di welfare. 
Per chi lavora i salari sono bassissimi: di 4,7 milioni di giovani che vivono per conto proprio, oltre la metà ricevono un aiuto economico dai genitori.

Leggi altro articolo: l'80% su Facebook, ma la scuola digitale arranca

E lo spreco del patrimonio culturale. L'Italia non spreca solo le sue energie umane migliori, ma anche un patrimonio culturale che pone il nostro Paese al primo posto nella graduatoria dei siti Unesco. Se ne occupano infatti solo 304.000 lavoratori, l'1,3% del totale, la metà di quelli del Regno Unito (755.000) e della Germania (670.000), ma molto meno anche dei 409.000 della Spagna. I risultati sono evidenti in termini economici: nel 2013 il settore della cultura produceva un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro, contro i 35 miliardi di euro della Germania e i 27 della Francia. Calano anche i consumi culturali interni, visto che gli italiani sono costretti a tagliare su tutto: la quota di chi è andato a visitare un museo o una mostra è passata dal 30,1% del 2010 al 25,9% del 2013, mentre quella di chi ha visitato siti archeologici e monumenti dal 23,2% al 20,7% e di chi ha assistito a uno spettacolo teatrlae dal 22,5% al 18,5%.

Cosa conta davvero nella vita.
 Non c'è da stupirsi di come, in una società così spaventata, impoverita e ripiegata su se stessa gli italiani siano particolarmente cinici nel rispondere alla domanda su quali siano i fattori più importanti per riuscire nella vita. L'intelligenza raccoglie solo il 7% delle risposte, il valore più basso dell'Unione Europea. All'istruzione va meglio perché viene indicata dal 51% contro però l'82% della Germania e il 63% della media europea, mentre il lavoro duro conta per il 46% degli intervistati contro il 74% del Regno Unito. Superiamo gli altri Paesi quando si arriva alle conoscenze giuste (indicate come fattore chiave dal 29% degli italiani contro il 19% dei britannici), alla provenienza da una famiglia benestante (20% contro il 5% indicato dai francesi).

L'aumento delle distanze e della disuguaglianza. Con la crisi le distanze tra le aree del Paese si sono acutizzate. Così, se il tasso di occupazione della fascia 25-34 anni a Bologna è il 79,3%, a Napoli si ferma al 34,2%, mentre la quota di laureati passa dall'11,1% di Catania al 20,9% di Milano e la quota di persone che non pagano il canone Rai passa dal 58,9% ancora una volta di Napoli al 26,8% di Roma.

L'ascesa degli immigrati. Gli immigrati sembrano affrontare la crisi meglio degli italiani. Negli ultimi sette anni infatti le imprese con titolare extracomunitario sono aumentate del 31,4% mentre quelle gestite da italiani sono diminuite del 10%. Diffusissimi i negozi di alimentari gestiti da stranieri, soprattutto quelli di frutta e verdura, che a fine 2010 rappresentavano il 10% del totale. Vi fanno la spesa, almeno qualche volta, 33 milioni di italiani. Bene anche le imprese artigiane, cresciute del 2,9% negli ultimi due anni contro il calo del 4,5% di quelle italiane.

Eppure l'Italia ha ancora appeal. 
In questo panorama desolante, il Censis ha raccolto alcuni dati che testimoniano la persistenza di un certo fascino del "modello Italia" all'estero. Siamo la quinta destinazione turistica al mondo con 186,1 milioni di presenze turistiche straniere nel 2013 e 20,7 miliardi di euro spesi, con un aumento del 6,8% rispetto al 2012. L'export del Made in Italy è aumentato del 30,1% in termini nominali tra il 2009 e il 2013. E poi, forse il dato più stupefacente, 200 milioni di persone parlano la nostra lingua nel mondo.

