I re dormienti d’Europa - micromega-online - micromega

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Di Barbara Spinelli

Raggruppati in un'Unione che non ha niente da dire in politica estera – né sulle proprie marche di confine a Est o nel Mediterraneo, né sull'alleanza con gli Stati Uniti, né sulla democrazia che intendono rappresentare – i governi europei s'aggirano sul palcoscenico del mondo come inebetiti, lo sguardo svogliato, le idee sparpagliate e soprattutto incostanti. Si atteggiano a sovrani, ma hanno dimenticato cosa sia una corona, e cosa uno scettro.

L'ossessione è fare affari, e dei mercati continuano a ignorare le incapacità, pur avendole toccate con mano. S'aggrappano a un'Alleanza atlantica per nulla paritaria, dominata da una superpotenza che è in declino e che proprio per questo tende a riprodurre in Europa il vecchio ordine bipolare, russo-americano, lascito della guerra fredda.

Sono anni che gli Europei dormono, ignari di un mondo che attorno a loro muta. 

Non c'è evento, non c'è trattativa internazionale che li veda protagonisti, pronti a unirsi per dire quello che vogliono fare. A volte alzano la voce per difendere posizioni autonome, ma la voce presto scema, s'insabbia. Lo si vede in Ucraina: marca di confine incandescente sia per l'Unione, sia per la Russia. Lo si vede nel negoziato euro-americano che darà vita a un patto economico destinato ad affiancare quello militare: il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip). Lo si vede nella battaglia indolente, e infruttuosa, contro i piani di sorveglianza dell'Agenzia Usa per la sicurezza nazionale (Nsa), disvelati da Edward Snowden nel 2013. Sono tre prove essenziali, e l'Unione le sta fallendo tutte.

Le sta fallendo in Ucraina, perché l'Europa non ha ancora ripensato i rapporti con la Russia. Non sa nulla di quel che si muove e bolle in quel mondo enorme e opaco. Non sa valutare le paure e gli interessi moscoviti, né i pericoli della riaccesa volontà di potenza che Putin incarna. Non capisce come mai Putin sia popolare in patria, e anche in tante regioni ex sovietiche che appartengono ormai a altri Stati e includono vaste e declassate comunità russe. Non sapendo parlare con Mosca, gli Europei lasciano che siano gli Stati Uniti, ancora una volta, a fronteggiare il caos inasprendolo. È Washington a promettere garanzie al governo ucraino, a diffidare Mosca da annessioni, ad allarmarla minacciando di spostare il perimetro Nato a est. 

L'Europa sta a guardare, persuasa che bastino i piani di austerità proposti da Fondo Monetario e Commissione europea, se Kiev entrerà nella sua orbita. Questo è infatti lo scettro, l'unico che l'Unione sappia oggi impugnare: non una politica estera, ma un ricettario economico liberista misto a formule moraleggianti sul debito, scrive lo storico russo Dmitri Trenin che dirige a Mosca il Carnegie Endowment for International Peace. Quasi che il dramma degli Stati fallimentari, nel mondo, fosse soltanto finanziario.

La risposta politica a tali fallimenti è affidata a Obama, e per forza gli sbagli commessi dagli Europei si ripetono (basti ricordare l'errore madornale di Kohl, quando disse negli anni '90 che la Slovenia "meritava l'indipendenza", essendo "etnicamente omogenea"). Depoliticizzata, l'Europa subisce il ritorno anacronistico del duopolio russo-americano. È Washington a decidere se Kiev debba essere il nuovo scudo orientale della Nato, nonostante il popolo ucraino preferisca evidentemente la neutralità. Per quasi mezzo secolo l'avamposto fu la Germania Ovest, poi sostituita dalla Polonia: ora Varsavia spera che al proprio posto s'erga un'Ucraina occidentalizzata d'imperio, frantumabile come lo fu la Jugoslavia. Mosca chiede che il paese diventi una Federazione, anziché un agglomerato babelico di risentimenti nazionalisti. Strano che non sia l'Europa, con le sue esperienze, a domandarlo.

