L'Italia non è un paese per freelance

L’Italia non è un paese per FREELANCE

Sicuramente questo sarà l’ennesimo articolo sulla materia, premetto che il titolo non è un plagio ad altri post intitolati nel solito modo e non è un trucchetto SEO per scalare le classifiche, ne ho già visti di articoli su vari blog intitolati così, ce ne sono molti, la verità però é che questo non è un titolo ma un pensiero, il primo pensiero che mi è venuto a mente questa settimana appena terminato di vedere il video di Alessandra Farabegoli dedicato a come calcolare costi e guadagni per un freelance italiano armato di partita IVA.
Già scosso il giorno prima per un’osservazione fatta dalla mia amica Ilaria Barbottisu Facebook, dove raccontava con suo sommo stupore come il suo secondo anno da freelance è stato in un attimo dissanguato appena le hanno presentato la sua prima dichiarazione dei redditi, ho affrontato quindi la visione del video di Alessandra intitolato “I conti della serva” con il fiato sospeso, speravo rivelasse alemeno una verità a me ancora sconosciuta, ahimè no, ecco che appare sempre lei: “The Awful Truth”.
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Negli ultimi due anni mi è capitato spesso in situazioni ufficiali e non di raccontare a giovani startupper o a neo-partite Iva del mio settore professionale, il digital, che per guadagnare 1 devono fatturare almeno 3, meglio 4. 
Questa è una realtà che spesso a questi ragazzi non viene raccontata da chi invece dovrebbe, da chi li incita ad avviare una propria carriera autonoma solo perché “il lavoro non c’è più quindi te lo devi inventare”, una realtà che è anche spesso occultata e dimenticata a se stessi nel momento fatidico della compilazione di quel maledetto preventivo che viene calcolato sempre senza dare il reale valore del servizio offerto ma pensando solo a farlo accettare dal cliente.

Con queste condizioni di partenza e per stare sul mercato che li si pone davanti, il freelance si vende un bel sito web a €1000, ci spende due settimane di tempo sopra, attende almeno due mesi per avere il saldo e alla fine, se tutto va bene, li rimarranno in tasca €300. Quanti siti web puo riuscire questo ragazzo a fare in un mese per poter aver una parvenza di stipendio dignitoso?
Se poi si è ripiegato alla soluzione del regime dei minimi si può stare un po’ più larghi ma non scordiamoci che il perimetro di azione in questo caso è vincolato ai €30mila lordi di fatturato all’anno, che a questi va poi tolto un bel 27% di INPS per una pensione che non vedrà mai nessuno, un 5% di imposte, tutte le varie ed eventuali e quel che resta poi è “stipendio”.

Da sapere: terminato il regime dei minimi e entrando nel regime ordinario, per guadagnare i soliti soldi dell’anno prima si dovrà fatturare almeno il triplo, se non di più.
Ingiustizie
  • se ti senti male non sei tutelato
  • se un cliente non ti paga non sei tutelato
  • se hai una famiglia non sei tutelato, non hai assistenza di nessuna natura, non hai assegni familiari o benefit vari, questo vale sia che tu abbia uno o 8 figlioli
  • le ferie non sono un diritto, le ferie non esistono proprio
  • chiunque può entrare sul mercato dove si opera, praticare prezzi al ribasso, viziare e danneggiare lo stesso mercato e poi uscirne pulito lasciandoti vittima e colpevole nel solito momento
Raccomandazioni
  • non fare investimenti a lungo termine di qualsiasi natura
  • riuscire se è possibile ad ottenere computer, software e accessori elettronici con la formula del leasing operativo ma non oltre i 24 mesi di impegno
  • non indebitarsi per pagare le tasse, fatto anche una sola volta si entra in un loop da cui non ci esce mai
  • se non ti puoi mantenere un ufficio gratis ripiega su uno spazio di co-working, in alternativa lavora a casa, devi solo ingegnarti per trovare un luogo d’incontro per i tuoi clienti
Consigli
  • resistere, resistere e resistere
  • se non si resiste resta solo l’espatrio
Se qualcuno si aspettava da questo mio post l’incitazione allo sciopero fiscale o addirittura alla rivoluzione ha sbagliato proprio. Le mie sono semplici conclusioni messe nero su bianco, con la speranza che qualche “incosciente” ne prenda atto e s’illumini prima di fare qualche scelta sbagliata, questa sì che sarà la mia più grande soddisfazione.
Chiedo alle mosche bianche di non iniziare a scrivere che loro non hanno problemi, che ce la fanno alla grande, che stanno di lusso perchè i loro clienti sono “amazing”: carissimi voi siete mosche bianche, siete fortunati, non fate media, non siete l’Italia che voleva semplicemente vivere del lavoro che fa con passione senza grandi pretese o ambizioni imprenditoriali.
Chiudo ricordando nuovamente che…
in Italia un libero professionista o freelance che si dica per poter mettersi in tasca puliti €1000 al mese ne deve fatturare almeno €4000, il solito mese naturalmente.
Buon lavoro a tutti.

