Piromane filmato nei boschi dalle telecamere mimetizzate della Forestale


da: http://bari.repubblica.it/cronaca/2014/07/24/news/piromane-92279112/


Le immagini non lasciano spazio all’immaginazione. La rete di microcamere - una decina in tutto - piazzate dagli uomini del Comando Forestale dello Stato di San Nicandro Garganico Bis nella pineta di Serracapriola, infatti, hanno immortalato il responsabile di almeno due incendi appiccati, volontariamente e ripetutamente, nel sottobosco di un’area boscata in località “Longara” nel comune di Serracapriola - luogo ricadente in parte nel Parco Nazionale del Gargano e sito d’interesse comunitario - dove da alcune settimane si registravano incendi e roghi di varia entità. A rispondere del reato di incendio boschivo doloso sarà un 36enne di San Severo, Daniele Gianluca Mennella, pregiudicato, colto sul fatto mentre con un accendino innescava il fuoco direttamente dalla sua autovettura. Almeno due i casi a lui riconducibili: un incendio risale al 14 giugno, l’altro al 19 luglio sempre nella stessa zona, ovvero sul ciglio di una strada interna alla pineta che porta ad alcuni stabilimenti balneari e quotidianamente frequentata da turisti. Nel primo caso, infatti, il rogo è stato interrotto quasi sul nascere da alcuni bagnanti che si sono adoperati per spegnere le fiamme con acqua, frasche o altri mezzi di fortuna. Il secondo incendio, invece, ha avuto conseguenze più gravi: le fiamme avevano raggiunto in breve tempo i due metri di altezza, trasformando pini d’Aleppo in enormi torce ed è stato quindi necessario l’intervento dei vigili del fuoco del comando provinciale di Foggia.

A rispondere del reato di incendio boschivo doloso sarà un 36enne di San Severo, Daniele Gianluca Mennella, pregiudicato, colto sul fatto mentre con un accendino innescava il fuoco direttamente dalla sua autovettura. Almeno due i casi a lui riconducibili: un incendio risale al 14 giugno, l’altro al 19 luglio sempre nella stessa zona, ovvero sul ciglio di una strada interna alla pineta che porta ad alcuni stabilimenti balneari e quotidianamente frequentata da turisti. Nel primo caso, infatti, il rogo è stato interrotto quasi sul nascere da alcuni bagnanti che si sono adoperati per spegnere le fiamme con acqua, frasche o altri mezzi di fortuna. Il secondo incendio, invece, ha avuto conseguenze più gravi: le fiamme avevano raggiunto in breve tempo i due metri di altezza, trasformando pini d’Aleppo in enormi torce ed è stato quindi necessario l’intervento dei vigili del fuoco del comando provinciale di Foggia.




Ecco l'iper idiota cosmico che distrugge la nostra terra (pure sua! sic!).

Che bei personaggini!

Fede: “Ruby? Silvio scopava, scopava”. Su Dell’Utri: “Solo lui sa sulla mafia”


da: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/23/fede-ruby-silvio-scopava-scopava-su-dellutri-solo-lui-sa-sulla-mafia/1069456/

Ma nelle registrazioni agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia l'ex direttore del Tg4 racconta al suo personal trainer che "l'unico che sa tutto è Marcello Dell'Utri". Per questo, continua il giornalista, "Berlusconi è stato costretto a farlo senatore... ha settanta conti all'estero". Fede parla anche di Briatore: "E' stato coinvolto in una storia di mafia"