La seconda prova è il patto commerciale con gli Usa: una trattativa colma di agguati, perché molte conquiste normative dell'Europa rischiano d'esser spazzate via. Non a caso le multinazionali negoziano in segreto, lontano da controlli democratici. Sono sotto attacco leggi sedimentate, diritti per cui l'Unione s'è battuta per decenni: tra questi il diritto alla salute, la cura dell'ambiente, le multe a imprese inquinanti. I sistemi sanitari saranno aperti al libero mercato, che sulle esigenze sociali farà prevalere il profitto. Emblematico: l'assalto delle grandi case farmaceutiche ai medicinali generici low cost.

Sono in pericolo anche tasse cui l'Europa pare tenere, sia per aumentare il magro bilancio comune sia per frenare operazioni speculative e degrado climatico: la tassa sulle transazioni finanziarie, e sulle emissioni di anidride carbonica. Una controffensiva UE contro il trattato commerciale ancora non c'è. Nell'incontro a Roma con Obama, Renzi ha auspicato l'accelerazione del negoziato senza chiedere alcunché, né per noi né per l'Europa.

Numerose mezze verità circolano sul patto. Alcuni assicurano che quando sarà pienamente in funzione, nel 2027, il reddito degli europei crescerà sensibilmente (545 euro all'anno per una famiglia di quattro persone), con un beneficio di 120 miliardi annui per l'Unione e di 95 per gli Usa. Altri calcoli sono meno ottimisti. L'istituto Prometeia, pur favorevole all'accordo, sostiene che i guadagni non supererebbero lo 0,5% di Pil in caso di liberalizzazione totale. L'istituto austriaco Öfse (Ricerca per lo sviluppo internazionale) prevede addirittura un aumento dei disoccupati nel periodo di transizione, a causa della riorganizzazione dei mercati di lavoro imposta dal Partenariato. Non meno grave: le controversie commerciali si risolverebbero non attraverso giudizi in tribunali ordinari, ma in speciali corti extraterritoriali. Saranno le multinazionali a trascinare in giudizio governi, aziende, servizi pubblici ritenuti non competitivi, e a esigere compensazioni per i mancati guadagni dovuti a diritti del lavoro troppo vincolanti, a leggi ambientali o costituzionali troppo severe.

Tutto questo in nome della "semplificazione burocratica": parola d'ordine che Renzi predilige, virtuosa e al tempo stesso insidiosa. Nel contesto del Partenariato transatlantico, semplificare vuol dire abbattere le cosiddette "barriere non tariffarie", un termine criptico che indica parametri europei faticosamente elaborati: regole sanitarie a tutela della salute, canoni di sicurezza delle automobili, procedure di approvazione dei farmaci, e molto altro ancora. 

Non per ultimo, la terza prova: il caso Snowden, l'informatico dei servizi Usa che portò alla luce un sistema di sorveglianza tentacolare, predisposto dai servizi americani con la scusa di prevenire attentati terroristici. Grazie a Snowden si è saputo che erano intercettati perfino i cellulari di leader europei (tra cui Angela Merkel), non si sa per quali ragioni di sicurezza. I governi dell'Unione hanno protestato, ma ciascuno per conto suo e sempre più flebilmente. In un messaggio al Parlamento europeo, il 7 marzo, Snowden ha ironizzato sulle sovranità presunte dei singoli Stati, spiegando come sia assurdo il compiacimento di governi che immaginano di poter fermare il Datagate senza mobilitare l'Unione intera.