Istat, pensioni delle donne più basse del 40% rispetto a quelle degli uomini

da: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/30/istat-pensioni-delle-donne-piu-basse-del-40-rispetto-a-quelle-degli-uomini/1076499/

Il numero di uomini (178 mila) con un reddito pensionistico mensile pari o superiore a 5mila euro è cinque volte quello delle donne (33 mila). Liguria, Lazio e Lombardia le regioni con il divario più sensibile


Istat, pensioni delle donne più basse del 40% rispetto a quelle degli uomini

Uomini e donne divisi. Non solo dalle sensibili differenze retributive, ma anche dagli importi previdenziali percepiti una volta finita la carriera lavorativa. Il risultato è che il divario tra i duegeneri è fortissimo soprattutto al Nord con la Liguria in testa, e che le pensionate sono nettamente più povere rispetto agli omologhi maschi. In media del 40 per cento. A dirlo è l’Istat, che certifica una situazione di netto distacco: secondo l’istituto nazionale di Statistica, nel 2012 l’importo medio annuale delle pensioni è più basso tra le donne (8.965 euro contro 14.728) e si riflette in un più contenuto reddito pensionistico medio, pari a 13.569 euro contro i 19.395 degli uomini. Le donne sono il 52,9% dei beneficiari ma agli uomini va il 56% della spesa. Inoltre, il numero di uomini (178 mila) con un reddito pensionistico mensile pari o superiore a 5.000 euro è cinque volte quello delle donne (33 mila).  

Oltre la metà delle
 donne (52%) percepisce meno di mille euro, contro un terzo (32,2%) degli uomini. Le disuguaglianze di genere sono più marcate nelle regioni del Nord, sia con riferimento agli importi medi delle singole prestazioni sia in relazione al reddito pensionistico dei beneficiari. Il rapporto tra il numero di pensionati residenti e la popolazione occupata – rapporto di dipendenza – è a svantaggio delle donne: 90,2 pensionate ogni 100 lavoratrici, a fronte di 56,5 uomini ogni 100 lavoratori. Anche il tasso di pensionamento (rapporto tra numero di pensioni e popolazione residente) è superiore tra le donne (43,1%) rispetto agli uomini (35,6%).Nel 2012 sono stati erogati 23.577.983 trattamenti pensionistici: il 56,3% a donne e il43,7% a uomini. Le donne rappresentano il52,9% dei pensionati (8,8 milioni su 16,6 milioni), ma percepiscono solo il 44% dei 271 miliardi di euro erogati. Dei 626.408 nuovi pensionati del 2012, le donne rappresentano il 52% e percepiscono redditi più bassi (10.953a fronte dei 17.448 degli uomini). Il numero di trattamenti percepiti dalle donne – dice Istat – è mediamente superiore a quello degli uomini, di conseguenza il divario economico di genere si riduce al 42,9% se calcolato sul reddito pensionistico (pari a 19.395 euro per gli uomini e a 13.569 per le donne). Tra il 2002 e il 2008, la forbice reddituale tra pensionati e pensionate è aumentata di 2,1 punti percentuali (4,4 punti con riferimento agli importi medi delle singole prestazioni); a partire dal 2008 si è osservata una progressiva riduzione che tuttavia ha mantenuto i livelli di disuguaglianza superiori a quelli del 2004.
Differenze per regione – La Liguria è la regione in cui il reddito pensionistico degli uomini presenta lo scarto maggiore rispetto a quello delle donne (è del 53,9% più elevato), seguita daLazio (52,1% in più), Lombardia (51,8%) e Veneto (51,6%). Le regioni in cui si registrano invece le minori disuguaglianze di genere sono quelle meridionali. Le differenze più contenute si osservano in Calabria (gli uomini percepiscono redditi pensionistici del 19,9% più elevati rispetto a quelli delle donne), Basilicata (26,7% in più) e Molise (29,4%).
La disaggregazione provinciale ripropone evidenze del tutto analoghe a quelle riscontrate a livello regionale. Ad eccezione di Roma, le differenze più marcate caratterizzano nuovamente le province del Nord Italia – Lecco (61,6% in più), Venezia (59,4%), Livorno (58,5%), Monza e Brianza(57,9%), Genova (57,8%), Bergamo (56,2%), Milano (55,3%), Treviso (54,2%) e Brescia(53,6%) – mentre i valori più contenuti – a conferma di quando già emerso a livello regionale – si registrano nelle province meridionali: Vibo Valentia (13,7% in più), Reggio Calabria (18,4%),Cosenza (20,4%), Ogliastra (21,7%), Nuoro (22,3%), Benevento (22,8%), Catanzaro (22,9%),Potenza (23,9%), Agrigento (24,3%) e Lecce (24,8%).

