Non solo Bankitalia pioggia di regali alle banche amiche (Marco Palombi).

DALLE NUOVE REGOLE SUI CREDITI INESIGIBILI ALL’AIUTINO SUI DERIVATI E, ORA, ALLA RIVALUTAZIONE DELLE QUOTE DI VIA NAZIONALE. PER LA FINANZA I SOLDI CI SONO SEMPRE.
Fabrizio Saccomanni è “addolorato”. Dice che sulla questione delle quote Bankitalia sono state diffuse “falsità, cattive informazioni e distorsioni”. Si riferisce, con ogni probabilità, all’espressione “regalo alle banche” che Il Fatto Quotidiano ha usato fin dall’approvazione del decreto, lo scorso 30 novembre. Ci perdonerà il vizio giornalistico dell’espressione gergale o colorita, il ministro dell’Economia, che oggi abbandoniamo: il sostegno pubblico al sistema bancario non è un regalo, cioè un fatto episodico e connesso ad alcune circostanze, ma la politica economica stessa del suo governo e di ogni altro governo d’Europa. 
Nel giorno in cui si scopre che l’Inps non è in grado di anticipare alle regioni i soldi per la Cassa integrazione perché il Tesoro non assicura le coperture, è bene mettere in fila tutte le decisioni con cui l’esecutivo Letta è venuto incontro alle difficoltà del sistema bancario, difficoltà causate da credito erogato male e operazioni finanziarie troppo rischiose prima ancora che dalla crisi. La reazione dei governi occidentali e delle loro banche centrali è stata di aiutare le banche a rimanere in piedi. Il prezzo richiesto in cambio? Nessuno, nemmeno l’innocua stretta sullo stock option o gli stipendi del management delle banche sussidiate. Enrico Letta e l’addolorato Saccomanni non hanno fatto eccezione, soprattutto in vista dei nuovi requisiti di bilancio europei che verranno richiesti alle banche. Ecco un breve riassunto.
FISCO AMICO. Le sofferenze, vale a dire i crediti che si considerano irrecuperabili o giù di lì, sono esplose durante la crisi toccando in Italia la cifra record di circa 140 miliardi di euro. La legge consente di ottenere uno sgravio fiscale su questi “crediti non performanti”: Giulio Tremonti aveva stabilito che l’ammortamento avvenisse in 18 anni, Saccomanni nella Legge di Stabilità li ha ridotti a cinque. Sicuramente ha fatto bene il ministro, ma – come ha scritto lui stesso nella relazione tecnica alla manovra – questo fatto comporterà vantaggi fiscali per le banche pari a 20 miliardi dal 2015 al 2022.
IL CASO BANCA D’ITALIA. Col decreto che aboliva la seconda rata dell’Imu 2013, il governo – senza che nessuno glielo avesse chiesto e in contrasto con una legge del 2005 che prevedeva la ripubblicizzazione dell’istituto – ha anche rivalutato le quote della banca centrale da 156mila euro a 7,5 miliardi. Gli effetti di questa decisione sono indubitabilmente favorevoli agli istituti di credito, azionisti di Bankitalia. In cambio di un gettito di 900 milioni per l’erario – frutto della tassazione della plusvalenza – le banche incassano all’ingrosso tre cose: un aumento potenziale dei dividendi annuali da 70 a 450 milioni, un miglioramento dei loro requisiti patrimoniali nei prossimi bilanci e – alcuni istituti – addirittura l’ingresso immediato di soldi freschi nelle loro casse. Funziona così. Nessuno potrà avere più del 3 per cento di Bankitalia, dunque è facoltà della stessa banca centrale acquistare le quote eccedenti e poi rivenderle con tutta calma: ne beneficeranno i due azionisti più grandi, Intesa e Unicredit, che incasseranno circa 3,5 miliardi, mentre agli altri (Inps, Generali , Carige, Cassa di risparmio di Bologna) andranno all’ingrosso 700 milioni.
DERIVATI. Nella manovrina per riportare il deficit del 2013 sotto il 3 per cento è stata inserita la garanzia statale sui derivati stipulati dalle banche sui titoli di stato. Ovviamente questo comporta che le garanzie patrimoniali degli istituti di credito migliorino istantaneamente così come probabilmente farà il loro rating, visto che gli investimenti in debito pubblico nazionale sono stati ingenti ed eventuali perdite in quel settore sarebbero alla fine – cioè in caso di insolvenza della banca – pagate con la liquidità messa a disposizione dal Tesoro.
CDP. Attraverso Cassa depositi e prestiti – sempre con un emendamento alla manovra – lo Stato ha offerto la sua garanzia per i crediti erogati alle imprese. Non solo: Cdp potrà anche acquistare direttamente quei crediti appositamente cartolarizzati dalle banche. Se la cosa non vi è chiara si tratta in sostanza di un meccanismo che permette di lasciare gli eventuali utili agli istituti di credito e accollare le perdite alla collettività. Anche le privatizzazioni effettuate attraverso la Cassa potrebbero portare vantaggi al mondo finanziario: in caso di introiti che sfocino in un maxi dividendo, questo sarebbe distribuito per l’80 per cento al Tesoro e per il 20 alle fondazioni bancarie, azioniste di Cassa depositi.
VARIE ED EVENTUALI. Anche se non riguarda questo governo si cita - per puro dovere di cronaca – la vicenda dei quattro miliardi statali prestati a Monte dei Paschi di Siena prima da Tremonti e poi da Monti, ma l’atteggiamento di favore e verrebbe da dire di sudditanza psicologica nei confronti del mondo finanziario non finisce qui. L’esecutivo Letta, nonostante pressioni dello stesso Pd, si è rifiutato di rivedere la tassa sulle transazioni finanziarie (la cosiddetta Tobin Tax) per far pagare anche le banche, escluse da Mario Monti, come pure ha bocciato in Senato la proposta del Movimento 5 Stelle di tornare a vietare le commistioni tra banche che raccolgono il risparmio e banche d’investimenti. Fu un divieto adottato in tutto il mondo dopo la grande crisi del 1929, forse non è un caso che questo nuovo tracollo sia avvenuto pochi anni dopo la sua abolizione (in Italia ci pensò Massimo D’Alema).
Da Il Fatto Quotidiano del 01/02/2014.

