MERCATO ITALIA. CONSUMI DELLE FAMIGLIE: ANCORA NESSUN SEGNO DI RIPRESA IN AVVIO 2014...

da: http://www.assocalzaturifici.it/anci/main.nsf/all/19294071979E507AC1257B8100442716?opendocument
MERCATO ITALIA


CONSUMI DELLE FAMIGLIE: ANCORA NESSUN SEGNO DI RIPRESA IN AVVIO 2014...

Ulteriore arretramento per gli acquisti di calzature in Italia, scesi nei primi 4 mesi 2014 – secondo i dati elaborati per Assocalzaturifici dal Fashion Consumer Panel di Sita Ricerca – del 2,8% in quantità e del 5,4% in spesa, con prezzi medi in ribasso del 2,6%.


Unico (debole) recupero per gli acquisti di “sportive e sneakers”: +1,2% in quantità, a fronte però di un calo dell’1,8% in valore. Forti diminuzioni per il segmento “bambini/ragazzi” (-8,2% in volume e -13,2% in spesa) e per le scarpe per donna (-5,7% e -7,2%).
Approfondisci

... DOPO LA GELATA DEL 2013
Il 2013 è stato, per il mercato domestico, un anno di grande sofferenza: frenata dalla ristrettezza del reddito disponibile e dal clima di incertezza che ha fortemente condizionato gli acquisti rimandabili, la spesa delle famiglie per le calzature ha subìto una marcata contrazione (-5,8% sul 2012), scendendo a 6,9 miliardi di euro.
Analogo l’arretramento in termini di volume, dove si è accentuata l’erosione già in atto da un quinquennio.
Fonte: elaborazioni Assocalzaturifici su dati Sita Ricerca *


I 185,2 milioni di paia acquistati nel 2000 si sono ridotti, nel 2013, a 162,6 milioni, con un calo di ben il 12,2% rispetto ad allora. Depurando dall’inflazione intervenuta nel decennio, la flessione in valore tra 2000 e 2013 risulta superiore al 20%.


CONTINUA A SOFFRIRE IL DETTAGLIO TRADIZIONALE
L’analisi condotta da Assocalzaturifici sui dati Sita Ricerca mostra la forte difficoltà del dettaglio indipendente multimarca – sia negozi specializzati in calzature che negozi di abbigliamento trattanti calzature – che hanno evidenziato flessioni attorno al 15% in quantità e addirittura tra il 15% e il 20% a valore rispetto al 2012.
Confermano il trend di crescita gli acquisti online, con incrementi tendenziali attorno al 55%, che però rappresentano ancora solo il 3,6% sul totale spesa (erano il 2,2% nel 2012).
Fonte: SITA Ricerca, elaborazioni Assocalzaturifici


Nonostante il trend penalizzante, i negozi specializzati sono risultati nel 2013, assieme alle catene di negozi, il principale canale di vendita nazionale (con oltre 2 miliardi di euro, pari al 29% del totale spesa).




AUMENTA IL PESO DELLE SVENDITE SUL TOTALE
Già a consuntivo 2012 sconti/svendite/saldi avevano superato la metà delle vendite complessive, in seguito al notevole aumento delle promozioni durante tutto il corso dell’anno e non solo nel canonico periodo dei saldi; nel 2013 hanno rappresentato il 56,9% delle vendite totali annue in volume e il 52,5% in valore.
COLPITE TUTTE LE FASCE DI PREZZO
Se il 2012 aveva registrato, nonostante il trend asfittico generale degli acquisti, un incremento nelle fasce top oltre i 200 euro, lo stesso non può dirsi del 2013: le fasce prezzo superiori ai 200 euro al paio sono anzi risultate, percentualmente, le più colpite. E’ cresciuta, invece, la fascia prezzo medio-alta subito inferiore (quella da 150 a 200 euro/paio).
Ma, nonostante questo isolato segno positivo, l’andamento rimane sfavorevole con riferimento a tutte le quattro macro-classi prezzo analizzate.

