Allarme Confcommercio: "In Italia la pressione fiscale record, 53,2% del Pil". Le tasse uccidono la crescita.


 - L'Italia detiene il record della pressione fiscale effettiva. Secondo i calcoli dell'Ufficio studi di Confcommercio la pressione è pari al 53,2% del Pil, al netto dell'economia sommersa che è intorno al 17,3% del Pil. Si tratta di una percentuale che supera quella di tutti i maggiori paesi nel mondo. La pressione fiscale apparente è pari al 44,1% del Pil.

'LE TASSE UCCIDONO LA CRESCITA' -  È l'allarme lanciato da Confcommercio che ha condotto uno studio da cui emerge che a fronte di un auemento della pressione fiscale in Italia del 5% dal 2000 al 2013, il Pil procapite è sceso del 7%.
In Germania nello stesso periodo la pressione fiscale è diminuita del 6% mentre il Pil reale procapite è aumentato del 15%.
In Svezia, paese fuori dall'Ue ad esempio, la pressione fiscale nello stesso periodo è scesa del 14% e il Pil reale procapite è aumentato del 21%. "Per favore - ha detto il presidente Carlo Sangalli - abbandoniamo l'idea di nuove tasse e di ulteriori eventuali prelievi: le tasse sono oggi la mortificazione della crescita. Le performance del 2014 sono compromesse, non distruggiamo le basi per la ripresa del 2015". "L'Italia - ha evidenziato Sangalli - è ferma".

Dal 2008 al 2013 l'Italia ha perso in termini di Pil reale procapite l'11,6%. Peggio ha fatto solo la Grecia con un -23,2%.
La Germania ad esmpio nello stesso periodo ha visto crescere il Pil reale procapite di 4,4 punti percentuali. La Francia ha perso 2,3 punti.

GIU' LE STIME DI CRESCITA - Anche Confcommercio - dopo Confindustria e FMI - rivede le stime sul Pil del 2014 portando la crescita del Prodotto interno lordo a +0,3% rispetto al +0,5% di due mesi fa. Per i consumi la crescita stimata è dello 0,2% in aumento di un decimo di punto rispetto alla precedente previsione. Nella seconda parte dell'anno viene stimata una ripresa dei consumi per effetto del bonus Irpef con gli 80 euro.
Per il 2015 Confcommercio stima una crescita del Pil allo 0,9% con i consumi in ripresa dello 0,7%. Per qaunto riguarda gli investimenti, il Centro studi di Confcommercio stima una flessione dello 0,9% del Pil in ulteriore ribasso rispetto al -0,3% precedente con una ripresa dell'1,9% nel 2015.

MERCATO ITALIA. CONSUMI DELLE FAMIGLIE: ANCORA NESSUN SEGNO DI RIPRESA IN AVVIO 2014...

da: http://www.assocalzaturifici.it/anci/main.nsf/all/19294071979E507AC1257B8100442716?opendocument
MERCATO ITALIA


CONSUMI DELLE FAMIGLIE: ANCORA NESSUN SEGNO DI RIPRESA IN AVVIO 2014...

Ulteriore arretramento per gli acquisti di calzature in Italia, scesi nei primi 4 mesi 2014 – secondo i dati elaborati per Assocalzaturifici dal Fashion Consumer Panel di Sita Ricerca – del 2,8% in quantità e del 5,4% in spesa, con prezzi medi in ribasso del 2,6%.


Unico (debole) recupero per gli acquisti di “sportive e sneakers”: +1,2% in quantità, a fronte però di un calo dell’1,8% in valore. Forti diminuzioni per il segmento “bambini/ragazzi” (-8,2% in volume e -13,2% in spesa) e per le scarpe per donna (-5,7% e -7,2%).
Approfondisci

... DOPO LA GELATA DEL 2013
Il 2013 è stato, per il mercato domestico, un anno di grande sofferenza: frenata dalla ristrettezza del reddito disponibile e dal clima di incertezza che ha fortemente condizionato gli acquisti rimandabili, la spesa delle famiglie per le calzature ha subìto una marcata contrazione (-5,8% sul 2012), scendendo a 6,9 miliardi di euro.
Analogo l’arretramento in termini di volume, dove si è accentuata l’erosione già in atto da un quinquennio.
Fonte: elaborazioni Assocalzaturifici su dati Sita Ricerca *


I 185,2 milioni di paia acquistati nel 2000 si sono ridotti, nel 2013, a 162,6 milioni, con un calo di ben il 12,2% rispetto ad allora. Depurando dall’inflazione intervenuta nel decennio, la flessione in valore tra 2000 e 2013 risulta superiore al 20%.


CONTINUA A SOFFRIRE IL DETTAGLIO TRADIZIONALE
L’analisi condotta da Assocalzaturifici sui dati Sita Ricerca mostra la forte difficoltà del dettaglio indipendente multimarca – sia negozi specializzati in calzature che negozi di abbigliamento trattanti calzature – che hanno evidenziato flessioni attorno al 15% in quantità e addirittura tra il 15% e il 20% a valore rispetto al 2012.
Confermano il trend di crescita gli acquisti online, con incrementi tendenziali attorno al 55%, che però rappresentano ancora solo il 3,6% sul totale spesa (erano il 2,2% nel 2012).
Fonte: SITA Ricerca, elaborazioni Assocalzaturifici


Nonostante il trend penalizzante, i negozi specializzati sono risultati nel 2013, assieme alle catene di negozi, il principale canale di vendita nazionale (con oltre 2 miliardi di euro, pari al 29% del totale spesa).




