Il caso Alcoa e i doveri di un governo - micromega-online - micromega
Cara Signora Fornero,
torni sulla terra degli umani e abbandoni le posizioni da "cretinetti" e da alienata dall'umanità che evidentemente il Bilderberg Club le ha suggerito!
This is the fashion blog of Stilinga, a fashion designer who works from home. She is from Rome, Italy and she writes about trends, things she loves to do in Rome and art. Questo è il fashion blog, e non solo, di stilinga (una stilista che lavora da casa - è una stilista-casalinga) e che spesso tra una creazione di moda e l'altra, tra ricerche e fiere, si occupa anche del suo quotidiano e del contesto in cui vive.
Monte dei Paschi in rosso per 1,61 miliardi, verso la “nazionalizzazione” - Il Fatto Quotidiano
Monte dei Paschi in rosso per 1,61 miliardi, verso la “nazionalizzazione” - Il Fatto Quotidiano
La gestione assurda di Mussari ha determinato il rosso di MPS e Mussari lo hanno pure premiato con il nuovo prestigioso incarico di presidente dell'ABI, ma che mondo al rovescio è???
La gestione assurda di Mussari ha determinato il rosso di MPS e Mussari lo hanno pure premiato con il nuovo prestigioso incarico di presidente dell'ABI, ma che mondo al rovescio è???
Questa persona non è morta invano.
Da: http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2012/08/19/APlrTRED-davanti_camera_diede.shtml
Morto l’uomo che si diede fuoco davanti alla Camera
Due carabinieri sul luogo dove si era dato fuoco Angelo di Carlo
ARTICOLI CORRELATI
Roma - È morto all’alba Angelo di Carlo, 54 anni, originario di Roma ma da anni trasferitosi a Forlì, che l’11 agosto si era dato fuoco davanti a Montecitorio, per protesta contro il suo stato di disoccupazione visto che da anni lottava con la precarietà. L’uomo, ricoverato da allora all’ospedale Sant’Eugenio di Roma, era rimasto ustionato sull’85% del corpo. Era l’una di notte quando l’operaio arrivò in piazza Montecitorio, tirò fuori una bottiglia colma di liquido infiammabile e se lo versò addosso, poi con un accendino si diede fuoco.
Avvolto dalla fiamme si lancio verso l’ingresso dellaCamera dei Deputati. I carabinieri, sempre presenti nella piazza, intervennero con gli estintori riuscendo a spegnere quel corpo diventato una torcia. L’uomo venne ricoverato in prognosi riservata al Sant’Eugenio con ustioni di secondo e terzo grado sull’85 per cento del corpo. L’operaio, vedovo, aveva grosse difficoltà economiche a causa della perdita del lavoro, ed era impegnato in un contenzioso con i tre fratelli per un’eredità. Nello zainetto che aveva con sé c’erano, due lettere, una per il figlio, a cui ha lasciato 160 euro.
Luciano Gallino "Sulla crisi pesano i debiti delle banche"
SULLA CRISI PESANO I DEBITI DELLE BANCHE (Luciano Gallino).
IL 20 luglio la Camera ha approvato il “Patto fiscale”, trattato Ue che impone di ridurre il debito pubblico al 60% del Pil in vent’anni.
Comporterà per l’Italia una riduzione del debito di una cinquantina di miliardi l’anno, dal 2013 al 2032.
Una cifra mostruosa che lascia aperte due sole possibilità: o il patto non viene rispettato, o condanna il Paese a una generazione di povertà.
Approvando senza un minimo di discussione il testo la maggioranza parlamentare ha però fatto anche di peggio. Ha impresso il sigillo della massima istituzione della democrazia a una interpretazione del tutto errata della crisi iniziata nel 2007.
Quella della vulgata che vede le sue cause nell’eccesso di spesa dello Stato, soprattutto della spesa sociale.
In realtà le cause della crisi sono da ricercarsi nel sistema finanziario, cosa di cui nessuno dubitava sino agli inizi del 2010.
Da quel momento in poi ha avuto inizio l’operazione che un analista tedesco ha definito il più grande successo di relazioni pubbliche di tutti i tempi: la crisi nata dalle banche è stata mascherata da crisi del debito pubblico.
In sintesi la crisi è nata dal fatto che le banche Ue (come si continuano a chiamare, benché molte siano conglomerati finanziari formati da centinaia di società, tra le quali vi sono anche delle banche) sono gravate da una montagna di debiti e di crediti, di cui nessuno riesce a stabilire l’esatto ammontare né il rischio di insolvenza.
Ciò avviene perché al pari delle consorelle Usa esse hanno creato, con l’aiuto dei governi e della legislazione, una gigantesca “finanza ombra”, un sistema finanziario parallelo i cui attivi e passivi non sono registrati in bilancio, per cui nessuno riesce a capire dove esattamente siano collocati né a misurarne il valore.
La finanza ombra è formata da varie entità che operano come banche senza esserlo. Molti sono fondi: monetari, speculativi, di investimento, immobiliari.
Il maggior pilastro di essa sono però le società di scopo create dalle banche stesse, chiamate Veicoli di investimento strutturato (acronimo Siv) o Veicoli per scopi speciali (Spv) e simili.
Il nome di veicoli è quanto mai appropriato, perché essi servono anzitutto a trasportare fuori bilancio i crediti concessi da una banca, in modo che essa possa immediatamente concederne altri per ricavarne un utile.
Infatti, quando una banca concede un prestito, deve versare una quota a titolo di riserva alla banca centrale (la Bce per i paesi Ue).
Accade però che se continua a concedere prestiti, ad un certo punto le mancano i capitali da versare come riserva.
Ecco allora la grande trovata: i crediti vengono trasformati in un titolo commerciale, venduti in tale forma a un Siv creato dalla stessa banca, e tolti dal bilancio.
Con ciò la banca può ricominciare a concedere prestiti, oltre a incassare subito l’ammontare dei prestiti concessi, invece di aspettare anni come avviene ad esempio con un mutuo.
Mediante tale dispositivo, riprodotto in centinaia di esemplari dalle maggiori banche Usa e Ue, spesso collocati in paradisi fiscali, esse hanno concesso a famiglie, imprese ed enti finanziari trilioni di dollari e di euro che le loro riserve, o il loro capitale proprio, non avrebbero mai permesso loro di concedere.
Creando così rischi gravi per l’intero sistema finanziario. I Siv o Spv presentano infatti vari inconvenienti.
Anzitutto, mentre gestiscono decine di miliardi, comprando crediti dalle banche e rivendendoli in forma strutturata a investitori istituzionali, hanno una consistenza economica ed organizzativa irrisoria.
Come notavano già nel 2006 due economisti americani, G. B. Gorton e N. S. Souleles, «i Spv sono essenzialmente società robot che non hanno dipendenti, non prendono decisioni economiche di rilievo, né hanno una collocazione fisica».
Uno dei casi esemplari citati nella letteratura sulla finanza ombra è il Rhineland Funding, un Spv creato dalla banca tedesca IKB, che nel 2007 aveva un capitale proprio di 500 (cinquecento) dollari e gestiva un portafoglio di crediti cartolarizzati di 13 miliardi di euro.
L’esilità strutturale dei Siv o Spv comporta che la separazione categorica tra responsabilità della banca sponsor, che dovrebbe essere totale, sia in realtà insostenibile.
A ciò si aggiunge il problema della disparità dei periodi di scadenza dei titoli comprati dalla banca sponsor e di quelli emessi dal veicolo per finanziare l’acquisto. Se i primi, per dire, hanno una scadenza media di 5 anni, ed i secondi una di 60 giorni, il veicolo interessato deve infallibilmente rinnovare i prestiti contratti, cioè i titoli emessi, per trenta volte di seguito. In gran numero di casi, dal 2007 in poi, tale acrobazia non è riuscita, ed i debiti di miliardi dei Siv sono risaliti con estrema rapidità alle banche sponsor.
La finanza ombra è stata una delle cause determinanti della crisi finanziaria esplosa nel 2007.
In Usa essa è discussa e studiata fin dall’estate di quell’anno.
Nella Ue sembrano essersi svegliati pochi mesi fa. Un rapporto del Financial Stability Board dell’ottobre 2011 stimava la sua consistenza nel 2010 in 60 trilioni di dollari, di cui circa 25 in Usa e altrettanti in cinque paesi europei: Francia, Germania, Italia, Olanda e Spagna.
La cifra si suppone corrisponda alla metà di tutti gli attivi dell’eurozona.
Il rapporto, arditamente, raccomandava di mappare i differenti tipi di intermediari finanziari che non sono banche.
Un green paperdella Commissione europea del marzo 2012 precisa che si stanno esaminando regole di consolidamento delle entità della finanza ombra in modo da assoggettarle alle regole dell’accordo interbancario Basilea 3 (portare in bilancio i capitali delle banche che ora non vi figurano).
A metà giugno il ministro italiano dell’Economia – cioè Mario Monti – commentava il green paper: «È importante condurre una riflessione sugli effetti generali dei vari tipi di regolazione attraverso settori e mercati e delle loro potenziali conseguenze inattese».
Sono passati cinque anni dallo scoppio della crisi.
Nella sua genesi le banche europee hanno avuto un ruolo di primissimo piano a causa delle acrobazie finanziarie in cui si sono impegnate, emulando e in certi casi superando quelle americane.
Ogni tanto qualche acrobata cade rovinosamente a terra; tra gli ultimi, come noto, vi sono state grandi banche spagnole.
Frattanto in pochi mesi i governi europei hanno tagliato pensioni, salari, fondi per l’istruzione e la sanità, personale della PA, adducendo a motivo l’inaridimento dei bilanci pubblici.
Che è reale, ma è dovuto principalmente ai 4 trilioni di euro spesi o impegnati nella Ue al fine di salvare gli enti finanziari: parola di José Manuel Barroso.
Per contro, in tema di riforma del sistema finanziario essi si limitano a raccomandare, esaminare e riflettere. Tra l’errore della diagnosi, i rimedi peggiori del male e l’inanità della politica, l’uscita dalla crisi rimane lontana.
Da La Repubblica del 30/07/2012.
Rai Tre La Grande Storia - Venerdì 13 luglio 2012
Rai Tre La Grande Storia - Venerdì 13 luglio 2012
da non perdere: soprattutto la parte riguardante il mostro disumano di Mengele!
da non perdere: soprattutto la parte riguardante il mostro disumano di Mengele!
Monti non ama la concertazione, ma da dove viene?
Ma emerito professore Mario Monti, Stilinga le chiede davvero dove ha vissuto finora:
forse sul pianeta delle istituzioni europee staccato dalla realtà? e sul quel pianeta ha incontrato altri alieni tipo Elsa Fornero?
Si renda conto che il liberismo, da cui lei proviene e di cui il suo immaginario e composto, è alle secche!
