Mediobanca, il 67% del made in Italy prodotto all'estero. Tagli all'occupazione e meno utili per tutti.

da:http://www.repubblica.it/economia/2014/08/08/news/mediobanca_il_67_del_made_in_italy_prodotto_all_estero_tagli_all_occupazione_e_meno_utili_per_tutti-93418636/?ref=HREC1-7


Dal report pubblicato dall'ufficio studi della casa d'affari milanese, emerge come i grandi gruppi multinazionali italiani abbiano delocalizzato la produzione. Una tendenza ancora maggiore quando al vertice arrivano soci esteri con gravi danni per l'occupazione

Crollano i margini e le aziende pubbliche tengono solo grazie alle tariffe. Pochi i finanziamenti da parte delle banche


MILANO - Produzione e vendite all'estero. L'Ufficio studi di Mediobanca, la principale banca d'affari italiana, ha pubblicato il suo consueto Rapporto R&S che analizza i dati cumulativi di oltre 2mila gruppi che battono bandiera italiana e ha scoperto che, a parte l'insegna, del made in Italy resta ben poco. Nel 2013 i maggiori gruppi manifatturieri italiani con organizzazione multinazionale hanno prodotto il 67% dei loro beni all'estero e solo il 9% del fatturato viene realizzato in Italia contro il 91% all'estero.  

Occupazione.
Non deve quindi stupire che l'occupazione è risultata in calo del 5% tra il 2008, ultimo anno prima della crisi, ed il 2013, con la mannaia delle delocalizzazioni che taglia soprattutto le tute blu (-7,8%) rispetto ai colletti bianchi (-1,3%) -La base operaia, però, resta maggiore nelle medie imprese (63%) ,rispetto ai grandi gruppi manifatturieri (52%). Mano pesante sull'occupazione da parte delle società pubbliche (-9,2% dal 2008) e forte calo anche nel manifatturiero (-5,7%) dove hanno tagliato posti di lavoro soprattutto le imprese a controllo estero (-11,3%). Riduzioni di personale minori nelle medie imprese (-2,1%) e nel Made in Italy a controllo italiano (-2,2%), mentre è calato del 10,6% quello controllato da mani straniere.


Mercato straniero. Il 91% di estero delle imprese italiane è suddiviso tra esportazioni (24%), ossia beni prodotti in Italia e venduti su altri mercati, e dal cosiddetto 'estero su estero' (67%), costituito


dai beni prodotti all'estero e venduti sui vari mercati. In realtà la quota di produzione all'estero potrebbe anche essere superiore, in quanto il 9% di quota nazionale del fatturato, non esprime necessariamente beni prodotti in Italia. Le 2.050 imprese italiane radiografate dal Centro Studi di Mediobanca rappresentano la totalità delle aziende industriali con oltre 500 addetti, che a loro volta esprimono circa il 50% del fatturato della manifattura ed il 57% delle esportazioni. Le loro vendite fanno capo per il 24% a società pubbliche e per il 46% a privati italiani e per il 30% a soggetti di nazionalità estera, a loro volta più concentrati sul terziario (43%) che nella manifattura (31%), mentre il 25% vale per il petrolio e il 23% per l'energia ed il gas.

Il pubblico è meglio del privato.  Le imprese in mano allo Stato hanno fatto meglio delle imprese private italiane dal 2008 al 2013. Nello studio viene indicato un calo del 2,4% del fatturato aggregato delle società che operano in Italia, con i soggetti pubblici in crescita del 6,1% ed i privati in calo del 4,7%. Le società pubbliche, che comprendono anche le multiutility, sono state favorite dai regimi tariffari in cui operano queste ultime, mentre le società private hanno scontato il calo del 6% del settore manifatturiero, a sua volta penalizzato dal passo indietro dei grandi gruppi (-6,3%). Diverso il discorso delle aziende di medie dimensioni, che hanno visto crescere il loro fatturato dello 0,9%. 
Quanto al 'Made in Italy', è andato bene solo se in mani italiane, registrando una flessione limitata allo 0,8%. 
Il 25% di 'Made in Italy' controllato da stranieri, invece, ha visto scendere il proprio fatturato dell'11,1%. Ha sofferto infine il terziario (-1,5%), soprattutto a causa del calo registrato nelle telecomunicazioni (-18,2%) e nelle televisioni (-9%). Vero e proprio boom invece per le imprese di costruzioni (+16,2%), costituite dai grandi 'contractor' di opere infrastrutturali, soprattutto in cantieri esteri.

