Cassazione: la Chiesa dovrà pagare l’Ici, ma non sempre

da: http://www.leggioggi.it/2015/07/28/cassazione-chiesa-dovra-pagare-lici-non-sempre/

Nei giorni scorsi, si è scatenata la rincorsa a celebrare la decisione della Cassazione sull’obbligo di tassa sugli immobili che spetterebbe anche alla Chiesa. Una  polemica mai del tutto sopita, con i governanti di turno che non hanno mai regolamentato la materia a dovere lasciando ampi spazi di interpretazione che, ancora oggi, non mancano di influenzare dibattito e applicazione della normativa.
Così, di volta in volta, si cerca l’orientamento tra una sentenza e l’altra per dipanare la matassa di una questione destinata a essere irrisolta nella sua radice, almeno entro il breve periodo.
Nei giorni scorsi, dicevamo, è stata diffusa la notizia di una nuova sentenza passata in giudicato a opera della Cassazione, secondo cui le scuole paritarie di ispirazione cattolica saranno obbligate a pagare l’Ici.
Spunto per la pronuncia, era arrivato alla Suprema Corte dal doppio caso di due istituti livornesi, che i giudici hanno rilevato passibili di contribuzione con valore retroattivo, condannandoli al versamento di 422mila euro di arretrati per le annualità fiscali dal 2004 al 2009.
Una sentenza, insomma, che ha facilmente rinfocolato le polemiche mai del tutto sopite, tra le solite fazioni di chi ritiene la pronuncia sacrosanta e chi, invece, si posiziona all’esatto opposto.
Ma a poche ore dalla notizia della sentenza, vista l’enorme eco che la stessa ha suscitato, si è sentito chiamato in causa – in un’occasione piuttosto rara – il primo presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, il quale ha dipinto un quadro molto meno chiaro di quanto poteva apparire all’indomani della pronuncia degli ermellini.
Così, Santacroce ha vergato di proprio pugno un comunicato in cui si sottolinea la “continuità con l’orientamento consolidato circa l’interpretazione dell’esenzione prevista”.
Il presidente ha giustificato il proprio intervento ricordando l’indagine comunitaria dei sospetti aiuti di Stato a enti appartenenti alle gerarchie ecclesiastiche, “ che sarebbero potuti derivare da un’interpretazione della predetta esenzione non rigorosa e in possibile contraddizione con i principi della concorrenza”.
In buona sostanza osserva Santacroce “ l’esenzione spetti laddove l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle astrattamente previste dalla norma come suscettibili di andare esenti, non sia svolta in concreto con le modalità di un’attività commerciale”.
Così, dunque, si spiega la sentenza della Corte di Cassazione, che mette in chiaro come, caso per caso, toccherà al giudice valutare eventuali esenzioni irregolari, circostanza non avvenuta per gli istituti livornesi, sui quali il verdetto è stato rinviato ai giudici di merito per un’attenta valutazione ulteriore.
E STILINGA PENSA CHE SOLO IN ITALIA LA LEGGE E' INTERPRETABILE! 
E CHE LA CHIESA DEVE NECESSARIAMENTE PAGARE L'ICI, IMU, COME CAVOLO SI CHIAMA, ALTRIMENTI OGNI PROPRIETARIO DI CASA PUO' FONDARE UN CULTO ED ESERCITARE FUNZIONI RELIGIOSE NEL PROPRIO DOMICILIO E QUINDI NON PAGARE LA TASSA SULLA CASA! 
OPPURE CI PRENDONO DAVVERO TUTTI PER FESSI!

Fondo Monetario, ancora esiste?



Fondo Monetario, curare una polmonite tagliando una gamba!
Di A. Robecchi

da: http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/201507/fondo-monetario-curare-una-polmonite-tagliando-una-gamba/

Dunque mettiamola così: il medico che per curarti la polmonite ti ha amputato una gamba ora ti guarda perplesso. Dannazione, la polmonite non è passata. Dunque propone di amputarti l’altra gamba. Sembra una storiella per chirurghi, e invece è la storia del prodigioso Fondo Monetario Internazionale, quello che di fatto gestisce e controlla l’economia mondiale, un medico che se lavorasse in corsia farebbe più morti della peste del Seicento. 
La nuova vulgata ora è questa: bravini, avete fatto qualche sforzo nella direzione da noi indicata (traduco: vi siete tagliati una gamba), ma non basta. Per essere felici e tornare a correre nelle praterie del benessere dovrete tagliarvi pure quell’altra. Quasi tutti riportano con grande enfasi le parole dell’illustre medico, invece di rincorrerlo, come sarebbe più comprensibile, con un martello molto pesante.

 E dunque ecco: per riavere il tasso di occupazione pre-crisi, l’Italia dovrà aspettare ancora una ventina d’anni, e questo se tutto va bene e si fanno le riforme che il Fondo Monetario prescrive. Tra queste, tenetevi forte, la contrattazione decentrata di secondo livello (in italiano: basta contratti nazionali, ogni fabbrica discuta col proprio imprenditore), rivedere i modelli retributivi (in italiano: guadagnare tutti un po’ meno), cambiare il sistema educativo (in italiano: trasformare la scuola in una fabbrica di mano d’opera). Siamo ancora lì: invece di alzarsi e cominciare a inveire, come farebbero in ogni ospedale del mondo i parenti del degente, al ministero dell’economia dicono che insomma, loro quelle cose le stanno già facendo. Disperante.

Fortunatamente, nota qualcuno, non è raro che il Fondo Monetario prenda della cantonate, ma pare che questo non infici in alcun modo il fatto che le sue ricette vengano accolte come sacre e inviolabili. 
Insomma: la politica economica degli Stati la fanno quei signori lì, e gli stati si adeguano. Ne fa in qualche modo fede l’accanirsi del ministero del lavoro sui dati dell’occupazione, diffusi a piene mani anche con criteri un po’ risibili. Esempio: se nella famiglia Brambilla lavorava solo il padre e ora, avventurosamente o per merito, ha trovato lavoro anche il figlio, è possibile rintracciare i titoloni sui giornali: “Brambilla: raddoppiata l’occupazione!”, segue dibattito. Invece si dice poco e male che i contratti a tempo indeterminato (si fa per dire, perché senza articolo 18 sono tutti a termine a capriccio del padrone) sono quasi tutti sostitutivi di altre posizioni, cha la disoccupazione resta mostruosa, che l’80 per cento e più dei nuovi contratti è a tempo determinato, cioè il vecchio caro precariato che si voleva (ehmm…) sconfiggere.