Ormai i disastri prodotti da questa visione nefasta li avrà pure lei sotto gli occhi, e se non ora lo capirà forse tra tre mesi, altrimenti glielo anticipiamo noi:
il liberismo sfrenato e il potere delle banche è arrivato a fine corsa, la sua arroganza gli ha impedito di capire che il mondo reale è composto da persone e queste unite fanno concetti come "popolo" e concetti quali "popolo" a volte, proprio quando l'economia determina recessione, disoccupazione, austerità, si uniscono ad altri concetti quali "rivoluzione", ma anche purtroppo "dittature" e a volte (quasi sempre) sanguinarie.
Strano che fior fiori di economisti non abbiamo una conoscenza, almeno rozza, della storia contemporanea e di quella moderna!
Inoltre, dalla svalutazione del lavoro, determinata dagli stessi liberisti, sempre in cerca di lavoro low cost, forse siamo finalmente arrivati al concetto di dare nuovamente valore al lavoro e dare valore significa lavorare con creanza, con prospettive a lungo termine, con diritti assicurati, condivisi ed equi, con tempi umani che rendono i prodotti giusti e duraturi, visto che adesso qualsiasi prodotto è ricco di deficienze intrinseche dovute alla obsolescenza programmata e alla rapidità produttiva che può solo realizzare prodotti fessi.
E i prodotti fessi sono quelli creati da persone alienate dal carico di ore lavorate e alienate dalla mancanza di diritti.
E 'sti prodotti fessi chi li compra ora?
gli europei meridionali che non producono più e di conseguenza non guadagnano, non se li possono più comprare e allora?
E allora la domanda cala, anzi è già calata, e bisognerà ripensare il sistema stesso, che si è sfasciato (e ha pure inquinato il pianeta terra, per mobilitare in modo insensato i prodotti che girano per il mondo prima di essere completati).
Tale sistema idiota è intriso di nazismo e di totale cancellazione dei diritti umani.
Caro (si fa per dire) Mario Monti,
ma davvero lei non capisce come sbollire la pentola a pressione del paese Italia in questo momento? e si permette pure di asserire che la concertazione non serve!
Forse serve la concentrazione?
e allora si concentri!
E la smetta andare in giro per il mondo ai vuoti summit, dove l'unico obiettivo è quello di farsi fotografare con altri extraterrestri come lei! visto la penuria di risultati ottenuti e visto in che caos siamo e mi dispiace deluderla, in questo caos ci si trova pure lei che viene da un altro pianeta.
forse sul pianeta delle istituzioni europee staccato dalla realtà? e sul quel pianeta ha incontrato altri alieni tipo Elsa Fornero?
Si renda conto che il liberismo, da cui lei proviene e di cui il suo immaginario e composto, è alle secche!
Ormai i disastri prodotti da questa visione nefasta li avrà pure lei sotto gli occhi, e se non ora lo capirà forse tra tre mesi, altrimenti glielo anticipiamo noi:
il liberismo sfrenato e il potere delle banche è arrivato a fine corsa, la sua arroganza gli ha impedito di capire che il mondo reale è composto da persone e queste unite fanno concetti come "popolo" e concetti quali "popolo" a volte, proprio quando l'economia determina recessione, disoccupazione, austerità, si uniscono ad altri concetti quali "rivoluzione", ma anche purtroppo "dittature" e a volte (quasi sempre) sanguinarie.
Strano che fior fiori di economisti non abbiamo una conoscenza, almeno rozza, della storia contemporanea e di quella moderna!
Inoltre, dalla svalutazione del lavoro, determinata dagli stessi liberisti, sempre in cerca di lavoro low cost, forse siamo finalmente arrivati al concetto di dare nuovamente valore al lavoro e dare valore significa lavorare con creanza, con prospettive a lungo termine, con diritti assicurati, condivisi ed equi, con tempi umani che rendono i prodotti giusti e duraturi, visto che adesso qualsiasi prodotto è ricco di deficienze intrinseche dovute alla obsolescenza programmata e alla rapidità produttiva che può solo realizzare prodotti fessi.
E i prodotti fessi sono quelli creati da persone alienate dal carico di ore lavorate e alienate dalla mancanza di diritti.
E 'sti prodotti fessi chi li compra ora?
gli europei meridionali che non producono più e di conseguenza non guadagnano, non se li possono più comprare e allora?
E allora la domanda cala, anzi è già calata, e bisognerà ripensare il sistema stesso, che si è sfasciato (e ha pure inquinato il pianeta terra, per mobilitare in modo insensato i prodotti che girano per il mondo prima di essere completati).
Tale sistema idiota è intriso di nazismo e di totale cancellazione dei diritti umani.
Caro (si fa per dire) Mario Monti,
ma davvero lei non capisce come sbollire la pentola a pressione del paese Italia in questo momento? e si permette pure di asserire che la concertazione non serve!
Forse serve la concentrazione?
e allora si concentri!
E la smetta andare in giro per il mondo ai vuoti summit, dove l'unico obiettivo è quello di farsi fotografare con altri extraterrestri come lei! visto la penuria di risultati ottenuti e visto in che caos siamo e mi dispiace deluderla, in questo caos ci si trova pure lei che viene da un altro pianeta.
Berlusconi e le elezioni 2013
Pare che Berlusconi abbia deciso (ma per Stilinga era un dato di fatto) di riscendere in campo per le elezioni italiane 2013: Stilinga auspica che Berlusconi scenda sì in campo, ma per ZAPPARE!
E vediamo se almeno questa attività lo ritempri e soprattutto gli riesca, visto che come imprenditore è assai lacunoso, sempre intrigato, sempre a prendere i soldi di altre organizzazioni, sempre a salvare le sue televisioni con la "discesa" in campo... e che noia!
Noi ci auguriamo, anzi, gli auguriamo davvero che questa sia la volta buona per il campo agricolo!
In fondo, se le sue televisioni vanno male, ci sarà una ragione: forse i programmi inguardabili? forse la programmazione del cavolo (e riecco l'ambito agricolo)? forse la sottovalutazione del pubblico?
Ma invece di scendere in campo, se il cavaliere si occupasse direttamente di creare programmi, programmazioni, televisioni competitive in un mercato davvero libero e ci dimostrasse di esserne davvero capace, può darsi che allora Silviotto si sentirebbe davvero virile e non dovrebbe mantenere l'orda delle Olgettine, sarebbe finalmente soddisfatto di sè! e tanto meno ce le rifilerebbe a destra e a manca, dalla politica ai media.
Dai Silvio impegnati! vai a lavorare!
E vediamo se almeno questa attività lo ritempri e soprattutto gli riesca, visto che come imprenditore è assai lacunoso, sempre intrigato, sempre a prendere i soldi di altre organizzazioni, sempre a salvare le sue televisioni con la "discesa" in campo... e che noia!
Noi ci auguriamo, anzi, gli auguriamo davvero che questa sia la volta buona per il campo agricolo!
In fondo, se le sue televisioni vanno male, ci sarà una ragione: forse i programmi inguardabili? forse la programmazione del cavolo (e riecco l'ambito agricolo)? forse la sottovalutazione del pubblico?
Ma invece di scendere in campo, se il cavaliere si occupasse direttamente di creare programmi, programmazioni, televisioni competitive in un mercato davvero libero e ci dimostrasse di esserne davvero capace, può darsi che allora Silviotto si sentirebbe davvero virile e non dovrebbe mantenere l'orda delle Olgettine, sarebbe finalmente soddisfatto di sè! e tanto meno ce le rifilerebbe a destra e a manca, dalla politica ai media.
Dai Silvio impegnati! vai a lavorare!
Ior, la banca più amata da Monti
Marco Politi in “il Fatto Quotidiano” del 6 luglio 2012.
Lo Ior non passa ancora l’esame delle autorita? finanziarie europee. Dietro gli annunci ottimisti del Vaticano, secondo cui si è “sulla buona strada”, rimane il fatto che su 16 requisiti cruciali elencati lo Ior rimane inadempiente per 7.
Dice il viceministro degli Esteri vaticano, mons. Ettore Ballestrero, recatosi personalmente a Strasburgo a dimostrazione del bruciante interesse della Santa Sede a far parte della “Lista bianca”
degli Stati affidabili in tema di riciclaggio, che entrare nel sistema Moneyval richiede la necessita? di “apprendere in breve tempo il linguaggio, le regole, le tecniche di un sistema complesso”.
Un prelato qual è mons. Ballestrero non ha bisogno per la sua missione di padroneggiare le sottigliezze del sistema bancario. Sarebbe ridicolo, invece, affermare che il direttore dello Ior, Paolo Cipriani, si sia trovato improvvisamente impreparato, come Alice nel paese delle meraviglie, dinanzi alle regole di trasparenza, che Moneyval esige. Cipriani proviene dal Banco di Santo Spirito e dalla Banca di Roma, è stato rappresentante di questi istituti a New York e a Londra: il massimo della finanza mondiale.
PUO' SPIEGARE allora perchè a un anno e mezzo dal decreto di Benedetto XVI – che impegnava lo Ior a una totale trasparenza – la banca vaticana non si è messa ancora al passo con le regole internazionali?
Una settimana fa, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Lombardi, si era sforzato di aprire una breccia nei misteri dello Ior, organizzando un briefing nella sede dell’istituto. Cipriani non ha avuto il coraggio di accettare il gioco delle libere domande dei giornalisti e fino a quando non lo farà, i discorsi più belli rimarranno a metà strada.
Perchè nelle democrazie occidentali funziona così: si risponde senza rete all’opinione pubblica.
La cosa più sconcertante nelle ultime vicende riguardanti lo Ior riguarda tuttavia la notizia – pubblicata ieri dal solo Fatto Quotidiano – che il governo italiano ha imbavagliato la delegazione dei funzionari della squadra antiriciclaggio della Banca d’Italia, impedendo loro di esprimere le proprie valutazioni professionali sulla condotta tenuta sinora dalla banca vaticana.
Va detto in proposito che a tutt’oggi, i dirigenti dello Ior non hanno ancora fornito dati precisi su che fine abbiano fatto i celebri (e spesso opachi) conti correnti presso l’istituto dei cosiddetti “laici esterni”, cioè di quelle persone che non appartengono assolutamente alla lista rigorosa di persone abilitate ad averne uno.
Conti esterni di cui il faccendiere Bisignani è figura simbolica, ma non l’unica.
Non importa qui indagare attraverso quali canali contorti si sia espresso il veto. Contano i fatti. Il direttore dell’Unità di Informazione Finanziaria (Uif) della Banca d’Italia, Giovanni Castaldi, ha ritirato i suoi due delegati dalla riunione di Strasburgo perchè impossibilitato a fare il proprio dovere.
