Riforme, la giurista Carlassare: “In gioco c’è la Costituzione, non il destino del premier. Dobbiamo mobilitare i cittadini”

La professoressa alla vigilia dell’incontro dei comitati contro il ddl Boschi: "L’approvazione della Camera sembra sicura. Evidentemente non c’è spazio per una riflessione critica. Così chi vince si prende tutto"
di Silvia Truzzi
Lunedì sarà il battesimo: nell’aula dei gruppi parlamentari della Camera dei deputati si terrà il primo incontro dei Comitati del No alla riforma Boschi: “Proveremo a sensibilizzare i cittadini”, spiega Lorenza Carlassare, uno dei relatori dell’incontro. “Speravo – in un eccesso di ottimismo – che ci fosse un ripensamento in Parlamento su alcuni aspetti della riforma costituzionale. Ci preoccupiamo di chiedere il referendum in base all’idea che questa riforma venga approvata così com’è, con tutti i difetti che ha. Addirittura una modifica che saggiamente la Camera aveva eliminato (l’attribuzione al Senato del potere di eleggere da solo due dei cinque giudici costituzionali che ora vengono eletti dal Parlamento in seduta comune) è stata ripristinata dal Senato, e ormai l’approvazione della Camera sembra sicura. Evidentemente non c’è spazio per una riflessione critica. Non resta che mobilitare le persone in vista del futuro referendum, che il presidente del Consiglio va annunziando come un’iniziativa sua: lui sottoporrà la riforma al popolo perché la approvi; lui, in caso contrario, si dimetterà. Si arriva al punto di personalizzare persino il referendum costituzionale. Ma non è questo il senso del referendum costituzionale che non è previsto per ‘acclamare’, ma per opporsi a una riforma sgradita”.
L’equivoco non è nuovo: nel 2001 votammo per confermare la riforma del Titolo V della Costituzione. Governo di centrosinistra.Si vede che è un’idea del Pd! Ma è sbagliata. E non si tratta di una sfumatura. Il referendum serve a rafforzare la rigidità della Costituzione impedendo alla maggioranza di cambiarla da sola. O la riforma è approvata da entrambe le Camere con la maggioranza dei due terzi – vale a dire con il concorso delle minoranze – oppure la legge, pubblicata per conoscenza, è sottoposta a referendum qualora entro tre mesi “ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o 500 mila elettori o cinque Consigli regionali”. Se nessuno chiede il referendum, trascorsi i tre mesi la legge costituzionale viene promulgata, pubblicata ed entra in vigore; interessato a chiedere il referendum dovrebbe essere chi è contrario ai contenuti della riforma, per impedirne l’entrata in vigore. L’art. 138 non si presta a equivoci. Il referendum quindi è una possibilità, quando la riforma non ha coinvolto le minoranze, per consentire a chi non è d’accordo di provare a farla fallire; può essere anche una minoranza esigua non essendo previsto un quorum di partecipazione.
Che significato hanno le dichiarazioni con cui il premier ha legato il suo destino politico all’esito del referendum?Insisto: il referendum costituzionale non è uno strumento nelle mani del Presidente del Consiglio a fini di prestigio personale. In molti hanno messo in luce l’intenzione di trasformare la consultazione in un plebiscito pro o contro Renzi: ma qui è in ballo la sorte della Costituzione, non la sua. Invece, pensando che – 5Stelle e Sinistra Italiana a parte – non troverà oppositori sul suo cammino e il referendum sarà un trionfo, intende servirsene per rafforzare il suo potere personale, da esercitare senza controlli e contrappesi, senza che nessuno lo contraddica.
Risponderete con un’informazione basata sui contenuti della riforma: come pensate di farli passare? C’è il precedente del 2006 in cui i cittadini bocciarono la riforma Berlusconi: ma era Berlusconi, appunto.Questo è il vero problema. Mentre nel 2006 il progetto di modifica della forma di governo era chiara perché Berlusconi aveva parlato esplicitamente di premierato, ora apparentemente la forma di governo non viene modificata; ma nella sostanza – grazie al combinato disposto di Italicum e riforma Boschi – l’effetto è proprio quello di trasformare la forma di governo e persino la forma di Stato, vale a dire la democrazia costituzionale.
Il leitmotiv è stato “abolire il bicameralismo perfetto”.
Su questo erano d’accordo tutti. Bastava fare una riforma circoscritta, non c’era bisogno di sfigurare la Costituzione. Fra l’altro, una delle ragioni della riforma del bicameralismo perfetto era la semplificazione delle procedure: semplificazione che non c’è stata, semmai si è complicato e confuso il procedimento legislativo. Per alcune leggi il Senato interviene, per altre no. Per alcune il Senato vota, ma poi la Camera con maggioranze diverse deve tornare sul testo del Senato. Tutto irrazionale. Il vero dato è che la composizione del nuovo Senato – della quale abbiamo già detto molto nei mesi scorsi – lo rende agevolmente controllabile. Le riforme vanno tutte nella stessa direzione: pensi alla Rai!
Cioè “chi vince piglia tutto”?La legge elettorale che entra in vigore nel 2016 è una via traversa per giungere di fatto all’elezione diretta del premier. Quando si arriva al ballottaggio (per il quale non c’è quorum, e dunque le due liste più votate partecipano a prescindere dal seguito elettorale che hanno avuto), l’elettorato deve necessariamente schierarsi a favore di uno dei contendenti e chi vince si prende tutto. È una forma d’investitura popolare per chi guida il governo; un discorso non nuovo che precede Renzi di molti anni: le elezioni come strumento non tanto per eleggere il Parlamento, ma per scegliere e investire un governo e il suo Capo. E senza che a una simile trasformazione si accompagnino i contrappesi indispensabili in una democrazia costituzionale.
Da Il Fatto Quotidiano del 09/01/2016

“Il Porcellum ha creato il Monstrum”

di Silvia Truzzi da www.ilfattoquotidiano.it


Se chiedi ad Alessandro Pace perché è contrario alla riforma Boschi ti risponde così: «Le ragioni sono molte. Intanto perché privilegia la governabilità sulla rappresentatività; elimina i contro-poteri esterni alla Camera senza compensarli con contropoteri interni; riduce l’iniziativa legislativa del Parlamento a vantaggio di quella del governo; prevede almeno sei tipi diversi di votazione delle leggi ordinarie con conseguenze pregiudizievoli per la funzionalità delle Camere; nega l’elettività diretta del Senato ancorché gli ribadisca la spettanza della funzione legislativa e di revisione costituzionale; sottodimensiona irrazionalmente la composizione del Senato rendendo irrilevante il voto dei senatori nelle riunioni del Parlamento in seduta comune; pregiudica il corretto adempimento delle funzioni senatoriali, divenute part-timedelle funzioni dei consiglieri regionali e dei sindaci». Tutte queste ragioni saranno illustrate domani al primo incontro del Comitato per il No, i cui lavori saranno introdotti proprio dal presidente Alessandro Pace.

Da dove cominciamo? 
«Dall’inizio, da quello che io credo essere il vizio d’origine della riforma. La Corte costituzionale, nel dichiarare l’incostituzionalità del Porcellum consentì espressamente alle Camere di continuare a operare, ma non in forza della legge elettorale dichiarata incostituzionale, bensì grazie al “principio fondamentale della continuità dello Stato”. La Corte aggiunse a tal riguardo che, al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione sia a prevedere, all’articolo 61, che, a seguito delle elezioni, sussiste la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti finché non siano riunite le nuove Camere; sia a prescrivere, all’articolo 77, che, per la conversione in legge di decreti legge adottati dal governo “le Camere anche se sciolte sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni”». 