Sono numeri che schiantano il paese, ma che in qualche caso – solo per osservatori attenti – sotterrano anche una certa retorica farlocca dispiegata a piene mani. Basta pensare all’enfasi con cui si propugna come vincente e risolutiva la figura dell’imprenditore. Non c’è talk show, pagina economica o rotocalco che non abbia in bella vista il geniale imprenditore (delle salsicce, dei gelati, delle giacche a vento in piuma d’oca) che tiene la lezioncina su quanto è bello fare i padroni, con conseguente invito ai “giovani”: dai fatelo anche voi! 

Risultati devastanti. Da un lato frustrazione per chi non ha un papà finanziatore. Dall’altro gradi applausi per piccole, a volte geniali, start-up, salvo poi andare a vedere e scoprire che fatturano milioni e hanno un dipendente: la segretaria (se va bene). Creare valore per sé e non lavoro e benessere per tutti, insomma, è considerato modernissimo e à la page. Sempre in attesa, ovviamente, che il medico dica: perbacco, nemmeno tagliare un’altra gamba ha fatto passare questa fastidiosa polmonite, propongo di amputare un braccio. Applauso del paziente.

Habermas: "La Merkel in una notte si è giocata la reputazione della Germania costruita nel Dopoguerra"

da: http://www.repubblica.it/economia/2015/07/16/news/habermas_la_merkel_in_una_notte_si_e_giocata_la_reputazione_della_germania_costruita_nel_dopoguerra_-119225926/?ref=fbpr

La linea del governo tedesco ha annullato quanto di buono è stato fatto in oltre 50 anni per ridare al Paese un volto più umano, dopo i terribili eventi del secondo conflitto mondiale. Contro la Grecia: "Un atto punitivo", ha detto il filosofo tedesco in una intervista al The Guardian

MILANO - Il filosofo Juergen Habermas ha accusato la cancelliera tedesca Angela Merkel di essersi "giocata", con la sua linea dura contro la Grecia, la reputazione tedesca, faticosamente ricostruita dopo la Seconda guerra Mondiale. Contro il governo greco di Alexis Tsipras è stato compiuto "un atto punitivo", ha detto il filosofo tedesco in un'intervista al the Guardian.

"Temo che il governo tedesco, compresa la sua fazione social democratica, si sia giocato in una notte tutto il capitale politico che la migliore Germania aveva accumulato in mezzo secolo", ha dichiarato Habermas aggiungendo che i precedenti governi avevano dimostrato "maggior sensibilità politica e una mentalità post nazionalista".

Minacciando la Grexit, la Germania "si è posta senza vergogna come la responsabile della disciplina europea e per la prima volta ha apertamente rivendicato l'egemonia in Europa", ha aggiunto l'86enne filosofo tedesco, fra i maggiori sostenitori dell'integrazione europea. 

A suo parere, l'accordo raggiunto a Bruxelles, "non ha senso dal punto di vista economico, a causa della miscela tossica di necessarie riforme strutturali dello stato e l'economia assieme a imposizioni neoliberali che scoraggeranno un'esausta popolazione greca e uccideranno ogni crescita".

Cari greci, i grigi Stati del Nord vi stanno uccidendo di austerity perché invidiano la Grande Bellezza del Sud Europa

da: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/16/cari-greci-i-grigi-stati-del-nord-vi-stanno-uccidendo-di-austerity-perche-invidiano-la-grande-bellezza-del-sud-europa/1877471/

LA PROVOCAZIONE - I Paesi settentrionali dell'Ue, che hanno radici culturali in una visione del mondo rigorosa e disciplinata nata con il luteranesimo e il calvinismo, considerano Grecia, Spagna, Italia e Portogallo come scolari inaffidabili e inadeguati a gestire la cosa pubblica. E con le loro brume, i grandi silenzi e le lunghe notti invernali sono invidiosi della qualità della vita dei popoli meridionali. Ma quando al Nord c’erano ancora tribù primitive, ad Atene Aristotele metteva in guardia i cittadini dall’insolenza dei demagoghi, e anche questo la dice lunga sulla gente del Meridione, sulla loro capacità di capire come la democrazia e il suo esercizio non siano categorici
Sappiano gli amici greci, che quella dei virtuosi tedeschi, degli intransigenti finlandesi, dei parsimoniosi olandesi e di tutti quei paesi nordici che accusano Atene di avere vissuto al di sopra dei loro mezzi, di aver dissipato i cospicui aiuti finanziari e di non pagare le tasse, è solo invidia. Atavica invidia, intrisa di pregiudizi che hanno radici culturali nel luteranesimo, nel calvinismo, in una visione del mondo rigorosa, disciplinata, ordinata persino quando è disordinata. E’ il grande Nord che disprezza il piccolo Sud. Il Nord che teme la disgregazione e predica la compattezza a senso unico, e a suo esclusivo vantaggio. Il Nord che invidia labellezza del Sud, il Nord spesso deprimente dei “plats pays”, delle brume, delle lunghe notti invernali, dei grandi silenzi e della grandenoia. Dove tutto è perfetto, persino i boschi e le foreste sono trattate come isole pedonali. Ma che noia! Per questo, quando torme selvagge di tifosi del Grande Nord approdano al Sud, spaccano tutto quello che trovano ebbri di spavalda autostima, come fecero i lanzichenecchi e i barbari invasori, a cospetto della Grande Bellezza!
La Grecia, e pure laSpagna, l’Italia, ilPortogallo e una buona parte della Francia – quella meridionale, guarda caso la più interessante e bella – sono viste come scolari troppo vivaci e indisciplinati, magari intelligenti, talvolta geniali, però anche inaffidabili, capaci di dissipare quello che sono riusciti a realizzare, più spesso inadeguati a gestire la cosa pubblica, a mantenere la coesione sociale, a controllarne le derive populiste, a minacciare gli equilibri economici: senti da che pulpito arriva la predica!