La vicenda Snowden è anche questione di civiltà democratica. L'esistenza di smascheratori di misfatti - non spie ma whistleblower, denunziatori di reati commessi dalla propria organizzazione - potenzia la democrazia. È un bruttissimo segno e paradossale che i giornalisti implicati nel Datagate a fianco di Snowden abbiano ricevuto il Premio Pulitzer (uno schiaffo per Obama), e che lui stesso, il soffiatore di fischietto, abbia trovato riparo non in un'Europa che promette nella sua Carta la "libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera", ma nella Russia di Putin. 

(23 aprile 2014)

Crisi, Istat: "In Italia oltre un milione di famiglie sono senza reddito da lavoro" - Il Fatto Quotidiano

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e Bertone vive in 700 mq!



da:http://www.repubblica.it/esteri/2014/04/20/news/l_ira_di_francesco_per_il_mega-attico_del_cardinal_bertone-84053412/?ref=HREC1-32

L'ira di Francesco per il mega-attico del cardinale Bertone

L'ex segretario di Stato abiterà in 700 metri quadri nel palazzo di fianco alla modesta residenza del Papa. I lavori di ristrutturazione per unire due appartamenti saranno ultimati entro l'estate





CITTÀ DEL VATICANO - Papa Francesco abita a Casa Santa Marta in un bilocale di circa 70 metri quadrati. Il cardinale Tarcisio Bertone, da 6 mesi non più Segretario di Stato, inaugurerà presto il suo attico a Palazzo San Carlo, la cui ampiezza viene data di poco inferiore ai 700 metri quadrati. Circa 10 volte in più, comunque, di Sua Santità.

In Vaticano, entrando dalla Porta del Perugino, la Domus Sanctae Marthae e il Palazzo San Carlo sono edifici vicini. La prima di dimensioni ridotte, il secondo imponente. Quando Bergoglio, dopo aver osservato i complessi lavori di ristrutturazione nella struttura a fianco, è stato informato su chi sarebbe stato il suo vicino di casa, si è arrabbiato non poco. Ora non può certo cacciare di casa l'inquilino. Ma la sua ira su chi in Curia ancora resiste al suo titanico tentativo di cambiamento non è passata inosservata il Giovedì santo prima di Pasqua quando, davanti al clero riunito in San Pietro, si è scagliato contro i preti "untuosi, sontuosi e presuntuosi", che devono avere invece "come sorella la povertà".

La casa dove presto, prima dell'estate, il cardinale Bertone si trasferirà, ha dimensioni sontuose perché unisce due appartamenti: quello un tempo assegnato a Camillo Cibin, capo della Gendarmeria per tutto il pontificato di Karol Wojtyla, fra i 300 e i 400 metri, da cui è stata infine sloggiata la vedova; e quello di monsignor Bruno Bertagna, vicepresidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, deceduto alla fine del 2013, di metratura intorno ai 200. A questi metri interni vanno però aggiunti circa 100 di terrazzo.

In epoca ante Francesco l'assegnazione di alloggi di tutto rispetto per i prìncipi della Chiesa era una prassi consueta. Molti ricordano quando Bertone fu scelto come Segretario di Stato da Benedetto XVI, e dovette attendere quasi un anno prima che il suo predecessore, il cardinal Sodano, piccato per la rimozione, gli lasciasse l'appartamento nella Prima loggia del Palazzo Apostolico, dovendosi così l'altro accomodare nella Torre di San Giovanni. Sodano si trasferì poi in una casa di vaste proporzioni al Collegio Etiopico. Lì, il cardinale americano Szoka, presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, dimessosi dall'incarico lo stesso giorno di Sodano (15 settembre 2006), ottenne guarda caso l'appartamento gemello di quest'ultimo sempre al Collegio.