La sentenza della Consulta è di due anni fa... 
«È vero, ma i due limiti temporali del principio della continuità dello Stato, richiamati dagli articoli 61 e 77, sono assai brevi (meno di tre mesi!). E quindi, ammesso che il Parlamento non potesse essere sciolto nei primi mesi del 2014 perché lo scioglimento avrebbe portato alle stelle lo spread, è però evidente l’azzardo istituzionale, da parte del premier Matteo Renzi e dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di iniziare una revisione costituzionale di così ampia portata nonostante la dichiarazione d’incostituzionalità del Porcellum avesse fotografato un Parlamento di “nominati”, insicuri di essere rieletti, e quindi ricattabili ed esposti alla mercé del migliore offerente. Il che è dimostrato dal record, nella XVII legislatura, di passaggi da un gruppo parlamentare all’altro con 325 migrazioni tra Camera e Senato in poco più di due anni e mezzo, per un totale di 246 parlamentari coinvolti». 

Renzi si è impegnato a dimettersi se il referendum bocciasse la riforma. 
«Evidentemente nel lanciare questa sfida alle opposizioni e agli elettori, Renzi ha inequivocabilmente ammesso che la paternità della riforma costituzionale è del governo e non del Parlamento. Come invece dovrebbe essere e avrebbe dovuto essere. Il che risponde alla semplice, ma ovvia, ragione di non coinvolgere nell’indirizzo politico di maggioranza il procedimento di revisione costituzionale, che si pone a ben più alto livello della politica quotidiana, un livello nel quale anche le opposizioni dovrebbero avere un adeguata voce in capitolo». 

Il governo voleva andare in fretta. I senatori Mario Mauro e Corradino Mineo furono rimossi dalla commissione Affari costituzionali del Senato per aver invocato il rispetto della libertà di coscienza per ciò che attiene alle modifiche della Carta.
Fu dapprima loro assicurato che, per i lavori in aula, diversamente da quelli in commissione, l’art. 67 Cost. sarebbe stato rispettato. Il che era ed è contraddittorio perché se sussiste la tutela della libertà di coscienza del parlamentare su dati argomenti, la tutela non viene meno a seconda del luogo o del contesto nel quale essa viene eccepita. Successivamente, venne altresì eccepito, dall’allora vice capogruppo del Pd in Senato, che la libertà di coscienza non poteva essere invocata perché “tra i principi fondamentali della Costituzione non rientrano certo le modalità di elezione del Senato”, evidentemente confondendo lo stravolgimento in atto del ruolo e delle funzioni del Senato con una semplice modifica del sistema elettorale».
Altre violazioni? 
Quella commessa l’ultimo giorno dei lavori del Senato, il 2 ottobre, nel quale si trattava di votare l’art. 2 del disegno di legge che modificava l’art. 57 della Costituzione. La maggioranza, pur di non confermare l’elettività diretta del Senato, che consegue dall’art. 1 della Costituzione, che garantisce al popolo l’esercizio della sovranità “nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ha partorito un monstrum inconcepibile nel testo di una Costituzione. Ha approvato, nello stesso articolo, due commi tra loro antitetici: uno che prevede che i senatori saranno eletti dai Consigli regionali, l’altro che tale elezione dovrà avvenire “in conformità alle scelte degli elettori”. Dunque o l’elezione da parte dei Consigli regionali sarà meramente riproduttiva della volontà degli elettori e quindi inutile; oppure se ne distaccherà, e in tal caso finirebbe per violare l’art. 1 sopra riportato, che garantisce appunto l’elettività diretta degli organi titolari della potestà legislativa, come tra l’altro sottolineato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014.

"La miseria genera odio" o meglio Charlotte Brontë l'eterna signora del longseller

da: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/12/29/charlotte-bronte-leterna-signora-del-longseller40.html?ref=search