L’invidia è una brutta malattia. Fa dire cattiverie che aumentano la confusione. Una frase ripetuta a ritmi martellanti è questa: “Atene èresponsabile di quel che le sta succedendo”. Chi sostiene questa tesi dice che bisogna smettere di dare la colpa all’Europa, poiché la Grecia sta affondando sotto il peso del suo regime oligarchico e col rifiuto di pagare le imposte, con la connivenza delle autorità. A supporto dell’accusa ci sono i numeri, il vangelo del Nord. Li rubo all’economista Christian Saint-Etienne, titolare della cattedra di economia al Conservatorio nazionale francese delle arti e dei mestieri: “La Grecia si è messa largamente tutta da sola nella sua situazione attuale, perché il paese ha beneficiato di 200 miliardidi Euro di fondi strutturali dall’inizio del suo ingresso nell’Unione europea e non ha saputo sviluppare un’economia competitiva. Lo Stato è strutturalmente debole e l’evasione fiscale considerevole. Dopo la crisi del 2009-2010, la Grecia ha beneficiato di una cancellazione del debito di 105 miliardi di Euro dalle banche nel 2012 e di una riduzione degli interessi che porta l’aiuto accordato al paese a circa 175 miliardi di Euro. Se si aggiungono i 200 miliardi di trasferimenti strutturali, la Grecia ha già ottenuto un aiuto dall’Ue di 375 miliardi di Euro, superiore al doppio del suo prodotto interno lordo attuale!”. Aggiunge che senza questi aiuti il debito reale sarebbe di 495 miliardi. Che brucia 20-25 miliardi di contanti all’anno. Insomma, un “pozzo senza fondo”.La Grecia, e pure laSpagna, l’Italia, ilPortogallo e una buona parte della Francia – quella meridionale, guarda caso la più interessante e bella – sono viste come scolari troppo vivaci e indisciplinati, magari intelligenti, talvolta geniali, però anche inaffidabili, capaci di dissipare quello che sono riusciti a realizzare, più spesso inadeguati a gestire la cosa pubblica, a mantenere la coesione sociale, a controllarne le derive populiste, a minacciare gli equilibri economici: senti da che pulpito arriva la predica!
Questi numeri hanno imposto la messa sotto tutela del popolo greco. Come gli otto piani precedenti, il nuovo piano d’austerità – altra parola che il Nord vuole imporre al Sud come regola di vita – aggraverà la recessione e il deficit pubblico, è l’opinione diThomas Coutrot, economista e membro del consiglio economico di Attac (Association pour la taxation des transactions financières et pour l’action citoyenne), che ha sottoscritto il manifesto degli economisti atterriti, per i quali il paradigma neoliberista – altra professione di fede del Nord – è sempre in auge, nonostante i suoi ripetuti ed evidenti fallimenti: “L’Europa è prigioniera della trappola che si è costruita”. Già. Ma quale Europa l’ha approntata? Certo, non la Grecia.
L’amico Philippe Brunel, giornalista e scrittore di ciclismo, propone – e io condivido – un irriverente, ma poi non tanto, paragone tra lo sport delle due ruote (sto seguendo il Tour de France, ndr) e il caso Grecia. E’ una questione più che economica,esistenziale. Dice Philippe che il ciclismo continua ad essere uno sport popolare, democratico: corrono insieme poveri e ricchi – d’ingaggi, si intende – rispettando le stesse regole. Può succedere così che un povero s’imponga davanti a un ricco. E tuttavia, di recente, vi sono squadre di grande budget che storcono il naso quando si vedono costrette nelle più importanti corse a tappe (la trojka Tour, Giro, Vuelta) a gareggiare con formazioni modeste e con corridori spesso sconosciuti e pagati ben poco, rispetto alle gradi star della bicicletta. Ma questo è proprio il bello del ciclismo, aggiunge Brunel, “il piccolo può immaginare che in un qualche momento della corsa può accedere alla vetta e vincere, quello che nella vita è in realtà assai più difficile”.
Con la Grecia per un certo tempo è stato lo stesso. Hanno detto ai greci che erano i benvenuti, che si correva tutti insieme e, quando si è varata la moneta unica, gli hanno ribadito che andava bene così, fingendo di non sapere quali fossero le reali condizionifinanziarie ed economiche del Paese. I greci hanno sempre saputo d’essere la gente piccola dell’Ue, e che il confronto con la gente ricca non poteva essere quello del denaro, della potenza economica o del potenziale produttivo. I greci sognavano d’essere accettati per quello che erano. Adesso invece gli dicono che se vogliono restare devono dimenticare tutto: tagliare stipendi e pensioni, indebitarsi a vita, rinunciare a pezzi importanti, vitali della loro sovranità. Cioè il vero prezzo del sogno europeo. Peggio. Con la Grecia si è applicato cinicamente un celebre principio maoista: educarne uno per educarne cento. La lezione alla Grecia da parte dei maestri del Nord è la lezione a quell’Europa del Sud che non rispetta scrupolosamente le regole, che si ostina a privilegiare altri valori, soprattutto a quell’Europa che non crede nella politica dell’austerità.
Un fantasma si aggira di nuovo per l’Europa, ed è quello dell’europeo che non vuole farsi schiacciare dall’ipocrisia di chi predica bene e razzola male, nel giardino degli altri. L’invidia è cattiva consigliera, quando nelle selve oscure del Nord c’erano tribù di cultura primitiva, ad Atene i greci potevano ascoltareAristotele mettere in guardia i cittadini dall’insolenza dei demagoghi, e anche questo la dice lunga sulla gente del Sud, sulla loro capacità di capire come la democrazia e il suo esercizio non siano categorici. Il confine tra dignità e fierezza è assai sottile, dovrebbero saperlo i compatrioti di frau Merkel, “nessun ente supremo a salvarci verrà/non Dio, non Kaiser, non tribuno/Se vogliamo libertà dalla nostra miseria/ottenerla dovrem da noi, soli” si ascolta nella versione tedesca dell’Internazionale.