E' evidente che in un consesso internazionale – a una scadenza cruciale per Oltretevere – il governo Monti ha voluto fare un favore macroscopico alla Santa Sede, privo di qualsiasi motivazione (diciamo così) professionale.
E' un episodio che fa cadere le braccia specialmente a coloro che hanno sempre provato stima per il “tecnico” Monti e il suo stile da gentiluomo.
All’assemblea Moneyval di Strasburgo proprio il governo tecnico italiano si è comportato da politicante, impedendo ai “tecnici” della Banca d’Italia di dare il proprio giudizio su ciò che manca allo Ior per presentarsi pulito sulla scena europea.
Da chi è stato commissario Ue per il mercato interno e per la concorrenza, da un liberale per il quale la pulizia e le regole del sistema finanziario dovrebbero essere la stella polare, questo “sopire… troncare… sopire” era lecito non aspettarselo.
L’INCIDENTE non è peraltro isolato.
E' la terza volta che il governo Monti, abituato a usare il guanto ruvido con i ceti popolari, i pensionati e gli operai, fa dei favori incomprensibili e inaccettabili al Vaticano nel momento in cui tutti sono chiamati – e tanti cittadini ci credono anche – a stringere la cinghia per risollevare le sorti dell’Italia.
Implacabile nel chiedere a ogni padre di famiglia di pagare gli aumenti Imu sull’unghia nel 2012, Monti ha disposto che gli enti ecclesiastici (evasori da anni) la paghino soltanto nel 2013.
Non esiste uno straccio di ragione economica che giustifichi questo privilegio.
Ancora: mentre gli italiani redigevano la loro dichiarazione dei redditi, Monti si è rifiutato di indicare la destinazione della quota dell’8 per mille, che va allo Stato per “iniziative umanitarie”. Avrebbe potuto dire che andava ai terremotati dell’Emilia. Non lo ha fatto. Il governo ha taciuto, perchè è noto che il Vaticano esige che non vi sia pubblicità “concorrente” quando si tratta dell’8 per mille.
Lo scandalo di Strasburgo si inserisce in una linea di per sè inquietante.
Laicità non significa denigrare la religione.
Laicità significa che nessuna confessione può imporre i propri interessi alla comunità nazionale. Laicità significa la regola aurea del costituzionalismo americano: nessun comportamento dello Stato per “ostacolare o favorire una religione”.
Questa laicità gli italiani hanno il diritto di pretenderla dal liberale cattolico Monti.
E visto che si parla di spending review, gli italiani hanno il diritto di pretendere anche dal premier di attivare la commissione bilaterale italo-vaticana per rivedere il gettito dell’8 per mille, molto ma molto superiore a quelli che sono i bisogni reali della struttura della Chiesa in rapporto agli anni Ottanta (quando c’erano assai piu? preti).
Aledanno e Piazza San Silvestro...no words!
Piazza San Silvestro a Roma è impraticabile per i non vedenti:
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/07/06/percorso-vedenti-funziona-lunione-italiana-ciechi-passa-allincasso/200991/
e Stilinga si chiede: ma quando ne combinerà una giusta il sindaco de Roma Capitale dello scempio italico?
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/07/06/percorso-vedenti-funziona-lunione-italiana-ciechi-passa-allincasso/200991/
e Stilinga si chiede: ma quando ne combinerà una giusta il sindaco de Roma Capitale dello scempio italico?
Riforma del lavoro, Ranci : "I veri perdenti sono ancora una volta le partite Iva"
Riforma del lavoro, Ranci : "I veri perdenti sono ancora una volta le partite Iva" di Michael Pontrelli.
Da http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/12/06/intervista_ranci_partite_iva.html
Una indagine condotta da Costanzo Ranci, sociologo economico del Politecnico di Milano, ha messo in evidenza che in Italia il numero delle partite Iva individuali è pari a 5,7 milioni.
Un esercito di lavoratori di cui si parla relativamente poco se non per mettere in evidenza che si tratta di un’area caratterizzata da una forte evasione fiscale.
La realtà fatta emergere da Ranci nella sua analisi è invece molto più complessa.
Affianco ad un ristretto numero di imprenditori e liberi professionisti benestanti e privilegiati esiste un grandissimo numero di lavoratori che vivono sulla soglia della povertà e che soffrono più di qualsiasi altra categoria professionale gli effetti della crisi economica in corso.
La riforma del lavoro del governo Monti, nonostante le intenzioni sbandierate dal ministro al Welfare Elsa Fornero, anziché aiutare le partite Iva rende loro la vita ancora più difficile e stimola la tendenza al sommerso che paradossalmente lo Stato vuole combattere.
Abbiamo parlato di questi aspetti con l’autore dell’indagine.
Professore, iniziamo dalla composizione di questo esercito di lavoratori autonomi. Chi sono?
“La categoria è cambiata nel tempo. Mentre fino agli anni ’90 la metà delle partite Iva era costituita da commercianti e artigiani con bassa qualificazione oggi questa parte rappresenta solamente un terzo del totale mentre per il 50% dei casi si tratta di professionisti laureati”.
In quali settori professionali sono particolarmente diffuse?
“Si sono affermate nei servizi avanzati più recenti come il settore informatico, la grafica e la comunicazione, la consulenza, l'intermediazione finanziaria e immobiliare".
Sono persone che hanno deciso di aprire una partita Iva perché non sono riuscite a trovare un lavoro dipendente o perché hanno voluto fare questa scelta?
“Nella maggioranza dei casi si tratta di persone che hanno una vocazione precisa per il lavoro autonomo. Perciò direi che si tratta di una scelta voluta soprattutto tra le giovani generazioni. Inoltre, a differenza del passato, la crisi delle aziende non sta alimentando la nascita di nuovi lavoratori autonomi. Questo processo si è verificato in Italia nelle crisi economiche precedenti, soprattutto al Nord. L’esternalizzazione di processi da parte delle imprese ha favorito la nascita di nuove partite Iva. I dati a disposizione dimostrano invece che questo fenomeno non si sta verificando nella crisi odierna. Recentemente il numero di lavoratori autonomi si è ridotto maggiormente rispetto alla perdita di posti di lavoro dipendente, perciò questo universo produttivo non sta più svolgendo il ruolo di ammortizzatore sociale che ha svolto nel passato”.
Dal punto di vista economico come stanno?
“Si tratta di un universo polarizzato. Da un lato esiste una categoria di imprenditori e liberi professionisti benestanti e privilegiati. Si tratta, a dire il vero, di un gruppo numericamente limitato rispetto al totale complessivo. Dall'altro lato esiste poi un grandissimo numero di lavoratori autonomi che invece hanno un reddito molto vicino alla linea di povertà. I dati evidenziano che si tratta del 27% del totale. Per i lavoratori dipendenti il dato è pari invece al 14%. Inoltre all’interno delle partite Iva non tutte godono di un effettiva autonomia lavorativa. Molte di loro sono solo teoricamente indipendenti". Si riferisce a quelle che di fatto svolgono un lavoro subordinato?
“Non solo. Le false partite Iva, ovvero i lavoratori dipendenti non assunti regolarmente dai datori di lavoro, sono all’incirca 280 mila, poco meno del 5% del totale. E’ molto più diffuso invece il caso delle partite Iva mono committente. Questi lavoratori di fatto hanno vincoli e non godono di completa autonomia relativamente al luogo di lavoro e/o ai tempi di lavoro. Questa area grigia a cavallo tra il lavoro dipendente e quello autonomo è vastissima ed esclusi gli imprenditori rappresentano la metà delle restanti partite Iva, circa un terzo dei 5.7 milioni di lavoratori autonomi esistenti”.
Il ministro Fornero prima di varare la riforma del lavoro aveva promesso di migliorare il welfare dei lavoratori autonomi. Ormai la riforma è giunta al traguardo. Come sono cambiate le cose per le partite Iva?
“Nonostante i proclami del ministro la verità è che sono cambiate in peggio. La riforma prevede un aumento della contribuzione previdenziale dal 27% al 33%. L’intento è quello di aumentare l'entità dell’assegno pensionistico ma per le partite Iva questo non si traduce in un vantaggio ma in un danno”.
Perché?
“Perché i maggiori contributi non sono pagati da un datore di lavoro ma direttamente dai lavoratori autonomi e questo comporta una perdita di reddito disponibile. Per le migliaia di partite Iva che vivono sul filo della sopravvivenza potrebbe essere un colpo mortale. Inoltre i lavoratori autonomi hanno un concetto diverso della pensione rispetto ai lavoratori dipendenti. Un autonomo non pensa di smettere di lavorare raggiunta una certa età ma spera di poter lasciare l’attività a un figlio e affiancare quest’ultimo fino a quando è in grado di lavorare. Perciò la riforma del welfare introdotta dalla Fornero per gli autonomi rappresenta un danno e non un vantaggio e rischia di far crescere enormemente il sommerso che paradossalmente lo Stato vuole ridurre. Per cui da un lato si annuncia una crociata contro l’evasione fiscale dall’altra invece si prendono provvedimenti che potenzialmente la incentivano”.
Ma di quale riforma del welfare avrebbero bisogno le partite Iva?
“Il provvedimento più urgente sarebbe sicuramente l’introduzione di un reddito di cittadinanza che esiste in tutta Europa tranne che in Grecia. In Italia gli ammortizzatori sociali esistono solo per chi perde il lavoro dipendente. Una partita Iva costretta a chiudere la propria attività non gode di nessuna forma di aiuto. Il reddito di cittadinanza tutelerebbe anche i lavoratori autonomi che a causa di forza maggiore sono costretti a chiudere la loro attività”.
Una riforma del genere, pur se giustissima, avrebbe però dei costi che lo Stato italiano al momento non è in grado di sostenere.
“E’ vero. Servirebbe infatti un grande patto tra lo Stato e il mondo del lavoro autonomo. Da un lato le partite Iva dovrebbero ridurre il fenomeno dell’evasione fiscale che oggettivamente esiste, dall’altro lo Stato dovrebbe estendere anche a loro le forme di welfare oggi previste solo per il mondo del lavoro dipendente”.
Da http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/12/06/intervista_ranci_partite_iva.html
Una indagine condotta da Costanzo Ranci, sociologo economico del Politecnico di Milano, ha messo in evidenza che in Italia il numero delle partite Iva individuali è pari a 5,7 milioni.
Un esercito di lavoratori di cui si parla relativamente poco se non per mettere in evidenza che si tratta di un’area caratterizzata da una forte evasione fiscale.
La realtà fatta emergere da Ranci nella sua analisi è invece molto più complessa.
Affianco ad un ristretto numero di imprenditori e liberi professionisti benestanti e privilegiati esiste un grandissimo numero di lavoratori che vivono sulla soglia della povertà e che soffrono più di qualsiasi altra categoria professionale gli effetti della crisi economica in corso.
