Stilinga si chiede per quale ragione al mondo si paghino le bollette telefoniche se poi tutto quello che diciamo è registrato e regalato al NSA.
Ugualmente, le intercettazioni telefoniche pagate per le inchieste della magistratura non hanno più senso: se tutte le conversazioni sono registrate, basta chiederle al NSA!
Inoltre, se quanto dico viene registrato e rimane in memoria, allora io che sono il creatore del contenuto telefonico VOGLIO ESSERE PAGATO!
Ho il diritto d'autore su quanto dico! Quindi adesso io pago per un servizio telefonico che lavora contro di me, non mi tutela nella privacy e inoltre quanto dico è usato a livello economico e politico dagli USA!
Aò PAGATE TUTTI GLI UTENTI TELEFONICI!
This is the fashion blog of Stilinga, a fashion designer who works from home. She is from Rome, Italy and she writes about trends, things she loves to do in Rome and art. Questo è il fashion blog, e non solo, di stilinga (una stilista che lavora da casa - è una stilista-casalinga) e che spesso tra una creazione di moda e l'altra, tra ricerche e fiere, si occupa anche del suo quotidiano e del contesto in cui vive.
9-This is Italy: poverty
L’ultimo miglio della povertà (CARLO VERDELLI).
Con la cravatta alla Caritas.
Imprenditori travolti dal crac, impiegati rimasti senza lavoro per la crisi: viaggio tra i nuovi poveri che affollano mense e dormitori.
MILANO -ROTOLATO grande e grosso com’era dal posto fisso alla strada, va in giro in scarpe da tennis, come il “barbun” di Jannacci. Come tanti e tante italiane che la crisi sta sbalzando fuori in massa dal treno della vita normale.
Rotolato grande e grosso com’era dal posto fisso alla strada, ci ha lasciato 30 chili, la dignità e anche il portafoglio, rubato una notte nella stazione centrale di Milano, binario laterale. Dentro ci teneva la foto del figlio. «È uguale a me, sputato, peccato non poterglielo far vedere». In compenso, ha conservato il biglietto da visita: Davide Prestifilippo, agente di commercio, salumi e formaggi (in piccolo, anche il numero di partita Iva e cellulare). Va in giro in scarpe da tennis, come il “barbun” di Jannacci cinquant’anni prima (“barbun” da barba lunga, ultimo gradino del vivere civile). Scarp de tennis come tanti e tante italiane che la crisi sta sbalzando fuori in massa dal treno della vita normale.
La porta del vagone di Davide si è spalancata di schianto il 26 settembre 2011, ore 7.30, via sms: la ditta per cui andava in giro a vendere mozzarelle per la pizza gli annunciava la chiusura. Da allora, infiniti tentativi di risalire, zero risultati. Perito industriale, 44 anni, dopo essere finito nel tritacarne Parmalat («Sono anch’io una vittima di Tanzi») e incappato nel fallimento di un paio di cooperative, Davide ha lasciato Vercelli per Milano, fuori di casa, niente più famiglia, uno scivolo rapido e stordente in fondo al quale c’è il marciapiede. «Non vado nei dormitori perché ho vergogna, non chiedo l’elemosina per lo stesso motivo. Da un po’ frequento una mensa dei frati, ho accettato di farmi fare il tesserino. Si passa uno a uno dai tornelli, sembrano quelli dello stadio. Sa che ero a Madrid a vedere l’Inter del triplete? E adesso qui a sgrinare, a sbattersi per trovare due lire, scusi, cinque euro, e un lavoro, sì, ciao».
La porta del vagone di Davide si è spalancata di schianto il 26 settembre 2011, ore 7.30, via sms: la ditta per cui andava in giro a vendere mozzarelle per la pizza gli annunciava la chiusura. Da allora, infiniti tentativi di risalire, zero risultati. Perito industriale, 44 anni, dopo essere finito nel tritacarne Parmalat («Sono anch’io una vittima di Tanzi») e incappato nel fallimento di un paio di cooperative, Davide ha lasciato Vercelli per Milano, fuori di casa, niente più famiglia, uno scivolo rapido e stordente in fondo al quale c’è il marciapiede. «Non vado nei dormitori perché ho vergogna, non chiedo l’elemosina per lo stesso motivo. Da un po’ frequento una mensa dei frati, ho accettato di farmi fare il tesserino. Si passa uno a uno dai tornelli, sembrano quelli dello stadio. Sa che ero a Madrid a vedere l’Inter del triplete? E adesso qui a sgrinare, a sbattersi per trovare due lire, scusi, cinque euro, e un lavoro, sì, ciao».
«L’altro giorno, al tavolo con me, c’era un tizio distinto, pettinato. Giacca e cravatta. A un certo punto, prende l’Iphone 4 dalla tasca e se lo mette accanto al piatto. Allora gli ho detto: amico, non so cosa ti è capitato per essere qui, ma l’Iphone 4 mettilo via. È uno schiaffo per noi e un rischio per te».
Povera Italia che improvvisamente si scopre povera.
Povera Italia che improvvisamente si scopre povera.
Ai 4,8 milioni di persone che secondo l’Istat non ce la fanno più (8 per cento della popolazione, il doppio rispetto a 5 anni fa), vanno aggiunti altri 9 milioni e mezzo che tirano a campare con meno di 506 euro al mese. Il totale fa spavento, 14 milioni e rotti. E lo spavento cresce con i 6 milioni di analfabeti e un tasso di abbandono scolastico tra i più alti dell’Unione europea.
Come mai una simile bomba atomica sociale non occupa il centro del dibattito politico? Dice da tempo, inascoltato, Luigi Ciotti, prete e profeta degli ultimi, un’esistenza spesa a riscattarli, rincuorarli: «Dobbiamo rendere illegale la povertà». Basterebbe anche cominciare a riconoscerla, guardarla in faccia. Guardare oltre lo spread, indicatore nobile ma parziale. Guardare dietro la classifica, pubblicata proprio da Repubblica, che da quinta potenza industriale del mondo (anni Ottanta) ci ha visti scivolare al nono posto, e molto presto ancora più giù, fuori
dai primi dieci, anche dodici.
Milano, la città col più alto reddito d’Italia,è un buon punto di osservazione per misurare la nostra febbre da miseria. Al Centro Aiuto di via Ferrante Aporti, la prima boa per chi sta per affondare, bussano ormai in 13mila, 3mila in più di due anni fa. Il 30 per cento sono italiani, spiega Silvia Fiore che lo coordina. E la curva è destinata a crescere. L’inverno renderà ancora peggiori le cose, e la vita di gente come il signor Davide, ex agente per salumi e formaggi, uno dei 13mila.
La povertà si misura (anche) in metri. E si sta allungando. Due file mute e ordinate compaiono ogni mattino, domenica esclusa, di fronte e alle spalle del centro di Milano. Una sta in via Concordia, ma chi la frequenta dice “Piazza Tricolore” perché è la fermata annunciata dalla voce registrata dei tram 9 e 23 che passano di lì: piazza san Babila è a due passi. L’altra, via Canova, è la porta d’ingresso opposta, appena dietro Cadorna e il Castello.
Come mai una simile bomba atomica sociale non occupa il centro del dibattito politico? Dice da tempo, inascoltato, Luigi Ciotti, prete e profeta degli ultimi, un’esistenza spesa a riscattarli, rincuorarli: «Dobbiamo rendere illegale la povertà». Basterebbe anche cominciare a riconoscerla, guardarla in faccia. Guardare oltre lo spread, indicatore nobile ma parziale. Guardare dietro la classifica, pubblicata proprio da Repubblica, che da quinta potenza industriale del mondo (anni Ottanta) ci ha visti scivolare al nono posto, e molto presto ancora più giù, fuori
dai primi dieci, anche dodici.