Capisco i dubbi ma così Angela sta sbagliando tutto

da Repubblica 12.7.15
Pensare solo al denaro e ai crediti dimenticando le masse di giovani senza lavoro è una politica che subirà la vendetta della Storia
di Peter Schneider


VIAGGIO spesso in Italia, a Londra o a Parigi, e negli States. Ovunque da viaggiatore leggo delle opinioni e dei moniti di economisti del calibro di Krugman, Stiglitz o Piketty sui rischi di un default greco. Solo in Germania, su quelle voci cade il silenzio. Nemmeno risposte di disaccordo: silenzio totale. Ho l’impressione che i resoconti dei media da noi siano estremamente unilaterali. Le grida d’allarme di Krugman, Stiglitz, Piketty, e dello stesso Fmi, la loro chiara constatazione che la Grecia non sarà mai in grado di rimborsare quella montagna di debiti, da noi non sono nemmeno confutate con opinioni di-verse: sono ignorate e basta. Schaeuble e Angela Merkel si comportano come presumendo che i greci ripagheranno tutto, e trasmettono questa supposizione alla società tedesca, perché altrimenti sarebbero loro due a rischiare davanti ai loro elettori.
Viviamo in una situazione tristemente paradossale, pur avendo media liberi e di alta qualità: la maggioranza dei tedeschi pensa che paghi solo la Germania, al massimo con Olanda e Austria. Non sanno che i paesi creditori sono anche Francia e Italia, o i Baltici da poco usciti dal dominio sovietico, o altri. Non è una Gleichschaltung , parola che evoca tempi tristi, però è un’ostinazione a pensare solo al denaro. Ho l’impressione che gente come Krugman, Stiglitz, Piketty, per questo non vengano presi sul serio. Questo silenzio dovrebbe indurre a riflessioni inquietanti.
Angela Merkel è una grande wahrheitsvermeiderin ( una persona che cerca di evitare la verità, ndr), non vuole in nessun caso dire chiaramente o imporre al paese, all’opinione pubblica, ai suoi elettori, la semplice verità, che recita: i greci non ce la faranno mai, prolungare le rate non basta, ci vuole un haircut. E contemporaneamente, viviamo una crepa nel rapporto con la Francia, con buona pace di vertici bilaterali Merkel- Hollande che irritano gli altri. Francia e Italia, sul dramma greco, hanno una posizione diversa da Berlino. Comporre la frattura è possibile solo se si abbandona il dogma secondo cui chi ha debiti deve sempre ripagarli tutti. In politica questo assioma non vale. Altrimenti i tedeschi non avrebbero ricevuto nel 1953 un haircut del 60 per cento dei debiti, e via, allora molti avrebbero potuto dire “proprio a loro questo regalo?”.
Dilettante o mistificatore che possa essere, Tsipras non ha né scatenato una guerra mondiale né deciso la “Soluzione finale”, torniamo alle proporzioni. Certo, non posso giudicare quanto seriamente i greci s’impegnino a riforme necessarie, può darsi che non ne siano capaci. Eppure, il peggio è come Merkel e Schaeuble affrontano questa crisi dell’eurozona. Non penso solo alla Grecia, penso alle masse crescenti di giovani senza lavoro in tutta l’Europa mediterranea, generazioni bruciate il cui destino questa Berlino non vede. Vogliono sacrificare queste generazioni al totem dello scontro politico sul rimborso dei debiti dei loro paesi? Bene, decidano così, ma allora subiranno la vendetta della Storia.
E purtroppo non è finita. La crescita di populisti euroscettici e autoritari in paesi-chiave come Italia e Francia minaccia al cuore le stesse strategie tedesche. Certo, Angela Merkel vuole tenere la Ue insieme, non vuole restare nella Storia come la demolitrice o becchina dell’Europa. Però non si vedono segnali di una politica che vada e guardi oltre alla prospettiva da contabili dei problemi delle pubbliche finanze.
La “Sparpolitik” è fallita, aumenta debiti sovrani e miseria in troppi paesi europei, la Germania che non vuole essere leader ma lo è diventato deve imparare a vederlo. E invece non lo vede. Non è disegno malevolo dei nostri leader, ma sono diventati prigionieri della loro politica fallita e ne rendono prigionieri anche gli altri europei. Merkel cerca di coprire questo suo disastro con un mantello. Anche con buoni argomenti. Come l’affermazione che fare sconti alla Grecia creerebbe irritazione in paesi che hanno fatto sacrifici, dai baltici agli spagnoli agli irlandesi o ai portoghesi. Eppure, comunque vada a finire, Berlino dovrebbe capire che la politica del rigore è fallita e che urgono idee nuove per rilanciare l’economia in tutti questi paesi, per ridare ai giovani un futuro. Un proverbio tedesco dice che in una controversia il più saggio cede. Non credo che noi tedeschi siamo i più saggi, ma certo siamo i più forti. E allora, per non gettare generazioni bruciate dal rigore in braccio ai peggiori populisti, e non lasciarle preda dell’odio contro di noi, noi più forti dovremmo concedere qualcosa. Dicendo agli elettori tedeschi: “Amici, questi soldi non ritorneranno”.
(testo raccolto da Andrea Tarquini)