La riforma del lavoro del governo Monti, nonostante le intenzioni sbandierate dal ministro al Welfare Elsa Fornero, anziché aiutare le partite Iva rende loro la vita ancora più difficile e stimola la tendenza al sommerso che paradossalmente lo Stato vuole combattere.
Abbiamo parlato di questi aspetti con l’autore dell’indagine.
Professore, iniziamo dalla composizione di questo esercito di lavoratori autonomi. Chi sono?
“La categoria è cambiata nel tempo. Mentre fino agli anni ’90 la metà delle partite Iva era costituita da commercianti e artigiani con bassa qualificazione oggi questa parte rappresenta solamente un terzo del totale mentre per il 50% dei casi si tratta di professionisti laureati”.
In quali settori professionali sono particolarmente diffuse?
“Si sono affermate nei servizi avanzati più recenti come il settore informatico, la grafica e la comunicazione, la consulenza, l'intermediazione finanziaria e immobiliare".
Sono persone che hanno deciso di aprire una partita Iva perché non sono riuscite a trovare un lavoro dipendente o perché hanno voluto fare questa scelta?
“Nella maggioranza dei casi si tratta di persone che hanno una vocazione precisa per il lavoro autonomo. Perciò direi che si tratta di una scelta voluta soprattutto tra le giovani generazioni. Inoltre, a differenza del passato, la crisi delle aziende non sta alimentando la nascita di nuovi lavoratori autonomi. Questo processo si è verificato in Italia nelle crisi economiche precedenti, soprattutto al Nord. L’esternalizzazione di processi da parte delle imprese ha favorito la nascita di nuove partite Iva. I dati a disposizione dimostrano invece che questo fenomeno non si sta verificando nella crisi odierna. Recentemente il numero di lavoratori autonomi si è ridotto maggiormente rispetto alla perdita di posti di lavoro dipendente, perciò questo universo produttivo non sta più svolgendo il ruolo di ammortizzatore sociale che ha svolto nel passato”.
Dal punto di vista economico come stanno?
“Si tratta di un universo polarizzato. Da un lato esiste una categoria di imprenditori e liberi professionisti benestanti e privilegiati. Si tratta, a dire il vero, di un gruppo numericamente limitato rispetto al totale complessivo. Dall'altro lato esiste poi un grandissimo numero di lavoratori autonomi che invece hanno un reddito molto vicino alla linea di povertà. I dati evidenziano che si tratta del 27% del totale. Per i lavoratori dipendenti il dato è pari invece al 14%. Inoltre all’interno delle partite Iva non tutte godono di un effettiva autonomia lavorativa. Molte di loro sono solo teoricamente indipendenti". Si riferisce a quelle che di fatto svolgono un lavoro subordinato?
“Non solo. Le false partite Iva, ovvero i lavoratori dipendenti non assunti regolarmente dai datori di lavoro, sono all’incirca 280 mila, poco meno del 5% del totale. E’ molto più diffuso invece il caso delle partite Iva mono committente. Questi lavoratori di fatto hanno vincoli e non godono di completa autonomia relativamente al luogo di lavoro e/o ai tempi di lavoro. Questa area grigia a cavallo tra il lavoro dipendente e quello autonomo è vastissima ed esclusi gli imprenditori rappresentano la metà delle restanti partite Iva, circa un terzo dei 5.7 milioni di lavoratori autonomi esistenti”.
Il ministro Fornero prima di varare la riforma del lavoro aveva promesso di migliorare il welfare dei lavoratori autonomi. Ormai la riforma è giunta al traguardo. Come sono cambiate le cose per le partite Iva?
“Nonostante i proclami del ministro la verità è che sono cambiate in peggio. La riforma prevede un aumento della contribuzione previdenziale dal 27% al 33%. L’intento è quello di aumentare l'entità dell’assegno pensionistico ma per le partite Iva questo non si traduce in un vantaggio ma in un danno”.
Perché?
“Perché i maggiori contributi non sono pagati da un datore di lavoro ma direttamente dai lavoratori autonomi e questo comporta una perdita di reddito disponibile. Per le migliaia di partite Iva che vivono sul filo della sopravvivenza potrebbe essere un colpo mortale. Inoltre i lavoratori autonomi hanno un concetto diverso della pensione rispetto ai lavoratori dipendenti. Un autonomo non pensa di smettere di lavorare raggiunta una certa età ma spera di poter lasciare l’attività a un figlio e affiancare quest’ultimo fino a quando è in grado di lavorare. Perciò la riforma del welfare introdotta dalla Fornero per gli autonomi rappresenta un danno e non un vantaggio e rischia di far crescere enormemente il sommerso che paradossalmente lo Stato vuole ridurre. Per cui da un lato si annuncia una crociata contro l’evasione fiscale dall’altra invece si prendono provvedimenti che potenzialmente la incentivano”.
Ma di quale riforma del welfare avrebbero bisogno le partite Iva?
“Il provvedimento più urgente sarebbe sicuramente l’introduzione di un reddito di cittadinanza che esiste in tutta Europa tranne che in Grecia. In Italia gli ammortizzatori sociali esistono solo per chi perde il lavoro dipendente. Una partita Iva costretta a chiudere la propria attività non gode di nessuna forma di aiuto. Il reddito di cittadinanza tutelerebbe anche i lavoratori autonomi che a causa di forza maggiore sono costretti a chiudere la loro attività”.
Una riforma del genere, pur se giustissima, avrebbe però dei costi che lo Stato italiano al momento non è in grado di sostenere.
“E’ vero. Servirebbe infatti un grande patto tra lo Stato e il mondo del lavoro autonomo. Da un lato le partite Iva dovrebbero ridurre il fenomeno dell’evasione fiscale che oggettivamente esiste, dall’altro lo Stato dovrebbe estendere anche a loro le forme di welfare oggi previste solo per il mondo del lavoro dipendente”.
"L'esodato innamurato" by Fiorello
Fiorello canta "L'esodato innamorato"
Andato in onda il: 21/06/2012
Registrato con un cellulare a un evento privato a Torino e caricato su YouTube: ecco il video di Fiorello sugli esodati e la Fornero.
Le parole:
STO LONTANO DAL LAVORO A ME PENSA LA FORNERO
NIENTE VOGLIO NIENTE SPERO MO' LAVORO TUTTO QUANTO A NERO
...LA CCHIU' BELLA 'E TUTTE E BELLE LA PENSIONE MIA DOV'E'
OHI VITA OHI VITA MIA DA QUANDO C'E' LA FORNERO
NON TENGO CCHIU' DINERO MO' SENZA SOLDI PROVA A STARCI TU
OHI VITA OHI VITA MIA DA QUANDO C'E' LA FORNERO
NON TENGO MANCO UN DINERO
MO' SENZA SOLDI PROVA A STARCI TU
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-6987dca6-42c2-4dd3-b69f-85d060645347-tg1.html
Andato in onda il: 21/06/2012
Registrato con un cellulare a un evento privato a Torino e caricato su YouTube: ecco il video di Fiorello sugli esodati e la Fornero.
Le parole:
STO LONTANO DAL LAVORO A ME PENSA LA FORNERO
NIENTE VOGLIO NIENTE SPERO MO' LAVORO TUTTO QUANTO A NERO
...LA CCHIU' BELLA 'E TUTTE E BELLE LA PENSIONE MIA DOV'E'
OHI VITA OHI VITA MIA DA QUANDO C'E' LA FORNERO
NON TENGO CCHIU' DINERO MO' SENZA SOLDI PROVA A STARCI TU
OHI VITA OHI VITA MIA DA QUANDO C'E' LA FORNERO
NON TENGO MANCO UN DINERO
MO' SENZA SOLDI PROVA A STARCI TU
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-6987dca6-42c2-4dd3-b69f-85d060645347-tg1.html
Ma l'Atac di Roma che problemi ha?
Sono giorni caldi quelli che viviamo a Roma e anche essere costretti a muoversi per la città, può diventare un trauma senza soluzione: poche corse di bus, nessun riparo dal sole, casini infiniti sulla metro B e B1 ed il tutto al prezzo di 1,50€ a biglietto per tratta di 100 minuti.
Si paga per essere trattati male e per essere umiliati.
Stilinga si chiede quanto sia grave la situazione all'Atac, altrimenti la gente non aspetterebbe oltre 40 minuti il bus e non ci metterebbe più di due ore, per esempio di domenica (giornata notoriamente abbandonata dal servizio pubblico) per coprire tratti ridicolmente vicini.
Ma è proprio vero, anche prendere l'autobus a Roma è un'avventura ricca di risvolti non proprio felici.
Allora Stilinga propone un referendum, una petizione: che tutti i politici italiani usino i mezzi pubblici, quindi solo autobus, tram e metro, per muoversi e vediamo se poi le cose funzionano!
Si paga per essere trattati male e per essere umiliati.
Stilinga si chiede quanto sia grave la situazione all'Atac, altrimenti la gente non aspetterebbe oltre 40 minuti il bus e non ci metterebbe più di due ore, per esempio di domenica (giornata notoriamente abbandonata dal servizio pubblico) per coprire tratti ridicolmente vicini.
Ma è proprio vero, anche prendere l'autobus a Roma è un'avventura ricca di risvolti non proprio felici.
Allora Stilinga propone un referendum, una petizione: che tutti i politici italiani usino i mezzi pubblici, quindi solo autobus, tram e metro, per muoversi e vediamo se poi le cose funzionano!
Le Teste Calde: un marchio per copricapi d'autore
Stilinga ha intervistato le due menti de Le Teste Calde, marchio romano specializzato in copricapi realizzati a mano con i materiali più vari.
Stilinga: Le Teste Calde… che nome divertente, come è nata quest’idea?
Le Teste Calde: cercavamo un nome che avesse un “carattere” e LeTeste Calde rende l’idea, descrive la nostra personalità,ed identifica la parte del corpo che i nostri accessori vestono.
Stilinga: Chi sono le Teste Calde? E come e quando è nata la vostra passione per la moda?
LTC: Moda?? Mai interessato molto della moda! Noi non l’abbiamo mai seguita e tantomeno i suoi clichè. Piuttosto seguiamo il nostro stile, poi se la moda ci vuole seguire, faccia pure…a noi certo non dispiace.
Stilinga: come e dove vi siete incontrate?
LTC: La sartoria teatrale dove abbiamo lavorato per quasi un decennio, ci ha dato la possibilità di incontrarci, svelandoci il meraviglioso mondo dei cappelli nell’ambito teatrale e cinematografico e lì siamo divenute amiche e ora socie.
Stilinga: come create una collezione nuova? Come vi dividete il lavoro? C’è chi crea e chi produce oppure entrambi partecipate a tutte le fasi?