Così quando Bertone, nel vortice delle polemiche su Vatileaks e la seguente rinuncia di Benedetto XVI al pontificato, fu in odore di lasciare la Segreteria di Stato - proposito realizzato solo dopo l'arrivo di Bergoglio - e si cominciò a parlare di dove si sarebbe trasferito lasciando la casa nella Prima loggia, furono avviate le pratiche per l'assegnazione di un altro appartamento. L'éra di Francesco è cominciata solo dopo. Ora, nella maxi casa, il cardinale non vivrà comunque solo: con lui abiteranno le tre suore che lo seguono da quando aveva assunto l'incarico di Segretario di Stato. Il suo successore, il neo cardinale Pietro Parolin, si è conformato al nuovo corso di Bergoglio, andando ad abitare come il Papa in un bilocale nella Domus Sanctae Marthae.

L'assegnazione di appartamenti di ampia metratura agli ex Segretari di Stato, tuttavia, mostra con evidenza come in Vaticano il nuovo fatichi ancora ad avanzare, e il vecchio resista. Facile capire dunque il disappunto di Francesco, e l'opposizione di una Curia lenta a spogliarsi degli antichi privilegi. A meno che il Papa "venuto dalla fine del mondo" non prenda posizione, oltre le parole già pronunciate contro "i preti sontuosi". 

E Stilinga pensa che se è vero che lo stato vaticano è assolutista allora non si capisce per quale favore o ragione Bertone non sia declassato a semplice prete da papa Francesco e l'immensa casa non sia usata per scopi più normali e nobili. Comunque la curia romana ora deve rivoluzionarsi in quanto se continua a comportarsi da aristocratica, la pianta cattolica secca, incenerisce.  I tempi e i privilegi sono cambiati.

Strasburgo: l’Europarlamento approva il 'Made in'

Da: http://it.fashionmag.com/news/Strasburgo-l-Europarlamento-approva-il-Made-in-,400026.html#.U0-PYvmqnas

Strasburgo: l’Europarlamento approva il 'Made in'

Con 485 voti a favore, 130 contrari e 27 astensioni, la plenaria del Parlamento europeo ha chiesto il 15 aprile a Strasburgo che sia resa obbligatoria l'indicazione del "Made in" per i prodotti non alimentari venduti sul mercato comunitario.


Una prima vittoria per il Made in Italy

Gli eurodeputati hanno approvato in prima lettura la proposta di regolamento della Commissione di rendere obbligatorio il marchio del Paese d'origine, sostituendo così l'attuale sistema volontario. L'obiettivo delle etichette "Made in" è di migliorare la tracciabilità delle merci e di rafforzare la tutela dei consumatori. A oggi, circa il 10% dei beni presi in esame dal sistema UE di allerta rapido 'Rapex' per i prodotti non alimentari non è riconducibile al produttore.

Le nuove norme mirano a una maggiore protezione dei consumatori attraverso il rafforzamento della sorveglianza e dei criteri di sicurezza dei prodotti. L'Europarlamento ha inoltre chiesto pene più severe per le imprese che non rispettano le norme di sicurezza e vendono prodotti potenzialmente pericolosi.

"Questo è un grande passo avanti per la trasparenza della catena di fornitura di un prodotto, e questo è un bene per i consumatori", ha affermato la relatrice sulla sicurezza dei prodotti Christel Schaldemose (socialdemocratica danese). La relatrice ha anche criticato gli Stati membri per non essere stati in grado di concordare una posizione comune sulla questione in Consiglio UE, bloccando cosi i negoziati sul regolamento nel suo complesso, a scapito della sicurezza dei consumatori in Europa.

Per gli eurodeputati, l'etichetta "Made in" dovrebbe essere obbligatoriamente utilizzata per tutti i prodotti non alimentari venduti nell'UE, con alcune eccezioni come i medicinali. Secondo la proposta approvata, i produttori UE potranno scegliere se mettere sull'etichetta la dicitura "Made in EU" oppure direttamente il nome del loro Paese.

Per le merci prodotte in luoghi diversi, il "Paese di origine" sarebbe quello in cui c'è stata "l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata", che si sia conclusa con la "fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione" (come definito nel codice doganale UE).