Quando ci sarà il reddito minimo in Italia?

Un grafico vale più di mille parole! 
(preso da il Fatto Quotidiano del 30.07.14 pag.12-13)
quali sono i paesi che hanno la crisi fino al collo?
Risposta: quelli dove il reddito minimo non è manco un'idea nei cervelli vacui dei politici pessimi che sgovernano i popoli italiani e greci!
Quando ci sarà il reddito minimo in Italia?
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Allarme Confcommercio: "In Italia la pressione fiscale record, 53,2% del Pil". Le tasse uccidono la crescita.


 - L'Italia detiene il record della pressione fiscale effettiva. Secondo i calcoli dell'Ufficio studi di Confcommercio la pressione è pari al 53,2% del Pil, al netto dell'economia sommersa che è intorno al 17,3% del Pil. Si tratta di una percentuale che supera quella di tutti i maggiori paesi nel mondo. La pressione fiscale apparente è pari al 44,1% del Pil.

'LE TASSE UCCIDONO LA CRESCITA' -  È l'allarme lanciato da Confcommercio che ha condotto uno studio da cui emerge che a fronte di un auemento della pressione fiscale in Italia del 5% dal 2000 al 2013, il Pil procapite è sceso del 7%.
In Germania nello stesso periodo la pressione fiscale è diminuita del 6% mentre il Pil reale procapite è aumentato del 15%.
In Svezia, paese fuori dall'Ue ad esempio, la pressione fiscale nello stesso periodo è scesa del 14% e il Pil reale procapite è aumentato del 21%. "Per favore - ha detto il presidente Carlo Sangalli - abbandoniamo l'idea di nuove tasse e di ulteriori eventuali prelievi: le tasse sono oggi la mortificazione della crescita. Le performance del 2014 sono compromesse, non distruggiamo le basi per la ripresa del 2015". "L'Italia - ha evidenziato Sangalli - è ferma".

Dal 2008 al 2013 l'Italia ha perso in termini di Pil reale procapite l'11,6%. Peggio ha fatto solo la Grecia con un -23,2%.
La Germania ad esmpio nello stesso periodo ha visto crescere il Pil reale procapite di 4,4 punti percentuali. La Francia ha perso 2,3 punti.

GIU' LE STIME DI CRESCITA - Anche Confcommercio - dopo Confindustria e FMI - rivede le stime sul Pil del 2014 portando la crescita del Prodotto interno lordo a +0,3% rispetto al +0,5% di due mesi fa. Per i consumi la crescita stimata è dello 0,2% in aumento di un decimo di punto rispetto alla precedente previsione. Nella seconda parte dell'anno viene stimata una ripresa dei consumi per effetto del bonus Irpef con gli 80 euro.
Per il 2015 Confcommercio stima una crescita del Pil allo 0,9% con i consumi in ripresa dello 0,7%. Per qaunto riguarda gli investimenti, il Centro studi di Confcommercio stima una flessione dello 0,9% del Pil in ulteriore ribasso rispetto al -0,3% precedente con una ripresa dell'1,9% nel 2015.

MERCATO ITALIA. CONSUMI DELLE FAMIGLIE: ANCORA NESSUN SEGNO DI RIPRESA IN AVVIO 2014...

da: http://www.assocalzaturifici.it/anci/main.nsf/all/19294071979E507AC1257B8100442716?opendocument
MERCATO ITALIA


CONSUMI DELLE FAMIGLIE: ANCORA NESSUN SEGNO DI RIPRESA IN AVVIO 2014...

Ulteriore arretramento per gli acquisti di calzature in Italia, scesi nei primi 4 mesi 2014 – secondo i dati elaborati per Assocalzaturifici dal Fashion Consumer Panel di Sita Ricerca – del 2,8% in quantità e del 5,4% in spesa, con prezzi medi in ribasso del 2,6%.


Unico (debole) recupero per gli acquisti di “sportive e sneakers”: +1,2% in quantità, a fronte però di un calo dell’1,8% in valore. Forti diminuzioni per il segmento “bambini/ragazzi” (-8,2% in volume e -13,2% in spesa) e per le scarpe per donna (-5,7% e -7,2%).
Approfondisci

... DOPO LA GELATA DEL 2013
Il 2013 è stato, per il mercato domestico, un anno di grande sofferenza: frenata dalla ristrettezza del reddito disponibile e dal clima di incertezza che ha fortemente condizionato gli acquisti rimandabili, la spesa delle famiglie per le calzature ha subìto una marcata contrazione (-5,8% sul 2012), scendendo a 6,9 miliardi di euro.
Analogo l’arretramento in termini di volume, dove si è accentuata l’erosione già in atto da un quinquennio.
Fonte: elaborazioni Assocalzaturifici su dati Sita Ricerca *


I 185,2 milioni di paia acquistati nel 2000 si sono ridotti, nel 2013, a 162,6 milioni, con un calo di ben il 12,2% rispetto ad allora. Depurando dall’inflazione intervenuta nel decennio, la flessione in valore tra 2000 e 2013 risulta superiore al 20%.