Gallino: “Il Jobs Act? Una pericolosa riforma di destra” ...e la Germania che crea lavoratori poveri!

intervista a Luciano Gallino, di Giacomo Russo Spena
Domani, mercoledì 3 dicembre, è il fatidico giorno. Il premier Renzi, l’Europa e i mercati lo auspicano da tempo, meno gli operai, i precari e gli studenti che saranno in piazza ad assediare il Senato. Finito l’iter il Jobs Act sarà legge, per il sociologo Luciano Gallino siamo “alla mercificazione del lavoro, è un provvedimento stantio e pericoloso”. 

Scusi professore, lei parla di un progetto vecchio eppure il governo – che del nuovismo ha fatto un cavallo di battaglia – lo sponsorizza proprio per modernizzare il Paese. Dov’è l’imbroglio? 

Nel Jobs Act non vi è alcun elemento né innovativo né rivoluzionario, tutto già visto 15-20 anni fa. E’ una creatura del passato che getta le proprie basi nella riforma del mercato anglosassone di stampo blairiano, nell’agenda sul lavoro del 2003 in Germania e, più in generale, nelle ricerche dell’Ocse della metà anni ’90. Inoltre si tratta di una legge delega, un grosso contenitore semivuoto che sarà riempito nei prossimi mesi o chissà quando. Non mi sembra un provvedimento che arginerà la piaga della precarietà né che rilancerà l’occupazione nel Paese. 

Una bocciatura netta. E del premier che giudizio esprime, molti iniziano a considerare il renzismo come il compimento del berlusconismo. E’ d’accordo? 

Per certi aspetti sì, il Jobs Act potrebbe tranquillamente esser stato scritto da un ministro di un passato governo Berlusconi. Non a caso Maurizio Sacconi è uno dei politici più entusiasti. Renzi continua nel solco di politiche di destra impostate sul taglio ai diritti sul lavoro, sulla compressione salariale e sulla possibilità di un maggiore controllo delle imprese sui dipendenti, vedi l’uso delle telecamere. 

In un recente editoriale su Repubblica ha contrapposto alla Leopolda renziana, la piazza della Cgil. Eppure in altre occasioni passate aveva espresso dubbi sull’organizzazione di Susanna Camusso, accusandola di aver “appannato la bandiera del sindacato”. Ha cambiato idea? 

Negli ultimi mesi ad esser cambiata è la Cgil. In diversi frangenti non ha contrastato i nefasti provvedimenti avanzati dai governi, come nel caso della riforma pensionistica. Ha accettato supinamente leggi micidiali e lo smantellamento del nostro welfare. SulJobs Act è stata incisiva mettendo in piedi una dura resistenza. E le divergenze tra Cgil e Fiom – che invece ha sempre mantenuto la barra dritta – ora sono minori, questo va salutato positivamente. 

Le nostre politiche economiche vengono dettate da quell’Europa che sta imponendo soprattutto ai Paesi del Sud Europa dure misure di austerity e privatizzazioni. Che credibilità ha Renzi quando minaccia di sbattere i pugni a Bruxelles? 

Dagli anni ’90 i socialisti europei e le differenti branche della socialdemocrazia hanno abdicato e sono stati contagiati dall’ideologia neoliberale abbracciando così l’idea dei mercati da anteporre alla democrazia. Alla finanza che disciplina i governi. In questo quadro, le affermazioni del premier sono vuote, alle invettive non corrispondono i fatti: il Jobs Act e la legge di Stabilità ne sono la palese prova. Persiste l’ortodossa ubbidienza ai diktat dell’Europa, Renzi non è altro che un fedele esecutore della Troika. 

Non crede in repentine svolte in Europa e a strade alternative? 

Siamo lontani dal contrastare le politiche imposte da Bruxelles. La sinistra italiana come espressione di massa di fatto non esiste più. Sono rimaste delle schegge, anche interessanti, ma politicamente ininfluenti soprattutto di fronte a quel che dovrebbe essere il domani di una sinistra in grado di rappresentare una valida opzione e un’opposizione solida in Parlamento. In Europa Podemos e Syriza rappresentano segnali importanti, iniziano ad avere una valenza di massa. In generale, le recenti elezioni hanno confermato quasi ovunque governi di destra o, ad essere gentili, di centrodestra. Ciò significa che la maggioranza degli elettori dell’eurozona preferisce lo status quo, purtroppo. La Germania ha rivotato in massa la cancelliera Angela Merkel e il ministro Wolfgang Schäuble malgrado le politiche restrittive e del rigore

Per l’Italia auspica la nascita di un forte soggetto a sinistra del renzismo? 

