Scuola, la rivolta dei docenti: "Stipendi uguali per tutti e in linea con quelli europei"

Una doppia petizione, che in pochi giorni ha raccolto oltre cinquemila firme, rilancia il tema caldo delle buste paga degli insegnanti. Due le richieste: guadagnare quanto i colleghi della Ue e avere retribuzioni e ore di lavoro equiparate in ogni ordine di istituto. Compresa l'università.


BOLOGNA - "Per insegnare occorre la laurea, abbiamo specializzazioni e master, al concorso ci chiedono competenze di informatica e di inglese. Eppure valiamo di meno in busta paga dei colleghi che insegnano alle medie, alle superiori e in università: non è giusto". E' la rivolta estiva dei maestri dell'infanzia e della primaria partita con due petizioni lanciate alla vigilia di Ferragosto e che in pochi giorni hanno già raccolto rispettivamente 4.300 e quasi 6.000 firme. Due le richieste. Una petizione, sostenuta da insegnanti di ogni ordine e grado, reclama stipendi uguali ai colleghi europei; l'altra vuole l'equiparazione delle buste paga e delle ore di lavoro tra chi sale in cattedra in Italia, dalla materna all'università. Una provocazione, quest'ultima - maestri pagati come gli accademici - destinata a fare discutere. Si tratta comunque di un tema caldo, quello delle basse retribuzioni degli insegnanti italiani, che ora riemerge via social, raccoglie consensi e chiede attenzione al ministero all'istruzione, a cui sono rivolte le due raccolte di firme.

"Vogliamo rivendicare il principio secondo cui è inaccettabile l'ingiusta distribuzione economica e di ore di servizio.
Non è possibile che chi più lavora (docenti dell'infanzia e della primaria) percepisce meno rispetto ai colleghi dei gradi d'istruzione superiore", si legge nella prima petizione. "Nell'epoca in cui per accedere all'insegnamento di qualsiasi ordine e grado d'istruzione è prevista la laurea, in cui tutti i docenti sono laureati o addirittura in possesso di titoli post laurea non è pensabile né tollerabile questa diversità di trattamento, legata a vecchi schemi". A lanciare l'iniziativa è Ilenia Barca, 40 anni, originaria di Nuoro, docente alla primaria, con nove anni e mezzo di precariato alle spalle, e pedagogista. "Siamo un gruppo di insegnanti sparsi in tutta Italia - spiega - queste nostre richieste sono partite da una riflessione comune sul ruolo dei docenti in Italia e all'estero".

·Gli stipendi, il punto debole. A inizio carriera un insegnante di scuola primaria guadagna 22.394 euro lordi, a fine carriera arriva a 32.924, secondo dati che si riferiscono al 2013-14. I docenti di scuola media partono come i colleghi delle superiori: 24.141 euro a inizio carriera; ma i primi arrivano a 36.157 euro mentre i secondi raggiungono i 37.799 euro con 35 anni di contribuzione. Qui sta il gap da colmare, secondo i promotori della petizione, che ricordano le 24 ore settimanali di insegnamento previste per i maestri di scuola primaria contro le 18 per medie e superiori.


Scuola, la rivolta dei docenti: "Stipendi uguali per tutti e in linea con quelli europei"
Ilenia Barca difende la scelta anche per un altro motivo: "Più piccoli sono gli alunni maggiori sono le responsabilità di formazione in capo ai docenti. Non si può disconoscere il valore educativo e didattico in generale in nessun ordine e grado dell'istruzione. Ma certo è che, come dimostrano recenti studi, la fascia di età più importante per lo sviluppo dei piccoli studenti di oggi e cittadini di domani è quella compresa tra i 3 e i 10 anni". Salvo Altadonna, portavoce del comitato Asi (area sostegno e inclusione), parla di "macroscopica lesione del diritto al salario di funzione che subiscono i docenti". Se la laurea è il titolo unico di accesso all’insegnamento per tutte le scuole di ogni ordine e grado, osserva in un approfondimento su Orizzonte Scuola, "non si comprende la sperequazione in atto tra docenti del primo e docenti del secondo ciclo di istruzione: una revisione del contratto sarebbe inevitabile".

·La comparazione tra insegnanti italiani ed europei. La seconda petizione riguarda un tema più volte sollevato: gli stipendi bassi dei professori italiani nella comparazione con quanto avviene in Europa. Nella tabella allegata sono evidenti le differenze: si va da un minimo per chi insegna alle superiori in Italia di 24.846 euro ai 33.887 che percepiscono i colleghi spagnoli, ai 34.286 in Svezia sino ai 40.142 euro in Germania.