E' bello camminare in una valle verde... e ora pure al verde

Valleverde: è crac per un altro ex marchio di successo italiano

da: http://it.fashionmag.com/news/Valleverde-e-crac-per-un-altro-ex-marchio-di-successo-italiano,381747.html#.UuJYlNIuKcM

Tra la fine degli anni 90 e l'inizio degli anni 2000, la Valleverde di Coriano (RN) era una delle aziende manifatturiere italiane con i bilanci più sani e con idee produttive che la portavano a presentarsi al mondo come la creatrice della scarpa del futuro. Fra i suoi popolarissimi testimonial figurarono, in tempi successivi, il presentatore Claudio Lippi, il pilota nordirlandese della Ferrari Eddie Irvine e l’attore americano Kevin Costner. L'azienda della provincia di Rimini in quegli anni viaggiava col vento in poppa, e il suo patron, Armando Arcangeli, era diventato un imprenditore molto noto e altrettanto apprezzato.

www.valleverdestilecomodo.com/

Ma oggi, dopo circa 15 anni, il successo della Valleverde è svanito in un mare di debiti e di azioni giudiziarie. Fino ad arrivare alla bancarotta fraudolenta che sta travolgendo l'azienda (che il 19 gennaio scorso ha dichiarato fallimento) e la proprietà.

Secondo quanto ricostruito dal quotidiano economico “Il Sole 24 Ore” e dal giornale “Nuovo Quotidiano” di Rimini, la Valleverde S.p.A., sommersa da debiti per 45 milioni di euro, cambia nome e ragione sociale trasformandosi in Spes S.p.A. Quest'ultima si assume l'onere di pagare il 15% del debito e intanto presenta istanza per accedere alle procedure di concordato preventivo attraverso la cessione in affitto ad un'altra società (la neonata Valleverde S.r.l. appositamente costituita) della gestione del calzaturificio, del magazzino, di tutta la produzione e del marchio. La Valleverde S.p.A./Spes è quindi una newco, ed è controllata da una cordata di imprenditori bresciani costituita ad hoc, che aveva acquistato dalla Spes S.p.A la gestione del ramo d’azienda nell’ambito del concordato fallimentare (i fatti accadono fra la metà del 2011 e l'aprile del 2012).

Tuttavia, dietro la richiesta di concordato, secondo la Procura di Rimini, ci sarebbe stato un piano premeditato per sottrarre 10 milioni di euro all'azienda. Infatti, il pagamento del canone d'affitto d'azienda, che sarebbe servito a ripagare i debiti della Spes S.p.A. (che in seguito verrà dichiarata fallita il 6 giugno del 2013), non verrà mai pagato e secondo la Guardia di Finanza era stato tutto programmato con una serie di accordi sottobanco tra vecchia e nuova gestione. In questo quadro s'inserì poi lo scorso anno una denuncia per truffa, considerata artificiosa dalla GdF, presentata dalla nuova gestione contro la vecchia, accusata di aver fatto sparire parte del magazzino. Meccanismi, secondo la Procura e gli investigatori, messi in atto al solo scopo di dirottare denaro verso altre società.

Sono stati iscritti nel registro degli indagati lo stesso Arcangeli e altre sei persone coinvolte, a vario titolo, nella distrazione di denaro dell’impero Valleverde verso altre imprese. Così, sono finiti nei guai, insieme allo storico boss, il suo braccio destro nella Valleverde S.p.A./Spes, l’amministratore delegato Antonio Gentili (per un certo periodo anche liquidatore della società), e poi cinque manager della nuova azienda, la Valleverde S.r.l., la quale però non gestisce più l’azienda di Coriano, che è stata posta sotto sequestro e affidata dal tribunale alla guida del custode giudiziario, Claudia Bazzotti, già curatore fallimentare della Valleverde S.p.A./Spes.

Si tratta del bresciano di Desenzano sul Garda Enrico Visconti, presidente della S.r.l., di un altro bresciano, Ernesto Bertola, direttore generale, del mantovano David Beruffi, responsabile dell’area finanza, di un’altra bresciana, di Salò, Anna Maria Soncina, consulente esterna dell'area amministrativa e di Raffaele Piacente, romano, responsabile di un gruppo che ha contribuito a ricapitalizzare la S.r.l. per 4-5 milioni di euro nel novembre del 2013. Gli uomini della Guardia di Finanza hanno perquisito le abitazioni di tutti e sette i professionisti, rinvenendo documenti e materiale informatico considerati interessanti per le indagini. Altre perquisizioni sono state effettuate negli uffici della Valleverde S.p.A./Spes a Coriano, e in quelli della S.r.l. a Coriano, Treviso, Fermo e Montichiari (BS).

Ovviamente alla fine chi ci rimette totalmente sono sempre i lavoratori. A rischiare il posto di lavoro oggi sono 150 persone, senza stipendio da tre mesi, che protestano contro il provvedimento di sequestro previsto sia per lo stabilimento riminese di Coriano che per la rete di punti vendita sparsa in tutta Italia.


L'allarme di Greenpeace: "Ci sono piccoli mostri che vivono nei vestiti dei bambini"

da: http://www.repubblica.it/scienze/2014/01/16/news/bambini_mostri-76120655/?ref=HRLV-18
La Cina rimane il maggior produttore al mondo di tessile. Per l'organizzazione le imprese devono impegnarsi a non rilasciare sostanze chimiche pericolose entro il 1 gennaio 2020. Dal lancio della campagna di Greenpeace "Detox" nel  2011, 18 importanti aziende d'abbigliamento si sono già impegnate.

ROMA - Sostanze chimiche pericolose annidate nei vestiti e nelle scarpe per bambini. Secondo il nuovo rapporto reso noto da Greenpeace Asia il pericolo vive anche negli abiti delle marche più care e famose. I risultati mostrano che non c'è grande differenza tra le concentrazioni delle sostanze dannose nei vestiti per piccoli o adulti.  "Un vero incubo per i genitori", afferma Chiara Campione, responsabile del progetto The Fashion Duel di Greenpeace Italia. "Questi piccoli mostri chimici li troviamo ovunque, dai vestiti di lusso a quelli più economici, e stanno contaminando i nostri fiumi da Roma a Pechino. Le alternative per fortuna ci sono e per questo l'industria dovrebbe smettere di usare i piccoli mostri, per il bene dei nostri bambini e delle future generazioni". 