AUMENTA IL PESO DELLE SVENDITE SUL TOTALE
Già a consuntivo 2012 sconti/svendite/saldi avevano superato la metà delle vendite complessive, in seguito al notevole aumento delle promozioni durante tutto il corso dell’anno e non solo nel canonico periodo dei saldi; nel 2013 hanno rappresentato il 56,9% delle vendite totali annue in volume e il 52,5% in valore.
COLPITE TUTTE LE FASCE DI PREZZO
Se il 2012 aveva registrato, nonostante il trend asfittico generale degli acquisti, un incremento nelle fasce top oltre i 200 euro, lo stesso non può dirsi del 2013: le fasce prezzo superiori ai 200 euro al paio sono anzi risultate, percentualmente, le più colpite. E’ cresciuta, invece, la fascia prezzo medio-alta subito inferiore (quella da 150 a 200 euro/paio).
Ma, nonostante questo isolato segno positivo, l’andamento rimane sfavorevole con riferimento a tutte le quattro macro-classi prezzo analizzate.

Fonte: elaborazioni Assocalzaturifici su dati Sita Ricerca
L'ITALIA: UN MERCATO TUTT'ALTRO CHE TRASCURABILE
Sebbene la produzione Made in Italy resti fortemente orientata verso i mercati esteri (nel 2013 è stato esportato l’85% di quanto realizzato) il mercato nazionale rappresenta per le aziende italiane – con circa 30 milioni di paia ad esso destinate nel 2013 – il 3° mercato di sbocco più importante in volume, dopo Francia e Germania.
Fonte: SITA Ricerca, elaborazioni Assocalzaturifici
* Nota: in seguito alla riparametrazione dei tassi di copertura sui consumi è stata creata da Sita Ricerca una nuova serie di dati a partire dall’anno 2000.

il tumore non è uguale per tutti.

da: http://www.actainrete.it/2013/12/acta-con-daniela-il-tumore-non-e-uguale-per-tutti/

ACTA con Daniela: il tumore non è uguale per tutti.

| 13 DICEMBRE 2013 | LETTO: 4.099 VOLTE | 13 COMMENTI | AUTORE:  | SHORT URL |
nastro rosaACTA ha deciso di condividere la battaglia di Daniela Fregosi, freelance ammalata di tumore al seno, ancora senza indennità di malattia ma obbligata a versare gli anticipi INPS!
Stiamo raccogliendo informazioni, materiali e testimonianze per capire come intervenire per aiutarla in questa lotta, che poi è la lotta di tutti noi.
Se hai informazioni o esperienze da raccontare segnalacele!
Stiamo organizzando una campagna per rivendicare il diritto dei freelance gravemente malati a vedere riconosciute le tutele di cui dovrebbero godere. Chiederemo la deroga degli anticipi INPS in caso di malattia grave, una revisione delle sanzioni per il ritardato pagamento e tempi certi per l’erogazione delle indennità di malattia. Vorremmo anche maggiore attenzione da parte dell’INPS nella corretta informazione ai lavoratori autonomi malati, per consentire loro di accedere più facilmente alle prestazioni di cui hanno diritto.
A Daniela abbiamo chiesto di raccontare qui la sua storia.
Ammalarsi seriamente è un’esperienza spiacevole per chiunque, ma quando succede a un lavoratore autonomo inizia un doppio calvario. Se poi sei donna e il malaccio è un tumore al seno, hai proprio fatto bingo.
Fin dal momento della diagnosi, intuendo le difficoltà che mi aspettavano, ho cominciato a mettere in atto una serie di strategie di adattamento alla mia nuova condizione. In questo un lavoratore autonomo è un grande esperto perché la flessibilità è il suo pane quotidiano. Ma per quanto tu riesca ad accogliere e gestire il cambiamento, un tumore rimane un tumore e non è un’influenza che, massimo 10 giorni, te la levi di torno. Ho iniziato a informarmi su quali potessero essere gli “ammortizzatori sociali” a cui avevo diritto. Nessuno sapeva nulla. Nonostante dicessi che non ero al pari di una lavoratrice dipendente, che può tranquillamente continuare a contare sul suo stipendio (io sin dal primo mese sono stata costretta a fermarmi), nessun consiglio mi arrivava dai medici e dal commercialista. Un far west terrificante nei patronati, code interminabili di utenti in cerca di informazioni, il call center dell’Inps a cui ho dovuto spiegare io l’ultima circolare del maggio 2013 riguardante i lavoratori autonomi a gestione separata (!). Insomma, meno male che il tumore mi è arrivato alla tetta e non al cervello e che sono molto brava nella navigazione internet, altrimenti ero fritta.