Fonte: elaborazioni Assocalzaturifici su dati Sita Ricerca
L'ITALIA: UN MERCATO TUTT'ALTRO CHE TRASCURABILE
Sebbene la produzione Made in Italy resti fortemente orientata verso i mercati esteri (nel 2013 è stato esportato l’85% di quanto realizzato) il mercato nazionale rappresenta per le aziende italiane – con circa 30 milioni di paia ad esso destinate nel 2013 – il 3° mercato di sbocco più importante in volume, dopo Francia e Germania.
Fonte: SITA Ricerca, elaborazioni Assocalzaturifici
* Nota: in seguito alla riparametrazione dei tassi di copertura sui consumi è stata creata da Sita Ricerca una nuova serie di dati a partire dall’anno 2000.

il tumore non è uguale per tutti.

da: http://www.actainrete.it/2013/12/acta-con-daniela-il-tumore-non-e-uguale-per-tutti/

ACTA con Daniela: il tumore non è uguale per tutti.

| 13 DICEMBRE 2013 | LETTO: 4.099 VOLTE | 13 COMMENTI | AUTORE:  | SHORT URL |
nastro rosaACTA ha deciso di condividere la battaglia di Daniela Fregosi, freelance ammalata di tumore al seno, ancora senza indennità di malattia ma obbligata a versare gli anticipi INPS!
Stiamo raccogliendo informazioni, materiali e testimonianze per capire come intervenire per aiutarla in questa lotta, che poi è la lotta di tutti noi.
Se hai informazioni o esperienze da raccontare segnalacele!
Stiamo organizzando una campagna per rivendicare il diritto dei freelance gravemente malati a vedere riconosciute le tutele di cui dovrebbero godere. Chiederemo la deroga degli anticipi INPS in caso di malattia grave, una revisione delle sanzioni per il ritardato pagamento e tempi certi per l’erogazione delle indennità di malattia. Vorremmo anche maggiore attenzione da parte dell’INPS nella corretta informazione ai lavoratori autonomi malati, per consentire loro di accedere più facilmente alle prestazioni di cui hanno diritto.
A Daniela abbiamo chiesto di raccontare qui la sua storia.
Ammalarsi seriamente è un’esperienza spiacevole per chiunque, ma quando succede a un lavoratore autonomo inizia un doppio calvario. Se poi sei donna e il malaccio è un tumore al seno, hai proprio fatto bingo.
Fin dal momento della diagnosi, intuendo le difficoltà che mi aspettavano, ho cominciato a mettere in atto una serie di strategie di adattamento alla mia nuova condizione. In questo un lavoratore autonomo è un grande esperto perché la flessibilità è il suo pane quotidiano. Ma per quanto tu riesca ad accogliere e gestire il cambiamento, un tumore rimane un tumore e non è un’influenza che, massimo 10 giorni, te la levi di torno. Ho iniziato a informarmi su quali potessero essere gli “ammortizzatori sociali” a cui avevo diritto. Nessuno sapeva nulla. Nonostante dicessi che non ero al pari di una lavoratrice dipendente, che può tranquillamente continuare a contare sul suo stipendio (io sin dal primo mese sono stata costretta a fermarmi), nessun consiglio mi arrivava dai medici e dal commercialista. Un far west terrificante nei patronati, code interminabili di utenti in cerca di informazioni, il call center dell’Inps a cui ho dovuto spiegare io l’ultima circolare del maggio 2013 riguardante i lavoratori autonomi a gestione separata (!). Insomma, meno male che il tumore mi è arrivato alla tetta e non al cervello e che sono molto brava nella navigazione internet, altrimenti ero fritta.