"E' impensabile stare in Europa e assistere ad una sperequazione di trattamento economico tra docenti di nazionalità differenti - si legge nel testo - I nostri colleghi europei lavorano in media meno di noi italiani, ma percepiscono stipendi più alti, non vivono l'incubo del precariato come accade in Italia, non hanno l'accesso all'insegnamento veicolato dalle classi di concorso, godono di migliori possibilità di crescita professionale e di maggiori condizioni di tutela e promozione della salute"

Tante le reazioni. "È arrivato il momento di dare il giusto valore a noi docenti Italiani", scrive Pietro Lepore da Bari. "Il trattamento economico dei docenti italiani mortifica e non riconosce la loro professionalità, la loro passione e il loro quotidiano impegno", il parere di Viria Capoluongo. "Nel mio cv ho dottorato, post-doc, assegni di ricerca all'università e presso fondazioni bancarie. Da antropologa culturale e museale ho svolto ricerche in Africa occidentale, ho stretto accordi universitari internazionali e coordinato progetti nazionali e locali. Pur apprezzando la libertà di insegnamento che in Italia è ancora salvaguardata, il salario non risulta adeguato al curriculum dei docenti", la testimonianza di Roberta Cafuri.

Barcelona, Berlin, Rome and Venice: The cities that are sick of tourists

http://www.traveller.com.au/barcelona-berline-rome-and-venice-the-cities-that-are-sick-of-tourists-gwumm8

by Ben Groundwater

"Gaudi hates you."
That's one of the more amusing pieces of graffiti that has appeared in Barcelona recently, one of a few pointed references to the fact the city's residents aren't exactly happy these days about living in one of the world's most popular tourist destinations. You might be visiting Barcelona because you love Gaudi, but would Gaudi love you?


The famous Catalan architect might well be horrified to see what his elegant city has become thanks to the modern influx of tourists: the tacky T-shirt stores that crowd every corner; the hundreds of peddlers of those stupid glow-in-the-dark things you flick into the air; the food markets that are now filled not with discerning shoppers, but with gawking tourists fighting for selfie-stick room.


Maybe Gaudi would have hated that. What's more certain, however, is that some of Barcelona's current residents do.


You can see it in the graffiti. You can see it in the harsh laws attempting to halt the spread of services like Airbnb, a vain attempt to keep the stag-do crowd out of the suburbs, to keep the photo-taking foodies out of the locals-only bars. You can see it in the faces of the market sellers who have to contend with huge crowds of onlookers who don't want to buy anything.


No wonder there's a backlash. Surely people in Barcelona don't want to live in a tourist attraction, don't want to exist purely as a backdrop for Instagram photos. They want to live in a normal city, a place where they'll have the same neighbours next week and the week after, where they can go to the market and buy some jamon and not have to push past a group of hungover tour passengers taking photos of the tomatoes to get there.


And the Catalans aren't the only Europeans beginning to push back against the weight of the tourist hordes. There are signs that the Romans, too, have had enough. There's now a "picnic ban" in the Eternal City, forbidding tourists from stopping to eat on top of well-known sights such as the Spanish Steps. Visitors will also be fined if they sit on the edge of historic fountains, including the Trevi, or, worse, attempt to dive into one for a hilarious novelty bath. 





Spanish Steps, Rome. Photo: iStock


In Berlin there's a similar feeling of frustration. Rent is skyrocketing and suburbs are rapidly gentrifying, particularly neighbourhoods like Kreuzberg and Neukolln, thanks to the arrival of tourists and their money. Venice, too, has long felt more like a theme park that an actual living city.





Kreuzberg, Berlin. Photo: iStock


It was inevitable that there would be an adverse reaction to this mass tourism, to the sheer weight of numbers crowding streets and famous monuments, to the changes tourists bring to the social fabric of these cities. It's also understandable.


As a traveller, this presents you with a dilemma. You want to see the world, of course; you want to visit these amazing places that everyone else is going to. But you also have to respect the fact that you're adding to a problem here. You can tell yourself as much as you like that you're a "traveller, not a tourist", but no one knows the difference when you're just another body adding to the crush in the Boqueria market, when you're just another face in the crowd around the Trevi Fountain.


In fact, "travellers" are a major part of the issue. They want to get off the beaten track, they want to see the "real" city – but in doing so they're breaking down the traditional tourist/local barriers, they're popping up in quiet neighbourhoods, invading locals-only havens in the name of seeing something authentic. At least the tourist crowd just congregates in one spot and can easily be avoided.


So what do you do? What's the solution? I love Barcelona. I don't want to stop going there. Same with Rome. I've got carbonara to eat. I love Berlin with a passion. And I'm also the sort of person who seeks out those locals-only neighbourhoods, who wants to feel that they're seeing a side of the city that others are missing out on.


It's a difficult one to balance. The only thing you as a traveller can do, really, if you still want to visit, is attempt to limit your impact when you're in these cities: learn some of the local language so you're not making a nuisance of yourself in bars and restaurants; treat Airbnb apartments (and your temporary neighbours) like they're your own from back home; buy food when you go to gawk at a local market; talk to people instead of just pointing your camera at them; in fact, put your camera away for a while and just live.


It's not a perfect solution. But at least it's a thoughtful way to lessen your impact while still being able to see the world. Surely Gaudi would appreciate that?


Do you think tourists are a problem in places like Barcelona and Rome? Is it understandable that locals are tired of it? What do you do to lessen your impact?