CONTINUA A SOFFRIRE IL DETTAGLIO TRADIZIONALE
L’analisi condotta da Assocalzaturifici sui dati Sita Ricerca mostra la forte difficoltà del dettaglio indipendente multimarca – sia negozi specializzati in calzature che negozi di abbigliamento trattanti calzature – che hanno evidenziato flessioni attorno al 15% in quantità e addirittura tra il 15% e il 20% a valore rispetto al 2012.
Confermano il trend di crescita gli acquisti online, con incrementi tendenziali attorno al 55%, che però rappresentano ancora solo il 3,6% sul totale spesa (erano il 2,2% nel 2012).
Fonte: SITA Ricerca, elaborazioni Assocalzaturifici


Nonostante il trend penalizzante, i negozi specializzati sono risultati nel 2013, assieme alle catene di negozi, il principale canale di vendita nazionale (con oltre 2 miliardi di euro, pari al 29% del totale spesa).




AUMENTA IL PESO DELLE SVENDITE SUL TOTALE
Già a consuntivo 2012 sconti/svendite/saldi avevano superato la metà delle vendite complessive, in seguito al notevole aumento delle promozioni durante tutto il corso dell’anno e non solo nel canonico periodo dei saldi; nel 2013 hanno rappresentato il 56,9% delle vendite totali annue in volume e il 52,5% in valore.
COLPITE TUTTE LE FASCE DI PREZZO
Se il 2012 aveva registrato, nonostante il trend asfittico generale degli acquisti, un incremento nelle fasce top oltre i 200 euro, lo stesso non può dirsi del 2013: le fasce prezzo superiori ai 200 euro al paio sono anzi risultate, percentualmente, le più colpite. E’ cresciuta, invece, la fascia prezzo medio-alta subito inferiore (quella da 150 a 200 euro/paio).
Ma, nonostante questo isolato segno positivo, l’andamento rimane sfavorevole con riferimento a tutte le quattro macro-classi prezzo analizzate.

Fonte: elaborazioni Assocalzaturifici su dati Sita Ricerca
L'ITALIA: UN MERCATO TUTT'ALTRO CHE TRASCURABILE
Sebbene la produzione Made in Italy resti fortemente orientata verso i mercati esteri (nel 2013 è stato esportato l’85% di quanto realizzato) il mercato nazionale rappresenta per le aziende italiane – con circa 30 milioni di paia ad esso destinate nel 2013 – il 3° mercato di sbocco più importante in volume, dopo Francia e Germania.
Fonte: SITA Ricerca, elaborazioni Assocalzaturifici
* Nota: in seguito alla riparametrazione dei tassi di copertura sui consumi è stata creata da Sita Ricerca una nuova serie di dati a partire dall’anno 2000.

il tumore non è uguale per tutti.

da: http://www.actainrete.it/2013/12/acta-con-daniela-il-tumore-non-e-uguale-per-tutti/

ACTA con Daniela: il tumore non è uguale per tutti.