Fede: “Ruby? Silvio scopava, scopava”. Su Dell’Utri: “Solo lui sa sulla mafia”
Sole caldo e primi accenni di primavera nel parco attorno a Milano due. Emilio Fede e Gaetano Ferri. Il giornalista e il personal trainer. Parlano a ruota libera. Di Berlusconi, Dell’Utri e Cosa nostra. Di quei soldi che, ragiona Fede, da Palermo sarebbero saliti a Milano per dare benzina aiprogetti imprenditoriali dell’ex Cavaliere. Dice Fede: “Sai… la spada di Damocle su di lui…”. Ferri: “È Dell’Utri… è la mafia?”. Fede: “Sì”.Quindi i due passano a parlare della futura condanna di Dell’Utri. “Certo – ragiona Fede – questa volta però, ciò non toglie che non hanno nessuno che confessa” e “viaggiano sul filo del rasoio”. Poi la rivelazione buttata lì quasi per caso. “È l’unico che sa” dice Fede riferendosi a Dell’Utri. “Quindi voglio dire oggi tu mi togli una spina dal fianco importante”. E i soldi? “Non si sa dove li abbia messi quei soldi”. Insomma Dell’Utri sa e non parla. Ma il silenzio costa, quanto? Quanto denaro l’ex Cavaliere deve all’ex senatore? “Continuamente, ma scherzi sotto forma di questo di quell’altro vedi che ci sono settanta conti esteri”. E quella carica da senatore? “Berlusconi è stato costretto a farlo senatore”. Mafia, mafia, mafia. Berlusconi, ma non solo.Dopodiché inizia a raccontare: “I due (Berlusconi e Dell’Utri, ndr) a un certo puntohanno iniziato a mettersi insieme per l’edilizia e le cose…”. Spiega: “Dopodiché è nata quella che poi è diventata un’azienda (…) Berlusconinon c’aveva una lira” e così “Dell’Utri lo ha appoggiato”. Il ragionamento dell’ex senatore condannato in via definitiva per concorso esterno, è questo. “Guarda Silvio se bisogna prendere dei soldi… perché no”. Quindi ancora l’ex direttore del Tg4: “Credo che direttamente mai, l’incontro Dell’Utri c’è tutto capisci il rapporto mafia, mafia, mafia, soldi, mafia, soldi”. Insomma il discorso va chiarendosi. Ecco poi il carico da novanta. È sempre Fede che parla: “Dell’Utri era praticamente quello che investiva, allora cosa succede? Qui c’è stato uninvestimento di soldi mafiosi. Ora riescono ad arrivare a delle prove? È lì il problema. Chi può parlare? Solo Dell’Utri. Quando Dell’Utri tornava avevano il segnale criptato, perché” all’epoca “Mangano è in carcere. Mi ricordo che Berlusconi arrivando Dell’Utri da Palermo chiede hai fatto? Sì, sì gli ho dato un messaggio… naturalmente per quanto riguarda a Mangano sempre pronto per prendere un caffè che era il messaggio per rassicurare lui per certe cose che io non so… capito. E devo dire che questo Mangano veramente è stato un eroe è morto in carcere per non parlare se no li rovinava tutti e due”.
Anche Flavio Briatore, l’amico di sempre. “Ma Briatore è stato implicato in una storia grossa di mafia, l’autobomba lì che ha ucciso un industriale a Cuneo… e loro due erano insieme, la Santanchè e Briatore”. Di lei però Fede non ha una buona opinione: “È una mascalzona. Io sapevo che loro avevano il Billionaire insieme, sì, il Billionaire, il Twiga eccetera… ma all’origine, Flavio è stato implicato in una storia di mafia”. Dell’Utri e mafia, ma anche Dell’Utri e politica. Al centro la figura di Gianpiero Samorì “che voleva passare con Berlusconi io gli avevo dato una mano, poi è intervenuto Dell’Utri e gli faccio: rivolgiti a Dell’Utri, ma stai attento perché Dell’Utri è un magna magna. Mi ha detto Samorì: cazzo se non avevi ragione gli ho chiesto mettimi in lista e sai cosa mi ha chiesto, 10 milioni di euro”. L’audio è disturbato. Si sente il rumore dei passi sulla ghiaia.
Ferri e Fede discutono del Rubygate. “Tutti puntano su Berlusconi”, esordisce il personal trainer. Inizia Emilio Fede. “Non so – sbuffa – avrà scambiato una 17enne per una maggiorenne, a Ruby poi mancavano tre mesi a diventare maggiorenne”. Teoria nota diventata arma della difesa nel processo d’Appello che ha assolto l’ex Cavaliere dall’accusa di concussione e prostituzione minorile. Fede, poi, aggiunge: “Ma lui scopava, scopava, io glielo avevo detto non esagerare lascia perdere, altrimenti non te le togli più di torno”. Confessa: “Io guarda sono stato un amico vero e ho tentato di proteggerlo in tutte le maniere, mica come Lele Mora, ma guarda Lele un mascalzone”.
Cambio di scena. E dal parco di Segrate la storia si accomoda ai tavolini del ristorante Boccino, ristorante stile vecchia Milano in via Tortona proprio nel cuore della moda. Siamo nell’estate del 2013 e tra una portata e l’altra, Ferri e Fede commentano la richiesta di sette anni fatta dal pmAntonio Sangermano per Fede. Si parla della Minetti: “Consigliere regionale – sospira – ma questa ballava, raccontava, gestiva lei e adesso dice che era defilata, ma io non ci capisco più niente”. Quindi si torna a parlare di Ruby e di come la giovane marocchina sia arrivata a Milano. “Dalla Sicilia è venuta a Milano per cercare successo”. Breve digressione sulla denuncia di Katia Pasquino quando, in corso Buenos Aires, intercetta la ragazza. “Quella – dice Fede – poi l’ha presentata a un agente, credo Soprani, sì sì l’ho registrato me lo ha raccontato lui”. Fine registrazione.
Da Il Fatto Quotidiano del 23 luglio 2014

L'Italia non è un paese per fare turismo!

TURISMO IN ITALIA: ANDIAMO SEMPRE PIU' GIU' NONOSTANTE TUTTO 

Uno su cinque veniva da noi, dei turisti internazionali, nel 1950: adesso uno su ventitrè. È cambiato il pianeta, d’accordo, ma una frana così non l’ha subita nessuno. Andiamo giù nonostante il boom mondiale. Andiamo giù nonostante il turismo sia «l’industria del futuro». Nonostante l’Italia, coi suoi tesori e la sua cucina e i suoi paesaggi, resti in cima ai sogni di tutti. E non serve a nulla, se si usano male, avere il record di siti Unesco: lo dicono i tracolli di visitatori alla Reggia di Caserta o a Villa Adriana. Sarebbe ora che il turismo diventasse sul serio, per la politica, uno dei temi per uscire da questi anni bui. Serve un’occasione per parlarne? 
Eccola: l’uscita dei dati per il 2013 del ministero dei Beni Culturali e di un rapporto scomodo dell’associazione «italiadecide» presieduta da Luciano Violante che sarà presentato lunedì a Montecitorio, davanti a Giorgio Napolitano. Titolo ambizioso: «Turismo: dopo trent’anni, tornare primi».
Ed eravamo davvero i primi, una volta. La tabella che pubblichiamo, costruita dal Touring club italiano su dati dell’Unwto, l’organizzazione mondiale per il turismo, dice che la nostra quota planetaria in quella che Jeremy Rifkin ha definito «l’espressione più potente e visibile della nuova economia dell’esperienza» destinata a diventare «rapidamente una delle più importanti industrie del mondo», era nel Dopoguerra davanti a tutti. Su poco più di 25 milioni di viaggiatori internazionali, poco meno di cinque venivano allora in vacanza da noi. 