L'Europarlamento chiede anche che le sanzioni per le imprese che violano queste regole siano "proporzionate e dissuasive" e che tengano conto della gravità, della durata e del carattere intenzionale o ricorrente della violazione, nonché della dimensione della società. Questa richiesta è stata sostenuta con un'altra relazione, riguardante una proposta di regolamento per la sorveglianza del mercato, che è stata adottata con 573 voti a favore, 18 contrari e 52 astensoni.

I due testi sono stati approvati in prima lettura per garantire che il lavoro svolto nel corso di questa legislatura possa essere ripreso dal nuovo Parlamento Europeo, dopo le elezioni di fine maggio, e utilizzato come base per ulteriori negoziati con gli Stati membri in Consiglio UE.

Se Berlusconi è perseguitato, allora tutti gli italiani hanno quattro gambe!


Se questa è persecuzione



QUATTRO ore a settimana in un centro anziani a due passi da Villa San Martino. Cioè sedici ore al mese. Cioè centosessantotto ore totali, l’equivalente di una settimana, spalmate su dieci mesi e mezzo. Eccolo qui, il risultato della «persecuzione giudiziaria » che la «magistratura politicizzata, metastasi della democrazia », ha osato infliggere all’Unto del Signore. Eccolo qui, l’esito della «guerra dei vent’anni» che le odiate «toghe rosse», al servizio dei comunisti, hanno condotto contro lo Statista di Arcore. L’affidamento ai servizi sociali, definitivamente irrogato nei confronti del pregiudicato Berlusconi Silvio, è una pena ridicola. Non è una critica verso i giudici che l’hanno decretata. I modi e i tempi di esecuzione della «misura restrittiva» rispettano la norma del Codice penale, e riflettono la prassi del Tribunale di sorveglianza. Ma se si pensa a come ci si è arrivati, non si può non restare colpiti. Nell’agosto 2013 l’ex Cavaliere è stato giudicato colpevole in via definitiva, come «ideatore iniziale» ed «utilizzatore finale», per una frode tributaria gigantesca. Oltre 7 milioni di euro sottratti al Fisco, su un totale di 370 milioni che tre corti hanno dichiarato parte di una «provvista» in nero, lucrata sui diritti tv gonfiati da Mediaset ed usata per pagare tangenti a magistrati, pubblici ufficiali e politici.

La condanna prevedeva quattro anni di carcere. Grazie all’indulto i quattro anni sono diventati uno. Grazie agli sconti premiali un anno è diventato 10 mesi e 15 giorni. Grazie al beneficio delle «misure alternative» il carcere è diventato affidamento ai servizi sociali. 
Dunque, un pomeriggio a settimana alla Sacra Famiglia. Ecco cosa rimane, di tanto scempio delle leggi dello Stato. Constatare questa banale evidenza non significa affatto rammaricarsi per non aver visto Berlusconi «finalmente dietro le sbarre», «liquidato per via giudiziaria ».

 Non lo abbiamo mai sperato, anche se abbiamo sempre invocato il principio di legalità, che vuole tutti i cittadini uguali davanti alla legge.

Non c’è alcun compiacimento giustizialista, nel vedere un essere umano varcare la soglia di una prigione. Ma il fatto che questo non sia accaduto, pur in presenza di un reato grave accertato «al di là di ogni ragionevole dubbio», significa almeno riconoscere che l’intera «narrazione» propinata dall’ex Cavaliere nel Ventennio è stata scandalosamente falsa. Berlusconi non è stato «vittima » di nessuna «caccia all’uomo », ma solo dei suoi vizi pubblici e privati. Non ha mai patito alcun «martirio», ma ha sempre beneficiato di un trattamento favorevole da parte della magistratura giudicante, costretta ad applicare le almeno 12 leggi ad personam dal ‘94 in poi. Non ha mai rischiato «l’arresto immediato », come ha ripetuto ossessivamente, per alimentare la leggenda del Terrore ordito ai suoi danni dai Robespierre in toga sparsi per la Penisola.