Milano, la città col più alto reddito d’Italia,è un buon punto di osservazione per misurare la nostra febbre da miseria. Al Centro Aiuto di via Ferrante Aporti, la prima boa per chi sta per affondare, bussano ormai in 13mila, 3mila in più di due anni fa. Il 30 per cento sono italiani, spiega Silvia Fiore che lo coordina. E la curva è destinata a crescere. L’inverno renderà ancora peggiori le cose, e la vita di gente come il signor Davide, ex agente per salumi e formaggi, uno dei 13mila.
La povertà si misura (anche) in metri. E si sta allungando. Due file mute e ordinate compaiono ogni mattino, domenica esclusa, di fronte e alle spalle del centro di Milano. Una sta in via Concordia, ma chi la frequenta dice “Piazza Tricolore” perché è la fermata annunciata dalla voce registrata dei tram 9 e 23 che passano di lì: piazza san Babila è a due passi. L’altra, via Canova, è la porta d’ingresso opposta, appena dietro Cadorna e il Castello.
Il cuore ricco e famoso di Milano ha le arterie che si stanno vistosamente ingrossando di miseria: 6mila pasti al giorno nelle mense con la fila. E si concentrano non a caso qui i figli inattesi della grande depressione, come sulla poppa del Titanic dopo l’iceberg:il tentativo estremo di salvarsi, di ritrovare uno stipendio, un alloggio, la speranza. Persone dai 30 ai 60 anni in attesa di un pasto caldo gratis, una doccia, una camicia da lavare, un sacco a pelo o una coperta per dormire. La maggior parte sono stranieri, ma gli italiani stanno scalando in fretta posizioni. In pochi mesi, in molti dei centri comunali o cattolici che offrono aiuto, sono già diventati la seconda comunità dopo i rumeni e prima dei marocchini.
Sono poveri del terzo tipo: non hanno il barbone, anzi sono puliti e quasi sempre ben rasati, non mendicano, preferiscono sistemazioni di fortuna ai dormitori perché ancora non ci vogliono
credere di essere arrivati a quel punto, perché non era previsto né prevedibile. Accanto a loro, vagano per la città, in cerca di un rifugio, cibo o alcol, i poveri del primo e secondo tipo, cioè gli emarginati che si sono definitivamente arresi alla strada e le migliaia di nuovi migranti, molti dei quali ormai vivono l’Italia come una stazione di passaggio verso altri Paesi. Dei 150 siriani ospitati dal Comune in via Aldini, nessuno pensa di restare qui: per tutti, il sogno sono Germania
o Svezia.
Proprio accanto a via Aldini, periferia nord ovest, quartiere Quarto Oggiaro, c’è uno dei nuovi dormitori della Milano invisibile, quello di via Mambretti, nato due anni fa sulla scorta dell’emergenza recessione. È l’unico gratuito, gestito dalla cooperativa Arca(l’altro grande dormitorio pubblico, quello storico di via Ortles, arriva a 600 presenze ma costa un euro e mezzo per dormire e lo stesso per la cena: tutto esaurito, comunque, con un 40 per cento di italiani, moltissimi dei quali esodati di fresco nel vecchio casermone dallo tsunami della crisi). In via Mam-bretti, dove prima c’era una scuola, i posti sono 170, i letti (da 8 a 20 per stanza) hanno sostituito i banchi, valigie e borsoni gli zaini degli studenti. Al primo piano le donne, in qualche caso con bimbi piccoli, al secondo gli uomini. Si sta il tempo di dormire, dalle 19 (cena compresa) alle 8 (prima colazione). Il resto del giorno, aria. Tra gli inquilini, regole comprensibilmente severe: due assenze ingiustificate e si perde il posto, niente risse, niente urla. Un riparo dignitoso. Che però a Carau Antonio, camionista fino al fatidico 2011, sta diventando insopportabile. «Ho la patente C, 40 anni di esperienza, l’ultima nel trasporto di carta igienica ai supermercati. Licenziato, sbam, e nessuno che mi riprende perché a 60 anni, dicono, sono vecchio. Durante il giorno giro,come tutti noi fregati dal Duemila, spesso vado alla libreria Sormani dove danno dei film, faccio le code alle mense, mi ammazzo di colloqui per un lavoro. Ma il vero tormento è la notte. Dormo tra due marocchini. Ruttano, scoreggiano, non hanno rispetto, si lavano i piedi dove io devo lavarmi la faccia. Fortuna che ho un amico imbianchino. Gli ho chiesto di lasciarmi la sua macchina per la notte. Farà più freddo ma almeno non sentirò la puzza dei cameroni».
Anche Dario Colucci è un inquilino di Mambretti, anche lui ha conosciuto il salto in basso repentino, da rompersi le ossa. Odontotecnico diplomato, 30 anni da artigiano di dentiere e ponti fino alla specializzazione in modellazioni tridimensionali, ha perso tutto in
un colpo, come al casinò: lavoro, casa, famiglia, tre figli. «I clienti non pagavano, il laboratorio è soffocato, ci hanno uccisi di tasse. Avevo il mutuo della casa da pagare, ho consegnato le chiavi alla banca e mi sono trasferito nella mia Ford Fiesta». Licenziato, poi sfrattato: un classico. A Milano e provincia“saltano”18 mila appartamenti l’anno per morosità (va peggio solo a Roma). Nel 2007 c’era uno sfratto ogni 841 appartamenti, adesso uno ogni 358.
E dopo la Fiesta, signor Dario? «Non resistevo più, ghiacciava anche dentro. Mi sono trovato un localino segreto all’ospedale di Niguarda, vicino alla sala prelievi. In cambio di non venir denunciato, aiutavo gratis quello che caricava le macchinette di bibite e merende alle 5 di mattina. Anche quando sono venuto in Mambretti, ho dato una mano. Pitturare i muri, pulizie. Adesso quelli dell’Arca mi hanno affidato l’incarico di operatore notturno. Lo dico sottovoce ma sto ritrovando fiducia». Quella fiducia che perdi per strada e che, se qualcuno non ti aiuta prima che sia dissolta l’ultima traccia di resistenza, non ritrovi mai più.
La fortuna di Milano è che, di gente che aiuta ce n’è parecchia. Il centro dell’Opera di San Francesco di via Concordia è un prodigio di carità organizzata, con 700 volontari di cui 200 medici. Lo coordina, non a caso, un ingegnere civile, padre Maurizio: 2.700 pasti al giorno (niente dolce, che però offrono i carmelitani scalzi di via Canova), 25mila docce in un anno, di cui 1.328 per le donne, 8.421 cambi di vestiti, 10.219 barbe, 37mila visite mediche nell’ambulatorio, 63mila farmaci prescritti e regalati. Tutti numeri, va da sé, in crescita, con i nuovi italiani in fuorigioco a ingrossare le fila.
Ci trovi di tutto, tra questi italiani maltrattati dalla recessione e trascurati dalle istituzioni romane. Per esempio, una signora sulla cinquantina, golfino verde, capelli lunghi biondi e occhi azzurri, che mangia da sola, molto composta, mentre il figlio trentenne fa lo stesso in tavolo riservato ai maschi. Vengono dal Piemonte, avevano una ditta di import-export finita in tribunale. Storia complicata, lei ha le lacrime trattenute, sembra cedere al pianto, poi s’accende: «Sono cresciuta nel mito di Almirante. Ora più che mai il mio motto è boia chi molla». Il figlio sembra più mesto ma ugualmente elegante.
Mentre se ne vanno dopo il pranzo delle 11 sotto la pioggia e un ombrello grande per due, lui si volta con un sorriso e dice: «Da imprenditore a questo posto qua. Bella carriera, non trova?».