Da allora, la nostra quota si è ridotta di decennio in decennio dal 19% del 1950 al 15,9% del 1960 e poi al 7,7% del 1970 (quando eravamo comunque i primi davanti al Canada, alla Francia, alla Spagna e agli Stati Uniti) e giù giù, dopo una breve risalita nel 1980, fino al 6,1% del 1990 (rimasto tale fino al 2000) per poi calare ancora al 4,6% del 2010 e infine al 4,4% di oggi. Certo, si sono aperti nuovi mercati, si sono spalancati nuovi Paesi, si sono arricchiti e messi in movimento nuovi popoli di viaggiatori. E c’è poco da piangere sul destino cinico e baro. Era un destino ineluttabile. Del quale hanno fatto le spese anche la Francia, la Spagna o gli Stati Uniti. Quello che fa rabbia, però, è che nessuno è andato giù quanto siamo andati giù noi. E soprattutto che nessuno ha approfittato poco quanto noi del boom del turismo mondiale. Un boom mai visto.
Due numeri: dal 1950 ad oggi i turisti stranieri che vengono in Italia si sono moltiplicati per 10 volte: da 4,8 a 47,8 milioni. Ma l’immenso popolo di turisti del mondo, grazie all’impetuoso arricchimento soprattutto della Cina, della Corea e altri Paesi asiatici si è moltiplicato per quasi 43 volte. Il che significa che noi siamo riusciti a fare nostra soltanto una fetta molto piccola della torta. 

Dicono le classifiche del «Country Brand Index 2012-2013» che misura la popolarità dei «marchi» di 118 Paesi, che l’Italia è primissima o ai primissimi posti nell’immaginario di tremila importanti opinion leader di tutto il mondo (e dunque dei potenziali visitatori stranieri) per la ricchezza culturale, la gastronomia, la moda. E, come ricorda in «Destination Italy» Silvia Angeloni, «l’Italia è la prima destinazione dove i turisti vorrebbero andare». Eppure, se negli ultimi tre anni si sono affacciati alle frontiere 137 milioni di turisti mondiali in più rispetto al 2010, uno scoppio di salute impensabile solo trent’anni fa, noi siamo rimasti al palo. O siamo andati addirittura indietro. Come spiega in una delle relazioni del dossier di «italiadecide» il direttore del centro studi del Touring club Massimiliano Vavassori, «i dati sui flussi turistici diffusi dall’Istat, e relativi al 2012, hanno registrato 98,1 milioni di arrivi (- 5,4% rispetto al 2011) e 362 milioni di presenze totali (- 4,8% rispetto al 2011)». E le cose non sembrano essere migliorate nel 2013: «Secondo le stime del Wttc (World Travel & Tourism Council), il valore aggiunto dell’industria turistica in Italia - le attività che possono considerarsi core business - è stato di 63,9 miliardi di euro, ovvero pari al 4% del Pil nazionale». 
Una quota bassissima. Che calcolando il valore aggiunto dell’intera economia turistica (dalle pasticcerie che forniscono i croissant agli alberghi alle sartorie che fanno le camicie per i camerieri) sale fino a «161 miliardi che corrispondono al 10,2% del Pil». Una percentuale assai lontana dai proclami guasconi di vari premier del passato, un po’ tutti concordi nel promettere «un turismo al 20% del prodotto interno lordo».
Come mai? Perché, accusa lo studio del Touring, «il comparto si avvale da anni di rendite di posizione ancorate al grande “turisdotto” delle città d’arte o delle aree costiere» ma c’è da sempre una «cronica assenza» di strategie: «Il turismo non è mai stato, e non è tuttora, un’opzione di sviluppo economico presa seriamente in considerazione dalla politica». Tutta colpa del Palazzo? No: il dossier infila infatti il dito nella piaga della mancanza anche di una «cultura dell’ospitalità». 
Troppi bidoni ai turisti, troppi disservizi, troppa scortesia verso chi viene a trovarci. Come se tutto ci fosse dovuto in quanto «Paese più bello del mondo». Peccato, perché quella che è la nostra carta migliore, e cioè il nostro patrimonio culturale, potrebbe godere dei frutti di una stagione eccezionale. Spiega infatti Emilio Becheri, coordinatore del rapporto di Turistica.it , che «nel 2011 (ultimo anno con dati definitivi) la maggiore quota di arrivi di turisti in Italia è determinata dal turismo delle città di interesse artistico e storico (d’arte) con il 35,6%, davanti al turismo delle località marine (balneare) con il 21,5%». Di più: «L’analisi dei differenziali rivela che l’aumento complessivo degli arrivi verificatosi nel periodo 2000-2010, pari a 23,692 milioni è imputabile in gran parte, per il 42,5%, all’aumento del turismo culturale, per il 20,2% alle località non classificate come turistiche, per l’11,3 alle località balneari, per il 10,9% alle località montane e per il 7,3% a quelle lacuali».
Le potenzialità sono enormi. Ma come vengono trattati, gli ospiti? Siamo onesti: così così. Se non proprio malamente. Al punto di spingere moltissimi visitatori, spaventati dai prezzi, ad andare a dormire fuori mano. Un esempio? «Calenzano è un Comune industriale e di servizi di circa 17.000 abitanti vicino a Firenze che nel 2012 ha raccolto 183.207 arrivi di turisti, tre quarti dei quali stranieri, che visitano Firenze e la Toscana». Pistoia e Arezzo sono più belle? Sarà, ma «rilevano solo 129.308 e 49.475 arrivi, cioè, rispettivamente, il 70,6% e il 27%». Colpa dei turisti brutti e cattivi? Ma va là... 