Tutti i marchi testati hanno almeno un prodotto nel quale sono state rilevate sostanze chimiche pericolose. Le concentrazioni di PFOA (acido perfluorottanico) in un costume erano molto più elevate del limite previsto, mentre una maglietta per bambini conteneva l'11% di ftalati. Alti livelli di nonilfenoli etossilati sono stati trovati invece in altri prodotti. 

PFOA, ftalati e nonilfenoli etossilati sono interferenti endocrini, sostanze che, una volta rilasciate nell'ambiente, possono avere potenzialmente effetti dannosi sul sistema riproduttivo, ormonale o immunitario. "Grazie alla pressione dei genitori e dei consumatori in tutto il mondo, alcuni dei maggiori marchi hanno già aderito all'impegno Detox che abbiamo proposto loro, e molti di loro hanno iniziato un percorso orientato alla trasparenza e all'eliminazione delle sostanze tossiche dalla loro filiera, ma non basta", spiega Campione. 

La Cina rimane il maggior produttore al mondo di tessile e Greenpeace chiede al governo di bandire le sostanze pericolose dall'industria. E' importante che il governo pubblichi una lista nera di sostanze da eliminare e chieda alle imprese di agire immediatamente rendendo pubbliche le informazioni sulle sostanze impiegate, per facilitare un processo di trasparenza e pulizia  dell'intera filiera.

Greenpeace chiede alle imprese di riconoscere l'urgenza e di comportarsi da leader sulla scena globale, impegnandosi a non rilasciare sostanze chimiche pericolose entro il  1 gennaio 2020. Dal lancio della campagna di Greenpeace "Detox" nel luglio 2011, 18 importanti aziende del settore dell'abbigliamento si sono già impegnate pubblicamente.

Nuove tendenze street a Roma

Zainetto animalier da uomo

total black a via Condotti

Abitino corto stile tappezzeria con shorts sotto e ankle boots neri, capelli corti, il vero must delle prossime stagioni, come anche qui sotto.

Contributi Inps a perdere. E non è più ammissibile!

Contributi Inps a perdere

Di Marino Longoni
Contributi Inps a perdere

Ci sono in Italia un milione di lavoratori che stanno versando contributi previdenziali, anche piuttosto salati, ma inutilmente. Non riusciranno mai, infatti, a maturare il diritto ad una pensione. Si tratta della quasi totalità dei lavoratori a progetto, dei lavoratori autonomi occasionali, dei collaboratori parasubordinati e altre categorie di minor rilevanza. Insomma di quasi tutti i lavoratori che versano i loro contributi alla gestione separata Inps. Il problema di costoro è tutto richiuso in un concetto piuttosto tecnico, quello di “minimale contributivo”. In sostanza a loro viene accreditato un mese di contributi, validi ai fini pensionistici, solo se dichiarano un reddito di almeno 1.295 euro al mese, e su questo ci versano i relativi contributi (nel 2014 l’aliquota è salita al 28,72%). Se il loro reddito è invece, per esempio, la metà di questa cifra, ci vorranno due mesi di lavoro per mettere insieme un mese di contributi. E così via. A parte gli amministratori, la stragrande maggioranza di coloro che versano alla gestione separata non arriva a questi livelli di reddito. Quindi rischia seriamente di versare contributi senza riuscire mai a maturare un diritto alla pensione. Ma siccome il peggio non ha mai fine, nei prossimi anni l’aliquota contributiva, che già è salita dal 10% al 28% in meno di vent’anni, è destinata ad arrivare al 33% entro il 2018. Aumentando così i contributi versati a perdere.

Scuola, via 150 euro al mese agli insegnanti. POLITICI E GOVERNANTI MA ANNATE A M**I' AMMAZZATI!

Scuola, via 150 euro al mese agli insegnanti. La Carrozza scrive a Saccomanni: "Rinunciare"


Il governo ha bloccato retroattivamente gli scatti di anzianità dei docenti per tutto il 2014, decidendo la decurtazione della somma ogni mese "fino a concorrenza del debito". Il ministro chiede la retromarcia, ma il Mef replica: "Atto dovuto". Sindacati sul piede di guerra

INSEGNANTI sul piede di guerra, e il ministro dell'Istruzione si schiera al loro fianco. Il ministero dell’Economia chiede ai docenti degli istituti italiani di restituire gli scatti stipendiali – già percepiti nel 2013 – con una trattenuta di 150 euro mensili a partire da gennaio. E nel mondo della scuola scoppia la protesta. I sindacati minacciano lo sciopero generale e dal Pd viene inviata una lettera-petizione al ministro Maria Chiara Carrozza e al premier Enrico Letta che in poche ore ha raccolto migliaia di adesioni. A cui arriva una quasi immediata risposta di Maria Chiara Carrozza, che scrive a Saccomanni chiedendo di soprassedere.

E STILINGA PENSA CHE SE GLI INSEGNANTI NON BLOCCANO LE LEZIONI AD OLTRANZA SONO PROPRIO FESSI. MENTRE COLORO CHE CI (S)GOVERNANO SONO DEI GRAN LADRI PATENTATI ED IMPUNITI!

'STI DISGRAZIATI NON SE TAGLIANO NULLA, MANCO LE PENSIONI D'ORO, POI IN POCHI SECONDI CREANO GLI ESODATI E TAGLIANO GLI SCATTI DI ANZIANITA' ALLA CATEGORIA CHE PEGGIO SE LA PASSA IN QUESTO PAESE SENZA STATO, ABBANDONATO.
 ALLA LUCE DI COME VANNO LE COSE, POSSIAMO ASSERIRE ANCHE CHE LO STIVALE E' IN MANO AI MASSONI/MAFIOSI/ULTRACATTOLICI.
SI VERGOGNINO! 
E CHE GLI ITALIANI NON GLI SERVANO NULLA QUANDO VANNO AL BAR, AL RISTORANTE, ETC. E CHE NON LI CARICHINO SUI TAXI, E CHE NON GLI PULISCANO LE CASE E CHE NON GLI PRENDANO I FIGLI DA SCUOLA E CHE NON GLI FACCIANO I CAPELLI QUANDO VANNO AL PARRUCCHIERE E CHE.. ETC. ETC.
SIAMO OLTRE IL LIMITE.
POSSIBILE CHE AL PALAZZO NON L'ABBIANO CAPITO??? ALLORA TOCCA A NOI SVEGLIARE LE BELLE ADDORMENTATE DELLA POLITICA, I PROFESSIONISTI DELLA POLITICA RIPULITI DALLE GRANDI GRIFFE, MA MARCI DENTRO, GLI INCIUCISTI VEGLIARDI DI STATO!