LTC: ci piace lavorare con materiali differenti, quasi sperimentali e il teatro, a differenza delle “collezioni del the delle cinque”, ci ha rafforzato le ossa. Non ci siamo mai divise i ruoli, entrambe partecipiamo, sia con la mente che con le mani, a qualsiasi parte di un progetto, qualsiasi esso sia.
Stilinga: siete maggiormente interessate alla moda, allo stile o al costume?
LTC: Il nostro grande amore è il costume, poterci sbizzarrire tra piume e paillettes ci entusiasma sempre, per questo prediligiamo lavorare con drag queens, e poi in ambito teatrale, cinematografico e per spettacoli di burlesque.
Stilinga: quali sono le difficoltà che avete incontrato durante il vostro percorso lavorativo?
LTC: trovare contesti dove si possa lavorare liberamente e serenamente … bisogna anche ingegnarsi a seguire le “lune” dei committenti, che spesso presi dal genio,cercano di dimenarsi tra attacchi d’ansia e crisi isteriche.
Ecco, noi ad evitarli, siamo diventate bravissime.Un’altra enorme difficoltà sono i budgets, sempre più ridotti, dovuti anche ai gravi tagli inferti allo spettacolo.
Stilinga: dove trovate l'ispirazione per creare?
LTC: come diceva Monicelli … anche quando guardiamo fuori dalla finestra, stiamo lavorando. Prendiamo ispirazione sempre e ovunque, anche dai sogni, mentre dormiamo..
Stilinga: a quale progetto state lavorando attualmente?
LTC: Il nostro progetto principale è di lavorare senza svenderci o piegarci ai dettami della moda, ma invece al contrario di portare avanti il nostro stile (anche) di vita quindi più strass e meno stress.
Stilinga: che obiettivi avete nella vostra carriera?
LTC: Non smettere mai d’imparare, riuscire a mantenere la passione e l’entusiasmo per il nostro lavoro. Continuare a sperimentare nuovi materiali e trovare nuove esperienze lavorative magari con collaborazioni stimolanti.
Stilinga: cosa pensate del fatto a mano? Credete nel ritorno al fatto su misura, su richiesta e a prodotti di alta qualità?
LTC: La massa implora la fast fashion ma per lo stile e l’alta qualità il “fatto a mano” è un dogma.
Per quanto riguarda il nostro lavoro, la scelta praticamente non c’è: la particolarità della committenza ci obbliga all’esclusività del fatto a mano.
Ci capita spesso, lavorando per il mondo dello spettacolo, di seguire bozzetti pensati e fatti su un soggetto preciso, con esigenze sceniche ben definite che determinano la scelta di un materiale piuttosto che di un altro.
Stilinga: che cosa pensate dei prodotti moda industrializzati?
LTC: …No Comment !
Stilinga: volete elencare i siti web dove il vostro marchio è presente?
LTC: Con molto piacere: http://letestecalde.jimdo.com/le-nostre-creazioni/
il nostro sito dove conoscere un po’ più di noi e dei i vari lavori fatti per vari eventi.
E il nostro shop on line su Blomming : http://www.facebook.com/pages/LeTeste-Calde/120774841387001?sk=app_144228972310103
Stilinga: Le Teste Calde… che nome divertente, come è nata quest’idea?
Le Teste Calde: cercavamo un nome che avesse un “carattere” e LeTeste Calde rende l’idea, descrive la nostra personalità,ed identifica la parte del corpo che i nostri accessori vestono.
Stilinga: Chi sono le Teste Calde? E come e quando è nata la vostra passione per la moda?
LTC: Moda?? Mai interessato molto della moda! Noi non l’abbiamo mai seguita e tantomeno i suoi clichè. Piuttosto seguiamo il nostro stile, poi se la moda ci vuole seguire, faccia pure…a noi certo non dispiace.
Stilinga: come e dove vi siete incontrate?
LTC: La sartoria teatrale dove abbiamo lavorato per quasi un decennio, ci ha dato la possibilità di incontrarci, svelandoci il meraviglioso mondo dei cappelli nell’ambito teatrale e cinematografico e lì siamo divenute amiche e ora socie.
Stilinga: come create una collezione nuova? Come vi dividete il lavoro? C’è chi crea e chi produce oppure entrambi partecipate a tutte le fasi?
LTC: ci piace lavorare con materiali differenti, quasi sperimentali e il teatro, a differenza delle “collezioni del the delle cinque”, ci ha rafforzato le ossa. Non ci siamo mai divise i ruoli, entrambe partecipiamo, sia con la mente che con le mani, a qualsiasi parte di un progetto, qualsiasi esso sia.
Stilinga: siete maggiormente interessate alla moda, allo stile o al costume?
LTC: Il nostro grande amore è il costume, poterci sbizzarrire tra piume e paillettes ci entusiasma sempre, per questo prediligiamo lavorare con drag queens, e poi in ambito teatrale, cinematografico e per spettacoli di burlesque.
Stilinga: quali sono le difficoltà che avete incontrato durante il vostro percorso lavorativo?
LTC: trovare contesti dove si possa lavorare liberamente e serenamente … bisogna anche ingegnarsi a seguire le “lune” dei committenti, che spesso presi dal genio,cercano di dimenarsi tra attacchi d’ansia e crisi isteriche.
Ecco, noi ad evitarli, siamo diventate bravissime.Un’altra enorme difficoltà sono i budgets, sempre più ridotti, dovuti anche ai gravi tagli inferti allo spettacolo.
Stilinga: dove trovate l'ispirazione per creare?
LTC: come diceva Monicelli … anche quando guardiamo fuori dalla finestra, stiamo lavorando. Prendiamo ispirazione sempre e ovunque, anche dai sogni, mentre dormiamo..
LTC: Il nostro progetto principale è di lavorare senza svenderci o piegarci ai dettami della moda, ma invece al contrario di portare avanti il nostro stile (anche) di vita quindi più strass e meno stress.
Stilinga: che obiettivi avete nella vostra carriera?
LTC: Non smettere mai d’imparare, riuscire a mantenere la passione e l’entusiasmo per il nostro lavoro. Continuare a sperimentare nuovi materiali e trovare nuove esperienze lavorative magari con collaborazioni stimolanti.
Stilinga: cosa pensate del fatto a mano? Credete nel ritorno al fatto su misura, su richiesta e a prodotti di alta qualità?
LTC: La massa implora la fast fashion ma per lo stile e l’alta qualità il “fatto a mano” è un dogma.
Per quanto riguarda il nostro lavoro, la scelta praticamente non c’è: la particolarità della committenza ci obbliga all’esclusività del fatto a mano.
Ci capita spesso, lavorando per il mondo dello spettacolo, di seguire bozzetti pensati e fatti su un soggetto preciso, con esigenze sceniche ben definite che determinano la scelta di un materiale piuttosto che di un altro.
Stilinga: che cosa pensate dei prodotti moda industrializzati?
LTC: …No Comment !
Stilinga: volete elencare i siti web dove il vostro marchio è presente?
LTC: Con molto piacere: http://letestecalde.jimdo.com/le-nostre-creazioni/
il nostro sito dove conoscere un po’ più di noi e dei i vari lavori fatti per vari eventi.
E il nostro shop on line su Blomming : http://www.facebook.com/pages/LeTeste-Calde/120774841387001?sk=app_144228972310103
Ministro Fornero e l'ossessione del lavoro manuale
L’ossessione del lavoro manuale (di Francesca Coin) da www.ilfattoquotidiano.it del 06.06.2012
IL FALSO MITO
Si dice che, qualche giorno fa, in visita alla piazza dei Mestieri, a Torino, il ministro del Welfare Elsa Fornero abbia incontrato gli studenti della scuola professionale di via Durandi nei laboratori di panetteria e pasticceria. E che, con sensibilità e partecipazione, si sia intrattenuta nelle cucine colpita dall'intraprendenza culinaria delle studenti. Certo, magari non tutti (o tutte) gradiscono l'entusiasmo del tecnico Fornero per l'agilità delle ventenni in cambusa. Fatto sta che alla fine della visita, mentre la pasta lievitava e le frittate facevano le capriole, il ministro ha incoraggiato le studenti così: “Imparare un mestiere, una professione, oggi è importante”, ha detto. “Non è detto che tutti debbano avere una laurea, magari di malavoglia” [...]. “Questa è una scuola che recupera molto in questo senso, [...] e quindi tanto di cappello” .
Era da un po' che non ascoltavamo una frase così. Come è noto la scarsa commestibilità della cultura era uno dei principali crucci del vecchio governo. Basta con le lauree inutili, ripeteva Mariastella Gelmini. I giovani hanno “l'intelligenza nelle mani”, assicurava l'ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. “È meglio un carrozziere che un laureato in nulla”, continuava il sociologo Giuseppe De Rita.
“A che serve pagare uno scienziato quando facciamo le scarpe più belle del mondo?”, cantava sorridente l'ex presidente del Consiglio.
Se l'allergia all'istruzione era un tratto distintivo del vecchio governo, nessuno si sarebbe atteso dal governo dei professori la stessa freddezza.
E invece le parole del ministro Fornero esplicitano ciò che da mesi era chiaro: che vi è un'infelice continuità nelle politiche degli ultimi due governi in tema di istruzione e di investimento in ricerca e sviluppo, al punto che, a meno di un repentino cambio di rotta, il paese rischia di regredire in entrambi i settori a livello del Sud del mondo.
Facciamo un passo indietro. Basta sfogliare il rapporto Ocse Education at a Glance 2011 e l'ultimo rapporto Almalaurea per convincersi della gravità del problema.
L'Italia è uno dei paesi occidentali con il minor numero di laureati, e quei pochi che ci sono sono già troppi per il mercato italiano.
Pare una contraddizione e invece è un dato importante, perché la contrazione della quota di occupati ad alta specializzazione in un momento di crisi è non solo in controtendenza rispetto a quanto avviene negli altri paesi occidentali, ma è il sintomo di una struttura produttiva che affida la propria permanenza sul mercato esclusivamente alla compressione dei costi di lavoro.
Oggi i diciannovenni sono quasi il 40 per cento in meno del 1984, e purtuttavia solo il 20 per cento dei giovani tra i 23 e i 34 anni si laurea, contro il 37 per cento dei Paesi Ocse. Non solo, ma il numero degli immatricolati continua a scendere, mentre aumenta il numero dei laureati che emigra. Siamo forse così dinamici da poterci permettere di condannare le nuove generazioni all'esodo?
Ora, la crescente difficoltà occupazionale dei laureati non è un problema solo italiano.
Ne parla tutto il mondo, che la definisce “bolla formativa”, il fenomeno per cui la contrazione nel tasso occupazionale è andata di pari passo con la crescita diffusa della generazione più istruita della storia.
Ottima risorsa in un momento di crisi, verrebbe da dire.
