This is the fashion blog of Stilinga, a fashion designer who works from home. She is from Rome, Italy and she writes about trends, things she loves to do in Rome and art. Questo è il fashion blog, e non solo, di stilinga (una stilista che lavora da casa - è una stilista-casalinga) e che spesso tra una creazione di moda e l'altra, tra ricerche e fiere, si occupa anche del suo quotidiano e del contesto in cui vive.
Da Fashionmag.com: "Moda: c'erano il lusso e il basic, ora c'é il freemium"
Stilinga ha trovato questo interessante articolo su http://www.fashionmag.com/
MILANO, 22 NOV - C'era una volta il lusso, per pochi, e c'era il basic, per tutti. Ora è tempo di 'freemium', un nuovo modello di consumo per coloro che non si fanno dominare dalle mode, ma le usano a loro piacimento. La nuova parola compenetra la cultura del free, cioé del gratuito, dell'accessibile, del prezzo basso, con l'eccellenza del premium, vale a dire dell'esclusivo, dell'alta gamma.
A inventare il neologismo è stato il sociologo Francesco Morace, presidente di Future Concept Lab, che sta scrivendo un libro sull'argomento e ha anticipato la sua idea su Bookmoda@, il trimestrale di settore diretto da Gianluca Lovetro. "Tutto è nato - dice Morace - dalla massificazione degli outlet: la gente si è abituata a comprare il meglio a meno. Da eccezione, l'affare si è trasformato in regola, quella del bargain, dello sconto, e quindi si è consolidata l'idea destabilizzante che la qualità del prodotto non sia sinonimo di prezzo alto".
Si è spezzata la catena del "vale, quindi costa tanto" e viceversa. La qualità dunque è andata verso la massa e nello stesso tempo è entrato in crisi il low cost senza dignità. Naturalmente hanno contribuito a creare tutto questo anche le grandi catene della moda a basso prezzo, da Zara ad H&M, da OVS Industry a Gap che hanno sviluppato la qualità di massa, hanno inserito l'appeal nel prodotto che un tempo era dozzinale e non aveva pretese, hanno aperto bei negozi nelle vie del centro.
Ma il concetto di freemium è perfino qualcosa di più: si tratta di un nuovo pacchetto personale di consumi, un inedito mix. Per esempio, i giovani condividono musica a costo zero, ma per il concerto del loro beniamino spendono anche 100-150 euro. Le notizie on line sono gratuite, ma se vuoi l'approfondimento lo paghi. Non sei costretto a spendere tanto e sempre, "questo - spiega Morace - è consumo vocazionale". Dunque si sceglie e si mescola: riciclo, mercatino, basso prezzo, ma anche l'oggetto, il viaggio, l'evento costoso che appaga le proprie inclinazioni e aspirazioni.
Il freemium è nato con la moda: il pret-a-porter degli stilisti, alle sue origini, era un consumo freemium. Poi via via è diventato lusso e oggi la moda è costretta a fare i conti con la nuova tendenza, per non restare indietro. Oggi a Milano apre il primo negozio italiano di Gap (che ne ha 330 nel mondo, 30 a Londra e 25 a Parigi tanto per dire) con una piccola 'capsule collection' firmata Valentino: come si nota, il basso tende verso l'alto che, a sua volta, è onorato di scendere verso il basso. E il cliente, che normalmente pagherebbe solo 30-40 euro per il giacchino in denim della catena low cost, fa la fila dall'alba per accaparrarsi quello Valentino for Gap a 120 euro: anche questo è un po' freemium.
Copyright © 2010 ANSA. All rights reserved.
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Commento di Stilinga a quanto esposto sopra:
"Il low cost di questo periodo è legato necessariamente alla crisi, ma questo non significa che i consumatori, soprattutto italiani ed in particolar modo romani siano interessati alla bassa qualità prodotta, per forza di cose, all'estero dove operai sottopagati e senza diritti sono sfruttati e di fatto reggono questo sistema capitalistico insano e ancora basato solo e soltanto sul basso costo del lavoro e sullo sfruttamento dell'ambiente.