Inps salvato dai precari senza pensione, e che c***o!




Da: http://ilmanifesto.it/linps-salvato-dai-precari-senza-pensione/


Dopo l’Ocse anche la Corte dei Conti denun­cia l’iniquità del Wel­fare ita­liano.

A ripia­nare le ingenti per­dite dell’Istituto nazio­nale della pre­vi­denza sociale (Inps)

sono le lavo­ra­trici e i lavo­ra­tori «para­su­bor­di­nati», le par­tite Iva, tutti coloro che sono impie­gati a tempo e in maniera inter­mit­tente.

Que­sta è una delle prin­ci­pali con­clu­sioni dell’esame del bilan­cio 2012 dell’Inps con­te­nuto nel report reso noto ieri dalla magi­stra­tura con­ta­bile. Per con­te­nere la gra­vosa per­dita cau­sata dall’incorporazione dell’Enpals e dell’Inpdap, l’Inps si avvale del «mas­sic­cio saldo posi­tivo di eser­ci­zio dei “para­su­bor­di­nati” e quello delle pre­sta­zioni tem­po­ra­nee, i cui netti patri­mo­niali con­sen­tono ancora la coper­tura di quelli nega­tivi delle altre prin­ci­pali gestioni e il man­te­ni­mento di un attivo nel bilan­cio gene­rale, espo­sto peral­tro ad un rapido azze­ra­mento». In altre parole, per la Corte dei conti, in un con­te­sto come quello ita­liano in cui i pen­sio­nati con­ti­nue­ranno a cre­scere, anche il capi­tale garan­tito dai lavo­ra­tori auto­nomi e dai pre­cari non basterà a «ripia­nare lo squi­li­brio» tra le gestioni in defi­cit. La con­se­guenza sarà «la dila­ta­zione dei saldi nega­tivi e dell’indebitamento, aggra­vati dal fondo dei dipen­denti pub­blici, in pro­gres­sivo e cre­scente dissesto».


La Corte avverte inol­tre che i lavo­ra­tori indi­pen­denti (appunto: pre­cari, par­tite Iva, inter­mit­tenti) saranno pena­liz­zati mag­gior­mente dal metodo con­tri­bu­tivo. Il loro trat­ta­mento pen­sio­ni­stico, sem­pre che rie­scano a tota­liz­zarlo, rischia di essere molto lon­tano da quello riser­vato a chi è andato, o andrà, in pen­sione con il metodo retri­bu­tivo. La Corte chiede «un costante moni­to­rag­gio degli effetti delle riforme del lavoro e della pre­vi­denza sulla spesa pen­sio­ni­stica e una cre­scente atten­zione al pro­filo di ade­gua­tezza delle pre­sta­zioni col­le­gate al metodo con­tri­bu­tivo e degli ecces­sivi divari nei trat­ta­menti con­nessi a quello retri­bu­tivo, uni­ta­mente all’urgenza di rilan­ciare la pre­vi­denza com­ple­men­tare». Una tesi molto simile a quella soste­nuta dall’Ocse. Resta tut­ta­via il mistero su come i lavo­ra­tori indi­pen­denti, ad esem­pio le par­tite Iva che ver­sano i con­tri­buti nella gestione sepa­rata dell’Inps con un red­dito medio men­sile pari a 753 euro pos­sano finan­ziarsi un fondo pri­vato. Per loro si pre­para un futuro senza pen­sione. L’Inps, con­clude la Corte, ha biso­gno di «indi­la­zio­na­bili misure di risanamento».

Gli eurobond che fecero l'unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania

Gli eurobond che fecero l'Unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania di Giuseppe Chiellino
da http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-06-30/eurobond-fecero-unita-italia-190357.shtml?uuid=AbDwao0F&p=2

 Il vertice europeo di fine giugno ha cancellato gli eurobond dall'agenda. Almeno per ora. Angela Merkel è stata drastica: «Mai finchè sarò viva» aveva detto in pubblico qualche giorno prima. Chissà se la cancelliera tedesca aveva avuto il tempo di leggere lo studio di Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles che è andata a spulciare negli archivi delle Borse di Parigi e Anversa per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond: l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia.
 Nella storia dello stato moderno è l'esperienza storicamente più vicina al faticosissimo tentativo di dare maggiore consistenza politica all'Unione europea, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e fiscali, compresi debiti sovrani dei 17 paesi dell'euro. Un precedente prezioso, secondo la Collet, per cercare di capire – mutatis mutandis - come potrebbero comportarsi i mercati finanziari di fronte all'unificazione del debito pubblico dei paesi della zona euro. «Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati» ricorda la studiosa. Grazie al fatto che anche dopo l'unificazione i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come "Italy-Neapolitean") la Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873. Un lavoro certosino di raccolta manuale dei dati dagli archivi e dai database originali per capire come si sono mosse le quotazioni, prima e dopo l'unità, politica ed economica. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio. La prima cosa che balza agli occhi è lo spread (anche allora!) tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo l'Unità. Quelli del Regno delle Due Sicilie (che erano un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%). Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l'Italia quello che oggi la Germania è per l'Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un'agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali. Subito dopo il 1861, però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più bassi. Proprio quello che oggi la Germania teme possa avvenire con gli eurobond: l'anno successivo, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli "Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli investitori, e non solo, che l'Unità era ormai irreversibile. L"Italia" non era più una mera "espressione geografica", come l'aveva definita Metternich nel 1847, ma dopo tre guerre d'indipendenza e più di vent'anni di manovre diplomatiche era diventata uno stato unitario. «L'integrazione dei debiti sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa» afferma Collet, ma nota anche che «un aumento del premio di rischio aggraverebbe la crisi del debito che sta vivendo l'Europa piuttosto che risolverla. Significherebbe che, se fossero introdotti gli eurobond, la Germania perderebbe il suo rating elevato».
Questo portava Collet a definire, già nei mesi scorsi, «remote» le speranze di vedere nel breve termine un mercato integrato dei titoli di debito dell'eurozona. Nel lungo termine, invece, i risultati della ricerca sul caso italiano dimostrano che «nel tempo i rendimenti dei titoli diminuirono». Alla luce di questo, oggi la domanda è: quanto tempo ci vorrà perché anche l'Europa sia considerata come un blocco unico e in grado di dotarsi di un vero e proprio piano di salvataggio per l'euro? Per l'Italia ci volle all'incirca un decennio. Considerato che quella italiana fu un'annessione anche militare e quella europea è un'integrazione consensuale, e che i mercati dei capitali si muovono a ritmi diversi rispetto alla seconda metà dell'800, anche Collet concorda che un aumento del costo del debito nel breve termine sarebbe un prezzo che potremmo permetterci di pagare se avessimo la certezza di avere, tra qualche anno, un'Europa più unita. Ma questa certezza nessuna ricerca, per quanto accurata, potrà mai darla. Serve, forse, la capacità di andare oltre il breve periodo, di guardare un po' più lontano rispetto alla prossima scadenza elettorale, superando la "veduta corta" che per Tommaso Padoa Schioppa è stata «la radice» della crisi.