Detesto le sfere di cristallo, il futuro non è prevedibile. Bisogna costruirlo. E di certo nel Paese esistono milioni di persone mosse da ideali e sensibilità di sinistra alla ricerca di una nuova modalità di aggregazione. Le varie schegge esistenti dovrebbero riformularsi, diventare un’unica forza per poter così rappresentare una reale alternativa. Ma c’è molta strada da percorrere, molta. 

Lei ha firmato insieme agli economisti Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini un appello che propone la nascita di una moneta parallela all’euro per uscire dalla trappola della liquidità e del debito. In che consiste? 

Qui non si tratta di uscire dall’euro ma di avere in Italia dei titoli pubblici con la possibilità di poterli spendere e scambiare come se fossero una moneta. Nel manifesto si parla esplicitamente della fuoriuscita dall’euro come atto con conseguenze disastrose per la nostra economia. Penso alla fuga dei capitali, alla possibile svalutazione della nuova moneta e alle complicazioni burocratiche. Ci sono milioni di contratti con soggetti esteri denominati in euro, che dovrebbero essere ritoccati e modificati. Un’assurdità. Nell’euro ci siamo, consci che ci sono gravissimi problemi che andrebbero analizzati e discussi mentre Bruxelles e in primis la Germania lo vietano in maniera categorica. La nostra proposta è un modo per ovviare a livello nazionale alle rigidità dell’euro e far circolare contante a chi ne ha meno, compresi lavoratori e medie e piccole imprese. 

Un modo di riottenere la sovranità perduta? 

Certamente. Il trasferimento di poteri da Roma a Bruxelles forse è andato oltre anche a quel che era previsto a Maastricht. Viviamo in un’Europa delle diseguaglianze che necessita di alcuni urgenti interventi, al momento non sembra ci siano le condizioni: la Commissione non vuole modificare la propria linea economica con Junker sostenuto convintamente dalla Germania. L’euro sarà destinato a propagare guai ancora per molto tempo e l’emissione in Italia di Certificati di Credito Fiscale (CCF) potrebbe mitigare i disastri della moneta unica, così pensata. 

Pablo Iglesias, leader di Podemos, parla esplicitamente di una Spagna “colonia della Germania”. Il discorso può valere per l’Italia? 

Il termine colonia è un po’ forte. Però di fatto le politiche che stanno strangolando i Paesi con tagli alla spesa pubblica, con l’ossessione dell’avanzo primario – quindi tartassare sempre maggiormente i cittadini e nello stesso momento diminuire servizi – sono procedimenti suicidi e insensati. E molte di queste imposizioni sono volute dalla Germania, dietro alla durezza del governo tedesco ci sono le banche tedesche che si erano esposte con l’acquisto di titoli internazionali. La Germania ha pensato di salvare le proprie banche. Forse non siamo una colonia, di certo soggetti ad una forma di imposizione esterna. Come noi anche gli altri Paesi dell’Europa del Sud e la Francia. 

Anche la Francia? 

Di meno, è sempre la seconda economia dell’eurozona ed ha legami storici con la Germania dai tempi di Mitterrand. Ma ha subito forte pressioni ed è stato costretta a tagliare salari, pensioni e sanità. Lo stesso governo tedesco ha introdotto nel proprio Paese le misure d’austerity, a partire dall’agenda 2010 del 2003, arrivando alla creazione del settore dei lavoratori poveri più ampio d’Europa: 15 milioni di persone che guadagnano meno di 6 euro l’ora oppure occupati 15 ore alla settimana per 450 euro al mese. 15 milioni è circa un quarto della forza lavoro tedesca… 

(2 dicembre 2014)

CI SIAMO ROTTI! Fermiamo l'aumento inps al 33%!

da http://youmedia.fanpage.it/video/aa/VH-v6-SworoTg95c

Decine di freelance a Milano (ma anche a Roma, Firenze e Palermo) si sono uniti per protestare contro l'aumento dell'aliquota Inps al 33%, che è già passato alla Camera senza emendamenti. 