Fatto sta che mentre l'unico caposaldo politico condiviso da Washington a Berlino è la necessità d'investire in istruzione come vettore della ripresa sociale, in Italia si è scelta una strada originale.
Se guardiamo ai dati Ocse rielaborati dal Ceris nel rapporto Scienza e tecnologia in cifre, vediamo, infatti, che l'Italia è penultima nella spesa per ricerca e sviluppo rispetto agli altri paesi europei, ultima quanto a personale addetto alla ricerca nelle imprese, penultima quanto a percentuale di ricercatori in rapporto al totale degli occupati, terzultima per personale ricercatore nelle università.
A fronte di una retorica sempre più asfittica di merito e innovazione, i dati Almalaurea ci dicono che nel settore privato lavora in buona parte personale che ha conseguito solo il titolo della scuola dell'obbligo, chi ha una laurea specialistica fa più fatica a trovare lavoro rispetto a chi ha una laurea triennale, e le retribuzioni reali di chi ha una laurea specialistica sono più basse rispetto alle retribuzioni reali di chi ha una laurea triennale, il contrario di ciò che la logica vorrebbe.
In tutto questo, quali sono le soluzioni? Stando alle ultime novità del ministero del Lavoro e del ministero dell'Istruzione, penso alla riforma del lavoro e alla controversa bozza di decreto sul merito, la risposta è più precarietà e meno tutele nel lavoro, più retorica e meno borse di studio nell'istruzione.
Maggiore “sinergia tra l'università e le imprese”, dunque?
Certo, ma al ribasso: minore lavoro, minori tutele e minore istruzione per tutti.
Forse la Fornero ha ragione a cantare le lodi del lavoro manuale. Spiace solo che sia l'unica prospettiva concreta che è stata in grado di offrire.
Francesca Coin (sociologa, Università di Venezia)
06 giugno 2012 - Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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IL FALSO MITO
Si dice che, qualche giorno fa, in visita alla piazza dei Mestieri, a Torino, il ministro del Welfare Elsa Fornero abbia incontrato gli studenti della scuola professionale di via Durandi nei laboratori di panetteria e pasticceria. E che, con sensibilità e partecipazione, si sia intrattenuta nelle cucine colpita dall'intraprendenza culinaria delle studenti. Certo, magari non tutti (o tutte) gradiscono l'entusiasmo del tecnico Fornero per l'agilità delle ventenni in cambusa. Fatto sta che alla fine della visita, mentre la pasta lievitava e le frittate facevano le capriole, il ministro ha incoraggiato le studenti così: “Imparare un mestiere, una professione, oggi è importante”, ha detto. “Non è detto che tutti debbano avere una laurea, magari di malavoglia” [...]. “Questa è una scuola che recupera molto in questo senso, [...] e quindi tanto di cappello” .
Era da un po' che non ascoltavamo una frase così. Come è noto la scarsa commestibilità della cultura era uno dei principali crucci del vecchio governo. Basta con le lauree inutili, ripeteva Mariastella Gelmini. I giovani hanno “l'intelligenza nelle mani”, assicurava l'ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. “È meglio un carrozziere che un laureato in nulla”, continuava il sociologo Giuseppe De Rita.
“A che serve pagare uno scienziato quando facciamo le scarpe più belle del mondo?”, cantava sorridente l'ex presidente del Consiglio.
Se l'allergia all'istruzione era un tratto distintivo del vecchio governo, nessuno si sarebbe atteso dal governo dei professori la stessa freddezza.
E invece le parole del ministro Fornero esplicitano ciò che da mesi era chiaro: che vi è un'infelice continuità nelle politiche degli ultimi due governi in tema di istruzione e di investimento in ricerca e sviluppo, al punto che, a meno di un repentino cambio di rotta, il paese rischia di regredire in entrambi i settori a livello del Sud del mondo.
Facciamo un passo indietro. Basta sfogliare il rapporto Ocse Education at a Glance 2011 e l'ultimo rapporto Almalaurea per convincersi della gravità del problema.
L'Italia è uno dei paesi occidentali con il minor numero di laureati, e quei pochi che ci sono sono già troppi per il mercato italiano.
Pare una contraddizione e invece è un dato importante, perché la contrazione della quota di occupati ad alta specializzazione in un momento di crisi è non solo in controtendenza rispetto a quanto avviene negli altri paesi occidentali, ma è il sintomo di una struttura produttiva che affida la propria permanenza sul mercato esclusivamente alla compressione dei costi di lavoro.
Oggi i diciannovenni sono quasi il 40 per cento in meno del 1984, e purtuttavia solo il 20 per cento dei giovani tra i 23 e i 34 anni si laurea, contro il 37 per cento dei Paesi Ocse. Non solo, ma il numero degli immatricolati continua a scendere, mentre aumenta il numero dei laureati che emigra. Siamo forse così dinamici da poterci permettere di condannare le nuove generazioni all'esodo?
Ora, la crescente difficoltà occupazionale dei laureati non è un problema solo italiano.
Ne parla tutto il mondo, che la definisce “bolla formativa”, il fenomeno per cui la contrazione nel tasso occupazionale è andata di pari passo con la crescita diffusa della generazione più istruita della storia.
Ottima risorsa in un momento di crisi, verrebbe da dire.
Fatto sta che mentre l'unico caposaldo politico condiviso da Washington a Berlino è la necessità d'investire in istruzione come vettore della ripresa sociale, in Italia si è scelta una strada originale.
Se guardiamo ai dati Ocse rielaborati dal Ceris nel rapporto Scienza e tecnologia in cifre, vediamo, infatti, che l'Italia è penultima nella spesa per ricerca e sviluppo rispetto agli altri paesi europei, ultima quanto a personale addetto alla ricerca nelle imprese, penultima quanto a percentuale di ricercatori in rapporto al totale degli occupati, terzultima per personale ricercatore nelle università.
A fronte di una retorica sempre più asfittica di merito e innovazione, i dati Almalaurea ci dicono che nel settore privato lavora in buona parte personale che ha conseguito solo il titolo della scuola dell'obbligo, chi ha una laurea specialistica fa più fatica a trovare lavoro rispetto a chi ha una laurea triennale, e le retribuzioni reali di chi ha una laurea specialistica sono più basse rispetto alle retribuzioni reali di chi ha una laurea triennale, il contrario di ciò che la logica vorrebbe.
In tutto questo, quali sono le soluzioni? Stando alle ultime novità del ministero del Lavoro e del ministero dell'Istruzione, penso alla riforma del lavoro e alla controversa bozza di decreto sul merito, la risposta è più precarietà e meno tutele nel lavoro, più retorica e meno borse di studio nell'istruzione.
Maggiore “sinergia tra l'università e le imprese”, dunque?
Certo, ma al ribasso: minore lavoro, minori tutele e minore istruzione per tutti.
Forse la Fornero ha ragione a cantare le lodi del lavoro manuale. Spiace solo che sia l'unica prospettiva concreta che è stata in grado di offrire.
Francesca Coin (sociologa, Università di Venezia)
06 giugno 2012 - Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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Un marchio di maglieria romano molto interessante: Bumbuki's mood
Bumbuki's mood è un marchio di abbigliamento, specializzato in maglieria di qualità realizzata nel laboratorio per la moda e per il costume teatrale sito in Via Caterina Fieschi, 1/E - 00151 Roma, tel./fax 06.5343021
Stilinga ha intervistato le menti creative del marchio.
Stilinga: Bumbuki’s Mood… direi che il nome del brand è affascinante, ha un significato in particolare?
Bumbuki's mood: Sì, certo! La parola “Bumbuki” in greco moderno significa “bocciolo”, quindi “Bumbuki’s Mood” unendo greco ed inglese vuol trasmettere il concetto di “stato d’animo dello sbocciare” riferito alla nostra attività creativa ovviamente!
Stilinga: Chi sono le menti dietro Bumbuki’s mood? E come e quando è nata la vostra passione per la moda?
Bumbuki's mood: Siamo Marcello Silvestri e Luca Battaglia, Marcello ha sempre amato l’idea di poter realizzare capi di abbigliamento e lavori artistici… Luca si è accostato seriamente alla moda lasciando economia e commercio (dove studiava con scarsi risultati) e scegliendo un percorso creativo e alternativo…
Stilinga : come e dove vi siete incontrati?
Bumbuki's mood: Ci siamo conosciuti all’Accademia di Costume e di Moda di Roma dove studiavamo entrambi nel lontano 1992…
Stilinga: che tipo di formazione avete? E che esperienze?
Bumbuki's mood: Dopo la maturità abbiamo conseguito entrambi il diploma presso l’Accademia di Costume e di Moda di Roma e il diploma di modellistica (presso la stessa scuola). Lavorativamente parlando abbiamo iniziato organizzando vendite di accessori in casa e con uno stage in una in sartoria teatrale…
Stilinga: come create una collezione nuova? Come vi dividete il lavoro? C’è chi crea e chi produce oppure entrambi partecipate a tutte le fasi?
Bumbuki's mood: Lavoriamo letteralmente “a 4 mani”, ognuno dei due mette sul tavolo proposte, si discute insieme cosa va bene o come migliorare… E poi entrambi ci si dedica all’aspetto produttivo!
Stilinga: siete maggiormente interessati alla moda, allo stile o al costume?
Bumbuki's mood: Siamo a nostro agio sia nell’ambito della moda, sia nel costume teatrale!
Stilinga: quali sono le difficoltà che avete incontrato durante il vostro percorso lavorativo?
Bumbuki's mood: All’inizio farci conoscere, partendo da zero e senza contatti… Oggi la mancanza di organizzazione da parte dei committenti e lo scarso apprezzamento della qualità del lavoro nel mercato…
Stilinga: che cosa pensate della moda di massa e in particolare del fenomeno della fast fashion?
Bumbuki's mood: Ovviamente spingiamo per un discorso basato sulla qualità!
Stilinga: quindi cosa pensate del fatto a mano? Credete nel ritorno al fatto su misura, su richiesta e a prodotti di alta qualità?
Bumbuki's mood: Secondo noi sì, anche se il mercato tende a fare il contrario! A volte ci sentiamo un po’ “Don Chisciotte contro i mulini a vento” ma crediamo in un artigianato sostenibile e valido!
Stilinga: e cosa pensate dei prodotti moda industrializzati?
Bumbuki's mood: Sono utili anch’essi, purché siano realizzati con criteri “equi”, rispettando il lavoro delle persone e l’ambiente…
Stilinga: dove trovate l'ispirazione per creare?
Bumbuki's mood: Tutto ciò che è bello può essere motivo di ispirazione!
Stilinga: a quale progetto state lavorando attualmente?
Bumbuki's mood: Stiamo cercando di spingere il nostro marchio studiando un prodotto con un giusto rapporto qualità-prezzo!