"La miseria genera l'odio": è l'epigrafe scelta da Lord William Beveridge per presentare all'attenzione degli inglesi una "Relazione sulla piena occupazione in una società libera". Il titolo diceva tutto. Dopo quello del 1942, mentre la guerra dilagava nel mondo, dedicato alla protezione e sicurezza sociale, era questo il secondo Piano Beveridge voluto dal governo conservatore di Winston Churchill per predisporre i programmi della ricostruzione postbellica, a cominciare dal lavoro e dall'occupazione. La prefazione di Beveridge alla Relazione aveva la data di giugno 1944, quando gli Alleati erano appena sbarcati in Normandia e liberato Roma. Ma nelle librerie di Londra arrivavano racchiusi in un volume di oltre seicento pagine, un messaggio di pace, di giustizia sociale e la speranza di un
futuro assolutamente nuovo. Nasceva infatti il Welfare State.
«Debbo a mia moglie – scriveva Beveridge nella prefazione – la citazione che appare nel frontespizio. Essa è tratta da quello che Charlotte Brontë, nel secondo capitolo di Shirley, dice dei tessitori su telai a mano, i quali centoventicinque anni fa furono portati alla disoccupazione e ad una miserevole rivolta dall'introduzione dei telai meccanici per maglieria. È questo il mio testo fondamentale. Il male maggiore della disoccupazione non è fisico ma morale; non il bisogno che essa può generare, ma l'odio e il timore che alimenta. Così come il male maggiore della guerra attuale non è fisico ma spirituale: non le distruzioni delle città e l'uccisione delle persone, ma il pervertimento di tutto quello che costituisce la parte migliore dello spirito umano, per servire a scopi di distruzione, di odio, di crudeltà, di inganno e di vendetta». Queste le parole di Beveridge che suggerivano, nell'accostare i disastri della guerra alla perdita del lavoro, l'idea guida, l'ispirazione filosofica della Relazione. Le riporto nella traduzione che per l'editore Einaudi ne fece nel 1948 l'economista Paolo Baffi, futuro, impeccabile governatore della Banca d'Italia. Ispirazione filosofica, ma anche letteraria. E allora lasciamo la parola proprio a Charlotte Brontë: nel 2016 l'Inghilterra e il mondo festeggeranno il duecentesimo anniversario della nascita: 21 aprile 1816. Divenne famosa per Jane Eyre, il bellissimo romanzo apparso nello stesso anno, il 1847, in cui veniva pubblicato Cime tempestose della sorella Emily. Due scrittrici che con queste opere di grande successo hanno lasciato un segno profondo nella letteratura moderna. Jane Eyre era una donna, e una donna è Shirley, protagonista, insieme a un'altra suggestiva figura femminile, Caroline, del romanzo successivo pubblicato nel 1849,da Charlotte. Le date dei tre romanzi ci riportano ad anni decisivi e travagliati della vita politica dell'Inghilterra e di tutta l'Europa al cui centro, il 1848, maturava anche una rivoluzione dei diritti civili, sociali e di liberazione delle donne, delle identità nazionali, dei popoli oppressi. Ebbene con Shirley Charlotte voleva raccontare non solo complessi problemi psicologici e singolari costruzioni esistenziali che coinvolgevano l'universo femminile, ma anche il tessuto reale e storico di una società come quella inglese sconvolta dalla rivoluzione industriale e dai suoi effetti culturali e sociali. Shirley è dunque un romanzo storico sullo sfondo anche della guerre napoleoniche, delle conseguenti crisi economiche e del sistemi produttivi di quei primi anni dell'Ottocento che apparivano pieni di "magnifiche sorti e progressive". Dove tra le minacce più gravi agli equilibri e alle consuetudini civili vi era certamente l'introduzione delle macchine, l'accelerata sostituzione del lavoro umano, l'"alienazione" dei lavoratori nelle fabbriche, lo squallore della disoccupazione e della povertà nelle città e nei distretti industriali. Il "luddismo", cioè la distruzione delle macchine ne fu il primo, immediato segno. «La miseria genera l'odio: l'indigente odiava le macchine che, a suo avviso gli toglievano il pane; odiava gli stabilimenti che le ospitavano; odiava i proprietari di quegli stabilimenti…». Parole che introducono pagine di eccezionale significato storico oltre che poetico. Nel raccontare queste cose Charlotte con Shirley superava di gran lungo le patetiche descrizioni sociali dickensiane per cogliere invece quelle ricadute morali e spirituali di un mondo in trasformazione di cui parlerà Beveridge e per riconoscere però anche nelle macchine il disegno di una "civilizzazione" da analizzare nel profondo, oltre le leggi inesorabili del profitto capitalistico e dimostrando così di essere una delle più acute osservatrici della società contemporanea. Morta giovane nel 1855, Charlotte è stata sempre una presenza importante, grazie soprattutto a Shirley, nel panorama letterario e politico inglese (da Marx a Virginia Woolf). Il lettore italiano ha in questi giorni l'occasione di leggere finalmente e contemporaneamente sia il romanzo di Charlotte, grazie alla traduzione di Fedora Dei per Fazi (pagg. 686, euro 16,50), sia la documentata e commossa biografia che di Charlotte pubblicò nel 1857 la sua amica e quasi coetanea Elizabeth Gaskell, tradotta per la prima volta da Castelvecchi (trad. di Simone Buffa di Castel ferro, pagg. 461, euro 22).
Il fascino di Shirley è nella compenetrazione tra poesia, storia, descrizioni splendide della natura e dei paesaggi umani. È nella sua struttura critica e dialettica. Charlotte Brontë, figlia di un colto e illuminato pastore anglicano, non esaltava certo la violenza dei luddisti ma la "capiva". Però il personaggio maschile del romanzo, Robert Moore, col quale si intrecciano i sentimenti amorosi di Caroline e di Shirley, è un imprenditore capitalista serio e moderno che nelle macchine vedeva l'occasione di una evoluzione sociale e civile. Gliele distruggeranno e col romanzo Charlotte svelava anche una amara e diversa verità: la lotta di classe e l'esordio del conflitto tra capitale e lavoro. La storia di Shirley è dunque una storia di sentimenti e d'amore e ha per sfondo le guerre napoleoniche e il blocco continentale, ma c'erano altri fondali di cui bisognava tener conto. Charlotte pubblicando il romanzo sapeva bene che due anni dopo si sarebbe aperta a Londra la prima, grande Esposizione Universale che avrebbe esaltato proprio la modernità delle macchine. Il successo decretato dai lettori di
Shirley fu anche in questa doppia verità poetica e storica. Non sappiamo se anche Cavour, che frequentava il mondo liberale e economico inglese, abbia letto Shirley, ma in un articolo del 1850 scriveva: «A nostro avviso l'Esposizione generale di Londra è il più bel "congresso della pace" che possa immaginarsi, è il primo passo nel gran problema la cui soluzione è riserbata alla seconda metà di questo secolo... Mentre si agitano in tutte le parti di Europa le questioni politiche, religiose, sociali, l'umanità non trascura il suo progresso industriale, alla cui testa si pone l'Inghilterra…».

Eurostat, l’Italia non recupera dopo la crisi: è la peggiore tra i big dell’Ue

da: http://www.corriere.it/economia/16_gennaio_03/eurostat-l-italia-non-recupera-la-crisi-peggiore-big-dell-ue-53c71e16-b217-11e5-829a-a9602458fc1c.shtml

Secondo i dati rielaborati dal ministero per lo Sviluppo economico, stenta l’occupazione giovanile, che ha recuperato 0,9 punti (2,7 in Germania, 4,2 in Gb e 1,9 in Spagna). La nota: «Paese sconta crisi più dura che altrove, ma ha ingranato la ripresa»da: 

L’Italia non riesce a recuperare le perdite della crisi e a mettersi a pari dei big Ue su industria e lavoro. Secondo i dati Eurostat rielaborati dal ministero per lo Sviluppo economico, a stentare è soprattutto l’occupazione giovanile, che dal minimo registrato durante la crisi ha recuperato 0,9 punti (2,7 in Germania, 4,2 in Gb e 1,9 in Spagna). Bene invece il clima di fiducia.
I dati
Stando ai dati del «Cruscotto congiunturale» messo a punto dal ministero dello Sviluppo economico, il livello di produzione industriale nel nostro Paese resta di oltre il 31% rispetto ai massimi del periodo precedente la crisi, il recupero rispetto ai minimi toccati in recessione è del 3%. La Francia ha invece recuperato l’8%, la Gran Bretagna il 5,4%, risalita del 7,5% per la Spagna. Lontanissimi i dati della Germania che ha recuperato il 27,8%. Dati più negativi per quanto riguarda il settore costruzioni, con Italia di 85 punti sotto il livello precrisi: è il nuovo minimo assoluto. E se il livello del clima di fiducia tra i consumatori è in miglioramento, i dati del mercato del lavoro restano peggiori degli altri big europei. Se è vero che nel terzo trimestre del 2015 la disoccupazione era scesa all’11,5%, nel Regno Unito era al 5,2%, al 4,5% in Germania. In Francia tasso di disoccupazione al 10,8, migliore di quello italiano ma il peggiore degli ultimi 18 anni per il Paese transalpino. Restano grandi le difficoltà in Spagna, disoccupazione al 21,6% , ma in risalita di 4,7 punti rispetto ai livelli più bassi toccati durante la crisi. E negativi sono i dati per il nostro Paese per quanto riguarda l’occupazione giovanile (tra i 15 e i 24 anni), al 15,% e con un recupero dello 0,9% rispetto ai picchi al ribasso dei momenti peggiori della crisi. I giovani occupati sono invece il 17,7% in Spagna, il 28% in Francia, il 43,8% della Germania, il 48,8% del Regno Unito.
Ministero: «Italia ha ingranato la ripresa»
«L’Italia ha ingranato la ripresa» fanno però sapere dal ministero dello Sviluppo economico che sottolinea: «emergono una serie di segnali positivi di ripresa dell’economia, con particolare riferimento alla fiducia di famiglie e imprese, ai consumi e all’occupazione. La produzione industriale continua a crescere, così come l’utilizzo della capacità produttiva. Nel confronto internazionale, l’Italia, rispetto ai principali paesi Ue, sconta una crisi più lunga e più dura che altrove - si legge, e ancora - La ripresa, che nella maggior parte degli Stati membri Ue è partita e si è consolidata dal 2009, in Italia si è manifestata compiutamente solo tra il 2014 e il 2015. Tuttavia, i dati più recenti mostrano che il recupero è finalmente scattato, anche grazie alle misure assunte dal Governo per favorire investimenti e occupazione. Restano naturalmente problemi di lunga durata che il Governo, a partire dalle misure della legge di stabilità, sta finalmente affrontando»

Caro Babbo Natale...