Non basta avere belle piazze e bei monumenti e bei musei. Non basta neppure avere il «bollino» di sito Unesco. Siamo i primi in assoluto, con 49 «bollini»? «Valgono poco», sospira Vavassori, «se le notizie e le immagini sul degrado e la quotidiana rovina di Pompei, ad esempio, fanno il giro del mondo». 

E siamo ai dati del ministero dei Beni Culturali. I quali dicono che negli ultimi dieci anni, mentre i turisti nel mondo crescevano di circa 50%, i visitatori di tutti i nostri musei, siti archeologici, gallerie d’arte statali messi insieme (tolti la Valle d’Aosta, il Trentino Alto Adige e la Sicilia, anch’essa al palo) sono cresciuti da 30 milioni e mezzo a poco più di 38. Con un aumento del 25%: la metà. Se poi contiamo solo i paganti, l’incremento è ancora più basso: da 14 milioni e mezzo a 17 e mezzo: +22%.

Vanno benissimo il Colosseo e i Fori imperiali (+79%), molto bene Venaria Reale che dieci anni fa era ancora in fase di restauro, bene la galleria degli Uffizi e il Corridoio Vasariano (+25% ma troppa gente non può ospitarne) e benino nonostante tutti i nostri dolori Pompei, che cresce del 17%. 

Mettono i brividi, al contrario, i numeri ad esempio di Villa Adriana. Nel 2003 era al 14º posto tra i luoghi più visitati ed ebbe tra paganti e non paganti 322 mila ospiti: nel 2013 solo 207 mila. Peggio ancora la Reggia di Caserta: era sesta con 687 mila visitatori, è precipitata al 10º posto con 439 mila. Un crollo del 36% nel decennio del boom. 
C’era da aspettarselo. I tesori vanno curati con amore. Non possono essere abbandonati a se stessi. Sono la nostra ricchezza. Potrebbero essere il nostro futuro. Tenere insieme la tutela e il turismo è possibile. Deve essere possibile. E forse, come dice il rapporto del Touring, «se l’Italia credesse di più nel turismo, sarebbe un Paese migliore». 
Gian Antonio Stella - Il Corriere della Sera

Se qualcuno mi dicesse che viene in Italia solo per fare turismo, perché solo a questo servirebbe il paese, allora io risponderei, ma quale turismo?
Il turismo e l'Italia sono due concetti separati (vedi sopra).
E poi l'Italia sa fare manifattura, agricoltura bio, ecologia, innovazione, ricerca scientifica, arte quella è la prospettiva italiana, peccato che i politici l'abbiano dimenticato!

Industria italiana, giù fatturato e ordini. Anche l'estero tradisce il Made in Italy!


Industria italiana, giù fatturato e ordini.
Anche l'estero tradisce il Made in Italy


da:http://www.repubblica.it/economia/2014/07/21/news/ordini_fatturato_industria-92053196/?ref=HREC1-4

Il fatturato scende dell'1% a maggio su aprile, mentre resta positivo di un soffio (+0,1%) nel raffronto annuo. I dati peggiori vengono registrati dall'Istat sui mercati esteri. Gli ordinativi scendono del 2,1% mensile, calo anche su base annua: è il primo da otto mesi


MILANO - Segnali negativi per l'industria italiana dall'andamento del fatturato, tradito anche dai mercati esteri, e degli ordinativi. Secondo i dati dell'Istat, il fatturato dell'industria a maggio scende dell'1% rispetto ad aprile, segando il secondo ribasso congiunturale consecutivo, mentre resta positivo su base annua, anche se appena sopra lo zero, con un incremento dello 0,1% (dato corretto per effetti calendario). Stavolta l'Istituto nazionale registra i dati peggiori sui mercati esteri. Quanto agli ordinativi, sempre a maggio scendono del 2,1% su aprile, dopo due mesi in aumento. Le commesse calano anche su base annua, con un ribasso del 2,5% (dato grezzo): si tratta della prima flessione dopo 8 mesi. Se in termini mensili a pesare è l'estero, a livello tendenziale è ancora il mercato interno a fare peggio.