C’è poi da difendersi dalla classica domanda: “Ma come, non hai un’assicurazione privata?” Una cosa così la chiedono solo ai liberi professionisti, tutti convinti che, siccome ce la spassiamo alla grande a non aver padroni, a evadere di brutto e ad arricchirci alla faccia degli altri, il minimo è che cacciamo i soldi per le assicurazioni private e non rompiamo troppo le scatole all’Inps, anche se abbiamo un tumore.
Ho letto innumerevoli guide e libretti informativi per pazienti oncologici, dove venivano descritti i diritti dei lavoratori, dipendenti però. Di noi neppure un cenno. Come se in Italia non ci fosse il popolo delle P.Iva. Come se nessun lavoratore autonomo statisticamente si ammalasse mai seriamente o avesse diritto di ammalarsi come gli altri.
Eppure la malattia per gli autonomi è un problema diffuso, ma se ne parla poco perchè gli interessati sono i primi a nascondersi, temendo ripercussioni lavorative. Già si sono ammalati e hanno pochi diritti; cercano almeno di non bruciarsi un mercato (pure in crisi) fatto di clienti poco propensi ad assoldare professionisti meno efficienti e performanti.
Ma un paziente oncologico non è un paziente oncologico e basta? Evidentemente no.
Noi siamo malati di cancro di serie B e per noi gli art. 32 e 38 della Costituzione, che riguardano rispettivamente il diritto alla salute e il diritto agli aiuti in caso di impossibilità di lavorare, sono opzionali. Perché?
Un lavoratore autonomo con gestione separata ha diritto a un massimo di 61 giorni di malattia in un intero anno solare. E se fai un bel ciclo di chemio per 6 mesi? Beh, puoi sperare di star talmente male da avere diritto all’assegno ordinario di invalidità (una misura temporanea con cifre da fame) oppure puntare sull’invalidità civile. Occhio però che anche lì per ottenere il diritto a un aiuto economico devi stare proprio male e in ogni caso vanno a vedere il tuo reddito nell’anno precedente, quando eri sano, e ti aiutano solo se già da prima avevi un reddito da fame. Uno non sa se augurarsi le metastasi o la miseria. In quel caso incappi comunque in altri sbarramenti, quelli del numero minimo di mesi contributivi versati.
Ho reso l’idea del gran casino che si trova davanti una donna che ha appena scoperto di avere un tumore al seno?
I pochi spiccioli a cui avrei poi diritto me li devo conquistare, tra funzionari che non sono informati, portale INPS che è inadeguato, tempi lunghi di attesa.
E nel frattempo arrivano le scadenze, tra cui il pagamento degli anticipi. Ma come, mi si chiede di pagare INPS e IRPEF in anticipo mentre non ho ancora ricevuto le scarsissime indennità che mi spettano?
Il commercialista mi avvisa che devo provvedere, soprattutto devo versare gli anticipi INPS, perché in caso di ritardo le sanzioni sono pesanti, e, a differenza dell’IRPEF, non è previsto il “ravvedimento operoso”. L’INPS non ammette ritardi, neppure in caso di decesso!
Mentre sei lì tra interventi chirurgici (io ne ho fatto già 2 e si spera di fermarsi lì, perché con un tumore di certezze non ce ne stanno), visite, esami, terapie e riabilitazione, questo è il modo con cui Stato e Inps ti ripagano di anni di tasse versate e contributi. Sapete tutto questo come mi fa sentire? Un bancomat. Un bancomat con un tumore al seno. Non è il massimo.
Chissà, forse dobbiamo espiare qualche colpa. Un’amica libera professionista ha la sua teoria in merito.“In una società conformista, giudicante, che annienta le diversità, il motivo per dare contro a chi pensa, vive e lavora in modo autonomo è che questi soggetti sono di fatto un pericolo per il sistema”. Forse non ha tutti i torti. Io sono più cinica (con un tumore me lo posso permettere) e credo che il motivo sia che dietro ai lavoratori autonomi a gestione separata semplicemente manca un potere forte, un sindacato, un ordine professionale, per cui diventano facilmente oggetto di comportamenti predatori, perché per definizione sono soggetti deboli sul mercato.
Per tutti questi motivi, oltre a denunciare la condizione dei lavoratori autonomi che si ammalano seriamente, ho deciso di fare un gesto concreto. Ho iniziato la mia disobbedienza civile rifiutandomi di pagare l’acconto delle tasse per il 2013.
Caro Thoreau, padre della lotta allo Stato e al potere, oltreché emblema della disobbedienza civile e della resistenza fiscale, aiutami tu. Sostienimi e incoraggiami con le tue parole sagge e non farmi sentire sola: “Tutti gli esseri umani riconoscono il diritto alla rivoluzione; vale a dire, il diritto di rifiutare obbedienza e di resistere al governo quando la sua tirannia o la sua inefficienza sono grandi e intollerabili. Ma quasi tutti dicono che attualmente non ci troviamo in questa situazione……”.
Se sarò sola in questa lotta è perchè il nostro Paese ha ormai perso la capacità di indignarsi, ci hanno lentamente abituato a essere calpestati e, pur lamentandoci moltissimo, non sentiamo più un vero dolore.
Io però sono in una condizione diversa. Come sosteneva Tiziano Terzani prima di morire, un tumore ti concede una sorta di free pass, una carta premio con la quale puoi permetterti di dire e fare cose altrimenti impensabili.
Perchè un tumore o ti schiaccia o ti dà il coraggio di batterti per te stessa e per un mondo più giusto per tutti.
Daniela

“Sento l’eco della riforma piduista di Gelli” (Silvia Truzzi).