Vuoi portarti via tutta, ma tutta la corruzione da questo stivale su cui viviamo?
Vuoi che se parliamo di pizzo in Italia si intenda solo quello qua sotto?

Vuoi portarci milioni di posti lavoro solo stabile, coi diritti e soprattutto benissimo retribuito?

Vuoi donarci apertura mentale, cultura, salute e diritto ad essa, armonia, serenità e benessere?

Vuoi regalarci aria pulita, mari tersi,  terre decontaminate, acqua e cibo salubre, esercizio fisico per tutti e menti lucide, consapevoli?

Babbo Natale,
per favore ariportaci la possibilità di scegliere i politici e votarli, e  aripijate 'sti squinternati che nessuno l'ha votati!

Grzie e Buon Natale!



Renzi dimissioni! Chi non le chiede acconsente

da: http://temi.repubblica.it/micromega-online/renzi-dimissioni-chi-non-le-chiede-acconsente/
di di Paolo Flores d'Arcais

Non era “Scherzi a parte”. Era proprio “la Leopolda”, il marchio di fabbrica, il brand, la maison, insomma il format urbi et orbi con cui Renzi ogni anno magnifica se stesso in una sbrodola corriva di italico conformismo, cortigiani baci della pantofola e Te Deum alla finanza. Poiché però quest’anno il giornalismo unico e prono, che tanto piace al premier, oltre alla tradizionale eccezione di “Il Fatto Quotidiano” ha registrato su più testate spazi prioritari dedicati a quella pinzillacchera dei risparmiatori truffati e rovinati (uno già indotto al suicidio), anziché la staffetta d’ordinanza di osanna e peana, Renzi ha ritenuto improcrastinabile colpirne uno per educarne cento con la gogna del simpatico gioco “i dieci titoli più inappropriati”: per i vincitori non mancheranno ricchi premi e cotillon, future poltrone, stiano pure sereni.

Ora, quando Renzi è in famiglia per la tombolata o in intimità con i/le sodali del suo giglio magico per il mercante in fiera o monopoli, padronissimo di sostituirvi giochi che alla combriccola paiano più sganascianti. Ma nella vita pubblica, l’osceno spettacolo di Firenze si chiama aggressione alla libertà di stampa, sputi e schiaffi contro l’articolo 21 della Costituzione, e un premier che in tali pratiche si ingaglioffisca deve andarsene subito.

Sulla libertà di stampa, come sugli altri diritti fondamentali della Costituzione, non è lecito scherzare.
Perché per minimizzare la gravità di quanto operato dal premier contro la libertà di stampa si è costretti a istituire paragoni con la Turchia di Erdogan, dove i giornalisti finiscono in galera, e la Russia di Putin, dove finiscono anche ammazzati, e allora effettivamente sì, si può sostenere che in fondo quella di Renzi è una marachella, birichinata, birbanteria, ragazzata.

Solo che Renzi non è un ragazzino in fregola di bullismo, è il capo del governo, e lo standard con cui misurarlo non possono essere Erdogan e Putin. È immaginabile un Obama, una Merkel, un Hollande, un Cameron che si sbellicano a far insolentire dagli elettori un giornale che li critica? E per scendere molto più in basso, cosa sarebbe successo se fosse stato Berlusconi a sollazzarsi con il giochino dei “titoli inappropriati”? O addirittura: come finirebbero le chance della carriera politica di Marine Le Pen, se si permettesse?

E allora, perché si continua a tollerare Renzi al governo, e la Boschi, e Alfano, e compagnia cantando? Davvero hanno passato il segno. 

Ecco perché è necessario, ineludibile, improcrastinabile, che chi ha voce pubblica dica: 
BASTA! Renzi a casa! Renzi si deve dimettere!

Noi, che in fatto di ascolto pubblico contiamo pressoché nulla, lo facciamo immediatamente, e invitiamo tutti i lettori a dire “basta!” insieme a noi. Ma è indispensabile che chi gode di ascolto vero e dunque conta nell’opinione pubblica (devo fare i nomi? Li sanno tutti), le dimissioni di Renzi le chieda con tutta la forza e il peso massimo della sua voce, facendo da catalizzatore a centinaia di migliaia, a milioni di cittadini, altrimenti le sue critiche rimarranno un elegante esercizio con cui salvarsi l’anima.

Cosa ci insegna la Boschi Family story di Pierfranco Pellizzetti

da: http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/12/14/pierfranco-pellizzetti-cosa-ci-insegna-la-boschi-family-story/

Come dare torto a Dario Nardella, il badante che veglia amorosamente sulla poltrona di sindaco di Firenze avuta in affido da Matteo Renzi, quando replica in tono infastidito a Roberto Saviano «sei fuori dal mondo»? Difatti è certamente fuori da “un certo mondo” chi reclama le dimissioni per conflitto d’interessi della ministra Boschi, invischiata con il babbo Pierluigi e il fratellino Emanuele nella vicenda ormai mortifera del crack di Banca Etruria.
Il mondo dove le famiglie Adams della politica italiana praticano con soddisfatto sprezzo del pudore lo sport dell’arraffa impunito. Magari per poi sgranare gli occhioni – tra lo stupito e l’indignato – se qualcuno osa eccepire che il vice presidente di una Banca fallita dovrebbe rendere conto del proprio operato, non meno del dirigente responsabile del settore fidi di detto istituto. Ossia daddy Pier Luigi ed Emanuele brother; che la ministra belloccia (seppure abbastanza sul cavallino) presume di mondare da ogni responsabilità morale/materiale con un suo semplice attestato che si tratterebbe di “brave persone” e “cari ragazzi”.
Quando l’impudenza si diluisce nell’ingenuità…
Eppure la Boschi family ci insegna qualcosa di molto importante, sui tempi attuali e i suoi protagonisti: di che materiale sono fatti i ragazzetti e relativi famigli che occupano la scena al seguito di Matteo Renzi; il cui padre Tiziano è nel mirino della magistratura per certi business malandrini, che mal si addicono alla sua aria da Grande Puffo, con tanto di barbetta ricurva (il Tribunale di Genova ha respinto la richiesta di archiviazione dell’indagine per bancarotta che lo riguarda); il cui zio Nicola Bovoli, leonardesco inventore del celebre Quizzy, era in affari con Berlusconi.
Insomma, dietro cotanti modelli – la bella e il best – avanza una tipologia umana di nuovo conio, che riprende aspetti delle precedenti razze padrone, ma rimixate in modalità originali:
- Gli antichi “uomini di mano dorotei”, al tempo della Prima Repubblica, praticavano una sfrenata occupazione del potere, ma sempre mimetizzati in uno stile di vita disadorno tendente al monacale, totalmente diverso dal glam da balera dei nuovi emergenti;
- Tra i “giovani turchi” dell’ultima infornata dalemiana - modello Orfini o Andrea Orlando - non si rinuncia(va) a nessun colpo basso e porcata, ma sempre con quel pallore sul volto da grano dei sepolcri (i corridoi di partito ove hanno sempre vissuto, in simbiosi con famiglie di lemuri) che contrasta con il look lampadato renziano;
- Gli “avanzi di balera” del berlusconismo rampante esibiscono tenute fighette, pantaloni a tubo di stufa strizza-malloppo e SUV mastodontici da parcheggiare in terza fila, come gli abitué Leopoldini; che tuttavia si riconoscono per un uso compulsivo dei media “indossabili” (I-phone, smart-phone) per tweettate in quantità industriali (che farebbero venire il mal di testa a dolcevitari arcoriani);
“Le amazzoni di Silvio” azzannavano l’avversario né più né meno ora delle “soavi viperette” renziane; ma queste ultime preferiscono adottare un repertorio tossico composto da sottili perfidie e insinuazioni velenose, rispetto agli schiamazzi con strabuzzo delle precursore nella femminilizzazione del killeraggio televisivo.
    Riassumendo: ragazzetti e ragazzette di modesta cultura e mastodontiche ambizioni, che avanzano a suon di gomitate senza remore di sorta e non guardando in faccia nessuno. Con una pretesa di modernità confusa con il look.
    Nessun stupore se poi li ritroviamo a ripetere le stesse malefatte di chi li ha preceduti, la cui rottamazione aveva il solo scopo di fare spazio ai nuovi sgomitatori.
    Pierfranco Pellizzetti