Lettera di appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla Campagna Navale “Sistema Paese in Movimento”

da: http://www.liberacittadinanza.it/carovana/petizioni/lettera-di-appello-al-presidente-della-repubblica

Lettera di appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla Campagna Navale “Sistema Paese in Movimento”


Liberacittadinanza aderisce all'appello della Rete Italiana per il Disarmo e invita tutti coloro che sono d'accordo a sottoscriverlo.


Al Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano
Palazzo del Quirinale
ROMA
Roma, 13 novembre 2013

Egregio Presidente,
prende il via oggi da Civitavecchia la Campagna Navale “Sistema Paese in Movimento”.
L’iniziativa, presentata martedì scorso dal Ministro della Difesa, Mario Mauro, insieme ai vertici del Ministero della Difesa intende impegnare per i prossimi cinque mesi il Gruppo Navale Cavour in una campagna promozionale dell’industria bellica italiana insieme ad altre attività commerciali, di tipo militare ed umanitarie.
L’iniziativa avrebbe lo scopo di “promuovere il made in Italy in ogni suo aspetto”, ma sono molteplici e differenti le finalità del progetto: dall’addestramento del personale militare alla sicurezza marittima, dalle operazioni di contrasto al fenomeno criminale della pirateria, al rafforzamento del dialogo e della cooperazione tra nazioni, organizzazioni e aziende.
Tale iniziativa è a nostro avviso inaccettabile in quanto mescola una serie di attività che per loro natura hanno finalità e caratteristiche differenti e che riteniamo sia importante continuare a tenere separate. Soprattutto crediamo che promuovere la vendita di sistemi militari o sostenere iniziative di tipo commerciale abbinandole ad operazioni umanitarie non sia un compito che il nostro ordinamento attribuisce al Ministero della Difesa o alle Forze Amate.
Consideriamo perciò particolarmente preoccupante la funzione che viene assunta dal Ministero della Difesa a sostegno di attività per la promozione di sistemi militari: ai sensi della legislazione vigente (legge n. 185 del 9 luglio 1990 e sue successive modifiche) l’esportazione di materiali di armamento deve essere “regolamentata dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”
(Legge n. 185/1990, Art. 1). In questo contesto non andrebbe sottovalutato lo stato di particolare tensione dell’intera zona mediorientale in cui il gruppo navale Cavour farà tappa e soprattutto il grave deficit di libertà democratiche a fronte di ingenti spese militari e di un livello basso di sviluppo umano di diversi dei Paesi che saranno visitati.
Riteniamo inoltre che debba essere attentamente valutata la partecipazione in questa “campagna navale” di alcune organizzazione umanitarie ed organizzazioni non governative. La normativa internazionale ribadisce infatti che l’aiuto umanitario non può essere utilizzato come “strumento di politica estera dei governi”. L’impiego di organizzazioni umanitarie da parte di attori militari e commerciali mette infatti in discussione non solo l’indipendenza, la neutralità e l’imparzialità delle organizzazioni autenticamente umanitarie, ma anche la stessa possibilità che gli operatori umanitari continuino ad intervenire efficacemente e in relativa sicurezza nei contesti di crisi.
Crediamo infine che si debba porre estrema attenzione al problema ripetutamente evidenziato da diversi pronunciamenti dell’Unione europea secondo cui la crisi economica sta trasformando alcuni ministeri della Difesa in espliciti promotori delle esportazioni di armamenti. Una tendenza che, per sostenere la competitività delle industrie militari dei rispettivi paesi, rischia di mettere a repentaglio gli sforzi in ambito comunitario per definire una politica organica di sicurezza e di difesa comune.
In considerazione del ruolo che la nostra Costituzione Le attribuisce, Le chiediamo di esprimersi su questa operazione che a nostro avviso configura un impiego delle Forze armate che non risponde al nostro ordinamento, e di agire affinché il programma della Campagna Navale venga discusso a livello istituzionale. Questo nostro appello verrà diffuso presso altre organizzazioni della società civile con la richiesta di adesione e sottoscrizione, che Le segnaleremo prontamente in una nostra successiva lettera.
Con l’occasione porgiamo i nostri migliori saluti di Pace

Le realtà aderenti alla Rete Italiana per il Disarmo
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Gli affitti dei palazzi del potere non si toccano! E che c***o!

ROMA - «L’articolo 2-bis del decreto legge 15 ottobre 2013, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 dicembre 2013, n. 137, è soppresso». Chi ancora ha il coraggio di sostenere che il nostro sistema legislativo è lento e macchinoso si dovrà ricredere davanti a questo capolavoro di Palazzo Madama. Dove è stata cancellata al volo una norma che lo stesso Senato aveva approvato sorprendentemente soltanto sei giorni prima. La cosa era passata nel silenzio generale fra le pieghe di un provvedimento battezzato «manovrina», grazie a un emendamento presentato alla Camera dal deputato del Movimento 5 Stelle Massimo Fraccaro. Testuale: «Le amministrazioni dello Stato, le Regioni e gli enti locali, nonché gli organi costituzionali nell’ambito della propria autonomia, hanno facoltà di recedere, entro il 31 dicembre 2014, dai contratti di locazione di immobili in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il termine di preavviso per l’esercizio del diritto di recesso è stabilito in trenta giorni, anche in deroga a eventuali clausole difformi previste dal contratto».