Jean-Paul Fitoussi: Basta con i dogmi o l’Unione europea finirà disintegrata

Jean-Paul Fitoussi: Basta con i dogmi o l’Unione europea finirà disintegrata



IL FATTO che il governo francese, e addirittura il commissario Moscovici, abbiano preso decisamente l’iniziativa di sostenere la Grecia e di favorire una rapida chiusura di questo interminabile negoziato, mi sembra un’ottima notizia. Era un’iniziativa attesa da moltissimo tempo, ed era diventata se non dovuta almeno realisticamente auspicabile vista, se non altro, l’affinità ideologica fra il governo di Parigi e quello di Atene.
Finalmente ci si ricorda cosa vuol dire essere socialisti e democratici nel senso più profondo e migliore del termine. Troppe volte questo stesso governo era scivolato su un terreno conservatore in economia, con il trionfo del libero mercato senza controlli, per non parlare del sostegno alle linee tedesche del rigore a tutti i costi, che lasciava molto perplessi. Ora si è recuperata la giusta direzione, al punto che Tsipras e Hollande mi risulta che si parlino al telefono molto più spesso di quanto si ritiene, e che la squadra di tecnici del ministero delle Finanze inviata ad Atene per collaborare con i greci abbia fatto un ottimo lavoro. L’Europa, si dice, è a trazione franco-tedesca, ma negli ultimi anni questa “trazione” mi sembra che si sia basata su una serie di compromessi in cui ha sempre prevalso la Germania. Mi sorprende l’assenza in questa fase dell’Italia, che era sembrata sul punto di prendere un’iniziativa analoga un paio di mesi fa, ma che poi è sparita nel nulla.
Il senso del messaggio che Hollande ha mandato alla Germania è semplice: non esagerare. I tedeschi si ritengono gli unici depositari della verità quanto a ricette economiche, e vogliono imporla, se necessario con la forza, a tutti. Così, con la schematica e dogmatica ossessione del raggiungimento degli obiettivi che loro stessi hanno fissato, e nei tempi che loro impongono, rischiano solo di mandare in frantumi l’Europa. Può essere che sia questo il loro vero obiettivo, o almeno di alcune frange oltranziste del governo, ma allora ha fatto ancora meglio la Francia a tentare di fermarli in questa deriva.
È un rischio geopolitico che assolutamente non deve essere corso. Non è l’Europa che sognavamo questa, è tutt’al più un’Europa disegnata su misura dei Paesi del nord e forse dell’est, e questo non ci sta bene. L’Europa comprende a pieno titolo anche il sud, e spero che non riaffiorino più da parte tedesca idee come la creazione di un doppio euro con la mortificazione di quello meridionale.
La Grecia in questi cinque anni di cura-troika ha fatto conquiste importanti, e il fatto che ci sia stato uno sbandamento adesso non le cancella. Ora malgrado i risultati del referendum, Tsipras si è addossato la responsaiblità politica di andare contro il risultato del voto e riproporre sostanzialmente il piano Juncker. Che altro deve fare? I greci si riavvieranno sul cammino delle riforme e le completeranno, e potranno farlo se sarà loro sottratto questo giogo dell’austerity e del rigore portati oltre ogni ragionevole e realistico limite. Ci riusciranno, e la Germania deve prestare loro fiducia, altrimenti porterà la responsabilità pesantissima di aver disintegrato l’unione europea. La miglior garanzia sta proprio nel referendum: i greci hanno dimostrato di aver fiducia in Tsipras, e quindi egli potrà portare avanti gli impegni che in queste ore a Bruxelles sta prendendo.
Già la cura dell’austerity ha fatto parecchi danni: ha affondato la Grecia, ha mandato in recessione altri Paesi, soprattutto ha creato il terreno di coltura in cui si stanno sviluppando e crescendo i tanti movimenti politici anti-europei, dal Front National a Podemosa, dalla Lega Nord agli antieuropeisti dei Paesi nordici.
Ora bisogna al più presto chiudere questa esulcerante trattativa, e poi portare senza esitazione la macchina europea in officina per un tagliando urgente e radicale. Deve, senza che si perda più un minuto dopo quest’immane dissipazione di energie intorno a questo negoziato, ripartire il cammino dell’integrazione, delle istituzioni comuni, della solidarietà nella crescita. Serve un’Europa dei Paesi che tutti uniti, compresa la Grecia, si siedano serenamente intorno a un tavolo ed elaborino le strategie migliori per valorizzare le immense risorse del continente e far sì che finalmente l’Unione, e l’euro, siano un vantaggio e un’occasione straordinaria. Se buttiamo via la Grecia, che credibilità resta all’Europa?

La vera tragedia europea è la Germania di MAURIZIO RICCI

da: http://www.repubblica.it/economia/rubriche/eurobarometro/2015/07/13/news/eurobarometro_grecia_13_luglio_2015-118974859/?ref=HRLV-5
Una grande multinazionale straniera sta facendo firmare, in questi giorni, ai suoi fornitori italiani, contratti che contemplano la procedura da seguire in caso di uscita dall'euro e ritorno alla lira. E' il risultato – gravissimo – del modo irresponsabile con cui è stata gestita la crisi greca. Il contagio è già avvenuto. Il "salveremo l'euro a qualsiasi costo" di Draghi è sepolto. Nella testa della gente e dei mercati, l'euro è diventato reversibile. Lo pagheremo in termini di spread e di speculazione. Se non oggi, domani, alla prossima crisi. E il dubbio è che questo sia stato lo scopo deliberato di chi ha messo in piedi, in queste ore, a Bruxelles, una rappresentazione ad uso e consumo di un pubblico (quello tedesco) precedentemente addestrato ad una visione unilaterale e faziosa della realtà. Sangue e torture a parte, non era diversa la logica dei processi dell'Inquisizione spagnola.

Solo nello scenario di una rappresentazione si spiega la facilità con cui, fra sabato e domenica, sono circolate bozze di documenti in cui, venivano comunque menzionate ipotesi, come l'uscita temporanea della Grecia dall'euro, che i tecnici avevano già liquidato come improponibili. A rassicurare lo stesso pubblico è stata riproposta la ricetta economica di sempre: siccome l'economia va peggio del previsto, bisogna stringere ulteriormente le viti dell'austerità, con il risultato che l'economia andrà ancora peggio, gli obiettivi verranno inevitabilmente disattesi, l'austerità verrà rinforzata e la spirale perversa, già vista all'opera in questi anni, potrà dare un altro giro, sempre perchè la priorità sarebbe mettere da parte i soldi per restituire i debiti. Restituzione che resta problematica esattamente come prima. Ma, poiché tagliare i debiti inesigibili resta un'eresia, pur di non ridurre la montagna del debito preesistente si preferisce aumentarla ulteriormente di un'altra ottantina di miliardi, così da trasformare la piaga in cancrena.