    Fallimento Valleverde, in manette il fondatore Armando Arcangeli

    da: http://brescia.corriere.it/notizie/cronaca/15_dicembre_03/fallimento-valleverde-arrestato-armando-arcangeli-brescia-rimini-0768a4a4-99b2-11e5-a8aa-552a5791f1fe.shtml

    Con il fallimento del noto brand di calzature si sarebbe appropriato indebitamente di nove milioni di euro. Sequestrati 19 milioni. In manette anche un consulente bresciano



    Dai fasti degli anni ‘90 ai debiti milionari, dagli spot con Kevin Kostner alle indagini per bancarotta fraudolenta. Giovedì mattina sono scattate le manette, sipario sulla triste caduta di uno dei più famosi imprenditori del centro Italia. Armando Arcangeli, fondatore del noto brand di calzature Valleverde, «non cammina più»: è agli arresti domiciliari. Per la Guardia di Finanza di Rimini, che si è avvalsa della collaborazione dei colleghi di Pesaro, Brescia e Mantova, si sarebbe appropriato indebitamente 9 milioni di euro con il fallimento della Spes spa, società in cui l’indebitata Valleverde spa si era trasformata nel 2011 cedendo in affitto l’azienda alla Valleverde srl, newco creata ad hoc da un gruppo di imprenditori bresciani . Una storia di intrecci, falsi contenziosi e omessi versamenti a Erario e creditori.


    La scoperta è stata fatta nell’ambito dell’ operazione «Broken shoes», che ha portato anche al sequestro di beni per 19 milioni di euro.Ai domiciliari anche David Beruffi, 58enne ex assessore di Castiglione, Antonio Gentili, 48enne di Novafeltria, direttore generale e poi liquidatore della Valleverde spa, Enrico Visconti, 50enne di Desenzano presidente del cda di Valleverde srl, Ernesto Bertola, 61enne bresciano, amministratore di fatto della Valleverde srl e Anna Maria Soncina, 51 anni di Desenzano , consulente esterno. La struttura aziendale, attualmente, è di proprietà della Silver 1 srl di Lugo di Romagna guidata da Elvio Silvagni che ha rilevato la Valleverde a gennaio 2015 per 9 milioni di euro e che risulta estranea alla vicenda.

    La prima operazione nel 2013

    Le perquisizioni a catena scattano nel 2013 nelle abitazioni e negli uffici dei vertici (vecchi e nuovi) del calzaturificio. Motivo: il fallimento della Spes spa, per la quale è dichiarato il fallimento dopo la revoca del concordato preventivo. Secondo i finanzieri, attraverso un intreccio societario e l’utilizzo strumentale di un concordato preventivo nella pratica fittizio sono stati sottratti all’azienda almeno 9 milioni di euro. La Spes spa era infatti la società in cui si era trasformata cambiando nome e ragione sociale alla vecchia Valleverde spa di Arcangeli, indebitata per 45 milioni, e che avrebbe dovuto traghettare lo storico calzaturificio di Rimini verso il concordato preventivo. I debiti contratti dalla Spes per far fronte all’affitto d’azienda, alla gestione del calzaturificio da 130 dipendenti e alla produzione sarebbero dovuti essere pagati dalla newco Valleverde srl, costituita da un pool di imprenditori bresciani che avevano preso in affitto marchi, produzione e vendita impegnandosi a versare alla Spes le risorse necessarie per ripianare i debiti. Arcangeli pensava però che i fasti degli anni ‘90 non si sarebbero ripetuti e ha stretto un patto segreto con gli imprenditori bresciani: i soldi alla Spes non dovevano arrivare.



    Dal concordato al fallimento

    Ammessa al concordato preventivo, omologato nel 2012, la Spes (espressione della vecchia società) non ha fatto fronte agli impegni assunti verso i 2mila creditori di Valleverde spa sparsi per l’Italia. Anche alla luce delle contese (giudicate artificiose dalla Finanza) tra vecchia e nuova società il concordato era stato revocato dal Tribunale e la Spes ha fatto crac il 6 giugno 2013: dalla newco Valleverde srl, i soldi non sono mai arrivati. Per la Finanza era tutto programmato tanto che una denuncia di truffa della nuova gestione contro la vecchia, accusata di aver fatto sparire parte del magazzino, era stata considerata «artificiosa». Sette gli imprenditori e manager che il pm Luca Bertuzzi aveva iscritto nel registro degli indagati per bancarotta. Tra questi Armando Arcangeli, fondatore dell’originaria Valleverde Spa e ideatore dello slogan «Camminerete in una Valleverde», il direttore generale Antonio Gentile che poi ha assunto l’incarico di liquidatore della Spes, l’amministratore della srl Enrico Visconti, residente a Desenzano del Garda, Ernesto Bertola, bresciano e David Beruffi, di Castiglione delle Stiviere, responsabile finanziario.



    Sequestri preventivi per l’equivalente dei reati

    L’attività di polizia giudiziaria, coordinata da Luca Bertuzzi, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Rimini, e svolta dai finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Rimini, ha permesso di individuare operazioni e fatti aziendali connotati dall’obiettivo comune di depauperare il patrimonio aziendale della fallita Valleverde. Tutto in pregiudizio dei creditori e dell’Erario attraverso la commissione di bancarotta e di omessi versamenti di imposte per importi milionari. Le condotte per le quali gli indagati sono accusati riguardano sia la vecchia proprietà che la governance della newco bresciana appositamente costituita per garantire la continuità aziendale nella fase del concordato preventivo omologato dal Tribunale di Rimini. Sono stati eseguiti sequestri preventivi per «equivalente», con riferimento a reati tributari, fino alla concorrenza di 12,2 mln di euro e sequestri preventivi, con riferimento ai reati fallimentari, di somme pari a 6,8 mln di euro, oltre a quote societarie di cinque società, di cui una immobiliare con sede a Rimini e quattro nella Repubblica di San Marino, nonché ai saldi attivi di conti correnti sia nazionali che esteri, avvalendosi anche di una rogatoria internazionale accolta dall’Autorità Giudiziaria della Repubblica di San Marino.