Già, la pioggia. E presto anche il gelo. Il Comune ha appena avviato il “piano freddo” per i senza dimora: da novembre a fine marzo, 3.672 interventi nel 2012, molti di più nel 2013. Verrà a costare più di un milione di euro, a cui vanno aggiunti i soldi per il fondo anti crisi, quelli per il sostegno al reddito (domande aumentate del 300 per cento). In tutto, 25 milioni di euro, e solo per Milano.
Alla presentazione della legge di Stabilità, l’ineffabile ministro per le Politiche agricole, alimentari e forestali, Nunzia De Girolamo, ha comunicato al Paese: «Sono molto soddisfatta di poter dire che il governo ha destinato 5 milioni di euro agli indigenti». Cinque. Molto soddisfatta.
Pierfrancesco Majorino è l’assessore per le Politiche sociali di Milano, e non l’ha presa bene. «Che vergogna. Miliardi di euro ci vorrebbero. Tutto il peso della miseria delle persone ricade sulle nostre spalle di amministratori locali e sulla disperata voglia di fare qualcosa dei volontari, della Curia. Ma manca lo Stato, mancano misure nazionali di sostegno al reddito. Ci sono ovunque, tranne che in Grecia e da noi. Vorrei veder cadere un governo su una tragedia come questa della povertà, e invece se ne fa un tema di compassione».
Caterina Disi ha 48 anni, dei lunghi capelli neri senza neanche uno bianco e non cerca compassione. Nata in Sardegna, diploma di educatrice professionale alla Sapienza di Roma, un curriculum di dieci pagine, ultimo lavoro riconosciuto alla Asl di Ravenna che però la licenzia, da due anni e mezzo è in giro con le sue valigie. Single, dorme in un convento di suore, aspetta gli esiti della causa che ha intentato alla Asl («Mi daranno dei soldi ma non mi ridaranno il posto»), non va alle mense per la vergogna («Mangio biscotti, piuttosto »), entra ed esce dagli uffici di collocamento come dalle librerie, senza mai niente in mano. «Ma la fede non mi fa perdere la speranza. Avrei potuto schiantarmi nella depressione, invece non ho mai preso un farmaco. Il mio unico sonnifero è il rosario. Ma non ac-
tutto, non accetto più. Ho studiato tanto, lavorato tanto, non ho commesso reati e mi ritrovo nella povertà assoluta. Pretendo rispetto dal mio Paese. Pretendo autonomia e ruolo sociale. Voglio giustizia, perché la merito».
Sono poveri del terzo tipo: non hanno il barbone, anzi sono puliti e quasi sempre ben rasati, non mendicano, preferiscono sistemazioni di fortuna ai dormitori perché ancora non ci vogliono
credere di essere arrivati a quel punto, perché non era previsto né prevedibile. Accanto a loro, vagano per la città, in cerca di un rifugio, cibo o alcol, i poveri del primo e secondo tipo, cioè gli emarginati che si sono definitivamente arresi alla strada e le migliaia di nuovi migranti, molti dei quali ormai vivono l’Italia come una stazione di passaggio verso altri Paesi. Dei 150 siriani ospitati dal Comune in via Aldini, nessuno pensa di restare qui: per tutti, il sogno sono Germania
o Svezia.
Proprio accanto a via Aldini, periferia nord ovest, quartiere Quarto Oggiaro, c’è uno dei nuovi dormitori della Milano invisibile, quello di via Mambretti, nato due anni fa sulla scorta dell’emergenza recessione. È l’unico gratuito, gestito dalla cooperativa Arca(l’altro grande dormitorio pubblico, quello storico di via Ortles, arriva a 600 presenze ma costa un euro e mezzo per dormire e lo stesso per la cena: tutto esaurito, comunque, con un 40 per cento di italiani, moltissimi dei quali esodati di fresco nel vecchio casermone dallo tsunami della crisi). In via Mam-bretti, dove prima c’era una scuola, i posti sono 170, i letti (da 8 a 20 per stanza) hanno sostituito i banchi, valigie e borsoni gli zaini degli studenti. Al primo piano le donne, in qualche caso con bimbi piccoli, al secondo gli uomini. Si sta il tempo di dormire, dalle 19 (cena compresa) alle 8 (prima colazione). Il resto del giorno, aria. Tra gli inquilini, regole comprensibilmente severe: due assenze ingiustificate e si perde il posto, niente risse, niente urla. Un riparo dignitoso. Che però a Carau Antonio, camionista fino al fatidico 2011, sta diventando insopportabile. «Ho la patente C, 40 anni di esperienza, l’ultima nel trasporto di carta igienica ai supermercati. Licenziato, sbam, e nessuno che mi riprende perché a 60 anni, dicono, sono vecchio. Durante il giorno giro,come tutti noi fregati dal Duemila, spesso vado alla libreria Sormani dove danno dei film, faccio le code alle mense, mi ammazzo di colloqui per un lavoro. Ma il vero tormento è la notte. Dormo tra due marocchini. Ruttano, scoreggiano, non hanno rispetto, si lavano i piedi dove io devo lavarmi la faccia. Fortuna che ho un amico imbianchino. Gli ho chiesto di lasciarmi la sua macchina per la notte. Farà più freddo ma almeno non sentirò la puzza dei cameroni».
Anche Dario Colucci è un inquilino di Mambretti, anche lui ha conosciuto il salto in basso repentino, da rompersi le ossa. Odontotecnico diplomato, 30 anni da artigiano di dentiere e ponti fino alla specializzazione in modellazioni tridimensionali, ha perso tutto in
un colpo, come al casinò: lavoro, casa, famiglia, tre figli. «I clienti non pagavano, il laboratorio è soffocato, ci hanno uccisi di tasse. Avevo il mutuo della casa da pagare, ho consegnato le chiavi alla banca e mi sono trasferito nella mia Ford Fiesta». Licenziato, poi sfrattato: un classico. A Milano e provincia“saltano”18 mila appartamenti l’anno per morosità (va peggio solo a Roma). Nel 2007 c’era uno sfratto ogni 841 appartamenti, adesso uno ogni 358.
E dopo la Fiesta, signor Dario? «Non resistevo più, ghiacciava anche dentro. Mi sono trovato un localino segreto all’ospedale di Niguarda, vicino alla sala prelievi. In cambio di non venir denunciato, aiutavo gratis quello che caricava le macchinette di bibite e merende alle 5 di mattina. Anche quando sono venuto in Mambretti, ho dato una mano. Pitturare i muri, pulizie. Adesso quelli dell’Arca mi hanno affidato l’incarico di operatore notturno. Lo dico sottovoce ma sto ritrovando fiducia». Quella fiducia che perdi per strada e che, se qualcuno non ti aiuta prima che sia dissolta l’ultima traccia di resistenza, non ritrovi mai più.
La fortuna di Milano è che, di gente che aiuta ce n’è parecchia. Il centro dell’Opera di San Francesco di via Concordia è un prodigio di carità organizzata, con 700 volontari di cui 200 medici. Lo coordina, non a caso, un ingegnere civile, padre Maurizio: 2.700 pasti al giorno (niente dolce, che però offrono i carmelitani scalzi di via Canova), 25mila docce in un anno, di cui 1.328 per le donne, 8.421 cambi di vestiti, 10.219 barbe, 37mila visite mediche nell’ambulatorio, 63mila farmaci prescritti e regalati. Tutti numeri, va da sé, in crescita, con i nuovi italiani in fuorigioco a ingrossare le fila.