Una bomba. Con un bersaglio preciso, come dimostra il passaggio sugli «organi costituzionali»: i palazzi Marini, quegli stabili che ospitano gli uffici dei deputati, presi in affitto con il meccanismo del «global service» dall’immobiliarista e grande allevatore di cavalli Sergio Scarpellini, munifico elargitore di contributi liberali ai partiti di destra e sinistra. È un’operazione che ha origine alla fine degli anni Novanta quando la Camera, d’accordo centrosinistra e centrodestra, decise di stipulare senza gara una serie di contratti con la società Milano 90, che metteva a disposizione di Montecitorio quattro immobili e relativi servizi. A un prezzo, oltre 500 euro annui al metro quadrato, tale da ripagare abbondantemente i mutui bancari contratti dal privato per acquistare le mura. Fatto sta che la Camera avrebbe speso in 18 anni ben 444 milioni solo per i canoni d’affitto, senza ritrovarsi in tasca un solo mattone. Una vicenda divenuta ben presto l’emblema degli sprechi del Palazzo, contro cui si erano scagliati a ripetizione con interrogazioni e denunce pubbliche i radicali. Ma inutilmente. Come inutili si erano rivelati i mal di pancia avvertiti da molti parlamentari consapevoli dell’abnormità della storia. A tutti era stato risposto che non c’era niente da fare: i contratti andavano rispettati e amen. Dopo molti sforzi si era riusciti a disdettarne almeno uno.
E l’emendamento Fraccaro, divenuto legge il 13 dicembre scorso a Palazzo Madama con l’approvazione senza modifiche della «manovrina» uscita da Montecitorio, avrebbe fatto cadere tutti gli ostacoli per la rescissione degli altri tre, che pesano sulle casse pubbliche 26 milioni per i soli canoni. Se però il giovedì seguente non fosse stato recapitato in Senato nella leggina di conversione di un decreto sulle «misure finanziarie urgenti in favore di regioni ed enti locali», un provvidenziale emendamento che sopprime quella disposizione passata sempre al Senato il venerdì precedente. Modifica prontamente approvata dalla maggioranza senza battere ciglio: con qualche voto in più, sembra, rispetto a quelli prevedibili. La battaglia si sposta adesso alla Camera, dove Fraccaro riproporrà tale e quale la norma bocciata. Ma intanto il segnale arrivato dalle Larghe intese, per paradosso proprio mentre Matteo Renzi, il nuovo segretario del Pd loro principale azionista dichiara pubblicamente guerra ai costi della politica, si può interpretare in modo inequivocabile: gli affitti dei palazzi del potere non si toccano. Altra motivazione non ci sarebbe. E l’impronta digitale della maggioranza, del resto, è facilmente riconoscibile.

L’emendamento porta la firma della relatrice delprovvedimento, circostanza che qualifica l’emendamento come iniziativa non personale. Ma essendo la senatrice del Pd Magda Zanoni esperta di contabilità statale, visto che il suo curriculum la qualifica come «consulente di bilanci pubblici», certo non ne può ignorare le conseguenze. E cioè che oltre a mettere in pericolo i contratti blindati e dorati dei palazzi Marini, quella perfida norma grillina consentirebbe a molte amministrazioni di liberarsi di onerosi contratti incautamente sottoscritti senza clausola di recesso: è appena il caso di ricordare che spendiamo circa 12 miliardi l’anno per gli affitti degli uffici pubblici. Chissà perché nessuno ci aveva pensato prima.
E Stilinga, infuriata, pensa che se 'sti cretinetti della politica non smettono di lavorare contro il popolo sovrano e il sovrano popolo li manderà a casa di corsa!
E non vengano a dirci che il debito esplode! e non aumentino le tasse! 
Si vergognino 'sti disgraziati che consegnano la cosa pubblica ai privati!
E basta! non se ne può più davvero!
Come ti giri trovi assessori regionali che a contratto, fuori busta, pagavano segretarie-escort, giudici di pace  corrotti dai tassisti abusivi, Ncc che pagavano in escort i vigili urbani, presidenti di regione che si compravano mutande verdi coi soldi pubblici, etc. etc.
E' tempo di aggiornare la Divina Commedia e il Decameron, la realtà è truce!

Niente crisi a Silicon Valley!

http://www.corriere.it/foto-gallery/tecnologia/social/13_dicembre_16/non-c-crisi-silicon-valley-party-natale-b9232a46-663f-11e3-8b64-f3a74c1a95d8.shtml#1

Crisi? Macché. Nella Silicon Valley si festeggia come se non ci fosse un domani. Anzi, «sembra che ogni giorno sia come nel 1999», scrive il New York Times. Ovvero: prima dello scoppio della crisi finanziaria e quando la bolla di Internet era ancora bella gonfia. Infatti, il 2013 per i big della tecnologia è stato un anno notevole, da Twitter a Snapchat, da Facebook a Google. Questi sono tempi favolosi per la Silicon Valley, è la comprensibile analisi degli investitori. E a fine anno, dipendenti e dirigenti, si raccolgono per il tradizionale party di Natale. Feste sfarzose che ricordano molto quelle del «Grande Gatsby».


E Stilinga pensa che siccome alcuni grandi marchi sella Silicon Valley non pagano un euro di tasse in Italia, allora è proprio scandaloso che costoro festeggino e brindino come se tutto fosse perfettamente in equilibrio nel mondo, come se tutti i popoli godessero dello stesso benessere.

Purtroppo non è così e questi party fanno specie!

Si avverte una distanza enorme, un abisso esistenziale e reale tra clienti sempre più bombardati dalle pubblicità che esortano a comprare nuovi smortphones (proprio smort) e ipad e a passare il tempo on line, altrimenti sei fuori dalla vita e  questi figuri che si sollazzano coi soldi e con le  energie che i consumatori buttano online! 

Ormai è chiaro che il web è utile solo a chi lo gestisce! 