Fatturato. A maggio 2014 il fatturato dell'industria, al netto della stagionalità, diminuisce dell'1,0% rispetto ad aprile, registrando flessioni sia sul mercato estero che su quello interno (rispettivamente -1,9% e -0,6%). Nella media degli ultimi tre mesi, l'indice complessivo diminuisce dello 0,7% rispetto ai tre mesi precedenti (-0,8% per il fatturato estero e -0,7% per quello interno). Corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 21 contro i 22 di maggio 2013), il fatturato totale cresce in termini tendenziali dello 0,1%, con un aumento dello 0,1% sul mercato interno ed una flessione dello 0,1% su quello estero. Gli indici destagionalizzati del fatturato
segnano diminuzioni congiunturali per i beni di consumo (-1,7%), i beni strumentali (-1,2%) e i beni intermedi (-1,0%), mentre l'energia segna un incremento (+2,7%). L'indice grezzo del fatturato cala, in termini tendenziali, del 3,1%: il contributo più ampio a tale flessione viene dalla componente interna dei beni intermedi. Per il fatturato, limitatamente al comparto manifatturiero, l'incremento tendenziale più rilevante si registra nella fabbricazione di mezzi di trasporto (+6,0%), mentre la diminuzione più ampia riguarda la fabbricazione di prodotti chimici (-5,4%).
Ordinativi. Per gli ordinativi totali, si registra una flessione congiunturale del 2,1%, con una diminuzione del 4,5% degli ordinativi esteri e dello 0,2% di quelli interni. Nel confronto con il mese di maggio 2013, l'indice grezzo degli ordinativi segna una diminuzione del 2,5%. L'incremento più rilevante si registra nella fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (+15,0%), mentre la flessione maggiore si osserva nella fabbricazione di macchinari e attrezzature (-13,6%).

Ma allora di cosa parliamo? 

dell' Italicum? l'arma di distrazione di massa da questi dati orridi? 

ma Napolitano dorme pure lui? 

Renzi pensa a Berlusconi, Berlusconi pensa solo a sè e a volte alle olgettine, ma se stesso è sempre il primo pensiero, e lo sviluppo economico?

Quando sentiremo un discorso (un semplice discorso in quanto fino ad oggi nessuno ne ha parlato manco fosse un tabù pensare che l'Italia possa svilupparsi economicamente...) sullo sviluppo economico?

Quando?
(21 luglio 2014)



Ma quale riforma autoritaria del Senato? Caro Renzi mica siamo cretini!

da: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/20/riforme-costituzionali-ferrara-poteri-abnormi-fermiamo-leversione-autoritaria/1066066/

Riforme costituzionali, Ferrara: “Poteri abnormi, fermiamo l’eversione autoritaria”

Gianni Ferrara, professore emerito di Diritto costituzionale alla Sapienza, stronca le riforme volute dal premier Renzi: "L’obiettivo è l’eliminazione di qualunque contrappeso al potere del governo e del capo del governo. Netto il giudizio anche sulla futura legge elettorale: "L’Italicum, che è un Porcellum travestito, offre un potere assoluto al capo del governo e segretario del partito di maggioranza"

di  | 20 luglio 2014
Riforme costituzionali, Ferrara: “Poteri abnormi, fermiamo l’eversione autoritaria”

Non bisogna pregare Gianni Ferrara, professore emerito di Diritto costituzionale alla Sapienza, per sapere cosa pensa delle riforme costituzionali: “Si vuole mutilare la democrazia”, spiega in una sintesi piuttosto allarmante. “L’Italia ha acquistato un primato negativo: un Parlamento illegittimo continua a resistere e si arroga il diritto di modificare la Costituzione. Lo Stato moderno è Stato rappresentativo. Ebbene, per la prima volta nella storia degli Stati, un giudice ha statuito che la legge fondamentale, la legge sulla rappresentanza dei cittadini, era incostituzionale. Questo Parlamento avrebbe dovuto essere immediatamente sciolto. Non è accaduto e così si è aggiunto un altro primato negativo. Quello di non avere rispetto per la legalità”.

Professore, qual è il disegno di Renzi?
“L’obiettivo è l’eliminazione di qualunque contrappeso al potere del governo e del capo del governo. Neutralizzando il Senato si elimina, sul piano della rappresentanza, l’organo che potrebbe frenare una legislazione volta al rafforzamento dell’esecutivo. Dietro il rispondere per slogan alle numerose obiezioni, dietro l’apparente mancanza di argomenti di chi parla di ‘gufi’ e ‘rosiconi’ c’è un progetto preciso. Assistiamo a un processo che intende trasformare la democrazia italiana”.