Ci trovi di tutto, tra questi italiani maltrattati dalla recessione e trascurati dalle istituzioni romane. Per esempio, una signora sulla cinquantina, golfino verde, capelli lunghi biondi e occhi azzurri, che mangia da sola, molto composta, mentre il figlio trentenne fa lo stesso in tavolo riservato ai maschi. Vengono dal Piemonte, avevano una ditta di import-export finita in tribunale. Storia complicata, lei ha le lacrime trattenute, sembra cedere al pianto, poi s’accende: «Sono cresciuta nel mito di Almirante. Ora più che mai il mio motto è boia chi molla». Il figlio sembra più mesto ma ugualmente elegante.
Mentre se ne vanno dopo il pranzo delle 11 sotto la pioggia e un ombrello grande per due, lui si volta con un sorriso e dice: «Da imprenditore a questo posto qua. Bella carriera, non trova?».
Già, la pioggia. E presto anche il gelo. Il Comune ha appena avviato il “piano freddo” per i senza dimora: da novembre a fine marzo, 3.672 interventi nel 2012, molti di più nel 2013. Verrà a costare più di un milione di euro, a cui vanno aggiunti i soldi per il fondo anti crisi, quelli per il sostegno al reddito (domande aumentate del 300 per cento). In tutto, 25 milioni di euro, e solo per Milano.
Alla presentazione della legge di Stabilità, l’ineffabile ministro per le Politiche agricole, alimentari e forestali, Nunzia De Girolamo, ha comunicato al Paese: «Sono molto soddisfatta di poter dire che il governo ha destinato 5 milioni di euro agli indigenti». Cinque. Molto soddisfatta.
Pierfrancesco Majorino è l’assessore per le Politiche sociali di Milano, e non l’ha presa bene. «Che vergogna. Miliardi di euro ci vorrebbero. Tutto il peso della miseria delle persone ricade sulle nostre spalle di amministratori locali e sulla disperata voglia di fare qualcosa dei volontari, della Curia. Ma manca lo Stato, mancano misure nazionali di sostegno al reddito. Ci sono ovunque, tranne che in Grecia e da noi. Vorrei veder cadere un governo su una tragedia come questa della povertà, e invece se ne fa un tema di compassione».
Caterina Disi ha 48 anni, dei lunghi capelli neri senza neanche uno bianco e non cerca compassione. Nata in Sardegna, diploma di educatrice professionale alla Sapienza di Roma, un curriculum di dieci pagine, ultimo lavoro riconosciuto alla Asl di Ravenna che però la licenzia, da due anni e mezzo è in giro con le sue valigie. Single, dorme in un convento di suore, aspetta gli esiti della causa che ha intentato alla Asl («Mi daranno dei soldi ma non mi ridaranno il posto»), non va alle mense per la vergogna («Mangio biscotti, piuttosto »), entra ed esce dagli uffici di collocamento come dalle librerie, senza mai niente in mano. «Ma la fede non mi fa perdere la speranza. Avrei potuto schiantarmi nella depressione, invece non ho mai preso un farmaco. Il mio unico sonnifero è il rosario. Ma non ac-
tutto, non accetto più. Ho studiato tanto, lavorato tanto, non ho commesso reati e mi ritrovo nella povertà assoluta. Pretendo rispetto dal mio Paese. Pretendo autonomia e ruolo sociale. Voglio giustizia, perché la merito».
Da La Repubblica del 30/10/2013.
Kering: forte rallentamento delle vendite Gucci nel terzo trimestre
Kering: forte rallentamento delle vendite Gucci nel terzo trimestre
da: http://it.fashionmag.com/news/Kering-forte-rallentamento-delle-vendite-Gucci-nel-terzo-trimestre,364432.html#.Um4eVPlWx8E
Il colosso francese del lusso Kering ha visto la crescita organica segnare il passo nel terzo trimestre, affossato da una forte decelerazione del marchio di punta Gucci e da un nuovo calo delle vendite del brand sportivo Puma. I ricavi del gruppo sono saliti del 3,4% a tassi di cambio costanti, dopo un incremento del 4,2% nel primo semestre.
La griffe fiorentina, che pesa per oltre la metà della valutazione di Kering, dopo un +4% nei due trimestri precedenti, manda in archivio il terzo trimestre con vendite in crescita dello 0,6% e un incremento dei ricavi del 4% nei negozi diretti, mentre il canale wholesale subisce una contrazione a causa, si legge in una nota di Kering Group, della selettiva politica di distribuzione. Gucci registra risultati diversi a seconda dei vari mercati.
In Giappone e negli Stati Uniti (escluse le Hawaii) il giro d'affari è cresciuto costantemente, dimostrando l'efficacia della strategia di esclusività attuata in questi Paesi negli ultimi anni, anche se l'adozione di tale strategia nell'Asia-Pacifico ha pregiudicato il terzo trimestre. Nell'Europa Occidentale la performance di Gucci ha subito un forte impatto dall'Italia, suo maggiore mercato nella regione.
La divisione Pelletteria e Calzature ha registrato buoni risultati nei negozi a gestione diretta, mentre le vendite di borse sono state particolarmente importanti, trainate dal successo della linea 'no logo', dalla "Bamboo Shopper" e dalla "Lady Lock".
Puma ha proseguito il trend di discesa con una contrazione delle vendite dello 0,8%.
La griffe fiorentina, che pesa per oltre la metà della valutazione di Kering, dopo un +4% nei due trimestri precedenti, manda in archivio il terzo trimestre con vendite in crescita dello 0,6% e un incremento dei ricavi del 4% nei negozi diretti, mentre il canale wholesale subisce una contrazione a causa, si legge in una nota di Kering Group, della selettiva politica di distribuzione. Gucci registra risultati diversi a seconda dei vari mercati.
In Giappone e negli Stati Uniti (escluse le Hawaii) il giro d'affari è cresciuto costantemente, dimostrando l'efficacia della strategia di esclusività attuata in questi Paesi negli ultimi anni, anche se l'adozione di tale strategia nell'Asia-Pacifico ha pregiudicato il terzo trimestre. Nell'Europa Occidentale la performance di Gucci ha subito un forte impatto dall'Italia, suo maggiore mercato nella regione.
La divisione Pelletteria e Calzature ha registrato buoni risultati nei negozi a gestione diretta, mentre le vendite di borse sono state particolarmente importanti, trainate dal successo della linea 'no logo', dalla "Bamboo Shopper" e dalla "Lady Lock".
Puma ha proseguito il trend di discesa con una contrazione delle vendite dello 0,8%.
Fondo salva stati... e l'Italia finanzia Berlino!
da: http://www.repubblica.it/economia/2013/10/21/news/il_fondo_salva-stati_compra_bund_tedeschi_e_l_italia_finanzia_berlino-69053049/index.html
Il fondo salva-Stati compra bund tedeschi e l'Italia finanzia Berlino
La Bce incassa 10 miliardi di cedole dai Btp. Il nostro Paese ha versato all'Esm oltre 11 miliardi ma non può utilizzarli per aiutare il credito
di FEDERICO FUBINI
da:
Il timore ormai è così radicato che sfugge il lato opposto dell'equazione: per com'è stata strutturata la risposta all'eurocrisi, i contribuenti tedeschi oggi stanno ricevendo un sussidio silenzioso da parte di quelli italiani.
Né gli uni né gli altri lo hanno mai voluto, né probabilmente se ne sono resi conto. Eppure il trasferimento di risorse da Sud a Nord delle Alpi vale ormai diversi miliardi.