Da recenti statistiche (pubblicate anche da Repubblica/cronaca di Roma) si evince che i romani, in particolare, abbiamo aumentato le spese del vintage:
vanno alla ricerca del fatto bene, fatto in Italia e che duri e a prezzi adeguati.
Questa vera necessità di prodotti durevoli, realizzati a modo ed in Italia è sottovalutata dalle aziende monstre che diffondono capillarmente prodotti uguali, di massa e standardizzati nei diversi mercati e la stessa necessità si lega anche al fenomeno che evidentemente a diversi studiosi è sfuggito: il ritorno all'artigianalità, al fatto a mano e fatto in loco secondo i gusti del singolo cliente.
Questo ritorno scompagina le strategie di vendita e di penetrazione nei vari mercati delle suddette aziende monstre che seguono imperterrite il solco del vecchio capitalismo ormai andato a male e ci auguriamo sulla via del tramonto per sempre.
Del resto la storia e l'economia sono cicliche e allora dopo tanti decenni di moda preconfezionata e industrializzata, a sotto costo e realizzata per non durare, con tessuti che al secondo lavaggio cedono, sicuramente il vero bisogno ora è di abbigliamento durevole che sia prodotto in loco, diverso e frutto di vera CULTURA, del know how (nel nostro caso) italiano.
MILANO, 22 NOV - C'era una volta il lusso, per pochi, e c'era il basic, per tutti. Ora è tempo di 'freemium', un nuovo modello di consumo per coloro che non si fanno dominare dalle mode, ma le usano a loro piacimento. La nuova parola compenetra la cultura del free, cioé del gratuito, dell'accessibile, del prezzo basso, con l'eccellenza del premium, vale a dire dell'esclusivo, dell'alta gamma.
A inventare il neologismo è stato il sociologo Francesco Morace, presidente di Future Concept Lab, che sta scrivendo un libro sull'argomento e ha anticipato la sua idea su Bookmoda@, il trimestrale di settore diretto da Gianluca Lovetro. "Tutto è nato - dice Morace - dalla massificazione degli outlet: la gente si è abituata a comprare il meglio a meno. Da eccezione, l'affare si è trasformato in regola, quella del bargain, dello sconto, e quindi si è consolidata l'idea destabilizzante che la qualità del prodotto non sia sinonimo di prezzo alto".
Si è spezzata la catena del "vale, quindi costa tanto" e viceversa. La qualità dunque è andata verso la massa e nello stesso tempo è entrato in crisi il low cost senza dignità. Naturalmente hanno contribuito a creare tutto questo anche le grandi catene della moda a basso prezzo, da Zara ad H&M, da OVS Industry a Gap che hanno sviluppato la qualità di massa, hanno inserito l'appeal nel prodotto che un tempo era dozzinale e non aveva pretese, hanno aperto bei negozi nelle vie del centro.
Ma il concetto di freemium è perfino qualcosa di più: si tratta di un nuovo pacchetto personale di consumi, un inedito mix. Per esempio, i giovani condividono musica a costo zero, ma per il concerto del loro beniamino spendono anche 100-150 euro. Le notizie on line sono gratuite, ma se vuoi l'approfondimento lo paghi. Non sei costretto a spendere tanto e sempre, "questo - spiega Morace - è consumo vocazionale". Dunque si sceglie e si mescola: riciclo, mercatino, basso prezzo, ma anche l'oggetto, il viaggio, l'evento costoso che appaga le proprie inclinazioni e aspirazioni.
Il freemium è nato con la moda: il pret-a-porter degli stilisti, alle sue origini, era un consumo freemium. Poi via via è diventato lusso e oggi la moda è costretta a fare i conti con la nuova tendenza, per non restare indietro. Oggi a Milano apre il primo negozio italiano di Gap (che ne ha 330 nel mondo, 30 a Londra e 25 a Parigi tanto per dire) con una piccola 'capsule collection' firmata Valentino: come si nota, il basso tende verso l'alto che, a sua volta, è onorato di scendere verso il basso. E il cliente, che normalmente pagherebbe solo 30-40 euro per il giacchino in denim della catena low cost, fa la fila dall'alba per accaparrarsi quello Valentino for Gap a 120 euro: anche questo è un po' freemium.