C’è poi da difendersi dalla classica domanda: “Ma come, non hai un’assicurazione privata?” Una cosa così la chiedono solo ai liberi professionisti, tutti convinti che, siccome ce la spassiamo alla grande a non aver padroni, a evadere di brutto e ad arricchirci alla faccia degli altri, il minimo è che cacciamo i soldi per le assicurazioni private e non rompiamo troppo le scatole all’Inps, anche se abbiamo un tumore.
Ho letto innumerevoli guide e libretti informativi per pazienti oncologici, dove venivano descritti i diritti dei lavoratori, dipendenti però. Di noi neppure un cenno. Come se in Italia non ci fosse il popolo delle P.Iva. Come se nessun lavoratore autonomo statisticamente si ammalasse mai seriamente o avesse diritto di ammalarsi come gli altri.
Eppure la malattia per gli autonomi è un problema diffuso, ma se ne parla poco perchè gli interessati sono i primi a nascondersi, temendo ripercussioni lavorative. Già si sono ammalati e hanno pochi diritti; cercano almeno di non bruciarsi un mercato (pure in crisi) fatto di clienti poco propensi ad assoldare professionisti meno efficienti e performanti.
Ma un paziente oncologico non è un paziente oncologico e basta? Evidentemente no.
Noi siamo malati di cancro di serie B e per noi gli art. 32 e 38 della Costituzione, che riguardano rispettivamente il diritto alla salute e il diritto agli aiuti in caso di impossibilità di lavorare, sono opzionali. Perché?
Un lavoratore autonomo con gestione separata ha diritto a un massimo di 61 giorni di malattia in un intero anno solare. E se fai un bel ciclo di chemio per 6 mesi? Beh, puoi sperare di star talmente male da avere diritto all’assegno ordinario di invalidità (una misura temporanea con cifre da fame) oppure puntare sull’invalidità civile. Occhio però che anche lì per ottenere il diritto a un aiuto economico devi stare proprio male e in ogni caso vanno a vedere il tuo reddito nell’anno precedente, quando eri sano, e ti aiutano solo se già da prima avevi un reddito da fame. Uno non sa se augurarsi le metastasi o la miseria. In quel caso incappi comunque in altri sbarramenti, quelli del numero minimo di mesi contributivi versati.
Ho reso l’idea del gran casino che si trova davanti una donna che ha appena scoperto di avere un tumore al seno?
I pochi spiccioli a cui avrei poi diritto me li devo conquistare, tra funzionari che non sono informati, portale INPS che è inadeguato, tempi lunghi di attesa.
E nel frattempo arrivano le scadenze, tra cui il pagamento degli anticipi. Ma come, mi si chiede di pagare INPS e IRPEF in anticipo mentre non ho ancora ricevuto le scarsissime indennità che mi spettano?
Il commercialista mi avvisa che devo provvedere, soprattutto devo versare gli anticipi INPS, perché in caso di ritardo le sanzioni sono pesanti, e, a differenza dell’IRPEF, non è previsto il “ravvedimento operoso”. L’INPS non ammette ritardi, neppure in caso di decesso!
Mentre sei lì tra interventi chirurgici (io ne ho fatto già 2 e si spera di fermarsi lì, perché con un tumore di certezze non ce ne stanno), visite, esami, terapie e riabilitazione, questo è il modo con cui Stato e Inps ti ripagano di anni di tasse versate e contributi. Sapete tutto questo come mi fa sentire? Un bancomat. Un bancomat con un tumore al seno. Non è il massimo.
Chissà, forse dobbiamo espiare qualche colpa. Un’amica libera professionista ha la sua teoria in merito.“In una società conformista, giudicante, che annienta le diversità, il motivo per dare contro a chi pensa, vive e lavora in modo autonomo è che questi soggetti sono di fatto un pericolo per il sistema”. Forse non ha tutti i torti. Io sono più cinica (con un tumore me lo posso permettere) e credo che il motivo sia che dietro ai lavoratori autonomi a gestione separata semplicemente manca un potere forte, un sindacato, un ordine professionale, per cui diventano facilmente oggetto di comportamenti predatori, perché per definizione sono soggetti deboli sul mercato.
Per tutti questi motivi, oltre a denunciare la condizione dei lavoratori autonomi che si ammalano seriamente, ho deciso di fare un gesto concreto. Ho iniziato la mia disobbedienza civile rifiutandomi di pagare l’acconto delle tasse per il 2013.
Caro Thoreau, padre della lotta allo Stato e al potere, oltreché emblema della disobbedienza civile e della resistenza fiscale, aiutami tu. Sostienimi e incoraggiami con le tue parole sagge e non farmi sentire sola: “Tutti gli esseri umani riconoscono il diritto alla rivoluzione; vale a dire, il diritto di rifiutare obbedienza e di resistere al governo quando la sua tirannia o la sua inefficienza sono grandi e intollerabili. Ma quasi tutti dicono che attualmente non ci troviamo in questa situazione……”.
Se sarò sola in questa lotta è perchè il nostro Paese ha ormai perso la capacità di indignarsi, ci hanno lentamente abituato a essere calpestati e, pur lamentandoci moltissimo, non sentiamo più un vero dolore.
Io però sono in una condizione diversa. Come sosteneva Tiziano Terzani prima di morire, un tumore ti concede una sorta di free pass, una carta premio con la quale puoi permetterti di dire e fare cose altrimenti impensabili.
Perchè un tumore o ti schiaccia o ti dà il coraggio di batterti per te stessa e per un mondo più giusto per tutti.
Daniela

“Sento l’eco della riforma piduista di Gelli” (Silvia Truzzi).