In Germania in realtà si cerca soprattutto di evitare l'opposto, gli aiuti all'Europa meridionale. La priorità tedesca oggi è rendere il fondo salvataggi europeo quasi inutilizzabile per l'unione bancaria. Di qui l'ultima proposta di Wolfgang Schaeuble, il ministro dell'Economia: prima che i fondi dell'Esm vengano spesi per sostenere una banca in difficoltà - chiede Schaeuble - vanno imposte perdite a tutti i creditori dell'istituto. Secondo Schaeuble ciò deve riguardare non solo gli obbligazionisti subordinati, quelli legalmente più esposti a un'insolvenza, ma anche chi ha comprato i bond più protetti.
La Germania fa poi un passo in più: chiede che queste perdite siano applicate fin da subito anche per istituti non in dissesto, ma che potrebbero esserlo in uno scenario (ipotetico) di crisi futura. È il modo tedesco di interpretare i cosiddetti "stress test", che 130 banche europee stanno per affrontare: si simula una caduta del Pil e si misura l'effetto che potrebbe avere sui bilanci degli istituti.
Così diventerebbe quasi impossibile usare il fondo salvataggi nell'unione bancaria, anche
perché la fiducia nelle banche sarebbe scossa molto prima. È qui però che la corrente nei vasi comunicanti fra paesi inizia a invertirsi. Con l'Esm di fatto inservibile per le banche, l'Italia in recessione e indebitata inizia a sussidiare una Germania sana e in ripresa. Possibile?
L'Esm ha una forza di fuoco potenziale di 700 miliardi di euro, raccolti in gran parte emettendo bond sui mercati. La sua base però è il capitale versato direttamente dai governi dell'area euro. La settimana scorsa hanno tutti trasferito la quarta tranche, per un totale di 64 miliardi, e entro la prima metà del 2014 si arriverà a ottanta. Poiché la Germania è primo azionista con una quota del 27,14%, ha già pagato al fondo europeo 17,3 miliardi e alla fine dovrà versarne 21,7. L'Italia, che è terzo azionista con il 17,91% (secondo è la Francia), ha versato 11,4 miliardi e nel 2014 saranno 14,3.
Le risorse pagate dal governo di Roma, se solo fossero rimaste in Italia, probabilmente basterebbero a gestire i problemi delle banche. Invece sono immobilizzate nell'Esm a Lussemburgo. Ciò sarebbe utile nel caso in cui il fondo europeo potesse essere usato per le banche senza prima distruggere la fiducia degli investitori. Per ora però di quei soldi dell'Esm si fa un uso diverso: vengono investiti prevalentemente in titoli di Stato tedeschi. Ciò contribuisce, con i soldi dei contribuenti italiani, a ridurre i tassi sui Bund e su tutto il sistema finanziario in Germania, quindi ad allargare lo spread e lo svantaggio competitivo delle imprese in Italia.
L'Esm non comunica in dettaglio come gestisce il capitale affidatogli, ma i criteri sono chiari: non può comprare titoli con rating sotto la "doppia A" (dunque Italia e Spagna sono fuori) e compra "attività liquide di alta qualità". Dunque certamente in buona parte Bund tedeschi.
È una scelta comprensibile, ma di fatto ciò significa che l'Europa del Sud sta sussidiando la Germania, senza poi poter attingere all'Esm per sostenere le proprie banche.
C'è poi un secondo, sostanziale trasferimento di risorse da Sud a Nord. Nel 2011 la Banca centrale europea acquistò circa 100 miliardi di euro in Btp in una fase in cui i rendimenti arrivarono anche a toccare l'8%. Fu un rischio e una scelta provvidenziale. Ma da allora il valore di quei titoli italiano è salito, in certi casi, anche di più del 20%. E il governo italiano ha onorato alla Bce cedole per oltre dieci miliardi in tutto. La Bce non aveva mai guadagnato tanto con un solo investimento e la Bundesbank, suo primo socio, ne beneficia per circa un terzo. Anche quei soldi sono andati dall'Italia al contribuente tedesco. Peccato che nessuno gliel'abbia mai spiegato.
E Stilinga pensa che siamo alla frutta, manco fresca, secca!
Se quanto riportato da Fubini è vero allora siamo proprio messi male.
Ma se l'Italia è il terzo azionista dell'ESM che aspetta a battere i piedi e a reclamare voce in capitolo????
Possibile che dobbiamo solo prendere eterne fregature, a beneficio della cavola di Germania che invece farebbe bene a diventare guida d'Europa e quindi beccandosi pure tutte le responsabilità che ne conseguono, visto che vuole spadroneggiare in lungo e largo e poi se l'Italia è stata inclusa tra i PIIGS è ora che un po' della nostra m***a se la carichi sul groppone pure lei che mai, nè in passato nè in futuro, è Uber Alles!
Il 10% della popolazione italiana possiede il 50% delle ricchezze del paese!
http://unoenessuno.blogspot.fr/2013/09/ricchi-e-poveri-presadiretta.html
L'industria del lusso non conosce la crisi
Si potrebbe prendere i soldi da questo 10% di italiani?
La patrimoniale in Italia è un tabù (come la lotta all'evasione): anche l'Imu sulle prime case è stata tolta, per tutti.
E il buco lasciato verrà riempito con i tagli al fondo per l'occupazione, il taglio per l'assuzione nelle forze dell'ordine per la lotta all'evasione.
Torino è la città del nord più povera. Non lo potevo credere, eppure la crisi della Fiat (che ha abbandonato l'Italia) ha messo in ginocchio un'intera città.
Un distretto industriale che diventerà a breve un deserto.
Sono i soldi dell'evasione.
Stilinga pensa che invece dobbiamo reagire: tanto per cominciare disertando le ridicole Primarie PD, poi chiedendo l'abolizione delle pensioni d'oro e soprattutto la patrimoniale come si deve ai ricchi!
Ricchi e poveri: la forbice della disuguaglianza in Italia
C'è almeno un ambito nel quale l'Italia primeggia: quello dei ricchi. I nostri ricchi, come ci ha raccontato Presa diretta lunedì sera, sono tra i più ricchi d'Europa. Se la passano proprio bene, in questo momento, e forse nemmeno sanno che mentre loro pasteggiano a caviale e champagne, 9 milioni di loro concittadini sono in una situazione di povertà relativa e altri 5 milioni sono in povertà assoluta.
Il "condominio Italia", nella metafora di Nunzia Penelope, mette ai piani alti proprio loro: superattico (famiglie che hanno 5 ml di beni di loro proprietà) e attico (9 ml di persone con 1 milione di beni) corrispodono circa al 10% della popolazione italiana che possiede circa il 50% delle ricchezze private del paese.
Parliamo di 9000 miliardi di euro, quasi 5 volte tanto il nostro debito, che però è pubblico.
Sotto i piani nobili c'è il ceto medio e le persone a rischio povertà: d'altronde lo stipendio medio degli italiani si attesta su 1100 euro, tremendamente vicino alla soglia di povertà, 1011.
Sotto i piani nobili c'è il ceto medio e le persone a rischio povertà: d'altronde lo stipendio medio degli italiani si attesta su 1100 euro, tremendamente vicino alla soglia di povertà, 1011.
Ci vuole poco per diventare improvvisamente poveri: una malattia, una spesa imprevista ...
Se non si cambia qualcosa, diventeremo sempre più un paese con forti differenze tra ricchi sempre più ricchi (che hanno tante possibilità per far studiare i figli, curarsi, divertirsi) e poveri sempre più poveri. Gente che deve rivolgersi alla Caritas per un pasto.
Presa diretta è andata a vedere come trascorrono le vacanze i vip a Porto Cervo, o nei circoli esclusivi di Roma (una delle città con il più alto numero di multimilionari in Europa). Yacht che si affittano per 1 milione di euro per sette giorni. Camere da letto di lusso che costano 38000 euro.
Vuoi affittarti una rolls? Costa 5000 euro al giorno. Così come le ville per trascorrere vacanze felici: l'affitto per una stagione costa 200000 euro.