Spagnolo inventa lampadina che dura 100 anni ma viene minacciato di morte

da: http://pianetablunews.wordpress.com/2013/12/02/spagnolo-inventa-lampadina-che-dura-100-anni-ma-viene-minacciato-di-morte/

Spagnolo inventa lampadina che dura 100 anni ma viene minacciato di morte

la lampadina di Benito Muros
Guardate la foto qui sopra. Nell’immagine è evidenziata apparentemente una semplice e comune lampadina. Ma questa lampadina ha una particolarità che la rende praticamente “immortale”: è stata sviluppata con una tecnologia (per il momento non nota) che, al contrario delle normali lampadine, non è sottoposta al fenomeno dell’obsolescenza programmata”. Cosa significa questo termine? Solitamente tutto ciò che troviamo in commercio ha una scadenza propria, una fine “programmata” che permette alle industrie di immettere sul mercato mondiale prodotti tecnologicamente sempre più avanzati e di livello superiore, a scapito di quelli già presenti.
Benito Muros
Questo avviene nell’economia industriale, soprattutto per prodotti di origine elettrica (come appunto le lampadine) o elettronica. In pratica le industrie produttrici utilizzano appositamente materiali di qualità inferiore o componenti facilmente deteriorabili che accorciano la vita del prodotto rendendolo obsoleto o inutilizzabile dopo un certo periodo di tempo, spesso in prossimità dell’uscita sul mercato di prodotti simili ma tecnologicamente più aggiornati.
Tutto questo, ovviamente, serve esclusivamente ad aumentare i fatturati commerciali. Ora però questa torbida tattica industriale sta per essere messa a rischio dall’invenzione di un giovane impiegato, Benito Muros, che lavora presso l’OEP Electrics come responsabile di un programma appositamente ideato per combattere l’obsolescenza pianificata. In pratica l’uomo ha ideato un tipo di lampadina che arriva a risparmiare dal 70% al 95% dell’energia normalmente utilizzata da una normale lampadina. Ciò vuol dire che sei voi utilizzaste una di queste lampadine per la vostra camera da letto essa sopravvivrebbe anche alla vostra dipartita, continuando a funzionare nel tempo. In più (e non è cosa da poco) essa possiede anche la caratteristica di non scottare al tatto e di non bruciarsi se sottoposta a ripetute accensioni. Un’intervista a Benito Muros:
La notizia, ovviamente positiva per tutti noi, non lo è stato però interamente per il giovane inventore spagnolo che avrebbe subito serie ma prevedibili minacce di morte per se e per i suoi familiari qualora avesse introdotto sul mercato questa nuova tecnologia. Nonostante le minacce ricevute l’uomo ha però coraggiosamente denunciato il fatto alle autorità locali dichiarando che continuerà a difendere il programma per il quale sta ancora attualmente lavorando.
Vi siete mai chiesti perché certi giocattoli si rompono subito? Perché è così faticoso trovare pezzi di ricambio per un elettrodomestico? Perché il computer che avete in casa dopo pochi mesi è già diventato un pezzo da museo? La risposta è più semplice di quanto, forse, immaginate e si racchiude in appena due parole: obsolescenza programmata. Significa che vi sono prodotti che vengono progettati e costruiti per durare poco, rompersi in fretta ed essere così continuamente sostituiti. Il ragionamento è impietoso ma chiaro: sembra che il sistemo economico-monetario che regola la nostra società stia in piedi solo se si continua a “consumare” senza sosta e per avere la certezza che ciò avvenga occorre creare il “bisogno”, la “necessità”. Quindi, cosa c’è di più efficace del mettere a disposizione dei consumatori oggetti pensati e realizzati per durare poco, in modo che vengano costantemente ricomprati? Un video che tratta l’argomento:
Per completezza d’informazione, vi informiamo che esiste anche un’intervista a tale Leon, un presunto ex socio di Muros che cerca di denigrare l’invenzione in questione spiegando che la lampadina ideata da Muros non sarebbe “infinita” ma facilmente riparabile a basso costo. Inoltre si allude a spostamenti finanziari non poco chiari da parte dell’ideatore del progetto. Non sappiamo se queste dichiarazioni corrispondano al vero ma la cosa curiosa è che questa seconda intervista è stata fatta dallo stesso sito web che ha intervistato Muros circa un mese prima. Ecco il link:
www.vice.com/es/read/entrevista-ferran-leon-benito-muros
Ad ogni modo esiste un sito ufficiale del prodotto disponibile al seguente indirizzo: www.oepelectrics.es

ACTA con Daniela: il tumore non è uguale per tutti.

da: http://www.actainrete.it/2013/12/acta-con-daniela-il-tumore-non-e-uguale-per-tutti/

ACTA con Daniela: il tumore non è uguale per tutti.

| 13 DICEMBRE 2013 | LETTO: 741 VOLTE | 5 COMMENTI | AUTORE: ACTA | SHORT URL |



  
nastro rosaACTA ha deciso di condividere la battaglia di Daniela Fregosi, freelance ammalata di tumore al seno, ancora senza indennità di malattia ma obbligata a versare gli anticipi INPS!
Stiamo raccogliendo informazioni, materiali e testimonianze per capire come intervenire per aiutarla in questa lotta, che poi è la lotta di tutti noi.
Se hai informazioni o esperienze da raccontare segnalacele!
Stiamo organizzando una campagna per rivendicare il diritto dei freelance gravemente malati a vedere riconosciute le tutele di cui dovrebbero godere. Chiederemo la deroga degli anticipi INPS in caso di malattia grave, una revisione delle sanzioni per il ritardato pagamento e tempi certi per l’erogazione delle indennità di malattia. Vorremmo anche maggiore attenzione da parte dell’INPS nella corretta informazione ai lavoratori autonomi malati, per consentire loro di accedere più facilmente alle prestazioni di cui hanno diritto.
A Daniela abbiamo chiesto di raccontare qui la sua storia.
Ammalarsi seriamente è un’esperienza spiacevole per chiunque, ma quando succede a un lavoratore autonomo inizia un doppio calvario. Se poi sei donna e il malaccio è un tumore al seno, hai proprio fatto bingo.
Fin dal momento della diagnosi, intuendo le difficoltà che mi aspettavano, ho cominciato a mettere in atto una serie di strategie di adattamento alla mia nuova condizione. In questo un lavoratore autonomo è un grande esperto perché la flessibilità è il suo pane quotidiano. Ma per quanto tu riesca ad accogliere e gestire il cambiamento, un tumore rimane un tumore e non è un’influenza che, massimo 10 giorni, te la levi di torno. Ho iniziato a informarmi su quali potessero essere gli “ammortizzatori sociali” a cui avevo diritto. Nessuno sapeva nulla. Nonostante dicessi che non ero al pari di una lavoratrice dipendente, che può tranquillamente continuare a contare sul suo stipendio (io sin dal primo mese sono stata costretta a fermarmi), nessun consiglio mi arrivava dai medici e dal commercialista. Un far west terrificante nei patronati, code interminabili di utenti in cerca di informazioni, il call center dell’Inps a cui ho dovuto spiegare io l’ultima circolare del maggio 2013 riguardante i lavoratori autonomi a gestione separata (!). Insomma, meno male che il tumore mi è arrivato alla tetta e non al cervello e che sono molto brava nella navigazione internet, altrimenti ero fritta.