A questo punto, i dettagli dell'accordo – quanto cede Tsipras, cosa riesce a strappare, l'elenco delle riforme – contano assai poco. Qualsiasi numero, qualsiasi vincolo è ballerino. Inevitabilmente, sulla misura effettiva del deficit di bilancio, sulle rate di restituzione dei debiti, l'Europa dovrà tornare. Il dramma greco è destinato a restare con noi. Per arrivare a questo risultato, Berlino ha devastato il panorama politico del continente. Da Salonicco a Lisbona, l'Europa ha un "cattivo" ufficiale e parla tedesco, un ruolo che la Germania dovrebbe vivere con qualche disagio. L'asse storico con Parigi è profondamente incrinato: le proposte con cui Tsipras si è presentato venerdì a Bruxelles e che sono state ridicolizzate dai tedeschi erano state studiate insieme al governo francese. Le ipotesi di maggiore integrazione dell'eurozona, di una progressiva cessione di sovranità fiscale ed economica a Bruxelles sono severamente impiombate, almeno a livello popolare: chi ha voglia di cedere sovranità all'Europa di Schaeuble, per ritrovarsi domani pignorato il Colosseo o gli Champs Elysées?

La vera tragedia nel cuore dell'Europa, oggi, non è la Grecia. E' la Germania, l'isolamento culturale, ideologico in cui vive la maggior potenza del continente. La tragedia è che Schaeuble, la Merkel, la Spd non potevano, probabilmente, per realismo politico, comportarsi diversamente. Per anni, l'establishment tedesco – dai politici ai giornali – ha fornito all'opinione pubblica una immagine della realtà europea fasulla, in cui, ad esempio, i tedeschi appaiono quelli che finanziano i debiti greci, anche se, pro capite, il contribuente tedesco ha versato esattamente quanto quello italiano. Nessuno, tuttavia, al di là del Reno, la mette in discussione. Ora, è anche possibile che i teorici dell'austerità abbiano ragione, ma l'aspetto malsano della vicenda è che l'opinione pubblica tedesca non conosce altra versione della realtà. Le critiche di premi Nobel come Krugman e Stiglitz, le obiezioni di Obama, lo smantellamento dei dogmi dell'austerità da parte del Fmi, gli appelli dello stesso Fmi ad un taglio del debito greco non sono mai arrivati all'opinione pubblica. I giornali non ne parlano, i politici neanche. Per quanto possa apparire incredibile, un dibattito non c'è. Al volante della macchina europea c'è una Germania che non riesce a staccare gli occhi dal proprio ombelico.

Se è solo Berlino a dettare legge alla Grecia e all’Eurozona

da: http://www.limesonline.com/rubrica/se-e-solo-berlino-a-dettare-legge-alla-grecia-e-alleurozona


L’Europa tedesca è altrettanto realistica dell’acqua secca o del legno ferroso. Lo conferma la tragedia greca, di cui stiamo sperimentando solo le prime battute.

Pur di preservare la sua stabilità la Germania ha esportato instabilità nel resto d’Europa, a cominciare dalla periferia mediterranea. Sotto il profilo economico e monetario, propugnando una ricetta unica – la propria – per contesti radicalmente diversi, sicché senza le pressioni americane e ilpragmatismo di Mario Draghi l’Eurozona sarebbe già saltata da tempo sotto i colpi dell’austerità.

Sotto il profilo geopolitico, rifiutandosi di assumere ogni responsabilità nelle crisi del Mediterraneo e lasciando che lo scontro sull’Ucraina fosse appaltato ai baltici, per i quali la distruzione della Russia è obiettivo appetibile. E adesso lasciando andare Atene alla deriva.

Smottamento economico, sociale e geopolitico che infragilisce l’euro e completa la destabilizzazione delle nostre frontiere mediterranee dopo la disintegrazione della Jugoslavia (incentivata dalla coppia austro-tedesca) e della Libia (follia franco-britannica), per tacere del Levante in fiamme e delsolipsismo turco.

Certo, il cuore tedesco del Vecchio Continente tiene. Ma al prezzo della liquidazione dell’idea stessa di Europa. Perché questo è il verdetto della crisi greca, qualunque sia il suo esito. Ci siamo scoperti tutti avvinghiati al presunto interesse particolare. Con la massima potenza economica continentale incapace di dirimere la più acuta crisi mai vissuta dalla scoppiatissima famiglia comunitaria. E nemmeno tanto desiderosa di farlo, nell’illusione che la Grexit sia faccenda greca, destinata a risolversi da sola incentivando l’autoesclusione di Atene dall’Eurozona. Dopo di che la vita continuerà come prima, meglio di prima. Ma poi, fino a quando Berlino potrà considerarsi immune dalle crisi che ha contribuito a suscitare, non fosse che per neghittosità?

Molti in Germania ambiscono a trasformarsi in Grande Svizzera, con i ponti levatoi alzati. Fisicamente e mentalmente. Si sentono protetti dalle alte mura della propria invidiabile fortezza, che esporta deflazione e importa liquidità grazie alla potenza commerciale, surrogando gli stagnanti mercati europei con la Cina. Già la Svizzera non è più un’isola felice, figuriamoci se può diventarlo la Germania.

La galoppante deriva europea nasce da un equivoco. Caduto il Muro, francesi, italiani ed altri soci comunitari si convinsero che l’ora dell’Europa americana (e sovietica) fosse finita: toccava finalmente all’Europa europea. Per questo convincemmo i più che riluttanti tedeschi a scambiare il marco con l’euro e a diluire la Bundesbank nella Banca centrale europea, in cambio della nostra altrettanto insincera benedizione all’unificazione delle due Germanie.

Nel giro di pochi anni, la forza economica della Germania e la somma delle debolezze altrui finirono per germanizzare l’euro. Ma l’egemonia tedesca si è fermata alla politica economica e monetaria. Anche qui mostrando la corda delle sue fissazioni ordoliberiste. Nella tempesta scatenata 7 anni fa dalle dissennatezze della finanza privata americana, Berlino ha reagito infliggendo ai partner lezioni di ortodossia rigoristica dal forte retrosapore ideologico. L’austerità come bene in sé, sempre e dovunque. Come scrive Hans Kundnani, direttore delle ricerche all’European Council on Foreign Relations, nel suo The Paradox of German Power di prossima pubblicazione presso Mondadori, l’instabilità diffusa dalla Germania in Europa è figlia di «una nuova forma di nazionalismo tedesco, basato sulle esportazioni, sull’idea di ‘pace’ e sul rinnovato sentimento della ‘missione’ germanica».