Al circolo dell'antico tiro al volo trovi tutto per rilassarti: per la modica cifra di 30000 euro per l'iscrizione più 3500 di quota annuale, trovi campi da tennis, centro massaggi, ristoranti, piscine. Qui si trovano presidenti della corte costituzionale, del consiglio di Stato, politici, professionisti.
Epifani ha smentito la sua iscrizione, ma Bertinotti è stato ripreso ad una festa.
In questo posto, i ricchi possono incontrarsi tra loro senza rischio di mischiarsi ad altri ceti sociali, ti dicono. Questa gente ha i soldi e vuole il meglio. Non vuole preoccupazioni: come donna Marisela Federici, regina dei salotti.
Vuoi affittarti una rolls? Costa 5000 euro al giorno. Così come le ville per trascorrere vacanze felici: l'affitto per una stagione costa 200000 euro.
Al circolo dell'antico tiro al volo trovi tutto per rilassarti: per la modica cifra di 30000 euro per l'iscrizione più 3500 di quota annuale, trovi campi da tennis, centro massaggi, ristoranti, piscine. Qui si trovano presidenti della corte costituzionale, del consiglio di Stato, politici, professionisti.
Epifani ha smentito la sua iscrizione, ma Bertinotti è stato ripreso ad una festa.
In questo posto, i ricchi possono incontrarsi tra loro senza rischio di mischiarsi ad altri ceti sociali, ti dicono. Questa gente ha i soldi e vuole il meglio. Non vuole preoccupazioni: come donna Marisela Federici, regina dei salotti.
Che ha mostrato la sua casa, con stanze ad hoc per posate e bicchieri (grandi come la mia cucina soggiorno) e che di fronte alla domanda sulla crisi e sui suicidi ha risposto : "Non voglio essere cinica. Secondo me hanno un altro tipo di problemi. Hanno problemi mentali, più che economici o altro. Sono persone che hanno già una tara mentale che li porta a gesti disperati. Allora che parole useresti a gente che si trova in queste condizioni? Speranza è molto bello perché almeno ti fa riflettere. Poi sta a lui (loro, nda).".
E, a chi si lamenta " Lavorassero un po’ di più questi che si lamentano tanto. Che si mettessero a lavorare".
Eccoli qua: nemmeno sanno che è il lavoro il problema. E spesso, anche avere un lavoro non basta: non vieni pagato o vieni pagato poco e magari in nero.
I figli di questa nuova aristocrazia medioevale (il rinascimento era un'altra cosa) vanno a studiare all'estero, magari a Londra. I soldi danno opportunità che ad altri non sono concesse (un master alla London School of Economics costa 30000 euro).
Proprio a Londra gli italiani abbienti stanno investendo: qui in molti hanno comprato case nei quartieri più esclusivi. Scappano dalla zona euro, dalla austerity che viene lasciata a noi: non credono che l'Europa riuscirà ad uscire da questa situazione.
La patrimoniale in Italia è un tabù (come la lotta all'evasione): anche l'Imu sulle prime case è stata tolta, per tutti.
E il buco lasciato verrà riempito con i tagli al fondo per l'occupazione, il taglio per l'assuzione nelle forze dell'ordine per la lotta all'evasione.
Dal blog di Alessandro Gilioli:
300 milioni saranno tagliati alla manutenzione delle ferrovie.
250 milioni saranno tagliati al fondo per l’occupazione, cioè ai disoccupati.
300 milioni saranno tagliati allo sviluppo delle energie rinnovabili.
55 milioni saranno tagliati alle assunzioni nelle Forze dell’ordine.
30 milioni saranno tagliati all’attività dell’Agenzia delle entrate e al controllo sul lavoro nero.
Ancora incerti invece i 600 milioni che dovrebbero arrivare dal condono per i boss dell’azzardo: i re delle slot non vogliono pagare nemmeno quelli.
Ecco, queste sarebbero le "cose di sinistra": togliere un’imposta anche a chi possiede case di pregio per tagliare trasporto pubblico, occupazione, lotta all’evasione, energie rinnovabili.
Una patrimoniale la voleva fare l'ex banchiere Pietro Modiano: soldi da prendere ai super ricchi, da mettere subito in circolazione, per far si che riprenda la spesa interna. Aiutare chi oggi non riesce a spendere.
“Abbiamo ancora adesso bisogna di una patrimoniale – spiega Modiano a Iacona – perché siamo in una fase straordinaria, non c’è mai stata una crisi lunga cinque anni. Se noi riusciamo nell’operazione di trasferire risorse da chi ha una bassa propensione al consumo, che sono i ricchi, a chi ha un’alta propensione al consumo, possiamo far ripartire l’economia. Magari non di 200 miliardi di euro, ma la farei di 80 miliardi di euro. Io la farei sul patrimonio liquido di quel 10% degli italiani che sono più ricchi e che posseggono quasi il 50% di tutta la ricchezza privata del Paese. E questo ammontare di 80 miliardi di euro lo ripartirei in 4 anni, 20 miliardi all’anno, che è l’1% e rotti del Pil”
Torino: l'altra faccia della medaglia
Un distretto industriale che diventerà a breve un deserto.
5400 lavoratori di Mirafiori sono in cassa integrazione. Gente che si chiede che fine abbiano fatto i 20 miliardi promessi da Marchionne. Con la Fiat sta crollando l'indotto: Saturno, Lear, Mecaplast, FGA, De Tomaso sono i nomi di aziende in crisi, che hanno spostato la produzione all'estero, che sono chiuse.
Parliamo di circa 40000 persone in cassa integrazione: il giornalista Griseri di Repubblica ha stimato in500 ml, i soldi in meno nelle tasche di queste famiglie. Sono soldi che non circolano più nel torinese: meno ricchezza significa negozi e altre attività che chiudono.
Il ritmo, nei primi mesi del 2013, è 10 attività chiuse al giorno.
Gente che non riesce più a pagare bollette, le rate del mutuo, che deve rinunciare alla casa, alla macchine, ad una diginità. La crisi costringe le famiglie a fare delle rinuncie pesanti: sulle cure mediche, sul cibo. Il banco alimentare aiuta migliaia di persone, molte delle quali proprio italiane.
Come uscirne?
L'ex sindacalista Airaudo ha parlato di una caduta libera: dovremmo occuparci di creare lavoro puntando alla ristrutturazione delle scuole e degli edifici pubblici, per esempio. Come Roosvelt per il new deal.
Ma, ti dicono, servono soldi pubblici che ora non ci sono.
Sono i soldi spesi per il TAV o per i caccia F35. Sono i soldi condonati alle società dei giochi online.Sono i soldi dell'evasione.
Il professor Gallino ha stimato che per creare 500.000 posti, servirebbero 11 miliardi. Sono tanti, servirebbe fare delle scelte politiche ben precise. Scelte che questo esecutivo non sa (o non può) fare.
Iacona ha intervistato, nel finale, lo scrittore Baricco: "È entrato in bancarotta un modello", ha spiegato.
Un modello che si poggiava sulla non equità sociale e su una politica che svalorizza il lavoro, tra le altre cose. E tocca a noi ora tornare ad essere cittadini attivi. Sempre che ce lo lascino fare.
Perché non solo non possiamo scegliere gli eletti, ma nemmeno possiamo più andare ad elezioni. Visto che i nostri politici, questa legge non la cambiano.
Germans pay back the occupation loan to Greece!
"As Germans push austerity, Greeks push back"
By SUZANNE DALEY
Published: October 5, 2013
AMIRAS, Greece — As they moved through the isolated villages in this region in 1943, systematically killing men in a reprisal for an attack on a small outpost, German soldiers dragged Giannis Syngelakis’s father from his home here and shot him in the head. Within two days, more than 400 men were dead and the women left behind struggled with the monstrous task of burying so many corpses.