Il giurista Paolo Maddalena.
Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Consulta, non è l’unico giurista ad avere più di una perplessità sulla riforma costituzionale. E vuol precisare subito una circostanza dirimente: “La riforma costituzionale va letta in un quadro più ampio, cioè quello della politica internazionale. Qualora andasse in porto, costituirebbe un’ulteriore facilitazione per i poteri finanziari, perché si toglierebbe rappresentatività al popolo. Ho l’impressione che il potere finanziario orienti la politica italiana, che va a scatafascio. Ogni giorno aumenta il debito pubblico, ogni giorno cresce la disoccupazione. Le istituzioni europee e internazionali – mi riferisco alla Bce, al Fondo monetario internazionale – mi pare siano state occupate dalle banche e dagli speculatori.
E dunque le politiche di cui siamo destinatari, fanno gli interessi delle banche e non dei cittadini italiani. Nel Paese va avanti una politica recessiva: le responsabilità sono dei governi che hanno sottoscritto e dato esecuzione al fiscal compact. 
Siamo divenuti schiavi della speculazione finanziaria.
In tutto questo, ci stiamo gingillando su modifiche costituzionali che a mio avviso sarebbe molto meglio lasciar perdere”.   
Il premier continua a ripetere che intende andare fino in fondo…   Il nuovo esecutivo mi pare abbia ansia di dimostrare all’opinione pubblica di essere “il governo del fare”.
 Il guaio è che fanno delle cose, ma trascurandone il contenuto: non è per nulla detto che il nuovo sia meglio del vecchio. Soprattutto quando si tocca la legge fondamentale della Repubblica. È un documento che molti c’invidiano e che moltissimi ci hanno copiato. È pericoloso toccare l’ordine costituzionale in questo momento. La riforma, che si lega inscindibilmente alla legge elettorale, non mi convince affatto: una minoranza di maggioranza potrà incidere anche sugli organismi di garanzia.   
Perché?   
La Costituzione italiana si fonda sull’equilibrio dei poteri, che viene infranto da questa pseudo-riforma costituzionale. Vorrei fare una semplice constatazione, che parte dal 37 per cento del premio di maggioranza previsto dagli accordi del Nazareno, che potrebbe essere portato al 40, ma poco conta. Considerando che votano in media metà degli italiani, la percentuale scende al 18,5. Cioè il 18,5, se va bene il 20 per cento degli italiani decide tutto. 
Ma la democrazia dove va a finire? 
Dove va a finire il bilanciamento dei poteri? 
La cosa mi pare grave: sento l’eco del piduismo, della riforma di Gelli. 
Noi diamo un potere enorme al capo del governo che poi potrà fare tutto ciò che vuole. E sarà l’esecutore delle prescrizioni delle banche internazionali, che governano la politica monetaria. Non dimentichiamo poi che il premio di maggioranza consente al governo di incidere sulla composizione della Corte costituzionale e sul Colle.   
Cosa pensa del Senato dei cento?  
 Ritengo che il Senato debba essere elettivo, per un principio di democraticità. Sono d’accordo con la riduzione del numero dei senatori, ma non sulla modalità di scelta: penso che si debba lasciare al popolo la possibilità di eleggere i propri rappresentanti. Sarebbe auspicabile che la scelta avvenisse tra persone che abbiano dato prova di alta cultura istituzionale, che abbiano agito nell’interesse esclusivo della nazione, che non abbiano conflitti d’interesse né mai abbiano avuto a che fare con la giustizia. Per quanto riguarda le competenze, sarebbe opportuno limitarle a questioni di grande rilevanza e di spessore costituzionale. In tal modo si abbrevierebbero i tempi per l’approvazione delle leggi.  
 Proprio questo Parlamento, delegittimato dalla sentenza della Consulta, doveva fare le riforme?   No, certo: è un parlamento di nominati. Ci vorrebbe una Costituente . Io ho 78 anni, ho memoria della prima Assemblea, ma quella Costituente non era composta da persone a caso, magari di bell’aspetto ma non si sa quanto di cultura. Allora avevamo grandi uomini, di altissimo profilo scientifico, etico, culturale. 
Ora io nell’agone politico non vedo persone in grado di fare una riforma costituzionale: sarebbe davvero meglio che lasciassero la Carta così com’è.  
 C’è stato un grande dibattito   sull’immunità.   I rappresentanti del popolo non hanno bisogno dell’immunità: anzi penso che l’unico punto in cui la Carta dovrebbe essere modificata, visti i tempi, è quello che mantiene l’immunità. Dovrebbe valere per tutti quanto afferma la Costituzione all’articolo 54: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”.
Da Il Fatto Quotidiano del 25/07/2014.

Olio 'taroccato' e dalla Spagna spacciato per biologico Made in Italy: 16 arresti in Puglia, chiuse le aziende

da: http://bari.repubblica.it/cronaca/2014/07/24/news/olio_taroccato_16_arresti_in_puglia_e_15_aziende_chiuse-92261886/?ref=HREC1-9

Smantellato un traffico illecito da 30 miloni di euro, sequestrate 400 tonnellate di prodotto contaminato anche da oli esausti della ristorazione. Il ministro Martina: "Controlli efficaci, per proteggere il valore della nostra filiera" 

ANDRIA - Altro che 'olio 100% italiano biologico': un'indagine della Guardia di Finanza di Adria ha portato oggi allo smantellamento di tre associazioni per delinquere che gestivano un giro d'affari illecito stimato in 30 milioni di euro. Sono state arrestate 16 imprenditori pugliesi, ma nell'inchiesta ci sono anche altri indagati. La magistratura di Trani ha ordinato anche il sequestro preventivo di 16 imprese coinvolte.

Coldiretti: "Ecco spiegato l'aumento delle esportazioni"

L'olio veniva etichettato come '100% italiano biologico' quando la provenienza era in realtà comunitaria e sfruttava sul mercato il valore aggiunto delle menzioni riservate ai prodotti 'Made in Italy' e biologico. L'indagine ha permesso anche di apporre i sigilli a circa 400 tonnellate di olio dalle qualità organolettiche scadenti o contaminate. L'olio sequestrato era miscelato con grassi di diversa natura, contenenti fondami ed impurezze imputabili al circuito della raccolta degli oli esausti della ristorazione, nonché di provenienza furtiva, oppure scortati da documenti di accompagnamento indicanti natura e qualità diversi da quelli reali.

Le tre associazione per delinquere smantellate erano - secondo la procura - capeggiate due dall'imprenditore andriese Nicola Di Palma (dell'azienda olearia San Vincenzo), la terza da Antonio Cassetta (gestore di fatto della Sago srl di Andria).
Entrambi sono stati arrestati. 
Di Palma avrebbe capeggiato due gruppi criminali: il primo aveva rapporti con aziende calabresi di Cassano allo Ionio (Cosenza) e di Petitia Policastro (Crotone), l'altro con aziende di Copertino (Lecce); Cassetta invece gestiva un'altro gruppo criminale: nella sua azienda di Andria, la Sago, è stata riscontrata la presenza di oli di oliva lampanti adulterati con oli di semi e/o grassi estranei all'olio d'oliva.

L'inchiesta ha accertato che le tre presunte organizzazioni criminali pugliesi - due delle quali facevano capo ad uno stesso imprenditore andriese - si sono avvalse della complicità di imprese che commercializzano olio di oliva in Puglia e in diverse città della Calabria. A queste imprese era affidato il compito - secondo il procuratore di Trani, Carlo Maria Capristo, e il pm inquirente Antonio Savasta - di fornire false fatture attestanti fittizi approvvigionamenti di olio extravergine di oliva prodotto in Italia necessari 'cartolarmente' a legittimare ingenti acquisti di olio proveniente, in realtà, dalla Spagna. 