C’è poi da difendersi dalla classica domanda: “Ma come, non hai un’assicurazione privata?” Una cosa così la chiedono solo ai liberi professionisti, tutti convinti che, siccome ce la spassiamo alla grande a non aver padroni, a evadere di brutto e ad arricchirci alla faccia degli altri, il minimo è che cacciamo i soldi per le assicurazioni private e non rompiamo troppo le scatole all’Inps, anche se abbiamo un tumore.
Ho letto innumerevoli guide e libretti informativi per pazienti oncologici, dove venivano descritti i diritti dei lavoratori, dipendenti però. Di noi neppure un cenno. Come se in Italia non ci fosse il popolo delle P.Iva. Come se nessun lavoratore autonomo statisticamente si ammalasse mai seriamente o avesse diritto di ammalarsi come gli altri.
Eppure la malattia per gli autonomi è un problema diffuso, ma se ne parla poco perchè gli interessati sono i primi a nascondersi, temendo ripercussioni lavorative. Già si sono ammalati e hanno pochi diritti; cercano almeno di non bruciarsi un mercato (pure in crisi) fatto di clienti poco propensi ad assoldare professionisti meno efficienti e performanti.
Ma un paziente oncologico non è un paziente oncologico e basta? Evidentemente no.
Noi siamo malati di cancro di serie B e per noi gli art. 32 e 38 della Costituzione, che riguardano rispettivamente il diritto alla salute e il diritto agli aiuti in caso di impossibilità di lavorare, sono opzionali.Perché?
Un lavoratore autonomo con gestione separata ha diritto a un massimo di 61 giorni di malattia in un intero anno solare. E se fai un bel ciclo di chemio per 6 mesi? Beh, puoi sperare di star talmente male da avere diritto all’assegno ordinario di invalidità (una misura temporanea con cifre da fame) oppure puntare sull’invalidità civile. Occhio però che anche lì per ottenere il diritto a un aiuto economico devi stare proprio male e in ogni caso vanno a vedere il tuo reddito nell’anno precedente, quando eri sano, e ti aiutano solo se già da prima avevi un reddito da fame. Uno non sa se augurarsi le metastasi o la miseria. In quel caso incappi comunque in altri sbarramenti, quelli del numero minimo di mesi contributivi versati.
Ho reso l’idea del gran casino che si trova davanti una donna che ha appena scoperto di avere un tumore al seno?
I pochi spiccioli a cui avrei poi diritto me li devo conquistare, tra funzionari che non sono informati, portale INPS che è inadeguato, tempi lunghi di attesa.
E nel frattempo arrivano le scadenze, tra cui il pagamento degli anticipi. Ma come, mi si chiede di pagare INPS e IRPEF in anticipo mentre non ho ancora ricevuto le scarsissime indennità che mi spettano?
Il commercialista mi avvisa che devo provvedere, soprattutto devo versare gli anticipi INPS, perché in caso di ritardo le sanzioni sono pesanti, e, a differenza dell’IRPEF, non è previsto il “ravvedimento operoso”. L’INPS non ammette ritardi, neppure in caso di decesso!
Mentre sei lì tra interventi chirurgici (io ne ho fatto già 2 e si spera di fermarsi lì, perché con un tumore di certezze non ce ne stanno), visite, esami, terapie e riabilitazione, questo è il modo con cui Stato e Inps ti ripagano di anni di tasse versate e contributi. Sapete tutto questo come mi fa sentire? Un bancomat. Un bancomat con un tumore al seno. Non è il massimo.
Chissà, forse dobbiamo espiare qualche colpa. Un’amica libera professionista ha la sua teoria in merito.“In una società conformista, giudicante, che annienta le diversità, il motivo per dare contro a chi pensa, vive e lavora in modo autonomo è che questi soggetti sono di fatto un pericolo per il sistema”. Forse non ha tutti i torti. Io sono più cinica (con un tumore me lo posso permettere) e credo che il motivo sia che dietro ai lavoratori autonomi a gestione separata semplicemente manca un potere forte, un sindacato, un ordine professionale, per cui diventano facilmente oggetto di comportamenti predatori, perché per definizione sono soggetti deboli sul mercato.
Per tutti questi motivi, oltre a denunciare la condizione dei lavoratori autonomi che si ammalano seriamente,ho deciso di fare un gesto concreto. Ho iniziato la mia disobbedienza civile rifiutandomi di pagare l’acconto delle tasse per il 2013.
Caro Thoreau, padre della lotta allo Stato e al potere, oltreché emblema della disobbedienza civile e della resistenza fiscale, aiutami tu. Sostienimi e incoraggiami con le tue parole sagge e non farmi sentire sola: “Tutti gli esseri umani riconoscono il diritto alla rivoluzione; vale a dire, il diritto di rifiutare obbedienza e di resistere al governo quando la sua tirannia o la sua inefficienza sono grandi e intollerabili. Ma quasi tutti dicono che attualmente non ci troviamo in questa situazione……”.
Se sarò sola in questa lotta è perchè il nostro Paese ha ormai perso la capacità di indignarsi, ci hanno lentamente abituato a essere calpestati e, pur lamentandoci moltissimo, non sentiamo più un vero dolore.
Io però sono in una condizione diversa. Come sosteneva Tiziano Terzani prima di morire, un tumore ti concede una sorta di free pass, una carta premio con la quale puoi permetterti di dire e fare cose altrimenti impensabili.
Perchè un tumore o ti schiaccia o ti dà il coraggio di batterti per te stessa e per un mondo più giusto per tutti.
Daniela