Testimoniato dalle acrobazie geopolitiche di Angela Merkel, che l’hanno vista talvolta allinearsi con Pechino, Mosca, Brasilia e Pretoria, oltre che dal montante antiamericanismo nella società tedesca. Con ciò mettendo in discussione la stessa appartenenza della Bundesrepublik a ciò che resta dell’Occidente.

Qui emergono anche le nostre responsabilità. Dalla paura della strapotenza tedesca che obnubilava François Mitterrand, Margaret Thatcher e Giulio Andreotti, siamo scivolati verso una sterile corrività verso il presunto egemone. Sterile perché abbiamo pensato che ai tedeschi bastasse qualche scappellamento retorico per considerare le “cicale” mediterranee degne di appartenere all’Euronucleo – la moneta delle “formiche” evocata da Wolfgang Schaeuble nel 1994, cui l’attuale superministro delle Finanze non ha mai cessato di pensare.

Insieme, restiamo sufficientemente corrivi da rinunciare a ridisegnare l’unione monetaria in nome di un’idea politica di Europa, così condannandoci alla marginalità nel farraginoso processo decisionale comunitario. Francia compresa, perché fin troppo consapevole della sua vulnerabilità sui mercati finanziari, nel momento in cui osasse smarcarsi dall’ombra lunga della Germania.

Sui funesti errori che hanno portato la Grecia nel burrone dal quale difficilmente potrà riemergere nei prossimi anni, inutile diffonderci. Troppi,troppo evidenti, troppo ripetuti. Purché questo non diventi un alibi per accomodarci alla deriva greca (e cipriota) verso lidi mediorientali o russo-ortodossi. L’impresa sarà improbabile, ma vale la pena tentarla.

Aiutare Atene a non affogare, dismettere i panni del moralismo e della facile censura, per sporcarsi le mani con quel solidale pragmatismo che può almeno alleviare la vita quotidiana di un popolo alla disperazione.

La risalita dell’Europa passa per la salvezza della Grecia. Con il contributo di tutti, italiani in testa, in quanto prima grande nazione europea esposta alla risacca ellenica.

Non per peloso “umanitarismo”, come stizzosamente suggerito da qualche politico nordico. Per puro senso di responsabilità nazionale ed europea.

La Corte dei Conti: "Ora meno tasse l'emergenza è finita"

ROBERTO PETRINI
da: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/06/12/la-corte-dei-conti-ora-meno-tasse-lemergenza-e-finita31.html

ROMA . Messa alle spalle la recessione, evitate manovre restrittive nel corso del 2014 e sostanzialmente consolidato il rispetto del limite del 3 per cento, è ora di «riportare la discussione sui veri nodi strutturali della finanza pubblica italiana» e per farlo ci vuole un nuovo «patto sociale » volto a riscrivere il Welfare State e «riorganizzare i servizi ». 

Mentre il paese si trova ancora una volta in un clima di impasse, la Corte dei Conti si assume la responsabilità di lanciare un messaggio politico al governo e al Parlamento. Nel corposo e dettagliato «Rapporto sulla finanza pubblica 2015», illustrato ieri dal presidente Raffaele Squittieri in Senato, la magistratura contabile sollecita, finita l'emergenza, l'esigenza di riportare in prima linea l'iniziativa su conti pubblici, tasse e riforme strutturali.

Le manovre della crisi, dal 2009 al 2014, dice la Corte, sono state conseguite soprattutto sul lato delle entrate: l'aumento del gettito è stato di 55 miliardi, mentre la spesa attribuibile sostanzialmente a Welfare e prestazioni sociali è continuata ad aumentare totalizzando una crescita di 16 miliardi. L'effetto di riduzione c'è stato invece sul resto della spesa primaria corrente (dagli investimenti, ai beni e servizi e agli stipendi) che è precipitata di 21 miliardi.
Una situazione che deve essere corretta: per riprendere la crescita sarà necessario un «effettivo allentamento della pressione fiscale» processo che al momento sembra ostacolato dalle «incertezze» e dalle «difficoltà » che riguardano la piena attuazione della spending review e dal «permanere di un elevato grado di rigidità nella dinamica delle prestazioni sociali». 

Senza contare che per assicurare la sostenibilità futura dei conti pubblici è necessario prevedere per l'Italia un tasso di crescita pari all'1,5 per cento annuo di Pil e un ritorno della disoccupazione al 7 per cento. Obiettivi che , dice chiaramente la Corte dei Conti, necessitano di «interventi profondi», maggiore produttività e «ritorno della centralità » del tema delle riforme strutturali.

L'elenco di criticità sulle politiche economiche e di bilancio offerto dalla Corte dei Conti è ampio e comincia dal "fallimento" del processo di autonomia di spesa e tassazione da parte dei livelli locali di governo previsto fin dalla fine degli Anni Novanta dal processo del federalismo.

La pressione fiscale «periferica »è raddoppiata in vent'anni, spiega la Corte, passando dall'11,4 del 1995 al 21,9 del 2014. Tutto ciò per effetto di «scelte del governo centrale» senza che l'autonomia di spesa degli enti locali sia aumentata.

Siamo in ritardo con il taglio delle agevolazioni fiscali (la maggioranza dei 202 provvedimenti varati in materia tra il 2008 e il 2014) le hanno estese. Flop della lotta ll'evasione: nello stesso periodo si attendevano 145 miliardi invece ne sono arrivati solo 64 (il44%).
La pressione fiscale "periferica" raddoppiata in vent'anni ma senza benefici per gli enti locali.

Renzi vuoi stare sereno? allora dimettiti!