Mr. Syngelakis, who was 7 then, still wants payback. And in pursuing a demand for reparations from Germany, he reflects a growing movement here, fueled not just by historical grievances but also by deep resentment among his countrymen over Germany’s current power to dictate budget austerity to the fiscally crippled Greek government.
Germany may be Greece’s stern banker now, say those who are seeking reparations, but before it goes too far down that road, it should pay off its own debts to Greece.
“Maybe some of us have not paid our taxes,” Mr. Syngelakis said, standing beside the olive tree where his father died 70 years ago. “But that is nothing compared to what they did.”
It is not just aging victims of the Nazi occupation who are demanding a full accounting. Prime Minister Antonis Samaras’s government has compiled an 80-page report on reparations and a huge, never-repaid loan the nation was forced to make under Nazi occupation from 1941 to 1945.
Mr. Samaras has sent the report to Greece’s Legal Council of State, the agency that would build a legal case or handle settlement negotiations. But whether the government will press the issue with Germany remains unclear.
Some political analysts are doubtful that Athens will be willing to take on the Germans, who have provided more to the country’s bailout package than any other European nation.
Others, however, believe that the claims — particularly over the forced loan — could be an important bargaining chip in the months ahead as Greece and its creditors are expected to discuss ways to ease its enormous debt burden. Few here think it was an accident that details of the report were leaked to the Greek newspaper Real News on Sept. 22, the day that Germans went to the polls to hand a victory to Germany’s tough-talking chancellor, Angela Merkel.
“I can see a situation where it is politically difficult for the Germans to ease the terms for us,” said one high-ranking Greek official, who did not want his name used because he was not authorized to speak on the issue. “So instead, they agree to pay back the occupation loan. Maybe it is easier to sell that to the German public.”
So far, the Germans have given little indication that they are so inclined. During his latest visit to Athens in July, Germany’s finance minister, Wolfgang Schäuble, said, “We must examine exactly what happened in Greece.” But he insisted that Greece had waived its rights on the issue long ago.
The call for reparations has elicited an emotional outpouring in Greece, where six years of brutal recession and harsh austerity measures have left many Greeks hostile toward Germany. Rarely does a week go by without another report in the news about, as one newspaper put it in a headline, “What Germany Owes Us.”
The main opposition party, Syriza, has seized on the issue as well, with its leader, Alexis Tsipras, barnstorming across the country promising action to enthusiastic applause.
Estimates of how much money is at stake vary wildly. The government report does not cite a total. The figure most often discussed is $220 billion, an estimate for infrastructure damage alone put forward by Manolis Glezos, a member of Parliament and a former resistance fighter who is pressing for reparations. That amount equals about half the country’s debt.
Some members of the National Council on Reparations, an advocacy group, are calling for more than $677 billion to cover stolen artifacts, damage to the economy and to the infrastructure, as well as the bank loan and individual claims.
Even the figure for the bank loan is in dispute. The loan was made in Greek drachmas at a time of hyperinflation 70 years ago. Translating that into today’s currency is difficult, and the question of how much interest should be assessed is subject to debate. One conservative estimate by a former finance minister puts the debt from the loan at only $24 billion.
It is not hard to see why the issue is so attractive to many Greeks. It offers, if nothing else, a chance to take Germany down a peg. The last six years have hit Greek pride hard. Some here feel that the country’s officials are merely puppets these days, imposing whatever solutions the country’s creditors — the International Monetary Fund, the European Union and the European Central Bank — come up with.Experts say that the German occupation of Greece was brutal.
Germany requisitioned food from Greece even as Greeks went hungry.
By the end of the war, about 300,000 had starved to death. Greece also had an active resistance movement, which prompted frequent and horrific reprisals like the one that occurred here in Amiras, a small village in Crete. Some historians believe that 1,500 villages were singled out for such reprisals.
After the war, experts say, Greece got little in reparations. But few countries did. The Allies concentrated on rebuilding Germany, not wanting to once again impose crushing reparations bills as they did after World War I, an important factor, they believed, in bringing about World War II. Some German property was divvied up, but many claims were simply put off until East and West Germany might be reunited.
When that moment arrived, the world’s landscape had changed significantly. By then, the European Union was in place, Germany was contributing more to the bloc’s budget than it was getting back, and, some experts say, the books were closed. (Germany has paid huge reparations to Israel in the name of the Jewish people at large, and the German government, German companies and a number of other institutions established a multibillion-dollar fund to compensate those forced to perform labor during Nazi internment.)
Yet some groups in Greece have long felt that Germany still owes victims like Mr. Syngelakis. And others, now looking back, believe that Germany was let off the hook back then and should be more generous now in Greece’s hour of need.
A few individual cases have made their way through the Greek courts, including one representing the victims of a massacre in Distomo in 1944. Germans rampaged through the village gutting pregnant women, bayoneting babies and setting homes on fire, witnesses have said. Lawyers for Distomo won a judgment of $38 million in Greece. But the Greek government has never given permission to lay claim to German property in Greece as a way of collecting on the debt.
Christina Stamoulis, whose father was a lawyer on that case, said that many older people in Greece had only recently started talking about what happened in the war, in some cases because older Germans had arrived in their villages with their grandchildren wanting forgiveness.
“O.K., apologize,” Ms. Stamoulis said. “But we are expecting actions, too.”
Experts say that Germany is highly unlikely to want to revisit issues of reparations with Greece, since other countries would be likely to make similar claims. But some believe that Greece might have a shot at getting repayment on the bank loan.
“What is unusual about that loan is that there is a written agreement,” said Katerina Kralova, the author of “In the Shadow of Occupation: The Greek-German Relations During the Period 1940-2010.” “In other countries, the Germans just took the money.”
Asked about the 80-page report, officials of the Greek Foreign Ministry said that Greece had no intention of mingling war claims with the current financial situation. But, they said, its reparations claims are still valid. “The issue has been brought forward repeatedly, as per the international laws, both on a political and on a diplomatic level, on a bilateral basis, in a direct and utterly documented way, among partners, friends and allies,” said one official, who declined to be named as is common practice here.
For those who survived the Amiras massacre, a crushing poverty set in. Mr. Syngelakis said his mother sometimes scrounged for edible weeds to feed her children. He did not have shoes until he was a teenager.
“Back then, they destroyed us with guns,” Mr. Syngelakis said, the anger still clear. “Today, they do it financially.”
"As Germans push austerity, Greeks push back"
By SUZANNE DALEY
By SUZANNE DALEY
Published: October 5, 2013
AMIRAS, Greece — As they moved through the isolated villages in this region in 1943, systematically killing men in a reprisal for an attack on a small outpost, German soldiers dragged Giannis Syngelakis’s father from his home here and shot him in the head. Within two days, more than 400 men were dead and the women left behind struggled with the monstrous task of burying so many corpses.
Mr. Syngelakis, who was 7 then, still wants payback. And in pursuing a demand for reparations from Germany, he reflects a growing movement here, fueled not just by historical grievances but also by deep resentment among his countrymen over Germany’s current power to dictate budget austerity to the fiscally crippled Greek government.
Germany may be Greece’s stern banker now, say those who are seeking reparations, but before it goes too far down that road, it should pay off its own debts to Greece.
“Maybe some of us have not paid our taxes,” Mr. Syngelakis said, standing beside the olive tree where his father died 70 years ago. “But that is nothing compared to what they did.”