    Adesso lo dice l’OCSE: i giovani italiani avranno pensioni da fame!!!! (la nostra Vendetta? No siamo solo degli “scemi”!)...

    da:https://www.facebook.com/idv2.0lazio/?fref=nf
     2 Dicembre 2015
    Adesso lo dice l’OCSE: i giovani italiani avranno pensioni da fame!!!! 
    (la nostra Vendetta? No siamo solo degli “scemi”!)
    Sono almeno 3 anni che corriamo dietro alla questione pensionistica per porla al centro del dibattito politico, avvertendo conti alla mano, che nel futuro prossimo le pensioni dei giovani saranno “povere” e che bisogna intervenire con forza adesso, non domani, ora! Sono 3 anni che cerchiamo sponde per discuterne seriamente, sono anni che chiediamo di affrontare l’argomento di “petto” senza ricevere risposte, sono anni di “solitudine” a volte! Ovunque siamo andati per parlarne siamo stati guardati con sospetto, siamo stati presi per “allarmisti”, siamo stati identificati come “quelli che ce l’hanno con l’INPS”, siamo stati definiti “come dei temerari o liberisti o più semplicemente come ….. degli scemi!”, però ieri l’OCSE ha detto e sentenziato che “gli scemi” non siamo noi ma, forse quelli che non vogliono ascoltare a cominciare dalle forze politiche, dal Governo e dall’opposizione, dai giovani di questo Paese che ignorano o vogliono ignorare il piatto che gli stanno preparando, insomma nessuno vuol sentire parlare di “future pensione povere”!!

    Si sono messi a discutere per mesi se consentire di andare in pensione con qualche anno di anticipo, penalizzando l’assegno, senza comprendere che la questione è più profonda e seria: è l’assegno pensionistico che è basso, questo è il problema, è il sistema contributivo così com’è che non funziona!

    L’Ocse semplicemente dunque ha preso atto che il sistema pensionistico italiano è assolutamente iniquo, e comporterà un danno pesantissimo alle nuove generazioni (i trentenni di oggi e quelli 
    che verranno!) che sono oggi e nei prossimi anni costrette a mantenere i privilegi degli attuali pensionati e dei futuri pensionandi per avere solo le briciole, si parla di assegni di pensioni inferiori di almeno 25/30% di quelli attuali (il conto secondo noi è ottimistico, ma ricordate “noi siamo scemi!”) e soprattutto l’OCSE prevede che tale penalizzazione colpirà anche le donne….che saranno mamme! 

    E l’OCSE parla in fondo dei lavoratori dipendenti, tralascia quei poveri disgraziati degli autonomi, delle Partite Iva, quelli che sinora sono stati il bancomat dell’INPS versando nell’unica cassa attiva della Gestione Separata!!

    Un paese che oggi poggia su un concetto stranissimo e certamente poco romantico : si prende al povero per dare al ricco, un Robin Hood al contrario! Infatti chi tiene in piede la baracca dell’INPS e le attuali pensioni? Semplice i più sfigati, le partite Iva, gli stranieri, i cococo, i lavoratori con i voucher, i lavoratori a termine……questi versano montagne di soldi per non avere nulla in futuro ma solo per mantenere le pensioni d’oro, i baby pensionati, i sindacalisti in pensione ecc.

    Dunque il futuro sarà POVERO! Cari giovani il messaggio dei vostri Padri è semplice : vi lasciamo un bel debito pubblico, ed inoltre mi raccomando lavorate……. perché dovete mantenerci!!!
    Che bella prospettiva! Giovani e mamme con le pensioni da fame!!
    D’altronde agire seriamente sulle pensioni vuol dire affrontare il problema alla radice, partendo da i difetti del sistema contributivo, dal mondo del lavoro cambiato, dalle aliquote altissime di contributi, dalle rivalutazioni del montante pari allo 0, dal mancato sviluppo delle previdenze private ecc. Ma chi ha il coraggio di affrontare questi argomenti? Al momento nessuno, solo qualche “scemo” come noi, che poniamo il problema da anni per farci ridere dietro!
    Mi sembra però stamani di sentire nell’aria e nei bar qualche ………..risata di meno!!!

    Befana a piazza Navona, tornano i banchi dei Tredicine. È polemica

     da: http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_novembre_21/befana-piazza-navona-tornano-tredicine-polemica-c5d2240c-907e-11e5-ac55-c4604cf0fb92.shtml

    Tredicine Alfiero... Tredicine Dino... Tredicine Elio... Tredicine Tania Donatella... Ecco alcuni dei nomi che hanno vinto il bando per la Festa della Befana in piazza Navona. E con concessione decennale. L’elenco di coloro che dal 6 dicembre allestiranno il nuovo banco «tipo» per vendere dolciumi, statuine del presepe o giocattoli nella più caratteristica fiera natalizia della capitale, vede un ritorno alla «tradizione» anche negli assegnatari. Il nuovo bando che doveva portare sulla piazza banchi perfino di operatori stranieri non ha così raggiunto i risultati sperati. «Avevamo ragione quando, dopo il primo momento di contentezza, ci siamo resi conto che il bando avrebbe portato la sopravvivenza ai soliti noti fino al 2024 - afferma Viviana Piccirilli Di Capua, dell’Associazione abitanti centro storico - per questo mi auguro che coloro che possono, compreso il Commissario, rivedano questa situazione che non ha nulla di trasparente e va sicuramente a decremento di quanto era stato espresso dal I Municipio».

    «L’assessore Sabella - aggiunge - ha detto che chi scrive le delibere o è ignorante o le fa pretestuosamente: qualcuno faccia tesoro di queste parole e prenda un serio provvedimento». Misurando molto le parole non nascondono del resto la loro poca soddisfazione anche la presidente del I municipio, Sabrina Alfonsi, e l’assessore municipale al Commercio, Jacopo Pescetelli: «Sicuramente - dicono - possiamo affermare di non essere soddisfatti del risultato ottenuto sotto il profilo delle garanzie per la qualità della merce in vendita. A quanto emerge da una prima lettura delle diverse graduatorie in alcuni settori, come i dolciumi, i punteggi per la certificazione della qualità della merce sembrano non essere stati assegnati, il che ha aumentato in modo preponderante il peso del requisito di anzianità. Faremo ovviamente tutte le verifiche amministrative del caso sull’esito del lavoro della Commissione per essere certi che sia stato rispettato in pieno il principio di legalità».

    Ma intanto niente novità, e niente «biologico» come invece richiesto. E ai primi due posti per la vendita di dolci c’è Alfiero Tredicine: «C’è stata una riduzione del 50 per cento dei banchi di dolciumi - spiega Pescetelli - che due siano dei Tredicine è normale, vige un criterio di anzianità. Non siamo soddisfatti». Neppure per le novità nei presepi o giocattoli: per 20 postazioni ci sono state solo 16 domande e due sono stati esclusi. Ci saranno quindi solo 14 banchi. Gli altri sei? «Li rimetteremo in gara l’anno prossimo», spiega l’assessore. Per di più nella graduatoria del commercio dei giocattoli appare al numero due il «Food Store di Tredicine Alfiero». E per altre postazioni c’è chi dice che si tratti, in alcuni casi, di loro parenti.

    E Stilinga pensa: ARIDATECE MARINO!
    l'alternativa è boicottare piazza Navona, evitarla per tutto il periodo natalizio e asciugare economicamente il settore, monopolio dei soliti noti, in modo che la botta sui denti sia forte e chiara!