Stilinga: che obiettivi avete nella vostra carriera?
Bumbuki's mood: Far conoscere il nostro marchio ad un pubblico più vasto!
Stilinga: e allora volete elencare i siti web dove il vostro marchio è presente?
Bumbuki's mood: Certo il nostro sito è il seguente http://www.bumbukismood.it/ mentre abbiamo appena aperto uno store virtuale, di vendita diretta su Blomming http://blomming.com/mm/Bumbukismood/items
Stilinga ha intervistato le menti creative del marchio.
Stilinga: Bumbuki’s Mood… direi che il nome del brand è affascinante, ha un significato in particolare?
foto di Riccardo Granaroli http://riccardo-granaroli.jimdo.com/ |
Stilinga: Chi sono le menti dietro Bumbuki’s mood? E come e quando è nata la vostra passione per la moda?
Bumbuki's mood: Siamo Marcello Silvestri e Luca Battaglia, Marcello ha sempre amato l’idea di poter realizzare capi di abbigliamento e lavori artistici… Luca si è accostato seriamente alla moda lasciando economia e commercio (dove studiava con scarsi risultati) e scegliendo un percorso creativo e alternativo…
Stilinga : come e dove vi siete incontrati?
Bumbuki's mood: Ci siamo conosciuti all’Accademia di Costume e di Moda di Roma dove studiavamo entrambi nel lontano 1992…
Stilinga: che tipo di formazione avete? E che esperienze?
Bumbuki's mood: Dopo la maturità abbiamo conseguito entrambi il diploma presso l’Accademia di Costume e di Moda di Roma e il diploma di modellistica (presso la stessa scuola). Lavorativamente parlando abbiamo iniziato organizzando vendite di accessori in casa e con uno stage in una in sartoria teatrale…
Stilinga: come create una collezione nuova? Come vi dividete il lavoro? C’è chi crea e chi produce oppure entrambi partecipate a tutte le fasi?
Bumbuki's mood: Lavoriamo letteralmente “a 4 mani”, ognuno dei due mette sul tavolo proposte, si discute insieme cosa va bene o come migliorare… E poi entrambi ci si dedica all’aspetto produttivo!
foto di Riccardo Granaroli http://riccardo-granaroli.jimdo.com/ |
Stilinga: siete maggiormente interessati alla moda, allo stile o al costume?
Bumbuki's mood: Siamo a nostro agio sia nell’ambito della moda, sia nel costume teatrale!
Stilinga: quali sono le difficoltà che avete incontrato durante il vostro percorso lavorativo?
Bumbuki's mood: All’inizio farci conoscere, partendo da zero e senza contatti… Oggi la mancanza di organizzazione da parte dei committenti e lo scarso apprezzamento della qualità del lavoro nel mercato…
Stilinga: che cosa pensate della moda di massa e in particolare del fenomeno della fast fashion?
Bumbuki's mood: Ovviamente spingiamo per un discorso basato sulla qualità!
Stilinga: quindi cosa pensate del fatto a mano? Credete nel ritorno al fatto su misura, su richiesta e a prodotti di alta qualità?
Bumbuki's mood: Secondo noi sì, anche se il mercato tende a fare il contrario! A volte ci sentiamo un po’ “Don Chisciotte contro i mulini a vento” ma crediamo in un artigianato sostenibile e valido!
Stilinga: e cosa pensate dei prodotti moda industrializzati?
Bumbuki's mood: Sono utili anch’essi, purché siano realizzati con criteri “equi”, rispettando il lavoro delle persone e l’ambiente…
Stilinga: dove trovate l'ispirazione per creare?
Bumbuki's mood: Tutto ciò che è bello può essere motivo di ispirazione!
foto di Riccardo Granaroli http://riccardo-granaroli.jimdo.com/ |
Stilinga: a quale progetto state lavorando attualmente?
Bumbuki's mood: Stiamo cercando di spingere il nostro marchio studiando un prodotto con un giusto rapporto qualità-prezzo!
Stilinga: che obiettivi avete nella vostra carriera?
Bumbuki's mood: Far conoscere il nostro marchio ad un pubblico più vasto!
Stilinga: e allora volete elencare i siti web dove il vostro marchio è presente?
Bumbuki's mood: Certo il nostro sito è il seguente http://www.bumbukismood.it/ mentre abbiamo appena aperto uno store virtuale, di vendita diretta su Blomming http://blomming.com/mm/Bumbukismood/items
Le Pensioni da fame da Gestione Separata e la pura cattiveria del ministro Elsa Fornero: senza se e senza ma
Da http://www.inps.it/bussola/visualizzadoc.aspx?iIDRassegna=19341&iDimRassegna=198582&iIddalportale=6821
provi lei a camminare per due lune nelle scarpe dei precari e forse si renderà conto di cosa significa Gestione Separata e provi lei ad ascoltare le sue direttive inquietanti su come ci si debba comportare da precari: ma siamo o no uno Stato democratico? e allora per quale ragione al mondo non riesce lei a trovare soluzioni vere che tutelino i suoi concittadini? improntate alla crescita dello Stato stesso e non al suo collasso definitivo!
Mi pare che lei apra bocca per dirigere e guai a rispondere alle istanze vere della popolazione italiana, non sia mai!
Cara Ministra Elsa Fornero,
provi lei a camminare per due lune nelle scarpe dei precari e forse si renderà conto di cosa significa Gestione Separata e provi lei ad ascoltare le sue direttive inquietanti su come ci si debba comportare da precari: ma siamo o no uno Stato democratico? e allora per quale ragione al mondo non riesce lei a trovare soluzioni vere che tutelino i suoi concittadini? improntate alla crescita dello Stato stesso e non al suo collasso definitivo!
Mi pare che lei apra bocca per dirigere e guai a rispondere alle istanze vere della popolazione italiana, non sia mai!
Percepisco (e non sono la sola) i vostri obiettivi come di stampo puramente dittatoriale, ma le ricordo che con questo suo comportamento suicida non solo distrugge fette di popolazione ma anche secoli di lotte sindacali che definirei LOTTE UMANE per uscire dall'indigenza e per godere di un minimo di dignità, proprio un concetto che lei signor ministro calpesta quotidianamente, mi auguro che non si reputi cristiana nè tanto meno equa, altrimenti potrebbe ravvisare grossi problemi di disconnessione della sua personalità.
Saluti,
Stilinga
Ordine del giorno presentato al Senato contro aumento contributi INPS
Ordine del giorno presentato al Senato contro aumento contributi INPS
Giovedì 24 maggio, in occasione della discussione al Senato del DDL lavoro (3249/2012), è stato presentato un ordine del giorno che impegna il Governo ad operare affinché a partire dal 2013 la aliquota dei professionisti iscritti alla Gestione Separata dell’INPS venga allineata a quella media degli altri professionisti.
Di seguito il testo dell’ordine del giorno, riportato sul sito del Senatore Ichino (www.pietroichino.it), che ne è stato il promotore
ORDINE DEL GIORNO
Il Senato,
considerato che
– la contribuzione previdenziale sui redditi dei liberi professionisti iscritti alla Gestione Separata dell’Inps grava interamente sui medesimi;
– già oggi la detta contribuzione previdenziale grava su di essi, in rapporto al costo orario complessivo del loro lavoro, in misura superiore rispetto a a quanto essa grava sul costo orario complessivo del lavoro subordinato;
– già oggi la contribuzione previdenziale grava su di essi in misura nettamente superiore rispetto a quanto essa grava sui redditi dei liberi professionisti iscritti alle Casse pensionistiche di categoria;
impegna il Governo a operare affinché, nell’ambito di una generale armonizzazione delle aliquote di contribuzione previdenziale gravanti sui liberi professionisti, a partire dal 2013 l’aliquota gravante sui liberi professionisti iscritti alla Gestione Separata dell’Inps ed effettivamente svolgenti la libera professione venga allineata a quella media delle altre categorie di liberi professionisti.
ICHINO, ASTORE, DE LUCA, NEROZZI, PASSONI, SBARBATI
Giovedì 24 maggio, in occasione della discussione al Senato del DDL lavoro (3249/2012), è stato presentato un ordine del giorno che impegna il Governo ad operare affinché a partire dal 2013 la aliquota dei professionisti iscritti alla Gestione Separata dell’INPS venga allineata a quella media degli altri professionisti.
Di seguito il testo dell’ordine del giorno, riportato sul sito del Senatore Ichino (www.pietroichino.it), che ne è stato il promotore
ORDINE DEL GIORNO
Il Senato,
considerato che
– la contribuzione previdenziale sui redditi dei liberi professionisti iscritti alla Gestione Separata dell’Inps grava interamente sui medesimi;
– già oggi la detta contribuzione previdenziale grava su di essi, in rapporto al costo orario complessivo del loro lavoro, in misura superiore rispetto a a quanto essa grava sul costo orario complessivo del lavoro subordinato;
– già oggi la contribuzione previdenziale grava su di essi in misura nettamente superiore rispetto a quanto essa grava sui redditi dei liberi professionisti iscritti alle Casse pensionistiche di categoria;
impegna il Governo a operare affinché, nell’ambito di una generale armonizzazione delle aliquote di contribuzione previdenziale gravanti sui liberi professionisti, a partire dal 2013 l’aliquota gravante sui liberi professionisti iscritti alla Gestione Separata dell’Inps ed effettivamente svolgenti la libera professione venga allineata a quella media delle altre categorie di liberi professionisti.
ICHINO, ASTORE, DE LUCA, NEROZZI, PASSONI, SBARBATI
Metamoda Event in Rome, this late afternoon!
Hearth/Calzarium, Bumbukis' mood, Labcostume and Le Teste Calde will be part of the event called Metamoda, this late afternoon in Via di Monte Giordano, 59 - Rome- Italy.Opening party at 18.30, do not miss it!
Senza perdere un fecondo – Il Fatto Quotidiano
Senza perdere un fecondo – Il Fatto Quotidiano
di Francesca Piccoletti
La marcia pro-life di Alemanno, Polverini e qualche divertente Associazione produttrice di manifesti horror-pulp (ogni aborto è un bambino morto) mi ha convinto.
Mi sento così toccata da voler essere propositiva: accanto all’abolizione totale della libera scelta che ogni donna desidererebbe per la propria vita, propongo una novità assoluta: l’obbligo di paternità post-coito.
Visto che incinta non sono rimasta da sola e non è che do alla luce un Koala, che me lo devo portare attaccato sulle spalle dalla nascita ai trent’anni tutta da sola soltanto perché sono nata con le ovaie, è tempo di considerare la gravidanza come divinamente paritaria.
E’ così che il Signore vuole? Allora seguiamo la natura e oltre che seminarli,questi figli dell’amore, accollateli pure tu, maschio, una volta fatto il danno, grande campione nazionale di Salto della Quaglia.