Trasformare in cosa?
“In un regime autoritario fondato sull’elezione, ogni cinque anni, del capo. Vorrei ricordare qui una circostanza che m’impressionò molto negativamente. Tra le cose che furono dette dai saggi del Quirinale, venne fuori tra le proposte una formula molto strana, ‘il governo del primo ministro’. Questa formula non può essere stata usata da un costituzionalista, perché è esattamente quella con cui la dottrina italiana aveva definito lo Stato fascista. Non è lo squadrismo il pericolo attuale, ma è ugualmente una forma di autoritarismo molto forte. Se viene fuori una riforma di questo segno, siamo di fronte a un progetto di eversione autoritaria. Dato il carattere, la natura della legge elettorale per la Camera, è ovvio che il potere del capo del governo diventa enorme, abnorme. Battersi adesso contro queste riforme significa battersi per la nostra democrazia, per mantenere l’identità democratica della Repubblica”.
Quali sarebbero le peggiori conseguenze?
“Una legge elettorale maggioritaria come l’Italicum, che è un Porcellum travestito, offre un potere assoluto al capo del governo e segretario del partito di maggioranza. Che infatti attraverso la maggioranza riesce a determinare addirittura – addirittura! – la composizione dell’organo che deve vigilare sulla Costituzione, la Consulta. E non solo: determina anche la composizione del Consiglio superiore della magistratura e l’elezione del presidente della Repubblica. Voglio anche sottolineare che la cosiddetta riforma della Pubblica amministrazione rientra nel disegno generale di questo governo, organicamente progettato. La Pubblica amministrazione perde parte della sua relativa autonomia, così come la Camera dei deputati diventa strumento che traduce in norme i voleri del capo”.
Lei come legge l’innalzamento della soglia delle firme necessarie per la presentazione di un disegno di legge popolare e per il referendum?
“Dietro la compressione dei diritti dei cittadini c’è sempre lo spirito autoritario. L’aumento dei quorum sta a significare che i cittadini non devono dare fastidio a chi governa. Questo esecutivo non vuole intralci, si vuole assumere ed esercitare tutto il potere possibile”.
Poniamo che i riformatori siano animati dalle migliori intenzioni: non è ingenuo da parte loro non pensare che domani, a capo di questo esecutivo enormemente rafforzato, potrebbe esserci qualcun altro? Cosa sarebbe capitato negli anni delle leggi ad personam berlusconiane con un modello come quello che si avvia a esser definito?
“Voglio ricordare che nel 2006 il popolo italiano bocciò nettamente la riforma costituzionale voluta dal governo Berlusconi. Quel referendum dimostrò che i cittadini avevano la stessa idea di Stato e di democrazia dei costituenti. È stata una conferma della Costituzione. Un fatto importantissimo, volutamente rimosso: nessuno se ne ricorda più, nessuno lo cita più. I cittadini si sono già espressi su questo modello. Aggiungo: i maggiori giornali, le tv, le agenzie sono tutti schierati a favore di questo progetto. Tranne pochi, come ilFatto: ma rara avis”.
Nel 1985 quando era deputato, con Stefano Rodotà presentò un progetto di legge per l’abolizione del bicameralismo.
“Il contesto storico non è comparabile. Allora c’era la legge proporzionale, che era il fondamento dello Stato rappresentativo. Perché è così importante? Perché è quella forma di elezione che consente che i contropoteri siano all’interno del potere. La garanzia che il potere della maggioranza non sia illimitato”.
I cittadini si domandano cosa potrebbe fare il Capo dello Stato, nella sua qualità di garante della Costituzione.
“Garante della Carta ha dimostrato di esserlo la Corte costituzionale. Essa sola”.
@silviatruzzi1 
da il Fatto Quotidiano del 19 luglio 2014 

Che dire? che i politici di turno ci qualificano noi popolo italiano come una massa de cretini, boccaloni che se bevono tutto. 
Beh, cari politici da strapazzo, sappiatelo, non contate un cavolo, siete solo di passaggio ed in questo caso non siete stati votati con una legge legittima ma definita PORCATA, quindi che insistete a fare sul sinistro italicum?
 Meglio fareste a a far ripartire l'occupazione in Italia, ma questo è un compito troppo gravoso, impossibile per chi non lo sa fare, e voi siete capaci solo di farvi fotografare nelle varie riunioni di rito in Italia e all'estero e allora ci stupite con distrazioni politiche tipo la riforma del senato, per non farci vedere quello che abbiamo sotto gli occhi: disoccupazione galoppante, economia in recessione e incapacità totale di risolvere i problemi che affliggono i più, mentre quelli vostri li risolvete subito!
Ma annate a casa!

Confessioni di un trafficante di uomini

da: 
http://www.mediapolitika.com/?p=12695

Confessioni di un trafficante di uomini, i Caronte del Mediterraneo



di Arianna Catti De Gasperi

Immaginate di dover aspettare un treno e di entrare per caso in una libreria per cercare qualcosa che inganni il tempo dell’attesa, ecco, sicuramente Confessioni di un trafficante di uomini è un libro che non solo vi farà passare il tempo che dovrete aspettare più in fretta, ma stimolerà anche la vostra curiosità e vi darà nozioni di un mondo “invisibile” che ci circonda.

Questo volume, uscito solo nel gennaio 2014, è scritto da due autorità in materia di immigrazione: Andrea Di Nicola, che insegna Criminologia all’Università di Trento e da anni conduce ricerche sulle migrazioni clandestine organizzate e sulla tratta di persone a scopo di sfruttamento, e Giampaolo Musumeci, giornalista, fotografo e videoreporter, che si occupa di conflitti, immigrazione e questioni africane per radio, tv e giornali italiani e internazionali.

