La terra dei fuochi e i terreni coltivati: situazione atomica!


http://www.iene.mediaset.it/puntate/2016/02/23/toffa-la-terra-dei-fuochi_10020.shtml

http://mdst.it/03v596942/

E gli agricoltori ancora coltivano e distribuiscono per l'Europa con la GDO pomodori, melanzane, zucchine, cavolfiori, peperoncini, pesche noci tossici e pieni di metalli pesanti. 

E i controllori e i politici non fanno nulla, anzi non hanno fatto nulla per 20 anni e anzi per evitare il panico (de che? e speriamo che presto gli stessi idioti politici si mangino belle minestre e macedonie ai metalli pesanti così vediamo cosa provano quando poi andranno nei reparti di oncologia, altro che panico) nella popolazione si sono messi l'acqua in bocca (all'arsenico se spera) e hanno continuato come sempre a promettere, a non realizzare e ad andare avanti. 

Italiani alziamo la testa e pretendiamo bonifiche e distruzione dei prodotti tossici e risoluzione della terra dei fuochi.


Equality! Now! Oxfam says wealth of richest 1% equal to other 99%

From: http://www.bbc.com/news/business-35339475

Oxfam says wealth of richest 1% equal to other 99%

The richest 1% now has as much wealth as the rest of the world combined, according to Oxfam.
It uses data from Credit Suisse from October for the report, which urges leaders meeting in Davos this week to take action on inequality.
Oxfam also calculated that the richest 62 people in the world had as much wealth as the poorest half of the global population.
It criticised the work of lobbyists and the amount of money kept in tax havens.
Oxfam predicted that the 1% would overtake the rest of the world this time last year.
It takes cash and assets worth $68,800 (£48,300) to get into the top 10%, and $760,000 (£533,000) to be in the 1%. That means that if you own an average house in London without a mortgage, you are probably in the 1%.
The figures carry various caveats, for example, information about the wealth of the super-rich is hard to come by, which Credit Suisse says means its estimates of the proportion of wealth held by the 10% and the 1% is "likely to err on the low side".
As a global report, the figures also necessarily include some estimates of levels of wealth in countries from which accurate statistics are not available.

'Misleading'

Some free market think tanks questioned the credibility of the figures.
The Institute of Economic Affairs' director general Mark Littlewood said the statistics were "bogus".
"The methodology of adding up assets and subtracting debts and then making a global 'net wealth' distribution implies that many of the poorest in the world are those in advanced countries with high debts. Whilst we might have sympathy for the Harvard law graduate's plight, it is unclear that worrying about her should be the focus of a development organisation," he said.
The Adam Smith Institute's head of research Ben Southwood also said the data was "misleading".
"More meaningful measures show greater equality. Those in the middle and bottom of the world income distribution have all got pay rises of around 40% between 1988-2008. Global inequality of life expectancy and height are narrowing too—showing better nutrition and better healthcare where it matters most.
"What we should care about is the welfare of the poor, not the wealth of the rich," he added.
Oxfam said that the 62 richest people having as much wealth as the poorest 50% of the population is a remarkable concentration of wealth, given that it would have taken 388 individuals to have the same wealth as the bottom 50% in 2010.
Chart comparing wealth of richest 62 people with the bottom 50%
"Instead of an economy that works for the prosperity of all, for future generations, and for the planet, we have instead created an economy for the 1%," Oxfam's report says.
The trend over the period that Credit Suisse has been carrying out this research has been that the proportion of wealth held by the top 1% fell gradually from 2000 to 2009 and has risen every year since then.
In fact, it is only in the 2015 figures that the proportion held by the top 1% overtakes the share taken by them in the first report in 2000.
Oxfam calls on governments to take action to reverse this trend.
It wants workers paid a living wage and the gap with executive rewards to be narrowed.
It calls for an end to the gender pay gap, compensation for unpaid care and the promotion of equal land and inheritance rights for women.
And it wants governments to take action on lobbying, reducing the price of medicines, taxing wealth rather than consumption and using progressive public spending to tackle inequality.

Quando ho scoperto le disuguaglianze

da: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/02/10/quando-ho-scoperto-le-disuguaglianze49.html

Nessuno oggi può negare che esista negli Stati Uniti una grande frattura tra i super ricchi – a volte definiti l'1 per cento – e gli altri. La loro vita è diversa: hanno preoccupazioni, aspirazioni e stili di vita diversi. Gli americani comuni si preoccupano di come pagheranno il college ai figli, di che cosa succederebbe se qualcuno in famiglia si ammalasse seriamente, di come faranno quando andranno in pensione. Negli abissi della Grande recessione, decine di milioni di persone si chiedevano se sarebbero riuscite a conservare la loro casa. Milioni di esse non ci sono riuscite.

Gli appartenenti all'1 per cento – e ancor più i membri del primo 0,1 per cento – discutono di altre questioni: che tipo di jet comprare, o il modo migliore per nascondere il reddito al fisco («Cosa accadrebbe se gli Stati Uniti dovessero premere per la fine del segreto bancario in Svizzera? Poi verrebbero le Isole Cayman? E Andorra: è sicura? »). Sulle spiagge di Southampton, a Long Island, si lamentano del rumore che fanno i vicini con l'elicottero quando tornano da New York. Si preoccupano anche di che cosa succederebbe se dovessero cadere dal piedistallo: significherebbe cadere da una certa altezza, e in rare occasioni avviene.