All'indagine della Gdf hanno partecipato uomini dell'ispettorato repressione frodi di Roma e Bari del ministero delle politiche agricole e dell'Agenzia delle Dogane. Grande la soddisfazione del ministro Maurizio Martina. "Voglio ringraziare – ha detto 
– tutto l'Ispettorato anti frode per il grande lavoro fatto a protezione di un prodotto simbolo del Made in Italy come l'olio d'oliva. L'operazione di oggi dimostra l'efficacia del sistema dei controlli e il concreto rafforzamento del coordinamento che abbiamo voluto con decisione. Azioni di contrasto come quella di oggi si inseriscono in un piano di azione contro l'illegalità, a tutela della sicurezza degli alimenti, della fiducia del consumatore e dei tantissimi produttori che con fatica e passione portano avanti il proprio lavoro rispettando le regole. Proprio sul settore dell'olio
 – ha concluso Martina – stiamo portando avanti un lavoro importante di controlli e di analisi, tanto nella fase d'ingresso dall'estero quanto negli stabilimenti di lavorazione in Italia, per proteggere una filiera che vale quasi un miliardo e mezzo di euro solo di export"


 I delinquenti se credono sempre i più furbi! e  perseverano nella strada sbagliata... che li porta direttamente in galera!

Piromane filmato nei boschi dalle telecamere mimetizzate della Forestale


da: http://bari.repubblica.it/cronaca/2014/07/24/news/piromane-92279112/


Le immagini non lasciano spazio all’immaginazione. La rete di microcamere - una decina in tutto - piazzate dagli uomini del Comando Forestale dello Stato di San Nicandro Garganico Bis nella pineta di Serracapriola, infatti, hanno immortalato il responsabile di almeno due incendi appiccati, volontariamente e ripetutamente, nel sottobosco di un’area boscata in località “Longara” nel comune di Serracapriola - luogo ricadente in parte nel Parco Nazionale del Gargano e sito d’interesse comunitario - dove da alcune settimane si registravano incendi e roghi di varia entità. A rispondere del reato di incendio boschivo doloso sarà un 36enne di San Severo, Daniele Gianluca Mennella, pregiudicato, colto sul fatto mentre con un accendino innescava il fuoco direttamente dalla sua autovettura. Almeno due i casi a lui riconducibili: un incendio risale al 14 giugno, l’altro al 19 luglio sempre nella stessa zona, ovvero sul ciglio di una strada interna alla pineta che porta ad alcuni stabilimenti balneari e quotidianamente frequentata da turisti. Nel primo caso, infatti, il rogo è stato interrotto quasi sul nascere da alcuni bagnanti che si sono adoperati per spegnere le fiamme con acqua, frasche o altri mezzi di fortuna. Il secondo incendio, invece, ha avuto conseguenze più gravi: le fiamme avevano raggiunto in breve tempo i due metri di altezza, trasformando pini d’Aleppo in enormi torce ed è stato quindi necessario l’intervento dei vigili del fuoco del comando provinciale di Foggia.

A rispondere del reato di incendio boschivo doloso sarà un 36enne di San Severo, Daniele Gianluca Mennella, pregiudicato, colto sul fatto mentre con un accendino innescava il fuoco direttamente dalla sua autovettura. Almeno due i casi a lui riconducibili: un incendio risale al 14 giugno, l’altro al 19 luglio sempre nella stessa zona, ovvero sul ciglio di una strada interna alla pineta che porta ad alcuni stabilimenti balneari e quotidianamente frequentata da turisti. Nel primo caso, infatti, il rogo è stato interrotto quasi sul nascere da alcuni bagnanti che si sono adoperati per spegnere le fiamme con acqua, frasche o altri mezzi di fortuna. Il secondo incendio, invece, ha avuto conseguenze più gravi: le fiamme avevano raggiunto in breve tempo i due metri di altezza, trasformando pini d’Aleppo in enormi torce ed è stato quindi necessario l’intervento dei vigili del fuoco del comando provinciale di Foggia.




Ecco l'iper idiota cosmico che distrugge la nostra terra (pure sua! sic!).

Che bei personaggini!

Fede: “Ruby? Silvio scopava, scopava”. Su Dell’Utri: “Solo lui sa sulla mafia”


da: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/23/fede-ruby-silvio-scopava-scopava-su-dellutri-solo-lui-sa-sulla-mafia/1069456/

Ma nelle registrazioni agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia l'ex direttore del Tg4 racconta al suo personal trainer che "l'unico che sa tutto è Marcello Dell'Utri". Per questo, continua il giornalista, "Berlusconi è stato costretto a farlo senatore... ha settanta conti all'estero". Fede parla anche di Briatore: "E' stato coinvolto in una storia di mafia"