| 13 DICEMBRE 2013 | LETTO: 4.099 VOLTE | 13 COMMENTI | AUTORE:  | SHORT URL |
nastro rosaACTA ha deciso di condividere la battaglia di Daniela Fregosi, freelance ammalata di tumore al seno, ancora senza indennità di malattia ma obbligata a versare gli anticipi INPS!
Stiamo raccogliendo informazioni, materiali e testimonianze per capire come intervenire per aiutarla in questa lotta, che poi è la lotta di tutti noi.
Se hai informazioni o esperienze da raccontare segnalacele!
Stiamo organizzando una campagna per rivendicare il diritto dei freelance gravemente malati a vedere riconosciute le tutele di cui dovrebbero godere. Chiederemo la deroga degli anticipi INPS in caso di malattia grave, una revisione delle sanzioni per il ritardato pagamento e tempi certi per l’erogazione delle indennità di malattia. Vorremmo anche maggiore attenzione da parte dell’INPS nella corretta informazione ai lavoratori autonomi malati, per consentire loro di accedere più facilmente alle prestazioni di cui hanno diritto.
A Daniela abbiamo chiesto di raccontare qui la sua storia.
Ammalarsi seriamente è un’esperienza spiacevole per chiunque, ma quando succede a un lavoratore autonomo inizia un doppio calvario. Se poi sei donna e il malaccio è un tumore al seno, hai proprio fatto bingo.
Fin dal momento della diagnosi, intuendo le difficoltà che mi aspettavano, ho cominciato a mettere in atto una serie di strategie di adattamento alla mia nuova condizione. In questo un lavoratore autonomo è un grande esperto perché la flessibilità è il suo pane quotidiano. Ma per quanto tu riesca ad accogliere e gestire il cambiamento, un tumore rimane un tumore e non è un’influenza che, massimo 10 giorni, te la levi di torno. Ho iniziato a informarmi su quali potessero essere gli “ammortizzatori sociali” a cui avevo diritto. Nessuno sapeva nulla. Nonostante dicessi che non ero al pari di una lavoratrice dipendente, che può tranquillamente continuare a contare sul suo stipendio (io sin dal primo mese sono stata costretta a fermarmi), nessun consiglio mi arrivava dai medici e dal commercialista. Un far west terrificante nei patronati, code interminabili di utenti in cerca di informazioni, il call center dell’Inps a cui ho dovuto spiegare io l’ultima circolare del maggio 2013 riguardante i lavoratori autonomi a gestione separata (!). Insomma, meno male che il tumore mi è arrivato alla tetta e non al cervello e che sono molto brava nella navigazione internet, altrimenti ero fritta.

C’è poi da difendersi dalla classica domanda: “Ma come, non hai un’assicurazione privata?” Una cosa così la chiedono solo ai liberi professionisti, tutti convinti che, siccome ce la spassiamo alla grande a non aver padroni, a evadere di brutto e ad arricchirci alla faccia degli altri, il minimo è che cacciamo i soldi per le assicurazioni private e non rompiamo troppo le scatole all’Inps, anche se abbiamo un tumore.
Ho letto innumerevoli guide e libretti informativi per pazienti oncologici, dove venivano descritti i diritti dei lavoratori, dipendenti però. Di noi neppure un cenno. Come se in Italia non ci fosse il popolo delle P.Iva. Come se nessun lavoratore autonomo statisticamente si ammalasse mai seriamente o avesse diritto di ammalarsi come gli altri.
Eppure la malattia per gli autonomi è un problema diffuso, ma se ne parla poco perchè gli interessati sono i primi a nascondersi, temendo ripercussioni lavorative. Già si sono ammalati e hanno pochi diritti; cercano almeno di non bruciarsi un mercato (pure in crisi) fatto di clienti poco propensi ad assoldare professionisti meno efficienti e performanti.
Ma un paziente oncologico non è un paziente oncologico e basta? Evidentemente no.
Noi siamo malati di cancro di serie B e per noi gli art. 32 e 38 della Costituzione, che riguardano rispettivamente il diritto alla salute e il diritto agli aiuti in caso di impossibilità di lavorare, sono opzionali. Perché?
Un lavoratore autonomo con gestione separata ha diritto a un massimo di 61 giorni di malattia in un intero anno solare. E se fai un bel ciclo di chemio per 6 mesi? Beh, puoi sperare di star talmente male da avere diritto all’assegno ordinario di invalidità (una misura temporanea con cifre da fame) oppure puntare sull’invalidità civile. Occhio però che anche lì per ottenere il diritto a un aiuto economico devi stare proprio male e in ogni caso vanno a vedere il tuo reddito nell’anno precedente, quando eri sano, e ti aiutano solo se già da prima avevi un reddito da fame. Uno non sa se augurarsi le metastasi o la miseria. In quel caso incappi comunque in altri sbarramenti, quelli del numero minimo di mesi contributivi versati.
Ho reso l’idea del gran casino che si trova davanti una donna che ha appena scoperto di avere un tumore al seno?
I pochi spiccioli a cui avrei poi diritto me li devo conquistare, tra funzionari che non sono informati, portale INPS che è inadeguato, tempi lunghi di attesa.
E nel frattempo arrivano le scadenze, tra cui il pagamento degli anticipi. Ma come, mi si chiede di pagare INPS e IRPEF in anticipo mentre non ho ancora ricevuto le scarsissime indennità che mi spettano?
Il commercialista mi avvisa che devo provvedere, soprattutto devo versare gli anticipi INPS, perché in caso di ritardo le sanzioni sono pesanti, e, a differenza dell’IRPEF, non è previsto il “ravvedimento operoso”. L’INPS non ammette ritardi, neppure in caso di decesso!
Mentre sei lì tra interventi chirurgici (io ne ho fatto già 2 e si spera di fermarsi lì, perché con un tumore di certezze non ce ne stanno), visite, esami, terapie e riabilitazione, questo è il modo con cui Stato e Inps ti ripagano di anni di tasse versate e contributi. Sapete tutto questo come mi fa sentire? Un bancomat. Un bancomat con un tumore al seno. Non è il massimo.
Chissà, forse dobbiamo espiare qualche colpa. Un’amica libera professionista ha la sua teoria in merito.“In una società conformista, giudicante, che annienta le diversità, il motivo per dare contro a chi pensa, vive e lavora in modo autonomo è che questi soggetti sono di fatto un pericolo per il sistema”. Forse non ha tutti i torti. Io sono più cinica (con un tumore me lo posso permettere) e credo che il motivo sia che dietro ai lavoratori autonomi a gestione separata semplicemente manca un potere forte, un sindacato, un ordine professionale, per cui diventano facilmente oggetto di comportamenti predatori, perché per definizione sono soggetti deboli sul mercato.
Per tutti questi motivi, oltre a denunciare la condizione dei lavoratori autonomi che si ammalano seriamente, ho deciso di fare un gesto concreto. Ho iniziato la mia disobbedienza civile rifiutandomi di pagare l’acconto delle tasse per il 2013.
Caro Thoreau, padre della lotta allo Stato e al potere, oltreché emblema della disobbedienza civile e della resistenza fiscale, aiutami tu. Sostienimi e incoraggiami con le tue parole sagge e non farmi sentire sola: “Tutti gli esseri umani riconoscono il diritto alla rivoluzione; vale a dire, il diritto di rifiutare obbedienza e di resistere al governo quando la sua tirannia o la sua inefficienza sono grandi e intollerabili. Ma quasi tutti dicono che attualmente non ci troviamo in questa situazione……”.
Se sarò sola in questa lotta è perchè il nostro Paese ha ormai perso la capacità di indignarsi, ci hanno lentamente abituato a essere calpestati e, pur lamentandoci moltissimo, non sentiamo più un vero dolore.
Io però sono in una condizione diversa. Come sosteneva Tiziano Terzani prima di morire, un tumore ti concede una sorta di free pass, una carta premio con la quale puoi permetterti di dire e fare cose altrimenti impensabili.
Perchè un tumore o ti schiaccia o ti dà il coraggio di batterti per te stessa e per un mondo più giusto per tutti.
Daniela