Meno utili per le imprese. 

I margini industriali delle 2050 imprese radiografate sono letteralmente crollati (-42,5%) rispetto ai livelli ante crisi del 2007. Non si sono salvate né le imprese pubbliche (-44,7%) né quelle private (-41,7%). Hanno fatto meno peggio però le medie imprese (-16,6%), a fronte di margini addirittura negativi per quelle più grandi. Nel 2013 i margini industriali sono caduti del 6,5% rispetto al 2012 per l'aggregato, del 9,4% per il pubblico e del 5,5% per i privati. Gli unici incrementi si sono registrati tra le imprese medie (+15,9%) quelle e medio-grandi (+10,2%). In calo anche gli investimenti, scesi del 40,6% nel decennio 2004-2013, più nel pubblico (-53,8%) che nel privato (-30,3%). Sono precipitati anche nel terziario (-62,9%), mentre hanno tenuto ancora una volta le medie imprese (-7%).

Pochi finanziamenti da parte delle banche


Trentatrè miliardi di mancato credito in 4 anni. E' l'importo calcolato dal Centro Studi di Mediobanca osservando la dinamica dei finanziamenti alle imprese da parte del sistema bancario tra il 2009 ed il 2013. L'ammontare dei crediti bancari era però aumentato di 48,6 miliardi tra 2005 e 2008, quindi nell'arco del decennio il saldo è aumentato di 15,6 miliardi, ma ha rappresentato solo il 13,4% del debito finanziario accumulato dalle imprese, salito di 115,8 miliardi grazie all'apporto delle obbligazioni e dei conferimenti delle consociate estere, che hanno emesso bond per conto dei gruppi di appartenenza.  

 

#staiserenorenzi!

Stai Sereno Renzi!

Ormai il percorso politico del super Matteo Boyscout-tuttotv è in arresto, presto come è stato catapultato a palazzo Chigi, andrà  via e sarà solo un ricordo sbiadito come mariemonti!

Purtroppo egli ancor no sa che la traiettoria è sbarrata, egli non intravede il fosso in cui il Paese lo metterà a breve, visto che egli non ha inteso che la vera e unica riforma da fare era, è e sarà solo il rilancio dell'occupazione in Italia.

SI OCCUPI DI CREARE OCCUPATI, IL RENZI!

QUANDO LA CRESCITA DEI POSTI DI LAVORO SARA' DECENTE, ALLORA FORSE POTRA' PARLARE.

COSA HA PORTATO ALL'ITALIA? LA RIFORMA DEL SENATO?
COME SI PERMETTE? CHI LO HA ELETTO AL PARLAMENTO?
E CON CHI LA FA?
VERDINI, LETTA E MR B.?

Invece, incaponito, intontito dal compito tipicamente massone di rastrellare il potere e di accentrarlo nelle mani di pochi per ristabilire l'ordine (?) o meglio i privilegi (come se già non ne hanno in abbondanza i politici italiani) del fascismo, ormai non coglie il venticello che si è alzato e che sarà tempesta in un minuto.

Proprio bravini i massoncini a piazzare la destra nel cuor della sinistra!

Cmq non si capisce quali miglioramenti sarebbero venuti agli italiani.

Illusi, idioti e soprattutto maschi di congregazione sgangherata, segreta e altissimamente composta da GENTE IMPREPARATA A TUTTO!
Hai voglia ad usare simboli come il compasso e la cazzuola, il regolo e la squadra, tanto in definitiva non capiscono una H di nulla e meno che mai del governo di un Paese.
Vergogna!

ARIPIJATEVE LA CAZZUOLA E ANDATE DALLO PSICOLOGO A RISOLVERE LA PSICOPATOLOGIA DI ONNIPOTENZA CHE VI INVADE IL CERVELLO!