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Commento di Stilinga a quanto esposto sopra:
"Il low cost di questo periodo è legato necessariamente alla crisi, ma questo non significa che i consumatori, soprattutto italiani ed in particolar modo romani siano interessati alla bassa qualità prodotta, per forza di cose, all'estero dove operai sottopagati e senza diritti sono sfruttati e di fatto reggono questo sistema capitalistico insano e ancora basato solo e soltanto sul basso costo del lavoro e sullo sfruttamento dell'ambiente.
Da recenti statistiche (pubblicate anche da Repubblica/cronaca di Roma) si evince che i romani, in particolare, abbiamo aumentato le spese del vintage:
vanno alla ricerca del fatto bene, fatto in Italia e che duri e a prezzi adeguati.
Questa vera necessità di prodotti durevoli, realizzati a modo ed in Italia è sottovalutata dalle aziende monstre che diffondono capillarmente prodotti uguali, di massa e standardizzati nei diversi mercati e la stessa necessità si lega anche al fenomeno che evidentemente a diversi studiosi è sfuggito: il ritorno all'artigianalità, al fatto a mano e fatto in loco secondo i gusti del singolo cliente.
Questo ritorno scompagina le strategie di vendita e di penetrazione nei vari mercati delle suddette aziende monstre che seguono imperterrite il solco del vecchio capitalismo ormai andato a male e ci auguriamo sulla via del tramonto per sempre.
Del resto la storia e l'economia sono cicliche e allora dopo tanti decenni di moda preconfezionata e industrializzata, a sotto costo e realizzata per non durare, con tessuti che al secondo lavaggio cedono, sicuramente il vero bisogno ora è di abbigliamento durevole che sia prodotto in loco, diverso e frutto di vera CULTURA, del know how (nel nostro caso) italiano.
Al Maxxi di Roma: Le storie dell'arte 1960/2010
Oggi Stilinga è andata alla lezione dell'arte, tenuta da Daniela Lancioni, organizzata presso il Maxxi di Roma e che lì si tiene un sabato al mese (la prossima è il18/12/2010, ci si può prenotare 10 giorni prima oppure presentarsi direttamente il giorno della lezione e acquistare il biglietto alla reception dell'Auditorium del Maxxi).
Premesso che:
-arrivare al Maxxi non è facile e nemmeno veloce, se si proviene dall'altra parte di Roma;
-via Guido Reni ed annessi marciapiedi sono non solo sconnessi, ma disastrati in malo modo e pieni di buche e pozzanghere;
-diluviava e il Maxxi apre solo alle ore 11.00,
premesso tutto ciò, si deve dire che alle 10.35 il cospicuo e previdente capannello di persone davanti ai cancelli chiusi era completamente inzuppato in quanto non esiste una pensilina sotto cui ripararsi mentre si aspetta (nonostante la bellezza dell'edificio se il cancello è chiuso non c'è modo di evitare la pioggia e la strada è sprovvista di tutto) e il personale di (in)sicurezza è fermo e insensibile alla causa dell'avventore (della serie siete arrivati in anticipo e diluvia? non apro il cancello e non vi permetto di ripararvi all'ingresso del museo perchè siete peggio dei terroristi e non ho nessuna pietà verso di voi e tanto meno ho l'autorizzazione della direzione centrale, per farvi andare sotto il tetto dell'ingresso, ma ho l'autorità -anche minima, ma sempre autorità è- di farvi crepare sotto la pioggia e in mezzo alla strada desolata, attaccateve!).