    Pinotti: "Inviamo armi in Medio Oriente nel rispetto della legge''

    da: http://video.repubblica.it/politica/pinotti-inviamo-armi-in-medio-oriente-nel-rispetto-della-legge/219154?ref=HREC1-3


    A margine di un convegno sulla difesa a Roma, l'ad di Finmeccanica Mauro Moretti risponde alle polemiche sulla vendita di armamenti e i commerci dell'Italia con Paesi come Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, dal cui interno provengono - secondo molti analisti - finanziamenti e supporto all'Is. Dal palco dello stesso convegno, il ministro della Difesa Pinotti sottolinea che: "All'interno dei Paesi Arabi ci sono fondazioni private che finanziano i terroristi e vanno estirpate, ma dire di non fare più affari con quei Paesi è come dire che non bisognava più avere rapporti con l'Italia perchè c'era la mafia". Pinotti replica anche alle critiche per l'autorizzazione concessa alle recenti spedizioni da Cagliari verso l'Arabia Saudita di carichi di bombe assemblate in Italia, nonostante le evidenze che ordigni dello stesso tipo siano stati usati dai sauditi nei bombardamenti dello Yemen. Infine al cardinal Bagnasco, che aveva proposto un embargo planetario verso i Paesi che fanno affari e finanzano il terrore, Moretti ribatte caustico ricordando i passati da ordinario militare del cardinale.

    (video di Marco Billeci e Francesco Giovannetti)



    L’Africa all’Ue: smettete di sfruttarci e si fermerà l’emigrazione

    da: http://www.eunews.it/2015/11/12/africa-ue-migranti-valletta/45003

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    Al vertice di Valletta i Paesi africani fanno presente che se le risorse naturali venissero pagate al giusto prezzo e le multinazionali straniere non evadessero il fisco, non ci sarebbe più bisogno di aiuti allo sviluppo
    Bruxelles – L’intera discussione, nemmeno ci sarebbe: se le risorse naturali dell’Africa venissero pagate al giusto prezzo e se le multinazionali che operano nel Paese non evadessero sistematicamente le tasse, molte di quelle persone che oggi tentano di raggiungere l’Europa per fuggire alla povertà, non avrebbero motivo di partire. A criticare apertamente il neo-colonialismo dell’Occidente, inclusa la stessa Europa che si presenta al summit della Valletta tra Ue e Africa nei panni del donatore buono, ci pensa il presidente del Senegal, Macky Sall. “Fino a che l’Africa non vedrà la giusta remunerazione per le sue risorse naturali sarà più o meno dipendente”, avverte durante la conferenza stampa finale del vertice, chiedendo: “È giunta l’ora di restaurare il giusto ordine delle cose”, non solo con prezzi equi per le materie prime africane ma anche spostando “la trasformazione delle risorse sul continente per creare lavoro”. Inoltre l’occidente dovrebbe impegnarsi nella “lotta contro l’evasione fiscale perché è noto che certe multinazionali che operano in Africa trovano sempre attraverso i meccanismi dei contratti che firmano con gli Stati un mezzo di scappare alla fiscalità”, denuncia ancora Sall.
    Certo l’Africa non è indenne da colpe: anche “malgoverno e corruzione sono cause di povertà assoluta”, ammette il leader senegalese. Ma “l’evasione fiscale e il trasferimento fraudolento di risorse dall’Africa sono valutati più di 60 miliardi di dollari l’anno” dunque “il solo 10% di questo patrimonio permetterebbe all’Africa di essere indipendente, di fare a meno degli aiuti pubblici allo sviluppo e anche di rimborsare totalmente il suo debito”. Insomma l’Occidente che ora si lamenta dei migranti africani, dovrebbe preoccuparsi di non contribuire all’impoverimento del continente. “Questa battaglia l’abbiamo portata ovunque: al G7, al G20, alle Nazioni Unite e anche qui” al vertice con l’Europa, spiega Sall.
    In ogni caso, secondo il rappresentante africano, l’Ue dovrebbe “sdrammatizzare” il suo approccio alla questione migratoria: “Da sempre quando ci sono differenze di sviluppo, le persone migrano verso i Paesi più sviluppati”, sottolinea Sall, ricordando che “fino a uno o due secoli fa era l’Europa che in massa migrava verso l’America”. Si tratta “di un fenomeno naturale, che va sdrammatizzato”, concentrandosi sulla “organizzazione della mobilità regolare e sulla lotta contro i traffici che sfruttano la povertà della popolazione africana per alimentare questo commercio ignobile che è l’immigrazione clandestina”.
    Proprio questi sono due dei punti del piano di azione concordato oggi da Paesi africani e Unione europea. Una tabella di marcia ambiziosa che contiene “una serie di azioni molto concrete” da mettere in atto entro la fine del 2016, sottolinea il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Punto centrale è l’accelerazione sui rimpatri e sull’aiuto ai Paesi africani per il reinserimento delle persone rimpatriate. L’Ue si impegna anche ad aprire alcune vie di accesso legale per l’ingresso dei cittadini africani, anche se l’impegno concreto si limita per il momento a borse di studio per gli studenti e a progetti pilota per ricerca o formazione.
    Nel corso della due giorni l’Ue ha anche firmato l’atto che lancia ufficialmente il trust fund (fondo fiduciario) per combattere le cause dell’immigrazione irregolare dall’Africa. Un passaggio formale che non aumenta però gli impegni concreti degli Stati, che restano limitatissimi rispetto alle attese. La Commissione europea ha messo sul piatto 1,8 miliardi di finanziamenti e altrettanto si erano impegnati a fare i Paesi Ue che per il momento, però, hanno tirato fuori soltanto 81,3 milioni di euro.

    "I bambini atei sono più altruisti di quelli religiosi"

    da:http://www.repubblica.it/scienze/2015/11/06/news/bambini_atei_piu_altruisti_dei_religiosi-126763069/?ref=HREC1-25

    LA GENEROSITA' e l'altruismo non si imparano grazie alla fede e alla religione. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Current Biology, condotto su un campione di 1.170 bambini, d'età compresa tra i cinque e i 12 anni, di sei Paesi (Canada, Cina, Giordania, Stati Uniti, Turchia, Sudafrica). Scopo della ricerca, guidata da Jean Decety del Dipartimento di psicologia dell'Università di Chicago, era quello di misurare se e come la religione incidesse sui comportamenti cosiddetti "prosociali", ossia volti al bene degli altri senza attendersi una ricompensa.

    Probabilmente la Fondazione americana John Templeton, di ispirazione cristiana, che ha finanziato lo studio, non sia aspettava un risultato del genere, che rimettesse in discussione il concetto di moralità basata sulla religione. "I dati rimettono in discussione il fatto che la religione sarebbe vitale per lo sviluppo morale" concludono i ricercatori "e supportano l'idea che la secolarizzazione del discorso morale non diminuirà il livello di  bontà umana, anzi, sarà tutto il contrario".

    I bambini sono stati divisi in tre gruppi, scegliendo le due religioni dominanti nei Paesi in cui è stata condotta l'indagine: cristiani, musulmani e non credenti. Ai genitori è stato chiesto di valutare la capacità di empatia e la sensibilità all'ingiustizia dei propri figli: per i genitori cristiani e musulmani erano più alte rispetto a quanto dichiarato da quelli atei.

    I ricercatori hanno poi testato questa "sensibilità" con delle prove pratiche, facendo vedere ai bambini dei video di piccola "violenza" quotidiana, con scene di coetanei che si sgambettano o si spintonano - sia intenzionalmente che involontariamente - chiedendo loro di valutare il livello di cattiveria e la relativa punizione da infliggere al "colpevole". Ebbene, i piccoli religiosi si sono dimostrati più inflessibili dei non credenti, scegliendo punizioni più pesanti. I più intransigenti sono risultati i musulmani.

