“Il jobs act è già diventato un boomerang”

di Carlo di Foggia - Il Fatto Quotidiano
"II jobs act è un'operazione di propaganda che sta ingessando il mercato e facendo aumentare i licenziamenti". Michele Tiraboschi, giuslavorista e direttore del centro studi Adapt fondato da Marco Biagi, descrive così i dati del ministero del lavoro del secondo trimestre 2016 (-79mila contratti a tempo indeterminato, 7,4% di licenziamenti e dimissioni in calo).
 Cosa dicono quei numeri? 
Quel che era prevedibile: uno degli obiettivi del jobs act era rendere più facile licenziare, come infatti sta avvenendo, ma l'idea che questo avrebbe fatto aumentare le assunzioni stabili è fallimentare
Con una grave complicazione: il governo ha creato due regimi, quello degli assunti prima di marzo 2015, che mantengono l'articolo 18, e quelli assunti dopo, che non lo hanno. Le dimissioni calano bruscamente perché le persone hanno paura di cambiare lavoro per fare esperienza o migliorare la carriera perché sanno di perdere l'articolo 18. Non c'è maggiore mobilità e neanche più assunzioni
Per il ministero è l'effetto della legge che ostacola le dimissioni in bianco. Assolutamente falso: è una normativa in vigore da anni e poi modificata. Pietro Ichino, uno dei padri della riforma, disse che abolire le tutele per tutti avrebbe provocato un aumento dei licenziamenti. Sta già avvenendo, finita la droga degli incentivi per chi assumeva nel 2015 sono saliti del 7,4%
Quello a "tutele crescenti" è un contratto stabile? Un anno fa il governo enfatizzò i dati sull'aumento degli occupati stabili. Segnalai che poteva essere un boomerang, ma me l'aspettavo al termine degli sgravi triennali. E invece abbiamo un quadro sinistro dopo un solo anno: se oggi crescono così tanto i licenziamenti, immagino fra due anni quando le imprese avranno un incremento fortissimo del costo del lavoro e non tutte sapranno affrontarlo. Si vedrà che non è un contratto a tutele crescenti ma uno che garantisce delle indennità economiche di poco peso in caso di licenziamento: dopo tre anni pago solo 6 mensilità, molto meno di quanto incasso con gli incentivi. Il problema è di fondo
In che senso? 
Non si costruisce un edificio partendo dal tetto: senza l'articolo 18 è più facile licenziare, quindi se lo togli devi prima avere un sistema efficiente di ricollocazione, riqualificazione, formazione professionale e welfare adeguato. Nulla di tutto questo è stato fatto. Senza crescita è però difficile creare lavoro. Gli incentivi ci sono costati 20 miliardi dati alle imprese per promuovere un finto contratto stabile a fronte di soli 80 milioni per il ricollocamento. Nulla per le politiche attive e 20 miliardi per una controproducente manovra di propaganda elettorale che offende la sensibilità delle persone. Non si migliora il lavoro a colpi di leggi ma di politiche, e quelle le fa il Parlamento, non il governo. Perché aumenta quasi solo la fascia di occupati over 50? La riforma Fornero ha allungato l'età pensionabile. Non sono nuovi occupati reali. Come si spiega l'esponenziale boom dei voucher? È grave che il ministero non faccia un monitoraggio. Il problema è l'abolizione dei lavoratori a progetto: il governo pensava che sarebbero stati stabilizzati con gli sgravi, invece sono stati convertiti in voucheristi. 

Richemont: -45% l’utile operativo semestrale

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Il gruppo svizzero Richemont, numero due del lusso a livello mondiale, prevede un calo di circa il 45% del suo utile operativo per il primo semestre dell’esercizio 2016-2017, causato da una diminuzione delle vendite in Europa e a Hong Kong, oltre che da costi di ristrutturazione pari a circa 65 milioni di euro.
Nei primi 5 mesi dell’anno fiscale le vendite sono diminuite del 14%, a causa soprattutto del calo dell’attività in Francia dovuta alla diminuzione dei flussi turistici, ha annunciato il gruppo di Ginevra in un comunicato. Le vendite in Europa sono diminuite del 20%, mentre nel Regno Unito sono tornate a crescere grazie all’indebolimento della sterlina in seguito al referendum di giugno sull’uscita dall’Unione Europea.

In Asia-Pacifico, un altro dei mercati chiave del gruppo, le vendite sono scese del 12% per la debolezza dei mercati a Hong Kong e Macao, mentre sono cresciute in Cina continentale e in Corea.

Nelle Americhe, Richemont ha registrato dinamiche positive per gioielli e accessori, controbilanciate però da un calo nelle vendite di orologi, che hanno portato a un calo dell’8%.

Richemont ha dichiarato di aspettarsi che queste difficili condizioni di mercato persisteranno nel mese di settembre.

Tod's vittima delle difficoltà del mercato del lusso

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Il gruppo Tod's ha riscontrato una contrazione dell'utile operativo del 16% nel primo semestre, a causa soprattutto del calo della domanda in Cina e della diminuzione delle spese dei turisti in Europa e negli USA.
L'azienda di Sant'Elpidio a Mare, rinomata per i suoi mocassini e stivali di lusso, ha ottenuto un margine operativo lordo (Ebitda) pari a 86,3 milioni di euro nei primi 6 mesi dell'anno, praticamente in linea con le stime di Thomson Reuters, che erano di 87 milioni.

Nel comunicato ufficiale, l'AD Diego Della Valle afferma che Tod's sarà in grado di "ottenere buoni risultati entro la fine dell'anno prossimo".

Nel corso di una conferenza telefonica, il direttore finanziario Emilio Macellari ha detto di aspettarsi un miglioramento delle vendite a perimetro comparabile nel secondo semestre e ha aggiunto che non c'è alcun motivo per cambiare la previsione per il 2016 se il mercato rimane stabile.

Tod's ha anche assicurato che conta sempre di riuscire a versare un dividendo e intende mantenere il suo attuale indice di distribuzione.

L'azione di Tod's ha concluso in calo del 3,66% alla Borsa di Milano la sessione di mercoledì, a 51,30 euro, influenzata (come tutto il settore del lusso nel suo complesso) dalle previsioni pessimistiche del gruppo Richemont e dalla decisione di Hermès di non comunicare alcun obiettivo di crescita a medio termine.

Jean-Paul Leroy (Versione italiana di Gianluca Bolelli)