Fede: “Ruby? Silvio scopava, scopava”. Su Dell’Utri: “Solo lui sa sulla mafia”
Sole caldo e primi accenni di primavera nel parco attorno a Milano due. Emilio Fede e Gaetano Ferri. Il giornalista e il personal trainer. Parlano a ruota libera. Di Berlusconi, Dell’Utri e Cosa nostra. Di quei soldi che, ragiona Fede, da Palermo sarebbero saliti a Milano per dare benzina aiprogetti imprenditoriali dell’ex Cavaliere. Dice Fede: “Sai… la spada di Damocle su di lui…”. Ferri: “È Dell’Utri… è la mafia?”. Fede: “Sì”.Quindi i due passano a parlare della futura condanna di Dell’Utri. “Certo – ragiona Fede – questa volta però, ciò non toglie che non hanno nessuno che confessa” e “viaggiano sul filo del rasoio”. Poi la rivelazione buttata lì quasi per caso. “È l’unico che sa” dice Fede riferendosi a Dell’Utri. “Quindi voglio dire oggi tu mi togli una spina dal fianco importante”. E i soldi? “Non si sa dove li abbia messi quei soldi”. Insomma Dell’Utri sa e non parla. Ma il silenzio costa, quanto? Quanto denaro l’ex Cavaliere deve all’ex senatore? “Continuamente, ma scherzi sotto forma di questo di quell’altro vedi che ci sono settanta conti esteri”. E quella carica da senatore? “Berlusconi è stato costretto a farlo senatore”. Mafia, mafia, mafia. Berlusconi, ma non solo.Dopodiché inizia a raccontare: “I due (Berlusconi e Dell’Utri, ndr) a un certo puntohanno iniziato a mettersi insieme per l’edilizia e le cose…”. Spiega: “Dopodiché è nata quella che poi è diventata un’azienda (…) Berlusconinon c’aveva una lira” e così “Dell’Utri lo ha appoggiato”. Il ragionamento dell’ex senatore condannato in via definitiva per concorso esterno, è questo. “Guarda Silvio se bisogna prendere dei soldi… perché no”. Quindi ancora l’ex direttore del Tg4: “Credo che direttamente mai, l’incontro Dell’Utri c’è tutto capisci il rapporto mafia, mafia, mafia, soldi, mafia, soldi”. Insomma il discorso va chiarendosi. Ecco poi il carico da novanta. È sempre Fede che parla: “Dell’Utri era praticamente quello che investiva, allora cosa succede? Qui c’è stato uninvestimento di soldi mafiosi. Ora riescono ad arrivare a delle prove? È lì il problema. Chi può parlare? Solo Dell’Utri. Quando Dell’Utri tornava avevano il segnale criptato, perché” all’epoca “Mangano è in carcere. Mi ricordo che Berlusconi arrivando Dell’Utri da Palermo chiede hai fatto? Sì, sì gli ho dato un messaggio… naturalmente per quanto riguarda a Mangano sempre pronto per prendere un caffè che era il messaggio per rassicurare lui per certe cose che io non so… capito. E devo dire che questo Mangano veramente è stato un eroe è morto in carcere per non parlare se no li rovinava tutti e due”.
Anche Flavio Briatore, l’amico di sempre. “Ma Briatore è stato implicato in una storia grossa di mafia, l’autobomba lì che ha ucciso un industriale a Cuneo… e loro due erano insieme, la Santanchè e Briatore”. Di lei però Fede non ha una buona opinione: “È una mascalzona. Io sapevo che loro avevano il Billionaire insieme, sì, il Billionaire, il Twiga eccetera… ma all’origine, Flavio è stato implicato in una storia di mafia”. Dell’Utri e mafia, ma anche Dell’Utri e politica. Al centro la figura di Gianpiero Samorì “che voleva passare con Berlusconi io gli avevo dato una mano, poi è intervenuto Dell’Utri e gli faccio: rivolgiti a Dell’Utri, ma stai attento perché Dell’Utri è un magna magna. Mi ha detto Samorì: cazzo se non avevi ragione gli ho chiesto mettimi in lista e sai cosa mi ha chiesto, 10 milioni di euro”. L’audio è disturbato. Si sente il rumore dei passi sulla ghiaia.
Ferri e Fede discutono del Rubygate. “Tutti puntano su Berlusconi”, esordisce il personal trainer. Inizia Emilio Fede. “Non so – sbuffa – avrà scambiato una 17enne per una maggiorenne, a Ruby poi mancavano tre mesi a diventare maggiorenne”. Teoria nota diventata arma della difesa nel processo d’Appello che ha assolto l’ex Cavaliere dall’accusa di concussione e prostituzione minorile. Fede, poi, aggiunge: “Ma lui scopava, scopava, io glielo avevo detto non esagerare lascia perdere, altrimenti non te le togli più di torno”. Confessa: “Io guarda sono stato un amico vero e ho tentato di proteggerlo in tutte le maniere, mica come Lele Mora, ma guarda Lele un mascalzone”.
Cambio di scena. E dal parco di Segrate la storia si accomoda ai tavolini del ristorante Boccino, ristorante stile vecchia Milano in via Tortona proprio nel cuore della moda. Siamo nell’estate del 2013 e tra una portata e l’altra, Ferri e Fede commentano la richiesta di sette anni fatta dal pmAntonio Sangermano per Fede. Si parla della Minetti: “Consigliere regionale – sospira – ma questa ballava, raccontava, gestiva lei e adesso dice che era defilata, ma io non ci capisco più niente”. Quindi si torna a parlare di Ruby e di come la giovane marocchina sia arrivata a Milano. “Dalla Sicilia è venuta a Milano per cercare successo”. Breve digressione sulla denuncia di Katia Pasquino quando, in corso Buenos Aires, intercetta la ragazza. “Quella – dice Fede – poi l’ha presentata a un agente, credo Soprani, sì sì l’ho registrato me lo ha raccontato lui”. Fine registrazione.
Da Il Fatto Quotidiano del 23 luglio 2014

L'Italia non è un paese per fare turismo!

TURISMO IN ITALIA: ANDIAMO SEMPRE PIU' GIU' NONOSTANTE TUTTO 

Uno su cinque veniva da noi, dei turisti internazionali, nel 1950: adesso uno su ventitrè. È cambiato il pianeta, d’accordo, ma una frana così non l’ha subita nessuno. Andiamo giù nonostante il boom mondiale. Andiamo giù nonostante il turismo sia «l’industria del futuro». Nonostante l’Italia, coi suoi tesori e la sua cucina e i suoi paesaggi, resti in cima ai sogni di tutti. E non serve a nulla, se si usano male, avere il record di siti Unesco: lo dicono i tracolli di visitatori alla Reggia di Caserta o a Villa Adriana. Sarebbe ora che il turismo diventasse sul serio, per la politica, uno dei temi per uscire da questi anni bui. Serve un’occasione per parlarne? 
Eccola: l’uscita dei dati per il 2013 del ministero dei Beni Culturali e di un rapporto scomodo dell’associazione «italiadecide» presieduta da Luciano Violante che sarà presentato lunedì a Montecitorio, davanti a Giorgio Napolitano. Titolo ambizioso: «Turismo: dopo trent’anni, tornare primi».
Ed eravamo davvero i primi, una volta. La tabella che pubblichiamo, costruita dal Touring club italiano su dati dell’Unwto, l’organizzazione mondiale per il turismo, dice che la nostra quota planetaria in quella che Jeremy Rifkin ha definito «l’espressione più potente e visibile della nuova economia dell’esperienza» destinata a diventare «rapidamente una delle più importanti industrie del mondo», era nel Dopoguerra davanti a tutti. Su poco più di 25 milioni di viaggiatori internazionali, poco meno di cinque venivano allora in vacanza da noi. 