La verità è che il capo della populista ha potuto godere di uno status particolare, meta-politico e pre-giuridico. Questo status non lo ha reso del tutto legibus solutus, ma gli ha conferito una «specialità » sconosciuta a qualunque altro cittadino comune. La costituzionalizzazione della gigantesca anomalia di cui è portatore (e che ha più volte provato a far introiettare al sistema) non gli è per fortuna riuscita. Ma lo «stato di eccezione permanente», al dunque, ha fatto breccia. Qualcosa, di quel virus micidiale auto-prodotto nel laboratorio di Arcore, alla fine è pur filtrato nel corpo sfibrato delle istituzioni, se è vero che oggi la pena per le sue malefatte non è poi così «afflittiva », e appare quasi una «formalità ».

I giudici della Sorveglianza riconoscono «l’insofferenza del colpevole alle regole dello Stato». Ma poi aggiungono che «ha pagato le spese processuali e il risarcimento danni », e si è messo «a disposizione dell’Uepe per l’attività rieducativa ». Sarebbe questo ad evidenziare la sua «volontà di recupero di valori morali perseguiti dall’ordinamento». Ora i suoi comportamenti «dovranno mantenersi nell’ambito delle regole della civile convivenza, del decoro e del rispetto delle istituzioni». E questo è tutto, secondo gli standard dei tribunali di sorveglianza. Ma sembra davvero poco, se si confronta la pena «iniziale» stabilita ad agosto e quella «finale» eseguita oggi. Rimane la sensazione di una «denegata giustizia». Altro che Aung San Suu Kyi, secondo il paragone usato da Brunetta con il consueto sprezzo del ridicolo.

In vista del voto europeo, e con Forza Italia ridotta a un cumulo di macerie, Berlusconi potrà ora tentare la «rimonta ». Potrà andare a Roma, potrà tenere comizi, potrà rilasciare interviste, potrà usare le sue bocche di fuoco televisive. La famosa «agibilità politica », che ha reclamato impunemente dal Quirinale, è tutto sommato garantita. Del resto, non poteva essere altrimenti, nel momento in cui gli è concesso un posto da «padre della Patria» al tavolo delle riforme. 

Una scelta complicata ma quasi obbligata per Renzi, che per fare quelle riforme non ha un’altra maggioranza possibile, ferma restando la «fuga sui tetti» dei grillini.

Reggerà, adesso, questo patto? La risposta è nella testa del pregiudicato. Probabilmente non romperà, ma alternerà strappi e ricuciture. Per lui l’«abbraccio» con Renzi (descritto da Toti alla Gelmini nel noto fuorionda) è «mortale » perché lo tiene inchiodato ad una linea di responsabilità che gli è aliena, tanto più in una campagna elettorale. Ma è anche «vitale», perché lo tiene agganciato a un circuito costituente al quale non avrebbe alcun titolo per partecipare. Solo finché dura questo abbraccio Berlusconi può dire, al Palazzo e al Paese: mi avete condannato, mi avete fatto decadere da senatore, mi avete interdetto dai pubblici uffici, mi avete affidato ai servizi sociali, ma senza di me non potete riscrivere la legge elettorale, né votare il Senato federale. Per il Cavaliere è una polizza vita, che gli deve durare un anno. Per il premier è una cambiale in bianco, che gli può costare cara.


E Stilinga pensa che è ora di andare a votare il prima possibile per togliere dall'imbarazzo il catapultato Matteo Renzi e per riprenderci la vita e fare tornare la giustizia in Italia, uguale per tutti, non per i cittadini ricchi e famosi e poi per gli altri. Inoltre, si DEVE VOTARE CON  LE PREFERENZE, giusto per ricordarci cosa significa essere una DEMOCRAZIA vera in quanto questo gusto della libertà ormai non ce lo ricordiamo quasi, ma ne abbiamo tanto bisogno, soprattutto per riacquistare orgoglio, dignità e voglia di fare!

