Bye bye globalizzazione!
Siamo nel pieno della crisi economica, preparata da economisti laureati nel ventre mollo del capitalismo senza regole, crisi che segna, dal mio punto di vista, il cambio di un'epoca: dalla globalizzazione al ritorno della localizzazione.
In realtà, quindi, non è un vero cambiamento, in quanto si torna ad una produzione più lenta, più vicina alle vere esigenze del singolo, una produzione artigianale, tipica del periodo storico in cui vivevano le mie nonne/i nel dopoguerra, e ancor prima le mie bisnonne/i e le loro ave/i.
Non c'è più bisogno di acquistare merce prodotta a migliaia di km da dove la compro e che spesso ritrovo uguale in ogni parte del mondo; non c'è più il desiderio di uniformarsi
alla massa; non c'è bisogno di avere l'ultimo paio di occhiali della nota griffe che reclamizza il suo brand su ogni cartellone pubblicitario di ogni città del mondo e che vuole rivestire ognuno di noi tutti uguali.
No, siamo alla svolta.
Il web ha trasformato la nostra percezione di essere consumatori, e la crisi ha solo accelerato i tempi.
E' da diversi anni che avverto disagio davanti a prodotti realizzati in Cina e venduti, per esempio, a New York, perché una volta che hai attraversato l'oceano e sei
nella città più energetica a livello culturale degli USA, ti aspetti, desideri e cerchi di comprare qualche abito, o prodotto, o cosmetico, o profumo, etc. che sia degno “figlio” di tale atmosfera culturale, cerchi di appropriarti di un piccolo feticcio creato, realizzato, progettato da americani, non un prodotto che prima è stato concepito in USA e poi messo in opera dall'altra parte del mondo per pura convenienza economica, senza alcun fascino e senza nessuna desiderabilità.
Questi prodotti “globalizzati” sanno di truffa, come dire: noi produttori stiamo fregando il cliente perché il prodotto lo abbiamo fabbricato a costo quasi zero, sfruttando la mancanza di regole di molti paesi asiatici e africani, sfruttando la gente, l'ambiente, mentre il cliente finale (idiota beone) lo compra a costi altissimi e in compenso non ha neanche qualità, ma pura obsolescenza, tutto fatto solo in nome del profitto.
Il prodotto è scadente già nella concezione, nel marketing, nel packaging, nel ciclo completo della sua realizzazione.
Qui, in Italia la globalizzazione ci ha tagliato le gambe: aziende del Made in Italy hanno chiuso e messo in disoccupazione intere comunità.
I nostri “imprenditori” hanno smobilitato tutto, fabbriche, contatti umani, relazioni create negli anni e sono volati in Cina e altrove a portare “benessere”, lasciando cadaveri dietro alle spalle e credendo che i consumatori italiani avrebbero sempre e comunque comprato i loro bei prodotti cinesi, ma marcati Italiani.
Ma anche chi è stato licenziato era paradossalmente un loro cliente e ora odia il prodotto globale, anche perché in tutto questo andirivieni di merci (i trasporti su nave sono piuttosto cari oltre che inquinanti), di prodotti inutili e sempre più uguali a se stessi, l'unico vero concetto forte che era proprio e che caratterizzava la reputazione del Made in Italy, la QUALITA', è il grande assente dal mercato e anche da molto tempo ormai.
Allora, oggi inizio un nuovo mantra, e auspico che molti mi seguiranno in modo da attuare davvero il cambiamento, il mantra che recita: bye bye globalizzazione, torniamo a produrre in Italia, magari a livello artigianale per evitare di produrre quantità enorme di roba che presto finirà in discarica con tutti i problemi del caso e a Napoli mi sembra che sappiano qualcosa in merito meglio di tanti altri italiani.
Torniamo alla lentezza, agli abiti fatti a mano e dalle sarte, alla differenza e alla creatività del singolo prodotto, torniamo al fatto su misura da persone pagate il giusto e che lavorino in condizioni eque e torniamo ai tessuti e ai pellami che durino, che trasudino valori quali durata, qualità, ecologia, rispetto dell'ambiente e dell'uomo.
Torniamo a confezionare solo quello di cui abbiamo effettivamente bisogno e facciamolo in modo sobrio, elegante, dignitoso.
Torniamo a gustare ogni singolo pezzo che indossiamo, ad affezionarci, a dire che questo pantalone è mio davvero, fatto su di me e il tessuto è come lo volevo io e nessun'altra donna lo possiede uguale al mio perché me lo hanno confezionato su misura.
Torniamo a differenziare i nostri stili e ad esprimere meglio chi siamo, non uniformandoci a modelli televisivi o cinematografici, elaboriamo noi stessi, curiamo noi la nostra immagine ed affermiamo la nostra individualità collaborando con chi ci realizza il prodotto.
E creiamo posti di lavoro nuovi e sostenibili!
Bye Bye globalizzazione!