Il familismo è morale?

da:http://www.repubblica.it/cultura/2014/08/05/news/herzfeld_il_familismo_morale_il_sud_non_se_ne_vergogni-93167346/


IL MEDITERRANEO si racconta da tremila anni e non è mai lo stesso, diceva Fernand Braudel. Ma, visto da Harvard, il Mediterraneo non sembra più lui. Smontato in mille pezzi si decostruisce davanti ai nostri occhi. È la sensazione di spaesamento che si prova incontrando un antropologo come Michael Herzfeld, il più grande specialista di culture mediterranee e professore nella prestigiosa università bostoniana. Quest'uomo gioviale non le manda a dire. La provocazione ce l'ha nel Dna. E il relativismo lo applica fino alle estreme conseguenze.

Facendo a fettine stereotipi e pregiudizi sul Mare Nostrum. Ma anche valori e convinzioni portanti dell'Occidente moderno. Quelli che fanno la differenza tra le due Europe, tra il Nord avanzato e il Sud arretrato. Herzfeld è Milano in occasione del Laboratorio Expo, il progetto della Fondazione Feltrinelli e di Expo 2015 curato da Salvatore Veca. Partiamo subito da un suo cavallo di battaglia: l'onore. Che, da quello di Achille all'Onore dei Prizzi, resta la questione più spinosa dell'immaginario mediterraneo.

Ma è proprio vero che da queste parti l'onore è tutto?
"Il rapporto tra l'onore e il Mezzogiorno d'Europa è diventato un circolo vizioso. Quasi un cliché. Al punto che negli anni Sessanta si arrivò a definire il Messico un paese mediterraneo, perché avrebbe valori comuni come il machismo. Eppure persino in Grecia, dove faccio ricerca da molti anni, la parola philotimo  -  da filos e timè, letteralmente amico dell'onore, ma che molti traducono con amor proprio, orgoglio e dignità  -  ha significati molto diversi da una regione all'altra. Ecco perché sono molto critico verso chi sostiene che esista una cultura mediterranea omogenea, caratterizzata dall'ideologia dell'onore o dal familismo o dalla corruzione o dalla criminalità. Per me è molto più utile cercare le differenze nei vari contesti".

Nel V canto dell'Iliade, Agamennone pronuncia la frase: "Se gli uomini pensano all'onore, sono più i vivi che i morti; ma se si danno alla fuga non c'è più gloria né scampo". Perfino nella Grecia omerica, che è il grande codice del Mediterraneo, l'onore era già mille cose e mille nomi.
"A proposito di poemi, per me è sempre fondamentale studiare le "poetiche sociali", cioè analizzare lo scarto tra la norma collettiva e la creatività individuale. Tra l'astrattezza dei codici dell'onore e i comportamenti concreti delle persone".

È proprio in quello scarto che di fatto si produce la storia.
"Ecco perché non penso che abbia molto senso parlare dell'o- nore come se fosse l'aspetto caratterizzante di questa parte di mondo. Soprattutto perché dentro una lingua ci sono varie sfumature. Quello che un calabrese intende per onore è diverso da quello che intendono un toscano o un romano. A Creta, per esempio, un uomo è sempre pronto a uccidere chi lo offende o disonora le donne della sua famiglia. In altri paesi questo è tutto fuorché onorevole. A fare la differenza è il comportamento del cosiddetto uomo d'onore".

Quindi la classica divisione tra il Nord come civiltà della colpa e il Sud come civiltà dell'onore, cara a studiosi come Ruth Benedict e Eric Dodds, non la convince?
"Non mi convince per niente! Devo dire che nelle cosiddette società della vergogna, quelle che farebbero di ogni cosa una questione d'onore, ho conosciuto persone con un senso di colpa quasi protestante. Questa distinzione è figlia di uno strabismo originario che divide il mondo tra popoli superiori e popoli colonizzati".

Come dire tra moderni e premoderni, avanzati e arretrati.
"Per me, invece, colpa e vergogna convivono nelle stesse persone. Non sono marcatori etnici".