“Sento l’eco della riforma piduista di Gelli” (Silvia Truzzi).

Il giurista Paolo Maddalena.
Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Consulta, non è l’unico giurista ad avere più di una perplessità sulla riforma costituzionale. E vuol precisare subito una circostanza dirimente: “La riforma costituzionale va letta in un quadro più ampio, cioè quello della politica internazionale. Qualora andasse in porto, costituirebbe un’ulteriore facilitazione per i poteri finanziari, perché si toglierebbe rappresentatività al popolo. Ho l’impressione che il potere finanziario orienti la politica italiana, che va a scatafascio. Ogni giorno aumenta il debito pubblico, ogni giorno cresce la disoccupazione. Le istituzioni europee e internazionali – mi riferisco alla Bce, al Fondo monetario internazionale – mi pare siano state occupate dalle banche e dagli speculatori.
E dunque le politiche di cui siamo destinatari, fanno gli interessi delle banche e non dei cittadini italiani. Nel Paese va avanti una politica recessiva: le responsabilità sono dei governi che hanno sottoscritto e dato esecuzione al fiscal compact. 
Siamo divenuti schiavi della speculazione finanziaria.
In tutto questo, ci stiamo gingillando su modifiche costituzionali che a mio avviso sarebbe molto meglio lasciar perdere”.   
Il premier continua a ripetere che intende andare fino in fondo…   Il nuovo esecutivo mi pare abbia ansia di dimostrare all’opinione pubblica di essere “il governo del fare”.
 Il guaio è che fanno delle cose, ma trascurandone il contenuto: non è per nulla detto che il nuovo sia meglio del vecchio. Soprattutto quando si tocca la legge fondamentale della Repubblica. È un documento che molti c’invidiano e che moltissimi ci hanno copiato. È pericoloso toccare l’ordine costituzionale in questo momento. La riforma, che si lega inscindibilmente alla legge elettorale, non mi convince affatto: una minoranza di maggioranza potrà incidere anche sugli organismi di garanzia.   
Perché?   
La Costituzione italiana si fonda sull’equilibrio dei poteri, che viene infranto da questa pseudo-riforma costituzionale. Vorrei fare una semplice constatazione, che parte dal 37 per cento del premio di maggioranza previsto dagli accordi del Nazareno, che potrebbe essere portato al 40, ma poco conta. Considerando che votano in media metà degli italiani, la percentuale scende al 18,5. Cioè il 18,5, se va bene il 20 per cento degli italiani decide tutto. 
Ma la democrazia dove va a finire? 
Dove va a finire il bilanciamento dei poteri? 
La cosa mi pare grave: sento l’eco del piduismo, della riforma di Gelli. 
Noi diamo un potere enorme al capo del governo che poi potrà fare tutto ciò che vuole. E sarà l’esecutore delle prescrizioni delle banche internazionali, che governano la politica monetaria. Non dimentichiamo poi che il premio di maggioranza consente al governo di incidere sulla composizione della Corte costituzionale e sul Colle.   
Cosa pensa del Senato dei cento?  
 Ritengo che il Senato debba essere elettivo, per un principio di democraticità. Sono d’accordo con la riduzione del numero dei senatori, ma non sulla modalità di scelta: penso che si debba lasciare al popolo la possibilità di eleggere i propri rappresentanti. Sarebbe auspicabile che la scelta avvenisse tra persone che abbiano dato prova di alta cultura istituzionale, che abbiano agito nell’interesse esclusivo della nazione, che non abbiano conflitti d’interesse né mai abbiano avuto a che fare con la giustizia. Per quanto riguarda le competenze, sarebbe opportuno limitarle a questioni di grande rilevanza e di spessore costituzionale. In tal modo si abbrevierebbero i tempi per l’approvazione delle leggi.  
 Proprio questo Parlamento, delegittimato dalla sentenza della Consulta, doveva fare le riforme?   No, certo: è un parlamento di nominati. Ci vorrebbe una Costituente . Io ho 78 anni, ho memoria della prima Assemblea, ma quella Costituente non era composta da persone a caso, magari di bell’aspetto ma non si sa quanto di cultura. Allora avevamo grandi uomini, di altissimo profilo scientifico, etico, culturale. 
Ora io nell’agone politico non vedo persone in grado di fare una riforma costituzionale: sarebbe davvero meglio che lasciassero la Carta così com’è.  
 C’è stato un grande dibattito   sull’immunità.   I rappresentanti del popolo non hanno bisogno dell’immunità: anzi penso che l’unico punto in cui la Carta dovrebbe essere modificata, visti i tempi, è quello che mantiene l’immunità. Dovrebbe valere per tutti quanto afferma la Costituzione all’articolo 54: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”.
Da Il Fatto Quotidiano del 25/07/2014.