Prima della consumazione dell’atto dunque, per legge , si dovranno consegnare alla partner : chiavi della macchina, chiavi di casa, passaporto, CUD e numero di telefono dei propri genitori, se viventi, di una ex moglie, se presente, e l’indirizzo del bar dove si va di solito a fare lo sborone con gli amici la domenica a colazione.
Ovviamente non sarà possibile lasciare la regione per le cinque settimane successive al fortunato incontro ( giusto per essere sicure) mentre per i recidivi, quelli cioè che hanno già dei bambini, sarà possibile installare un sistema gps intramuscolo ( e quale lo potrà scegliere la fortunata, a seconda della soddisfazione raggiunta con la performance).
Durante la crescita, per gli alimenti, i vestiti, le scuole, i libri da leggere, le malattie, gli amici che è bene frequentare, le pene d’amore, le vacanze con gli amici e tutto il resto, ci si potrà mettere comodamente d’accordo di volta in volta, tramite chat, Skype o twitter.
Se per caso poi, come a volte capita, ci si fosse trovate coinvolte in uno stupro, una violenza domestica, una gravidanza a rischio, o semplicemente non si fosse pronte perché minorenni, perché non è il momento giusto, perché non si hanno soldi o una casa, perché si lavora con un contratto a progetto senza permesso di maternità in uno stato che non aiuta le madri single in nessun modo, beh, allora, provate a pregare il cielo, sono sicura che sarà di aiuto.
di Francesca Piccoletti
La marcia pro-life di Alemanno, Polverini e qualche divertente Associazione produttrice di manifesti horror-pulp (ogni aborto è un bambino morto) mi ha convinto.
Mi sento così toccata da voler essere propositiva: accanto all’abolizione totale della libera scelta che ogni donna desidererebbe per la propria vita, propongo una novità assoluta: l’obbligo di paternità post-coito.
Visto che incinta non sono rimasta da sola e non è che do alla luce un Koala, che me lo devo portare attaccato sulle spalle dalla nascita ai trent’anni tutta da sola soltanto perché sono nata con le ovaie, è tempo di considerare la gravidanza come divinamente paritaria.
E’ così che il Signore vuole? Allora seguiamo la natura e oltre che seminarli,questi figli dell’amore, accollateli pure tu, maschio, una volta fatto il danno, grande campione nazionale di Salto della Quaglia.
Prima della consumazione dell’atto dunque, per legge , si dovranno consegnare alla partner : chiavi della macchina, chiavi di casa, passaporto, CUD e numero di telefono dei propri genitori, se viventi, di una ex moglie, se presente, e l’indirizzo del bar dove si va di solito a fare lo sborone con gli amici la domenica a colazione.
Ovviamente non sarà possibile lasciare la regione per le cinque settimane successive al fortunato incontro ( giusto per essere sicure) mentre per i recidivi, quelli cioè che hanno già dei bambini, sarà possibile installare un sistema gps intramuscolo ( e quale lo potrà scegliere la fortunata, a seconda della soddisfazione raggiunta con la performance).
Durante la crescita, per gli alimenti, i vestiti, le scuole, i libri da leggere, le malattie, gli amici che è bene frequentare, le pene d’amore, le vacanze con gli amici e tutto il resto, ci si potrà mettere comodamente d’accordo di volta in volta, tramite chat, Skype o twitter.
Se per caso poi, come a volte capita, ci si fosse trovate coinvolte in uno stupro, una violenza domestica, una gravidanza a rischio, o semplicemente non si fosse pronte perché minorenni, perché non è il momento giusto, perché non si hanno soldi o una casa, perché si lavora con un contratto a progetto senza permesso di maternità in uno stato che non aiuta le madri single in nessun modo, beh, allora, provate a pregare il cielo, sono sicura che sarà di aiuto.
La Gestione Separata INPS e l’iniquità intergenerazionale
La Gestione Separata INPS e l’iniquità intergenerazionale
a cura di Silvestro De Falco
a cura di Silvestro De Falco
EXECUTIVE SUMMARY
Un sistema a contributi definiti è equo perché l’importo della pensione è una funzione dei contributi previdenziali versati, che sono a loro volta proporzionali ai redditi conseguiti, nel corso della vita lavorativa.
La Gestione Separata INPS è un sistema a contributi definiti e genera rendimenti bassi, non allineati ai rendimenti che si potrebbero ottenere con investimenti comparabili per rischio e scadenza, sia in fase di contribuzione da parte degli iscritti sia in fase di erogazione agli iscritti stessi.
L’iniquità della Gestione Separata è accentuata dalle elevate quote del proprio reddito che gli iscritti devono versare, privando questi ultimi della possibilità di accedere ad alternative più vantaggiose in termini di rendimenti e di agevolazioni fiscali.
A peggiorare ulteriormente le cose, la L. 214/2011 ha stabilito requisiti ancora più onerosi, poiché non si spiega perché si deve rinviare l’età pensionabile a 66 anni e si deve raggiungere un montante minimo tale che la sua conversione in rendita debba essere pari a 1,5 volte l’assegno sociale.
Infatti, in un sistema a contributi definiti non c’è redistribuzione e quello versato è reddito differito dell’iscritto che, in teoria, potrebbe essere restituito sotto forma di rendita vitalizia a qualsiasi età, alla luce dell’aspettativa di vita del beneficiario.
Nel lungo periodo, i rendimenti bassi, la mancanza di quelle agevolazioni fiscali che rendono piani di pensione gestiti dai privati più interessanti e l’inflazione fanno sì che la Gestione Separata INPS sia uno strumento per trasferire sulle generazioni future i costi di un sistema, quello attuale, in cui continuano ad esistere pensioni di importo spropositato rispetto ai contributi versati.
La Gestione Separata INPS è un sistema a contributi definiti e genera rendimenti bassi, non allineati ai rendimenti che si potrebbero ottenere con investimenti comparabili per rischio e scadenza, sia in fase di contribuzione da parte degli iscritti sia in fase di erogazione agli iscritti stessi.
L’iniquità della Gestione Separata è accentuata dalle elevate quote del proprio reddito che gli iscritti devono versare, privando questi ultimi della possibilità di accedere ad alternative più vantaggiose in termini di rendimenti e di agevolazioni fiscali.
A peggiorare ulteriormente le cose, la L. 214/2011 ha stabilito requisiti ancora più onerosi, poiché non si spiega perché si deve rinviare l’età pensionabile a 66 anni e si deve raggiungere un montante minimo tale che la sua conversione in rendita debba essere pari a 1,5 volte l’assegno sociale.
Infatti, in un sistema a contributi definiti non c’è redistribuzione e quello versato è reddito differito dell’iscritto che, in teoria, potrebbe essere restituito sotto forma di rendita vitalizia a qualsiasi età, alla luce dell’aspettativa di vita del beneficiario.
Nel lungo periodo, i rendimenti bassi, la mancanza di quelle agevolazioni fiscali che rendono piani di pensione gestiti dai privati più interessanti e l’inflazione fanno sì che la Gestione Separata INPS sia uno strumento per trasferire sulle generazioni future i costi di un sistema, quello attuale, in cui continuano ad esistere pensioni di importo spropositato rispetto ai contributi versati.
Caro Ministro Elsa Fornero non ci ha convinto
Caro Ministro non ci ha convinto
di Anna Soru*
Caro Ministro,
durante l’incontro organizzato giovedì dal Corriere della Sera, ci ha spiegato che il motivo per cui si è deciso di aumentare i contributi é quello di assicurarci una pensione più elevata. Perché solo a noi? Perché questa preoccupazione non riguarda tutti gli altri autonomi che versano molto di meno ovvero il 14-16% se professionisti il 21% se commercianti?
durante l’incontro organizzato giovedì dal Corriere della Sera, ci ha spiegato che il motivo per cui si è deciso di aumentare i contributi é quello di assicurarci una pensione più elevata. Perché solo a noi? Perché questa preoccupazione non riguarda tutti gli altri autonomi che versano molto di meno ovvero il 14-16% se professionisti il 21% se commercianti?
O anche i dipendenti, che versano meno, se utilizziamo la stessa base di riferimento: sia esso il costo del lavoro (25,6% contro il nostro 27%), l’imponibile Irpef (36,3% contro 37,4%) o il reddito netto (46,6% contro 50,9%), come si evince dalla tavola successiva, che confronta lo schema dei costi per un lavoratore dipendente e un professionista autonomo iscritto alla gestione separata, smentendo la vulgata secondo cui l’aumento al 33% parificherebbe la nostra contribuzione a quella dei dipendenti.
No, la spiegazione non ci convince. La verità é che la nostra contribuzione serve a sanare i deficit di altre gestioni che sono state molto generose con molti degli attuali pensionati, i cui diritti acquisiti hanno ormai tutto l’aspetto di veri e propri privilegi e che come tali andrebbero affrontati. Ma ci opponiamo al 33% soprattutto perché è del tutto sproporzionato e non possiamo pagarli. Un 33% per la sola pensione é insostenibile, una follia appunto.
Non a caso in nessun paese la contribuzione pensionistica supera il 23% e quasi sempre resta sotto il 20%. Se facciamo riferimento alla Svezia e alla Polonia, i due paesi che hanno un sistema pensionistico analogo al nostro (contributivo a ripartizione), la contribuzione pensionistica totale é pari rispettivamente a 18,5% e 19,5%, di cui una quota (rispettivamente 2 e 7%) verso fondi di investimento (il secondo pilastro appunto).
Ma il 33% non e’ giustificabile neppure in termini attuariali. Se verso il 33% dei mio fatturato per la pensione, con 2 anni di contributi dovrei coprire un anno di pensione (il mio reddito al lordo delle imposte attuale è il 66%, una pensione al lordo delle imposte pari ad esso garantirebbe lo stesso reddito netto, perché dalla pensione non vengono detratti i contributi).
Con 40 anni di versamenti dovrei quindi coprire 20 anni di pensione, molti di più della speranza di vita residua al momento del pensionamento. Se il sistema assicurasse anche solo il mantenimento del potere d’acquisto (senza alcun rendimento del capitale in termini reali), si dovrebbe percepire una pensione superiore al reddito lavorativo medio. Così non sarà perché appunto i nostri soldi servono a pagare le attuali pensioni retributive e i nuovi servizi a cui noi non accederemo (ASPI).
Caro Ministro, io La ringrazio ancora per averci incontrato e Le chiedo di ascoltare davvero le nostre ragioni, prima che sia approvata una misura iniqua, che rischia di distruggere oggi il futuro (anche pensionistico) di tanti lavoratori che hanno accettato la sfida della flessibilità, in particolare di tutti coloro che non potranno fuggire dalla gestione separata o dal nostro Paese.
*presidente Acta, Associazione Consulenti Terziario Avanzato
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