A questo stato, bagnato, di incredibile idiozia, si è posto un semi rimedio solo verso le 10.50, permettendo finalmente agli astanti di porsi sotto l'agognato tetto davanti all'entrata principale, grazie a non si sa bene quale scienziato che ha avuto un po' di buon senso.
I restanti 10-15 minuti, prima dell'ufficiale apertura del museo, sono stati passati da Stilinga in un gregge umano intellettuale, fradicio d'acqua e di rabbia per il trattamento subito e naturalmente senza avere nessuna possibile organizzazione in fila, del resto siamo in Italia, non dimentichiamo che qui le file non sono lontanamente nemmeno concepite.
Finalmente alle 11-11.05 il museo viene aperto e la mandria intellettuale e polemica si fionda confusamente verso le casse dove ritira i biglietti.
Verso le 11.40 la lezione inizia: gli anni '70 si presentano ai nostri occhi di uomini e donne tornati individui in un ambiente asciutto e confortevole e il decennio artistico è sinteticamente delucidato dallo storico dell'arte di cui sopra.
La lezione è stata interessante e seguita agevolmente da chi non era a digiuno di storia dell'arte contemporanea, per gli altri è risultata un po' fastidiosa e purtroppo incompleta. Stilinga è uscita semi soddisfatta dal Maxxi e ha ripreso la via per la sua odissea fradicia d'acqua verso casa.
Premesso che:
-arrivare al Maxxi non è facile e nemmeno veloce, se si proviene dall'altra parte di Roma;
-via Guido Reni ed annessi marciapiedi sono non solo sconnessi, ma disastrati in malo modo e pieni di buche e pozzanghere;
-diluviava e il Maxxi apre solo alle ore 11.00,
premesso tutto ciò, si deve dire che alle 10.35 il cospicuo e previdente capannello di persone davanti ai cancelli chiusi era completamente inzuppato in quanto non esiste una pensilina sotto cui ripararsi mentre si aspetta (nonostante la bellezza dell'edificio se il cancello è chiuso non c'è modo di evitare la pioggia e la strada è sprovvista di tutto) e il personale di (in)sicurezza è fermo e insensibile alla causa dell'avventore (della serie siete arrivati in anticipo e diluvia? non apro il cancello e non vi permetto di ripararvi all'ingresso del museo perchè siete peggio dei terroristi e non ho nessuna pietà verso di voi e tanto meno ho l'autorizzazione della direzione centrale, per farvi andare sotto il tetto dell'ingresso, ma ho l'autorità -anche minima, ma sempre autorità è- di farvi crepare sotto la pioggia e in mezzo alla strada desolata, attaccateve!).
A questo stato, bagnato, di incredibile idiozia, si è posto un semi rimedio solo verso le 10.50, permettendo finalmente agli astanti di porsi sotto l'agognato tetto davanti all'entrata principale, grazie a non si sa bene quale scienziato che ha avuto un po' di buon senso.
I restanti 10-15 minuti, prima dell'ufficiale apertura del museo, sono stati passati da Stilinga in un gregge umano intellettuale, fradicio d'acqua e di rabbia per il trattamento subito e naturalmente senza avere nessuna possibile organizzazione in fila, del resto siamo in Italia, non dimentichiamo che qui le file non sono lontanamente nemmeno concepite.
Finalmente alle 11-11.05 il museo viene aperto e la mandria intellettuale e polemica si fionda confusamente verso le casse dove ritira i biglietti.
Verso le 11.40 la lezione inizia: gli anni '70 si presentano ai nostri occhi di uomini e donne tornati individui in un ambiente asciutto e confortevole e il decennio artistico è sinteticamente delucidato dallo storico dell'arte di cui sopra.
La lezione è stata interessante e seguita agevolmente da chi non era a digiuno di storia dell'arte contemporanea, per gli altri è risultata un po' fastidiosa e purtroppo incompleta. Stilinga è uscita semi soddisfatta dal Maxxi e ha ripreso la via per la sua odissea fradicia d'acqua verso casa.
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Via del Traforo, Rome, Italy
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