Per scrivere questo libro c’è voluto tutto il coraggio di due uomini che hanno dovuto indagare in un mondo difficile, alla ricerca di testimonianze circa tutto il lavoro che c’è dietro all’immigrazione clandestina.

Gli autori stessi ci dicono che “Dietro alle decine di migliaia di migranti che ogni anno arrivano in Europa c’è un’industria fatta di grandi professionisti del crimine, gente in doppiopetto, uomini d’affari il cui fatturato mondiale è secondo solo a quello della droga.”

L’aspetto interessante di questo “reportage” è che chi parla in prima persona sono proprio gli uomini che controllano il traffico dei migranti. La voce degli autori è una voce fuori campo che ogni tanto può dare consigli o spiegazioni, ma il lettore si immerge direttamente nella storie – sempre interessanti e accuratamente scelte fra molte – di chi ha vissuto o continua a viverle in prima persona.

L’immigrazione è trattata sotto tutti i suoi aspetti, anche se principalmente si parla di immigrazioni verso l’Europa, piuttosto che America (tranne che per qualche accenno ai costi). Le vie dell’immigrazione clandestina trattate qui sono infatti quelle dall’Europa dell’Est fino ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

“Marina di Turgutreis, distretto di Bodrum, Turchia meridionale. Sono le 9:30 del mattino di un giorno di maggio del 2010, siamo nella sede di una società di gestione e affitto natanti a vela e a motore… un uomo sulla quarantina, il viso abbronzato e un po’ segnato, le braccia forti e la stretta di mano vigorosa, si presenta in agenzia per concludere il contratto.
È uno skipper. Si chiama Giorgi Dvali, di nazionalità georgiana. Organizza crociere nel Mediterraneo… riferisce all’impiegata che i suoi prossimi clienti sono una famiglia di americani di Seattle, in crociera nel Mediterraneo. Dvali paga in contanti quanto dovuto per l’affitto e l’assicurazione [...] sei giorni dopo la barca è a largo di Porto Selvaggio in provincia di Lecce.
Il guardacoste della finanza affianca lo scafo per un controllo ordinario… sottocoperta non c’è la famiglia appassionata di vela, ma una quarantina di uomini afghani dai sedici ai trentadue anni”.

Questo è l’inizio ed una delle tante testimonianze presenti in Confessioni di un trafficante di uomini (ed. Chiare Lettere).

Dal loro racconto emerge la rilevanza del traffico di esseri umani intorno al mondo e la consapevolezza dell’impossibilità di arrestare questo fenomeno: se la rotta di Lampedusa viene chiusa, perché ci sono più pattugliamenti, allora immediatamente questa grossa rete, individuerà un’altra rotta, quella turca terreste, il fiume Ebros – con il rischio però di essere sparati a vista dai poliziotti turchi. Quel confine lì si chiude? Ebbene, i “tour operator” penseranno a un’altra rotta, che è quella che passa dalle montagne della Bulgaria.
Che cosa succede però? Che la rotta è più lunga, ci sono da fare molti più chilometri a piedi, la rotta diventa più rischiosa e più costosa.
Da qui il paradosso per cui più l’Europa si chiude, più Frontex pattuglia e più il Muammer Küçük (trafficante) della situazione vedrà il suo fatturato ingigantirsi, perché i migranti devono spendere più soldi.

In questo libro scopriamo un po’ tutti gli aspetti di questa “Agenzia di viaggi” – come la chiamano i due autori.
Come funziona la mafia dei trafficanti di uomini? Chi sono e perché hanno iniziato a trafficare? Come si organizzano, quali rotte scelgono e perché? Come trovano i migranti da trasportare e quanto li fanno pagare?

Tra i vari testimoni c’è anche Kabir, faccia pulita e sorriso aperto, è ben vestito, ha scarpe eleganti e una giacca alla moda con gilet trapuntato. Pare un agente di viaggi. Dal suo aspetto non penseresti mai a un trafficante di uomini. Kabir, pachistano cinquantenne, preferisce definirsi “mediatore”: “Tutti vogliono venire in Italia. Io aiuto le persone . Realizzo sogni”. Per fare questo sfrutta anche le falle nella legge italiana: fa arrivare pakistani, Pashtun per l’esattezza, da villaggi tra Pakistan e l’Afghanistan, e li fa arrivare con permessi di soggiorno regolari, stagionali, questa è una vulnerabilità, perché sono nominativi, si mette d’accordo con imprenditori italiani, agricoli o turistici e a quel punto chiama nominativamente i propri connazionali, fa pagare dai 5 agli 8 mila euro, queste persone arrivano qui non da Lampedusa, non con i barconi, ma con l’aereo, e una volta che arrivano lui dice loro: “Stracciatevi le vesti, andate nel centro più vicino e dite di essere afgani e chiedete asilo politico, tanto nessuno se ne accorgerà, perché voi sapete parlare Pashtun”.

Quanto si paga per la tratta più cara? Per quella dalla Cina agli Usa, il biglietto costa dai 40 ai 70mila dollari, un guadagno con cui forse solo il traffico di cocaina può competere. È un business popolato da tanti piccoli delinquenti, che spesso non si conoscono nemmeno fra loro, dietro ai quali si celano grandi mercanti di clandestini, gente in doppiopetto dalle immense fortune. Sono gli “smugglers”, i trafficanti d’uomini, i “mercanti di carne umana”.