Olio 'taroccato' e dalla Spagna spacciato per biologico Made in Italy: 16 arresti in Puglia, chiuse le aziende

da: http://bari.repubblica.it/cronaca/2014/07/24/news/olio_taroccato_16_arresti_in_puglia_e_15_aziende_chiuse-92261886/?ref=HREC1-9

Smantellato un traffico illecito da 30 miloni di euro, sequestrate 400 tonnellate di prodotto contaminato anche da oli esausti della ristorazione. Il ministro Martina: "Controlli efficaci, per proteggere il valore della nostra filiera" 

ANDRIA - Altro che 'olio 100% italiano biologico': un'indagine della Guardia di Finanza di Adria ha portato oggi allo smantellamento di tre associazioni per delinquere che gestivano un giro d'affari illecito stimato in 30 milioni di euro. Sono state arrestate 16 imprenditori pugliesi, ma nell'inchiesta ci sono anche altri indagati. La magistratura di Trani ha ordinato anche il sequestro preventivo di 16 imprese coinvolte.

Coldiretti: "Ecco spiegato l'aumento delle esportazioni"

L'olio veniva etichettato come '100% italiano biologico' quando la provenienza era in realtà comunitaria e sfruttava sul mercato il valore aggiunto delle menzioni riservate ai prodotti 'Made in Italy' e biologico. L'indagine ha permesso anche di apporre i sigilli a circa 400 tonnellate di olio dalle qualità organolettiche scadenti o contaminate. L'olio sequestrato era miscelato con grassi di diversa natura, contenenti fondami ed impurezze imputabili al circuito della raccolta degli oli esausti della ristorazione, nonché di provenienza furtiva, oppure scortati da documenti di accompagnamento indicanti natura e qualità diversi da quelli reali.

Le tre associazione per delinquere smantellate erano - secondo la procura - capeggiate due dall'imprenditore andriese Nicola Di Palma (dell'azienda olearia San Vincenzo), la terza da Antonio Cassetta (gestore di fatto della Sago srl di Andria).
Entrambi sono stati arrestati. 
Di Palma avrebbe capeggiato due gruppi criminali: il primo aveva rapporti con aziende calabresi di Cassano allo Ionio (Cosenza) e di Petitia Policastro (Crotone), l'altro con aziende di Copertino (Lecce); Cassetta invece gestiva un'altro gruppo criminale: nella sua azienda di Andria, la Sago, è stata riscontrata la presenza di oli di oliva lampanti adulterati con oli di semi e/o grassi estranei all'olio d'oliva.