Il giurista Paolo Maddalena.
Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Consulta, non è l’unico giurista ad avere più di una perplessità sulla riforma costituzionale. E vuol precisare subito una circostanza dirimente: “La riforma costituzionale va letta in un quadro più ampio, cioè quello della politica internazionale. Qualora andasse in porto, costituirebbe un’ulteriore facilitazione per i poteri finanziari, perché si toglierebbe rappresentatività al popolo. Ho l’impressione che il potere finanziario orienti la politica italiana, che va a scatafascio. Ogni giorno aumenta il debito pubblico, ogni giorno cresce la disoccupazione. Le istituzioni europee e internazionali – mi riferisco alla Bce, al Fondo monetario internazionale – mi pare siano state occupate dalle banche e dagli speculatori.
E dunque le politiche di cui siamo destinatari, fanno gli interessi delle banche e non dei cittadini italiani. Nel Paese va avanti una politica recessiva: le responsabilità sono dei governi che hanno sottoscritto e dato esecuzione al fiscal compact. 
Siamo divenuti schiavi della speculazione finanziaria.
In tutto questo, ci stiamo gingillando su modifiche costituzionali che a mio avviso sarebbe molto meglio lasciar perdere”.   
Il premier continua a ripetere che intende andare fino in fondo…   Il nuovo esecutivo mi pare abbia ansia di dimostrare all’opinione pubblica di essere “il governo del fare”.
 Il guaio è che fanno delle cose, ma trascurandone il contenuto: non è per nulla detto che il nuovo sia meglio del vecchio. Soprattutto quando si tocca la legge fondamentale della Repubblica. È un documento che molti c’invidiano e che moltissimi ci hanno copiato. È pericoloso toccare l’ordine costituzionale in questo momento. La riforma, che si lega inscindibilmente alla legge elettorale, non mi convince affatto: una minoranza di maggioranza potrà incidere anche sugli organismi di garanzia.   
Perché?   
La Costituzione italiana si fonda sull’equilibrio dei poteri, che viene infranto da questa pseudo-riforma costituzionale. Vorrei fare una semplice constatazione, che parte dal 37 per cento del premio di maggioranza previsto dagli accordi del Nazareno, che potrebbe essere portato al 40, ma poco conta. Considerando che votano in media metà degli italiani, la percentuale scende al 18,5. Cioè il 18,5, se va bene il 20 per cento degli italiani decide tutto. 
Ma la democrazia dove va a finire? 
Dove va a finire il bilanciamento dei poteri? 
La cosa mi pare grave: sento l’eco del piduismo, della riforma di Gelli. 
Noi diamo un potere enorme al capo del governo che poi potrà fare tutto ciò che vuole. E sarà l’esecutore delle prescrizioni delle banche internazionali, che governano la politica monetaria. Non dimentichiamo poi che il premio di maggioranza consente al governo di incidere sulla composizione della Corte costituzionale e sul Colle.   
Cosa pensa del Senato dei cento?  
 Ritengo che il Senato debba essere elettivo, per un principio di democraticità. Sono d’accordo con la riduzione del numero dei senatori, ma non sulla modalità di scelta: penso che si debba lasciare al popolo la possibilità di eleggere i propri rappresentanti. Sarebbe auspicabile che la scelta avvenisse tra persone che abbiano dato prova di alta cultura istituzionale, che abbiano agito nell’interesse esclusivo della nazione, che non abbiano conflitti d’interesse né mai abbiano avuto a che fare con la giustizia. Per quanto riguarda le competenze, sarebbe opportuno limitarle a questioni di grande rilevanza e di spessore costituzionale. In tal modo si abbrevierebbero i tempi per l’approvazione delle leggi.  
 Proprio questo Parlamento, delegittimato dalla sentenza della Consulta, doveva fare le riforme?   No, certo: è un parlamento di nominati. Ci vorrebbe una Costituente . Io ho 78 anni, ho memoria della prima Assemblea, ma quella Costituente non era composta da persone a caso, magari di bell’aspetto ma non si sa quanto di cultura. Allora avevamo grandi uomini, di altissimo profilo scientifico, etico, culturale. 
Ora io nell’agone politico non vedo persone in grado di fare una riforma costituzionale: sarebbe davvero meglio che lasciassero la Carta così com’è.  
 C’è stato un grande dibattito   sull’immunità.   I rappresentanti del popolo non hanno bisogno dell’immunità: anzi penso che l’unico punto in cui la Carta dovrebbe essere modificata, visti i tempi, è quello che mantiene l’immunità. Dovrebbe valere per tutti quanto afferma la Costituzione all’articolo 54: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”.
Da Il Fatto Quotidiano del 25/07/2014.