Le sneakers si fermano, colossi in crisi

da: http://it.fashionmag.com/news/Le-sneakers-si-fermano-colossi-in-crisi,399673.html#.U051z_l_tYI

Le sneakers si fermano, colossi in crisi

Migliaia di lavoratori di una delle più grande fabbriche di scarpe della Cina sono dal 14 aprile in sciopero a Dongguan, nel sud del paese, contro condizioni di lavoro precarie. I lavoratori della Yue Yuen (gruppo che produce scarpe per Nike, Crocs, Adidas, Reebok, Asics, New Balance, Puma, Timberland), erano già scesi in piazza lo scorso 5 aprile e dal 14, poiché sono stati bloccati i negoziati con i vertici dell'azienda che impiega oltre 60.000 dipendenti nella città del Guangdong, hanno ripreso con più vigore le proteste.

Foto: Ansa

Allarmate le grandi aziende clienti, che temono di non poter sopperire alle richieste dei compratori finali. Una delle richieste disattese, oltre alle condizioni di lavoro migliori, è il pagamento delle assicurazioni e previdenza sociale, oltre che degli aiuti sull'immobiliare.

I lavoratori, infatti, sono per la maggior parte immigrati da altre province e in base alla legge cinese non possono portare nell'altra provincia la loro assicurazione sociale statale co-pagata dai lavoratori e dall'azienda, a meno che non sia pagata una supplementare. Ma l'azienda non ne vuole sapere di aiutare i lavoratori in questo e da qui le proteste delle migliaia di dipendenti di questi giorni, che vanno a sommarsi a quelle di tanti altri operai sparsi nel paese per questioni legate alle condizioni di lavoro e ai contratti.

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sei a Roma se

Se per fare 12 km (periferia- periferia oltre il raccordo) coi mezzi ci metti 2 ore, allora sei a Roma!

Se per ritirare una raccomandata alle poste impieghi almeno 1 ora, allora sei a Roma!

Se per andare in centro con due autobus (da quartieri leggermente periferici) impieghi 1 ora e passa, allora sei a Roma!

Se guidano contro mano, se invadono la carreggiata senza poterlo fare e ti vengono contro, dandoti pure torto, allora sei a Roma!

Se la metro si rompe una volta sì e pure l'altra, allora sei a Roma!

Se ad ogni incrocio c'è la staffetta dei lavavetri, dei portatori di servizi creativi, dei questuanti indomiti, allora sei a Roma!

Se ogni cassonetto della monnezza è pieno e puzza, ma viene controllato ogni 15 minuti da chi cerca roba da rivendere, allora sei a Roma!

Se alla stazione dei treni, homeless vivono sulle banchine tra i binari, allora sei a Roma!

Se quando piove si fanno buche, piscine e laghi per le strade, allora sei a Roma!

Se incontri politici goderecci e nullafacenti, ma accompagnati da escort ad ogni angolo del centro storico, allora sei proprio a Roma!

Se vedi torpedoni in fila, ma tanti, e se sei circondata da tutto il mondo e l'unica che parla la tua lingua sei tu, allora sei a Roma!

Se vedi milioni di gambe nude, bianche come il latte, a metà aprile in pieno centro, vesti inconsistenti, orde di ciabattine infilate da piedi gelidi allora sei a Roma!

Se le piazze sono coperte da tavoli e sedie e non riesci neanche a capire come muoverti, è proprio Roma!

Se incroci donne robuste con fazzoletti sul capo da cui spuntano treccione lunghe che ricadono sul petto, donnone abbigliate con floreali improbabili e con vesti assurde nella foggia e nelle lunghezze, donne quasi mascoline con baffi e volti tostati, esseri umani volontari del servizio di nettezza urbana, allora sei proprio a Roma!