Secondo l'Osservatorio dei lavoratori ci sono 1,7 milioni di persone iscritti alla gestione separata. 

Sono una massa inafferrabile, che non si vede spesso in piazza, e che raccoglie categorie disparate e divise a compartimenti stagni. 

Non sono solo professionisti, ma anche subordinati camuffati da lavoratori autonomi. "Da una parte il Governo dice che il posto fisso non ci sarà più – dice la Presidente di Acta – dall'altro però non fa niente per tutelarci e per tutelare i giovani". 

Al centro della polemica, infatti, c'è anche la modifica del regime dei minimi. "L'aumento al 33% ci rende tutti uguali, – ci dice un lavoratore a partita Iva – pagheremo come se fossimo sia i padroni che i dipendenti di noi stessi".

#siamorotti: istruzioni per partecipare alla nostra azione di ROTTURA

Sei a Milano, Roma, Firenze o Palermo? Vuoi dire anche tu che #siamorotti? Vuoi fermare l'aumento dell'aliquota INPS al 33%?

Vieni stasera alle 19.33 nei coworking elencati qui sotto, portati un salvadanaio, unmartello, altri freelance come te e magari qualcosa da bere e da mangiare per il dopo.

A Milano l'appuntamento è presso inCOWO in via Montegani 23: www.incowo.it

A Roma l'appuntamento è presso Millepiani in via Nicolò Odero, 13: www.millepiani.eu

A Firenze l'appuntamento è presso LoFoIo in via del Campuccio 23R: www.lofoio.it

A Palermo l'appuntamento è presso Re Federico in via Re Federico 23:www.coworkingpalermo.net


La tua partecipazione è importante, perché più siamo, più contiamo! 

Giornalisti e TV saranno presenti, ma a fare la differenza siamo noi e allora attiviamoci!

Conferma la tua presenza ora, scrivi una mail a join@actainrete.it specificando la città in cui sarai. Grazie!

________________________________________________________________________

Non sei in queste città, ma vuoi partecipare lo stesso?


Ecco cosa puoi fare sui social media per dire che #siamorotti.

Su Facebook, cambia la foto del tuo profilo con questa immagine: http://www.actainrete.it/wp-content/uploads/2014/12/siamorotti-screen.png
Invita i tuoi amici freelance a fare altrettanto.

Su Twitter, puoi fare lo stesso e in più ritwitta i tweet di @actainrete e invia tweet con gli hashtag #siamorotti e #dicano33. Coinvolgi politici e media in modo da aiutarci a fare pressione sui contatti e sui canali giusti.

Se conosci giornalisti, TV e radio, anche locali, manda loro il nostro comunicato stampahttp://www.actainrete.it/wp-content/uploads/2014/12/CS_siamorotti.pdf

Invia una mail a tutti i tuoi colleghi e amici freelance per invitarli a partecipare.

A partire dalle 20.33 di stasera (NON PRIMA) insieme a noi potrai partecipare LIVE alla nostra azione di rottura. Preparati con salvadanaio, martello e/o immagine stampata del nostro #siamorotti che trovi qui: http://www.actainrete.it/wp-content/uploads/2014/12/siamorotti-print.png.
Tieni pronto il PC o lo smartphone e scalda i polpastrelli!

Versione PRINTVersione PRINT
Versione SCREEN

Gallino: “Il Jobs Act? Una pericolosa riforma di destra” - micromega-online - micromega

Gallino: “Il Jobs Act? Una pericolosa riforma di destra” - micromega-online - micromega