Una star del mercato è senza dubbio il turco Muammer Küçük. Per anni è stato il boss indiscusso degli sbarchi illegali nel Mediterraneo. La sua specialità: nascondere i migranti nella pancia delle barche a vela.

Ma come testimonia l’egiziano El Doudy, risalire tutti i nodi della rete è impossibile. Le tratte sono spesso in subappalto, così i grossi trafficanti non si sporcano le mani. “Mi chiamano El Douly, l’internazionale, perché sono uno che ha viaggiato molto”. El Douly opera in una delle zone più calde per l’immigrazione irregolare. Gestisce una rete egiziana, che collabora con una grande rete libica specializzata nel muovere i migranti verso la Sicilia. “Ora sono cresciuto nel mio business ed è la gente a cercarmi nei piccoli villaggi dell’Egitto i giovani hanno bisogno di me. Qui non c’è un vero capo, un regista. Siamo in tanti, ci conosciamo e ci fidiamo l’uno dell’altro. Ognuno fa un pezzo del lavoro. È una rete, una collaborazione. A volte la fiducia passa dai legami tra clan, che in alcune regioni del mondo sono molto forti. Insomma, se cercate un solo capo, significa che non avete ancora capito nulla di questo business”.

Quindi a chi non ha capito nulla, come ci dice l’egiziano, ma vuole apprendere qualcosa di più per cercare di fermare questa grande Agenzia di viaggi clandestina, consiglio vivamente di raggiungere la libreria più vicina è comprare Confessioni di un trafficante di uomini.

Non siamo un land!

Un articolo di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini su la Repubblica del 4 luglio 2014
Nel discorso d’insediamento alla presidenza dell’Unione Europea il Presidente del Consiglio Renzi ha dichiarato che “l’Europa deve cambiare altrimenti non ha futuro” e che ”L’Italia e’ qui non per chiedere ma per dare”. Al discorso di Renzi è seguito l’intervento durissimo del capogruppo del Partito Popolare, il tedesco Weber, il quale ha sostenuto che “i debiti uccidono il futuro e chiedere tempo per fare le riforme significa fare nuovi debiti”. Eppure qualche giorno prima la Cancelliera tedesca Angela Merkel aveva detto sì ad una maggiore flessibilità nell’applicazione del Patto di Stabilità: se i Paesi in recessione si fossero impegnati in programmi di riforme “strutturali” avrebbero potuto deviare temporaneamente dalla politica di consolidamento fiscale per realizzare investimenti sul piano nazionale. In tal modo si sarebbero allungati i tempi per il rientro nei parametri senza violare le regole stabilite in sede europea.
Le aperture della Cancelliera tedesca erano apparse, però, del tutto insufficienti di fronte alla gravità della situazione
è il momento di cambiare non solo i tempi ma l’impostazione della politica economica europea che deve avere come priorità la lotta alla disoccupazione e non la riduzione del debito. 
E per creare occupazione servono investimenti e quindi notevoli risorse finanziarie. 
Per questo è necessario riformare lo statuto della BCE, lanciare gli Eurobond e mettere in comune i debiti dell’eurozona. 
Nel frattempo i soldi versati nel fondo Salvastati (Esm) andrebbero utilizzati immediatamente per finanziare un piano d’investimenti continentale.
 I fondi dell’Esm oggi sono gestiti in modo totalmente inefficace. 
L’Esm ha una forza di fuoco potenziale di 700 miliardi di euro, raccolti in gran parte emettendo bond sui mercati. La sua base è il capitale versato direttamente dai governi dell’area euro. 
La Germania che è il primo azionista con una quota del 27,1%, ha già pagato al fondo europeo 17,3 miliardi e alla fine dovrà versarne 21,7.
 L’Italia, che è il terzo azionista con il 17,9% (il secondo è la Francia), ha versato 11,4 miliardi e nel 2014 saranno 14,3. 
I soldi dell’Esm vengono investiti prevalentemente in titoli di Stato tedeschi che hanno il rating più alto. Ciò contribuisce a ridurre i tassi sui Bund e su tutto il sistema finanziario in Germania e ad allargare lo spread e lo svantaggio competitivo delle imprese in Italia. 
Di fatto i Paesi deboli del Sud Europa stanno sussidiando la ricca Germania.
In conclusione, occorrono proposte coraggiose che siano condivise dal numero maggiore possibile di Paesi dell’euro, valutando soluzioni alternative nel caso in cui tali proposte venissero respinte. 
Non siamo entrati in Europa per diventare una provincia dell’impero tedesco.

E Stilinga applaude a tale articolo! basta con questa visione germanica che aiuta solo i tedeschi: che Europa è? Chiamiamola col suo vero nome: Grosse Deutschland!
Basta essere menati per il naso dai turbo capitalisti tedeschi che farebbero bene a ricordare cosa accadde ai monarchi durante la rivoluzione francese: ne saltarono di teste e non in senso figurato!
Le popolazioni dei paesi mediterranei sono affamate, non ce la fanno più e quando si arriva a questo punto basta una scintilla per fare bruciare tutto.
E questo tutto è questa mezza schifezza che definiamo Europa! E damose una mossa!