    L'altro aspetto analizzato dall'indagine è stato quello della generosità. Il test è stato molto semplice, basato sul "gioco del dittatore": a ognuno dei bambini è stato chiesto di scegliere dieci figurine adesive in un mazzetto di trenta, precisando che non ci sarebbe stato il tempo per distriburle a tutti gli altri. I ricercatori hanno poi chiesto loro se sarebbero stati disposti a cederne alcune ai compagni meno fortunati. Un primo dato interessante e già emerso da precedenti ricerche, è stati che il numero delle figurine regalate aumentava con l'età. L'altro è stato che i piccoli atei sono risultati i più generosi. Non solo, sono stati proprio quelli più credenti a dimostrarsi meno propensi a staccarsi dalle proprie figurine, indipendentemente dalla loro collocazione geografica.

    Jean Decety, francese di nascita e americano d'adozione, sottolinea come, specialmente negli Stati Uniti, sia praticamente impossibile per chi si dichiara non credente accedere a cariche di potere, soprattutto se elettive "perché immediatamente nasce il sospetto di essere immorali o amorali". Ma stando ai risultati di questa ricerca sarebbe proprio il contrario. E cerca di dare, insieme ai colleghi, una spiegazione ai comportamenti riscontrati: è come se si creasse una sorta di alibi, una "licenza morale", per cui già il fatto di seguire i dettami di una religione sia in sé indice di bontà, autorizzando così inconsciamente i "fedeli" a un maggiore egoismo nella vita di tutti i giorni, nei piccoli gesti quotidiani, in cui il piccolo gesto di generosità e bontà non viene riconosciuto, se non dalla persona che lo riceve.

    Allarme Renzi: ha il verme solitario? In 14 mesi solo per i pasti ha bruciato 481 mila euro (ovviamente a spese dei fessi Italioti) !!

    DA DAGOSPIA

    CHE MAGNA MAGNA! DA QUANDO È A PALAZZO CHIGI RENZI HA GIA’ SPESO 1,6 MILIONI IN VIAGGI, PRANZI E CERIMONIALE – IN 14 MESI SOLO PER I PASTI CON I COLLABORATORI SONO VOLATI VIA 481 MILA EURO, OVVERO POCO PIÙ DI MILLE EURO AL GIORNO

    Metà di questa somma è dovuta alle spese di cerimoniale per i suoi incontri istituzionali (877mila euro, e cioè 58.477 euro al mese dal marzo 2014), l’altra metà è dovuta alle spese base per i suoi viaggi istituzionali in Italia e all’estero – Nel conto per altro non viene considerata alcuna spesa di personale o di benzina…
    Da quando è presidente del Consiglio Matteo Renzi ha messo in conto agli italiani 1,6 milioni di euro. Metà di questa somma è dovuta alle spese di cerimoniale per i suoi incontri istituzionali (877mila euro, e cioè 58.477 euro al mese dal marzo 2014), l’altra metà è dovuta alle spese base per i suoi viaggi istituzionali in Italia e all’estero.
     Nel conto per altro non viene considerata alcuna spesa di personale, e nemmeno quella della benzina utilizzata con la sua auto blu e la scorta che lo segue quando si muove sul territorio nazionale.
    Ma il dato forse più impressionante che si ricava dal sito Trasparenza della presidenza del Consiglio dei ministri, è quello delle abbuffate di missione. Dal marzo 2014 al mese di maggio 2015 (è l’ultimo per cui esistono dati ufficiali), il presidente del Consiglio italiano ha speso per mangiare insieme ai suoi collaboratori la bellezza di 481.070 euro, pari a 1.068 euro al giorno, considerate anche domeniche e festivi, da quando è in carica.
    È una media da pollo di Trilussa, perchè nella cifra vengono conteggiati solo i pasti consumati durante missioni internazionali o nazionali, e la maggiore parte del tempo Renzi lo dovrebbe passare a Roma (in questo caso il conto è top secret), e qualche festività o fine settimana dovrebbe essere in famiglia non più a spese dello Stato.
    FORCHETTA D’ORO
    Gli oltre mille euro al giorno, quindi più di 30mila euro al mese per i pasti di «missione » sono così divisi: 403,04 euro per quelli consumati sull’aereo blu di Stato, e 665 euro per quelli consumati in loco quando giunge a destinazione in Italia o all’estero. Ovvio che sulla somma astronomica conta il numero dei collaboratori che il presidente del Consiglio si porta dietro: lo staff personale e spesso qualche funzionario che gli è utile una volta a destinazione.
    Sui voli aerei di Stato, dove il numero dei commensali è dichiarato, il costo a persona di quei pasti oscilla fra 70 e addirittura 150 euro a seconda dei mesi e delle forniture di catering previste. Sono prezzi da ristorante pluristellato, e quindi il servizio è molto caro e il menù dovrebbe accarezzare il palato del premier e dei suoi collaboratori.
    Non è possibile quel conto a persona invece con i dati che si hanno a disposizione per le visite in Italia e all’estero, dove per altro accadrà pure qualche volta che il premier sia ospitato a pranzo o a cena a spese altrui (capi di Stato esteri, autorità istituzionali, presidenti di Regione, sindaci di comuni etc..).
    Con quella media da oltre mille euro al giorno per il solo cibo però c’è da pensare che il presidente del Consiglio italiano sia piuttosto generoso anche quando si reca in case altrui: mette mano al portafoglio, e forse offre a tutti. Naturalmente coni fondi pubblici di Palazzo Chigi. I pasti non vengono compresi invece nei costi del cerimoniale del capo del governo italiano.
    Da quando Renzi è in carica ha speso 39.741 euro per organizzare l’accoglienza a Palazzo Chigi, altri 233mila euro per eventi della presidenza del Consiglio sul territorio nazionale e mezzo milione di euro per quelli che si sono tenuti all’estero. Sempre esclusi i costi del personale impegnato nelle varie missioni. Ad aprile e maggio 2015 per la prima volta nella storia del cerimoniale sono spuntati anche dei costi di «conduzione dell’alloggio di palazzo Chigi» dove abita quando è a Roma il presidente del Consiglio.
     Difficile capire quali possano essere: la sicurezza del premier è a carico di altro capitolo di spesa, la manutenzione spicciola è inserita fra le commesse ordinarie della presidenza del Consiglio dei ministri, dove era già saltata all’occhio la fattura per il rinfresco delle pareti dell’appartamento alla vigilia della elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica. Sono spese misteriose, ma se ne conosce l’importo: 6.880 euro nei due mesi, di cui 2.259euro nell’aprile scorso e 4.621 euro nel mese successivo di maggio.
    ESEQUIE DI STATO
    Dopo molti anni purtroppo nel bilancio complessivo del cerimoniale di palazzo Chigi è spuntata una voce di cui si sarebbe fatto volentieri ameno: quella delle esequie di Stato. Sono relative al mese di aprile 2015 ed è il costo del funerale celebrato a Milano per il giudice Fernando Ciampi e l’avvocato Lorenzo Claris Appiani, assassinati da Claudio Giardiello nella folle sparatoria dentro il tribunale.
    Ci fu anche un’altra vittima, la cui famiglia però preferì esequie private lontane dai riflettori. La fattura arrivata a palazzo Chigi per quella doppia cerimonia funebre ammonta a 18.332 euro, regolarmente registrati in uscita ilmese stesso (che non significa sia stata ancora saldata, ma solo contabilizzata).

    FONTE: http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/che-magna-magna-quando-palazzo-chigi-renzi-ha-gia-speso-milioni-104048.htm