Da allora, la nostra quota si è ridotta di decennio in decennio dal 19% del 1950 al 15,9% del 1960 e poi al 7,7% del 1970 (quando eravamo comunque i primi davanti al Canada, alla Francia, alla Spagna e agli Stati Uniti) e giù giù, dopo una breve risalita nel 1980, fino al 6,1% del 1990 (rimasto tale fino al 2000) per poi calare ancora al 4,6% del 2010 e infine al 4,4% di oggi. Certo, si sono aperti nuovi mercati, si sono spalancati nuovi Paesi, si sono arricchiti e messi in movimento nuovi popoli di viaggiatori. E c’è poco da piangere sul destino cinico e baro. Era un destino ineluttabile. Del quale hanno fatto le spese anche la Francia, la Spagna o gli Stati Uniti. Quello che fa rabbia, però, è che nessuno è andato giù quanto siamo andati giù noi. E soprattutto che nessuno ha approfittato poco quanto noi del boom del turismo mondiale. Un boom mai visto.
Due numeri: dal 1950 ad oggi i turisti stranieri che vengono in Italia si sono moltiplicati per 10 volte: da 4,8 a 47,8 milioni. Ma l’immenso popolo di turisti del mondo, grazie all’impetuoso arricchimento soprattutto della Cina, della Corea e altri Paesi asiatici si è moltiplicato per quasi 43 volte. Il che significa che noi siamo riusciti a fare nostra soltanto una fetta molto piccola della torta. 

Dicono le classifiche del «Country Brand Index 2012-2013» che misura la popolarità dei «marchi» di 118 Paesi, che l’Italia è primissima o ai primissimi posti nell’immaginario di tremila importanti opinion leader di tutto il mondo (e dunque dei potenziali visitatori stranieri) per la ricchezza culturale, la gastronomia, la moda. E, come ricorda in «Destination Italy» Silvia Angeloni, «l’Italia è la prima destinazione dove i turisti vorrebbero andare». Eppure, se negli ultimi tre anni si sono affacciati alle frontiere 137 milioni di turisti mondiali in più rispetto al 2010, uno scoppio di salute impensabile solo trent’anni fa, noi siamo rimasti al palo. O siamo andati addirittura indietro. Come spiega in una delle relazioni del dossier di «italiadecide» il direttore del centro studi del Touring club Massimiliano Vavassori, «i dati sui flussi turistici diffusi dall’Istat, e relativi al 2012, hanno registrato 98,1 milioni di arrivi (- 5,4% rispetto al 2011) e 362 milioni di presenze totali (- 4,8% rispetto al 2011)». E le cose non sembrano essere migliorate nel 2013: «Secondo le stime del Wttc (World Travel & Tourism Council), il valore aggiunto dell’industria turistica in Italia - le attività che possono considerarsi core business - è stato di 63,9 miliardi di euro, ovvero pari al 4% del Pil nazionale». 
Una quota bassissima. Che calcolando il valore aggiunto dell’intera economia turistica (dalle pasticcerie che forniscono i croissant agli alberghi alle sartorie che fanno le camicie per i camerieri) sale fino a «161 miliardi che corrispondono al 10,2% del Pil». Una percentuale assai lontana dai proclami guasconi di vari premier del passato, un po’ tutti concordi nel promettere «un turismo al 20% del prodotto interno lordo».
Come mai? Perché, accusa lo studio del Touring, «il comparto si avvale da anni di rendite di posizione ancorate al grande “turisdotto” delle città d’arte o delle aree costiere» ma c’è da sempre una «cronica assenza» di strategie: «Il turismo non è mai stato, e non è tuttora, un’opzione di sviluppo economico presa seriamente in considerazione dalla politica». Tutta colpa del Palazzo? No: il dossier infila infatti il dito nella piaga della mancanza anche di una «cultura dell’ospitalità». 
Troppi bidoni ai turisti, troppi disservizi, troppa scortesia verso chi viene a trovarci. Come se tutto ci fosse dovuto in quanto «Paese più bello del mondo». Peccato, perché quella che è la nostra carta migliore, e cioè il nostro patrimonio culturale, potrebbe godere dei frutti di una stagione eccezionale. Spiega infatti Emilio Becheri, coordinatore del rapporto di Turistica.it , che «nel 2011 (ultimo anno con dati definitivi) la maggiore quota di arrivi di turisti in Italia è determinata dal turismo delle città di interesse artistico e storico (d’arte) con il 35,6%, davanti al turismo delle località marine (balneare) con il 21,5%». Di più: «L’analisi dei differenziali rivela che l’aumento complessivo degli arrivi verificatosi nel periodo 2000-2010, pari a 23,692 milioni è imputabile in gran parte, per il 42,5%, all’aumento del turismo culturale, per il 20,2% alle località non classificate come turistiche, per l’11,3 alle località balneari, per il 10,9% alle località montane e per il 7,3% a quelle lacuali».
Le potenzialità sono enormi. Ma come vengono trattati, gli ospiti? Siamo onesti: così così. Se non proprio malamente. Al punto di spingere moltissimi visitatori, spaventati dai prezzi, ad andare a dormire fuori mano. Un esempio? «Calenzano è un Comune industriale e di servizi di circa 17.000 abitanti vicino a Firenze che nel 2012 ha raccolto 183.207 arrivi di turisti, tre quarti dei quali stranieri, che visitano Firenze e la Toscana». Pistoia e Arezzo sono più belle? Sarà, ma «rilevano solo 129.308 e 49.475 arrivi, cioè, rispettivamente, il 70,6% e il 27%». Colpa dei turisti brutti e cattivi? Ma va là... 

Non basta avere belle piazze e bei monumenti e bei musei. Non basta neppure avere il «bollino» di sito Unesco. Siamo i primi in assoluto, con 49 «bollini»? «Valgono poco», sospira Vavassori, «se le notizie e le immagini sul degrado e la quotidiana rovina di Pompei, ad esempio, fanno il giro del mondo». 