Ferruccio De Bortoli contro Matteo Renzi, terzo affondo: clone di Berlusconi, meschino, opportunista e anche grasso


da: http://www.huffingtonpost.it/2015/07/02/de-bortoli-contro-renzi-e-il-clone-di-berlusconi_n_7710994.html?utm_hp_ref=italy
Ferruccio De Bortoli contro Matteo Renzi, terza puntata. L'ex direttore del Corriere della Sera lancia un altro affondo contro il presidente del Consiglio dalle pagine della rivista Linus, che torna in edicola con una nuova veste e un nuovo direttore, Giovanni Robertini.
Prima c'era stato l'editoriale sul quotidiano di via Solferino in cui De Bortoli aveva criticato duramente Renzi, la sua gestione del potere, l'ego ipertrofico, il suo voler essere uomo solo al comando, un "maleducato di talento", con un attacco anche alle ombre che circondavano il Patto del Nazareno. Poi l'editoriale sul Corriere del Ticino con il commento alle elezioni regionali che avevano fatto "abbassare un po' le penne" al premier. Quindi il nuovo affondo dalle pagine di Linus contro il "clone di Berlusconi", riportato oggi sulle pagine del Fatto Quotidiano.
De Bortoli suona un'ennesima sveglia al premier. "Parla di sé in terza persona. È fantastico. Lui pensa che per governare basti raccontare una bella storia al Paese". Il renzismo, secondo il giornalista, è "un prodotto di sintesi del berlusconismo di sinistra. È la dimostrazione di come il Pd, che ha sempre combattuto Berlusconi, sia stato conquistato da un suo clone. Ultimamente però inizia a battere qualche colpo a vuoto, tanto da sembrare in uno stato quasi confusionale". Ma il "paradosso finale", prosegue De Bortoli, è che "siamo costretti a sperare che Renzi resista e impari a governare".
(E Stilinga non è per nulla d'accordo: Renzi dimettiti!)
Renzi diventa anche "meschino" quando si parla di Roma e di Mafia capitale, in quanto reo di non aver difeso Ignazio Marino, dopo aver scelto "un chirurgo genovese che non sa nulla di politica, una sorta di Forrest Gump". 
(E Stilinga si ripete dicendo che Marino è stato votato, eletto ed è diventato sindaco, Renzi non è stato votato, si è catapultato da solo e pretende di rappresentare gli italiani? Una bella tornata elettorale sana gli farebbe di un bene!)
Marino tuttavia "è stato il candidato di Renzi alle primarie. Va perciò difeso. Non è buona norma - scrive De Bortoli - scaricare i propri candidati nel momento in cui non ti servono più. Lo trovo meschino". Questo perché "se ti limiti a scaricare chi non ti conviene più non sei uno statista, sei un'opportunista".
Meschino, opportunista e anche grasso. "L'Italicum, un mostro - scrive De Bortoli - è stato disegnato come un abito su misura per un premier con la tendenza alla pinguedine".
Infine, parole dure contro il Pd - destinato "alla scissione, a meno che prima non imploda il renzismo" - e dolci contro il Movimento 5 Stelle - "pensavo fossero destinati a sparire e invece stanno conoscendo una seconda giovinezza. Con in più che si intravede una classe dirigente".

Piketty: “Europa in agonia sono i conservatori ad averla devastata”

L’economista francese: serve una conferenza per ristrutturare i debiti più insostenibili.

di Roberto Brunelli, da Repubblica, 29 giugno 2015

da: http://temi.repubblica.it/micromega-online/piketty-%E2%80%9Ceuropa-in-agonia-sono-i-conservatori-ad-averla-devastata%E2%80%9D/

L’Europa sta per essere distrutta. Ma non dai greci e dall’ostinazione di Tsipras e Varoufakis, ma dai “conservatori” del Vecchio Continente, in particolare quelli tedeschi. E’ un Thomas Piketty furente a dire la sua, in un’intervista alla Zeit che il settimanale tedesco pubblica non a caso con grandissimo rilievo. Perché è un j’accuse — quello dell’economista divenuto una star internazionale con il suo “Il capitale del XXI secolo” — che cade come un meteorite in fiamme sulla cronaca greca di questi giorni.

I conservatori stanno ad un passo dal devastare definitivamente l’idea europea, e lo fanno per colpa di uno spaventoso deficit di memoria storica. In particolare per quello che riguarda i debiti. Proprio la Germania di oggi dovrebbe capire il significato di quello che sta accadendo: dopo la guerra Gran Bretagna, Germania e Francia soffrirono di una situazione debitoria peggiore di quella della Grecia di oggi. La prima lezione che dovremmo trarne è che ci sono molti modi per saldare dei debiti: e non uno solo, come Berlino vorrebbe far intendere ai greci”.

Sul banco degli imputati, non è difficile immaginarlo, soprattutto Angela Merkel e Wolfgang Schaeuble. “Quando sento i tedeschi dire che sono mossi solo dall’etica e che sono fermamente convinti che i debiti debbano essere pagati, penso: ma questa è una barzelletta! La Germania è esattamente il paese che non ha mai onorato i suoi debiti, né dopo la prima né dopo la seconda guerra mondiale”. Niente a che vedere con “l’accezione comune di ordine e giustizia: perché se la Germania nel secondo dopoguerra realizzò il boom, fu proprio grazie del fatto che i suoi debiti furono abbattuti, cosa che oggi neghiamo con ferocia ai greci”.

Quello che propone Piketty è chiaro: una grande conferenza europea sul tema dei debiti. Qualcosa di paragonabile, come dimensione strategica, al Piano Marshall. Ma niente del genere è all’orizzonte, anzi. “La verità è che una ristrutturazione dei debiti è inevitabile in molti paesi europei, non soltanto in Grecia. E invece abbiamo appena perso inutilmente sei mesi di tempo a causa di trattative tutt’altro che trasparenti con Atene”. 

Non solo. A Schaeuble, che sostiene che una eventuale Grexit addirittura favorirebbe una rinnovata compattazione europea, Piketty risponde con uno scenario opposto: se non cambia passo, l’Unione europea affronterà una crisi di fiducia ancora più grave. “Sarà l’inizio di una lenta agonia, nella quale sacrificheremo all’altare di una politica debitoria irrazionale il modello sociale europeo, persino in termini di democrazia e civilizzazione”. L’ultimo pensiero, e non poteva essere altrimenti, è per la cancelliera tedesca Angela Merkel: “Se vuole assicurarsi un posto nella storia, come Kohl con la riunificazione tedesca, deve avere il coraggio di un nuovo inizio. Chi invece oggi insiste nel voler cacciare la Grecia dall’eurozona finirà nella pattumiera della storia”.

(29 giugno 2015)