It is not just aging victims of the Nazi occupation who are demanding a full accounting. Prime Minister Antonis Samaras’s government has compiled an 80-page report on reparations and a huge, never-repaid loan the nation was forced to make under Nazi occupation from 1941 to 1945.
Mr. Samaras has sent the report to Greece’s Legal Council of State, the agency that would build a legal case or handle settlement negotiations. But whether the government will press the issue with Germany remains unclear.
Some political analysts are doubtful that Athens will be willing to take on the Germans, who have provided more to the country’s bailout package than any other European nation.
Others, however, believe that the claims — particularly over the forced loan — could be an important bargaining chip in the months ahead as Greece and its creditors are expected to discuss ways to ease its enormous debt burden. Few here think it was an accident that details of the report were leaked to the Greek newspaper Real News on Sept. 22, the day that Germans went to the polls to hand a victory to Germany’s tough-talking chancellor, Angela Merkel.
“I can see a situation where it is politically difficult for the Germans to ease the terms for us,” said one high-ranking Greek official, who did not want his name used because he was not authorized to speak on the issue. “So instead, they agree to pay back the occupation loan. Maybe it is easier to sell that to the German public.”
So far, the Germans have given little indication that they are so inclined. During his latest visit to Athens in July, Germany’s finance minister, Wolfgang Schäuble, said, “We must examine exactly what happened in Greece.” But he insisted that Greece had waived its rights on the issue long ago.
The call for reparations has elicited an emotional outpouring in Greece, where six years of brutal recession and harsh austerity measures have left many Greeks hostile toward Germany. Rarely does a week go by without another report in the news about, as one newspaper put it in a headline, “What Germany Owes Us.”
The main opposition party, Syriza, has seized on the issue as well, with its leader, Alexis Tsipras, barnstorming across the country promising action to enthusiastic applause.
Estimates of how much money is at stake vary wildly. The government report does not cite a total. The figure most often discussed is $220 billion, an estimate for infrastructure damage alone put forward by Manolis Glezos, a member of Parliament and a former resistance fighter who is pressing for reparations. That amount equals about half the country’s debt.
Some members of the National Council on Reparations, an advocacy group, are calling for more than $677 billion to cover stolen artifacts, damage to the economy and to the infrastructure, as well as the bank loan and individual claims.
Even the figure for the bank loan is in dispute. The loan was made in Greek drachmas at a time of hyperinflation 70 years ago. Translating that into today’s currency is difficult, and the question of how much interest should be assessed is subject to debate. One conservative estimate by a former finance minister puts the debt from the loan at only $24 billion.
It is not hard to see why the issue is so attractive to many Greeks. It offers, if nothing else, a chance to take Germany down a peg. The last six years have hit Greek pride hard. Some here feel that the country’s officials are merely puppets these days, imposing whatever solutions the country’s creditors — the International Monetary Fund, the European Union and the European Central Bank — come up with.Experts say that the German occupation of Greece was brutal.
Germany requisitioned food from Greece even as Greeks went hungry.
By the end of the war, about 300,000 had starved to death. Greece also had an active resistance movement, which prompted frequent and horrific reprisals like the one that occurred here in Amiras, a small village in Crete. Some historians believe that 1,500 villages were singled out for such reprisals.
After the war, experts say, Greece got little in reparations. But few countries did. The Allies concentrated on rebuilding Germany, not wanting to once again impose crushing reparations bills as they did after World War I, an important factor, they believed, in bringing about World War II. Some German property was divvied up, but many claims were simply put off until East and West Germany might be reunited.
When that moment arrived, the world’s landscape had changed significantly. By then, the European Union was in place, Germany was contributing more to the bloc’s budget than it was getting back, and, some experts say, the books were closed. (Germany has paid huge reparations to Israel in the name of the Jewish people at large, and the German government, German companies and a number of other institutions established a multibillion-dollar fund to compensate those forced to perform labor during Nazi internment.)
Yet some groups in Greece have long felt that Germany still owes victims like Mr. Syngelakis. And others, now looking back, believe that Germany was let off the hook back then and should be more generous now in Greece’s hour of need.
A few individual cases have made their way through the Greek courts, including one representing the victims of a massacre in Distomo in 1944. Germans rampaged through the village gutting pregnant women, bayoneting babies and setting homes on fire, witnesses have said. Lawyers for Distomo won a judgment of $38 million in Greece. But the Greek government has never given permission to lay claim to German property in Greece as a way of collecting on the debt.
Christina Stamoulis, whose father was a lawyer on that case, said that many older people in Greece had only recently started talking about what happened in the war, in some cases because older Germans had arrived in their villages with their grandchildren wanting forgiveness.
“O.K., apologize,” Ms. Stamoulis said. “But we are expecting actions, too.”
Experts say that Germany is highly unlikely to want to revisit issues of reparations with Greece, since other countries would be likely to make similar claims. But some believe that Greece might have a shot at getting repayment on the bank loan.
“What is unusual about that loan is that there is a written agreement,” said Katerina Kralova, the author of “In the Shadow of Occupation: The Greek-German Relations During the Period 1940-2010.” “In other countries, the Germans just took the money.”
Asked about the 80-page report, officials of the Greek Foreign Ministry said that Greece had no intention of mingling war claims with the current financial situation. But, they said, its reparations claims are still valid. “The issue has been brought forward repeatedly, as per the international laws, both on a political and on a diplomatic level, on a bilateral basis, in a direct and utterly documented way, among partners, friends and allies,” said one official, who declined to be named as is common practice here.
For those who survived the Amiras massacre, a crushing poverty set in. Mr. Syngelakis said his mother sometimes scrounged for edible weeds to feed her children. He did not have shoes until he was a teenager.
“Back then, they destroyed us with guns,” Mr. Syngelakis said, the anger still clear. “Today, they do it financially.”
7-This is Italy: Lampedusa
Da: http://www.corriere.it/esteri/13_ottobre_06/lampedusa-riprende-ricerca-dispersi-63297850-2e56-11e3-9d21-b46496cc2a61.shtml
Riprendono le ricerche dei dispersi del naufragio davanti all’isola dei Conigli: i sommozzatori della Guardia Costiera, della Guardia di Finanza e dei Vigili del Fuoco, assieme ai palombari della Marina,hanno ricominciato a immergersi nei pressi del relitto. Sono infatti migliorate le condizioni meteo-marine. Due giorni di scirocco e mare mosso avevano permesso finora solo una perlustrazione aerea della zona. Secondo le testimonianze dei migranti sopravvissuti, sulla barca c’erano 518 persone: se il numero è vero, significa che in fondo al mare ci sono ancora oltre 250 persone.
IL GIORNO DEL LUTTO - Sabato era stato il giorno del lutto. Le bare dei 111 migranti scomparsi giovedì tra le onde al largo di Lampedusa sono state allineate nell’hangar dell’aeroporto per una cerimonia di commemorazione a cui ha preso parte il presidente della Camera Laura Boldrini e molti dei superstiti al naufragio. Nel frattempo ha infiammato la polemica. Da un lato sui soccorsi, che per alcuni testimoni, sono stati ritardati da burocrazia e dall’eccessiva cautela della Capitaneria di Porto. Dall’altro per le indagini, condotte dalla Procura di Agrigento. È infatti stato confermato che saranno presto iscritti sul registro degli indagati i 152 immigrati sopravvissuti al naufragio. Un atto dovuto secondo i magistrati, per via della modifica alla legge Bossi-Fini del 2009 che impone certi provvedimenti. Ma non di meno suscita clamore e proteste nel mondo politico di fronte una simile strage. Per il presidente del Senato, Piero Grasso, si tratta di «conseguenze inumane». Secondo il leader di Sel, Nichi Vendola è invece «una vergogna»
06 ottobre 2013
Iscriviti a:
Post (Atom)