E siamo ai dati del ministero dei Beni Culturali. I quali dicono che negli ultimi dieci anni, mentre i turisti nel mondo crescevano di circa 50%, i visitatori di tutti i nostri musei, siti archeologici, gallerie d’arte statali messi insieme (tolti la Valle d’Aosta, il Trentino Alto Adige e la Sicilia, anch’essa al palo) sono cresciuti da 30 milioni e mezzo a poco più di 38. Con un aumento del 25%: la metà. Se poi contiamo solo i paganti, l’incremento è ancora più basso: da 14 milioni e mezzo a 17 e mezzo: +22%.

Vanno benissimo il Colosseo e i Fori imperiali (+79%), molto bene Venaria Reale che dieci anni fa era ancora in fase di restauro, bene la galleria degli Uffizi e il Corridoio Vasariano (+25% ma troppa gente non può ospitarne) e benino nonostante tutti i nostri dolori Pompei, che cresce del 17%. 

Mettono i brividi, al contrario, i numeri ad esempio di Villa Adriana. Nel 2003 era al 14º posto tra i luoghi più visitati ed ebbe tra paganti e non paganti 322 mila ospiti: nel 2013 solo 207 mila. Peggio ancora la Reggia di Caserta: era sesta con 687 mila visitatori, è precipitata al 10º posto con 439 mila. Un crollo del 36% nel decennio del boom. 
C’era da aspettarselo. I tesori vanno curati con amore. Non possono essere abbandonati a se stessi. Sono la nostra ricchezza. Potrebbero essere il nostro futuro. Tenere insieme la tutela e il turismo è possibile. Deve essere possibile. E forse, come dice il rapporto del Touring, «se l’Italia credesse di più nel turismo, sarebbe un Paese migliore». 
Gian Antonio Stella - Il Corriere della Sera

Se qualcuno mi dicesse che viene in Italia solo per fare turismo, perché solo a questo servirebbe il paese, allora io risponderei, ma quale turismo?
Il turismo e l'Italia sono due concetti separati (vedi sopra).
E poi l'Italia sa fare manifattura, agricoltura bio, ecologia, innovazione, ricerca scientifica, arte quella è la prospettiva italiana, peccato che i politici l'abbiano dimenticato!

Industria italiana, giù fatturato e ordini. Anche l'estero tradisce il Made in Italy!


Industria italiana, giù fatturato e ordini.
Anche l'estero tradisce il Made in Italy


da:http://www.repubblica.it/economia/2014/07/21/news/ordini_fatturato_industria-92053196/?ref=HREC1-4

Il fatturato scende dell'1% a maggio su aprile, mentre resta positivo di un soffio (+0,1%) nel raffronto annuo. I dati peggiori vengono registrati dall'Istat sui mercati esteri. Gli ordinativi scendono del 2,1% mensile, calo anche su base annua: è il primo da otto mesi


MILANO - Segnali negativi per l'industria italiana dall'andamento del fatturato, tradito anche dai mercati esteri, e degli ordinativi. Secondo i dati dell'Istat, il fatturato dell'industria a maggio scende dell'1% rispetto ad aprile, segando il secondo ribasso congiunturale consecutivo, mentre resta positivo su base annua, anche se appena sopra lo zero, con un incremento dello 0,1% (dato corretto per effetti calendario). Stavolta l'Istituto nazionale registra i dati peggiori sui mercati esteri. Quanto agli ordinativi, sempre a maggio scendono del 2,1% su aprile, dopo due mesi in aumento. Le commesse calano anche su base annua, con un ribasso del 2,5% (dato grezzo): si tratta della prima flessione dopo 8 mesi. Se in termini mensili a pesare è l'estero, a livello tendenziale è ancora il mercato interno a fare peggio.


Fatturato. A maggio 2014 il fatturato dell'industria, al netto della stagionalità, diminuisce dell'1,0% rispetto ad aprile, registrando flessioni sia sul mercato estero che su quello interno (rispettivamente -1,9% e -0,6%). Nella media degli ultimi tre mesi, l'indice complessivo diminuisce dello 0,7% rispetto ai tre mesi precedenti (-0,8% per il fatturato estero e -0,7% per quello interno). Corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 21 contro i 22 di maggio 2013), il fatturato totale cresce in termini tendenziali dello 0,1%, con un aumento dello 0,1% sul mercato interno ed una flessione dello 0,1% su quello estero. Gli indici destagionalizzati del fatturato
segnano diminuzioni congiunturali per i beni di consumo (-1,7%), i beni strumentali (-1,2%) e i beni intermedi (-1,0%), mentre l'energia segna un incremento (+2,7%). L'indice grezzo del fatturato cala, in termini tendenziali, del 3,1%: il contributo più ampio a tale flessione viene dalla componente interna dei beni intermedi. Per il fatturato, limitatamente al comparto manifatturiero, l'incremento tendenziale più rilevante si registra nella fabbricazione di mezzi di trasporto (+6,0%), mentre la diminuzione più ampia riguarda la fabbricazione di prodotti chimici (-5,4%).
Ordinativi. Per gli ordinativi totali, si registra una flessione congiunturale del 2,1%, con una diminuzione del 4,5% degli ordinativi esteri e dello 0,2% di quelli interni. Nel confronto con il mese di maggio 2013, l'indice grezzo degli ordinativi segna una diminuzione del 2,5%. L'incremento più rilevante si registra nella fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (+15,0%), mentre la flessione maggiore si osserva nella fabbricazione di macchinari e attrezzature (-13,6%).

Ma allora di cosa parliamo? 

dell' Italicum? l'arma di distrazione di massa da questi dati orridi? 

ma Napolitano dorme pure lui? 

Renzi pensa a Berlusconi, Berlusconi pensa solo a sè e a volte alle olgettine, ma se stesso è sempre il primo pensiero, e lo sviluppo economico?

Quando sentiremo un discorso (un semplice discorso in quanto fino ad oggi nessuno ne ha parlato manco fosse un tabù pensare che l'Italia possa svilupparsi economicamente...) sullo sviluppo economico?

Quando?
(21 luglio 2014)