Quindi il familismo amorale, che è diventato uno stereotipo negativo del carattere italiano, non è altro che l'invenzione di una mediterraneità in salsa anglosassone?
"Intanto il familismo è di per sé un sistema etico. Perché la voglia di difendere la propria famiglia dall'ostilità e dalla concorrenza degli altri è più che legittima. Il troppo fortunato libro di Banfield, Basi morali di una società arretrata , aveva un approccio da missionario protestante. E giudicava le società meridionali con i criteri della sua. Insomma guardava il Sud italiano dall'alto in basso. Ma per un antropologo non è corretto considerare aprioristicamente superiore la propria etica"

A proposito di uomini d'onore, qualche settimana fa il vescovo di Reggio Calabria ha vietato l'inchino delle statue dei patroni davanti alle case dei padrini. A Palermo, la processione della Madonna del Carmine si è fermata, secondo alcuni in segno di ossequio, davanti al negozio di un boss. E anche questa volta le autorità ecclesiastiche hanno preso una posizione molto dura...
"È sempre possibile che un delinquente usi i valori, i codici, le ritualità tradizionali per legittimare i suoi atti. Dal mio punto di vista, però, certi fatti sono di ordine criminale solo se la comunità locale li considera tali. Se invece gli abitanti sostengono l'atteggiamento dei criminali, da antropologo, devo accettare il loro punto di vista, per poterli osservare e studiare come un fenomeno sociale. Ad esempio, ho analizzato l'abigeato tra i pastori a Creta. Mentre per l'opinione pubblica e per la polizia, si trattava di un reato, per la gente del luogo era diverso. Di fatto in ogni paese coabitano due idee di legalità. Una comunitaria, l'altra statuale. In tutte le società considerate criminali troviamo un atteggiamento contrario allo Stato. Ma chi ha detto che lo Stato sia la migliore protezione per l'uomo?".

Così però si minano le fondamenta del canone occidentale, dall'idea di democrazia a quella di legalità...
"E, per dirla tutta, non mi piace nemmeno il termine "criminalità". Perché è un'immagine creata dallo Stato burocratico. A me invece interessa indagare la differenza tra chi giudica secondo le norme vigenti e chi giudica secondo quei valori che io chiamo "intimità culturale". Se uno dice: "Io non sono razzista, però" quel "però" svela un aspetto dell'intimità culturale. Il non confessabile dei propri valori. Che esiste dappertutto, non solo in Italia. In ogni paese ci sono delle zone d'ombra della cultura nazionale, che vengono condannate solo a parole".

È innegabile però che in paesi come l'Italia, illegalità e corruzione siano un peso per la collettività.
"Certo nel Sud dell'Europa molti sono evasori, familisti, non pagano le tasse,guidano male, ma io credo che questo esista in tutti i paesi. Anche in Gran Bretagna, dove pure si autorappresentano come una nazione senza corruzione, si moltiplicano gli scandali che coinvolgono cittadini, politici e polizia. La domanda centrale è chi definisce la corruzione? Se usiamo un parametro astratto come l'indice di corruzione, ignoriamo il fatto che quello che chiamiamo corruzione, a livello locale, costituisce la base di una serie di norme sociali. Che ci piaccia o no".

E Stilinga pensa che è vero che ci sono una serie di norme sociali (e sono proprio quelle da distruggere visto i risultati) che determinano il familismo non solo al Sud, ma è pure vero che il concetto di MERITO è totalmente utopistico in questa vita e in questo mondo. Forse è un faro verso cui l'umanità collettivamente tende, a cui aspira e che cerca qualora l'esperienza diretta del familismo in ambito lavorativo, gestionale e amministrativo la fiacca e la deprime una volta considerati i suoi risultati negativi.


Quindi signor antropologo di Harvard, Mr Michael Herzfeld, lei osserva e registra in quanto non vive immerso nella nostra quotidianità e non ne subisce i contraccolpi che invece noi affrontiamo. Sarebbe il caso che lei avesse davvero a che fare con la nostra realtà e che non la studiasse soltanto: scoprirebbe nuovi punti di vista e forse cambierebbe parere anche più velocemente di quanto possa immaginare.