L'inchiesta ha accertato che le tre presunte organizzazioni criminali pugliesi - due delle quali facevano capo ad uno stesso imprenditore andriese - si sono avvalse della complicità di imprese che commercializzano olio di oliva in Puglia e in diverse città della Calabria. A queste imprese era affidato il compito - secondo il procuratore di Trani, Carlo Maria Capristo, e il pm inquirente Antonio Savasta - di fornire false fatture attestanti fittizi approvvigionamenti di olio extravergine di oliva prodotto in Italia necessari 'cartolarmente' a legittimare ingenti acquisti di olio proveniente, in realtà, dalla Spagna. 

All'indagine della Gdf hanno partecipato uomini dell'ispettorato repressione frodi di Roma e Bari del ministero delle politiche agricole e dell'Agenzia delle Dogane. Grande la soddisfazione del ministro Maurizio Martina. "Voglio ringraziare – ha detto 
– tutto l'Ispettorato anti frode per il grande lavoro fatto a protezione di un prodotto simbolo del Made in Italy come l'olio d'oliva. L'operazione di oggi dimostra l'efficacia del sistema dei controlli e il concreto rafforzamento del coordinamento che abbiamo voluto con decisione. Azioni di contrasto come quella di oggi si inseriscono in un piano di azione contro l'illegalità, a tutela della sicurezza degli alimenti, della fiducia del consumatore e dei tantissimi produttori che con fatica e passione portano avanti il proprio lavoro rispettando le regole. Proprio sul settore dell'olio
 – ha concluso Martina – stiamo portando avanti un lavoro importante di controlli e di analisi, tanto nella fase d'ingresso dall'estero quanto negli stabilimenti di lavorazione in Italia, per proteggere una filiera che vale quasi un miliardo e mezzo di euro solo di export"


 I delinquenti se credono sempre i più furbi! e  perseverano nella strada sbagliata... che li porta direttamente in galera!

Piromane filmato nei boschi dalle telecamere mimetizzate della Forestale


da: http://bari.repubblica.it/cronaca/2014/07/24/news/piromane-92279112/


Le immagini non lasciano spazio all’immaginazione. La rete di microcamere - una decina in tutto - piazzate dagli uomini del Comando Forestale dello Stato di San Nicandro Garganico Bis nella pineta di Serracapriola, infatti, hanno immortalato il responsabile di almeno due incendi appiccati, volontariamente e ripetutamente, nel sottobosco di un’area boscata in località “Longara” nel comune di Serracapriola - luogo ricadente in parte nel Parco Nazionale del Gargano e sito d’interesse comunitario - dove da alcune settimane si registravano incendi e roghi di varia entità. A rispondere del reato di incendio boschivo doloso sarà un 36enne di San Severo, Daniele Gianluca Mennella, pregiudicato, colto sul fatto mentre con un accendino innescava il fuoco direttamente dalla sua autovettura. Almeno due i casi a lui riconducibili: un incendio risale al 14 giugno, l’altro al 19 luglio sempre nella stessa zona, ovvero sul ciglio di una strada interna alla pineta che porta ad alcuni stabilimenti balneari e quotidianamente frequentata da turisti. Nel primo caso, infatti, il rogo è stato interrotto quasi sul nascere da alcuni bagnanti che si sono adoperati per spegnere le fiamme con acqua, frasche o altri mezzi di fortuna. Il secondo incendio, invece, ha avuto conseguenze più gravi: le fiamme avevano raggiunto in breve tempo i due metri di altezza, trasformando pini d’Aleppo in enormi torce ed è stato quindi necessario l’intervento dei vigili del fuoco del comando provinciale di Foggia.

A rispondere del reato di incendio boschivo doloso sarà un 36enne di San Severo, Daniele Gianluca Mennella, pregiudicato, colto sul fatto mentre con un accendino innescava il fuoco direttamente dalla sua autovettura. Almeno due i casi a lui riconducibili: un incendio risale al 14 giugno, l’altro al 19 luglio sempre nella stessa zona, ovvero sul ciglio di una strada interna alla pineta che porta ad alcuni stabilimenti balneari e quotidianamente frequentata da turisti. Nel primo caso, infatti, il rogo è stato interrotto quasi sul nascere da alcuni bagnanti che si sono adoperati per spegnere le fiamme con acqua, frasche o altri mezzi di fortuna. Il secondo incendio, invece, ha avuto conseguenze più gravi: le fiamme avevano raggiunto in breve tempo i due metri di altezza, trasformando pini d’Aleppo in enormi torce ed è stato quindi necessario l’intervento dei vigili del fuoco del comando provinciale di Foggia.




Ecco l'iper idiota cosmico che distrugge la nostra terra (pure sua! sic!).