Non molto tempo fa, mi trovavo a una cena offerta da un brillante e preoccupato membro dell'1 per cento. Consapevole della grande frattura, il nostro ospite aveva radunato importanti miliardari, accademici e altri personaggi allarmati dalla disuguaglianza. Dopo i primi convenevoli, udii un miliardario – che si era affacciato alla vita ereditando una fortuna – discutere con un altro del problema degli americani scansafatiche che stavano cercando di vivere alle spalle degli altri. Poco dopo, i due passarono senza soluzione di continuità a parlare dei paradisi fiscali, apparentemente ignari dell'ironia. Più volte, quella sera, i plutocrati riuniti evocarono Maria Antonietta e la ghigliottina mentre si rammentavano reciprocamente i rischi di lasciar crescere troppo la disuguaglianza: «Ricordati della ghigliottina» era il ritornello. E ripetendo il ritornello concordavano implicitamente: il livello di disuguaglianza in America non è inevitabile, non è il risultato di leggi economiche inesorabili. È questione di politica e di politiche. E possibile, sembrava che dicessero quei potenti, porvi rimedio.

Questo è soltanto uno dei motivi per via dei quali i timori riguardo alla disuguaglianza sono diventati materia urgente anche tra l'1 per cento: sono sempre più numerosi gli appartenenti a questo gruppo consapevoli del fatto che una crescita economica sostenuta, condizione della loro stessa prosperità, non può aver luogo mentre la grande maggioranza dei cittadini ha redditi stagnanti.

Nel 2014, al raduno annuale dell'élite mondiale a Davos, Oxfam ha presentato con ineludibile chiarezza la misura della crescente disuguaglianza globale ricorrendo a un esempio: quell'anno, un autobus contenente 85 miliardari del mondo avrebbe trasportato una ricchezza pari a quella della metà inferiore della popolazione globale, qualcosa come tre miliardi di persone. Nel giro di un altro anno l'autobus si sarebbe rimpicciolito: sarebbero bastati 80 posti. In modo altrettanto drammatico, Oxfam rivelò che il primo 1 per cento degli abitanti del pianeta possedeva quasi la metà della ricchezza mondiale ed entro il 2016 ne avrebbe posseduta tanta quanta il restante 99 per cento complessivamente.

La grande frattura incombeva da tempo. Nei primi decenni successivi alla Seconda guerra mondiale la crescita nel nostro paese tenne un passo mai visto prima, e interessò l'intera popolazione. Tutti i segmenti della società videro aumentare il proprio reddito: era una prosperità condivisa. I redditi di chi stava in basso crescevano più velocemente di quelli di chi stava in cima.

Fu un'età dell'oro in America, ma i miei giovani occhi vi scorgevano già qualche ombra. Mentre crescevo – sulla sponda meridionale del lago Michigan, in una delle città industriali simbolo del paese, Gary, nell'Indiana – vedevo intorno a me povertà, disuguaglianza, discriminazione razziale e a volte disoccupazione, mentre una recessione dopo l'altra colpiva la nazione. I conflitti sociali erano all'ordine del giorno, perché i lavoratori lottavano per ottenere una giusta parte della meritatamente acclamata prosperità americana. Ascoltavo la retorica della società statunitense quale società della classe media, ma perlopiù la gente che vedevo occupava i livelli più bassi di quella presunta società della classe media, e le loro voci non erano fra quelle che incidevano sulla realtà del paese.

Non eravamo ricchi, ma i miei genitori avevano adeguato il loro stile di vita al reddito che percepivano, il che alla fine fa molto. I miei vestiti erano quelli che mi passava mio fratello e che mia madre comprava sempre durante i saldi [...]. Insieme a molti miei contemporanei, anelavo a un cambiamento. Ci veniva detto che cambiare la società era difficile, che ci voleva tempo. Anche se non avevo patito il genere di difficoltà che tanti miei amici affrontavano a Gary (a parte un po' di discriminazione), mi identificavo con loro. Mancavano decenni al giorno in cui avrei esaminato nei dettagli le statistiche sui redditi, ma sentivo che l'America non era la terra di opportunità che dichiarava di essere: esistevano grandi occasioni per alcuni, ma poche per altri. I racconti di Horatio Alger, almeno in parte, erano favole: molti americani che lavoravano duramente non ce l'avrebbero mai fatta. Eppure fui uno dei fortunati ai quali il paese offrì un'opportunità: una borsa di studio nazionale al merito presso l'Amherst College. Più di qualunque altra cosa, quell'opportunità apriva un mondo di altre opportunità nel corso del tempo. [...] Purtroppo, a causa della crescente disuguaglianza, il modello economico statunitense non ha funzionato per ampie fette della popolazione: la tipica famiglia americana oggi sta peggio di come stava venticinque anni fa, tenendo conto dell'inflazione. La percentuale dei poveri è aumentata. Benché l'espansione della Cina sia anch'essa caratterizzata da elevati livelli di disuguaglianza e da un deficit di democrazia, la sua economia funziona meglio per la maggior parte dei suoi abitanti, avendone fatti uscire dalla povertà qualcosa come 500 milioni nello stesso periodo in cui la stagnazione imprigionava la classe media americana.

Un modello economico che non serve alla maggioranza dei suoi cittadini difficilmente può assumere il ruolo di modello da emulare per altri paesi.[…] Di fatto, la crisi non è stata il frutto di un volere divino, come un diluvio o un terremoto che capita un'unica volta in un secolo. È stata una cosa che ci siamo procurati da soli: al pari della nostra smisurata disuguaglianza, è stata il risultato delle nostre politiche e della nostra politica.

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Published by arrangement with Agenzia Letteraria Santachiara Pubblichiamo parte dell'introduzione a La grande frattura in uscita da Einaudi




* IL LIBRO La grande frattura

( Einaudi, trad. di D. Cavallini e M. L. Chiesara pagg. 435 euro 22)
Joseph E. Stiglitz