Aethon Ulyse Debuts Goddess-Worthy Footwear At FFANY



Aethon Ulyse Debuts Goddess-Worthy Footwear At FFANY

November 14, 2016
Aethon Ulyse Logo
Affordable luxury continues to make strides in the footwear industry, as seen in Aethon Ulyse, a new brand showing in the Emerging Designers area at FFANY Nov. 30-Dec. 2.
Scorpion zipper pulls and a hammered gold motif are just a few of the signature designs featured in Aethon Ulyse’s Spring ’17 collection, which glistens with ancient Greek influences.
The women’s footwear brand takes the roots of its ancient Greek name to heart. ‘Aethon’ is an ancient Greek word meaning ‘blazing’ or ‘shining,’ which is the feeling founder and CEO Payden Sewell says he want clients to feel as soon as they put on the brand’s shoes.
Other Greek influences can be found throughout the line, including architectural shapes, the use of metallic color and delicate handcrafted embroidery. Even the brand’s initials, AU, symbolize gold on the periodic table.
The collection spans stilettos draped with chains, mesh shoeties, metallic and mesh pumps and wedges with cork heels. Standout styles include the Selene cutout sandal and the Erato lace-up bootie, which Sewell says clients have been going crazy over.
Aethon Ulyse was founded in 2012 as a custom shoe brand. The spring line marks the brand’s first full ready-to-wear collection—a move Sewell says was edged on from feedback from the industry.
“Also, my private clients were ready to get their hands on the collection,” he quipped.
Sewell’s clients expressed frustration over the lack of high quality footwear that was edgy and below the $1,000 threshold. The Spring ’17 collection wholesales for $160-$360.
“Through our Italian factory partnerships, we can produce a unique and high quality product at a price point that is more accessible,” he said.
The brand currently sells direct to consumers online, however, Sewell is hoping to find the right buyer mix for the brand at FFANY.
“We are looking to receive additional buyer feedback as well as expose the brand to those who are not yet familiar.”
Exhibiting at FFANY Nov 30 – Dec 2:  Booth 1125, Americas Hall I, Hilton
LEARN MORE AT : AETHONULYSE.COM

Se questo è un autobus...

Roma, 27.11.16 Cronache da Marte

Oggi che la metro B era chiusa e si sapeva quindi che bisognava rinforzare la frequenza degli autobus, è accaduto il finimondo che solo a Roma i dirigenti Atac sanno realizzare: autobus latitanti da 45/50 minuti che quando arrivano sono naturalmente presi d'assalto dalle  tantissime persone che li aspettavano inferociti, trasformandosi in carri bestiami.

Il disservizio è stato ben servito. 

L'Atac dovrebbe definirsi: azienda per l'immobilità delle cittadine e dei cittadini!

La questione è  alquanto pericolosa perchè la popolazione è invecchiata e si è rischiato di avere malesseri, anche perchè nella scatola da sardine non circolava aria e la pressione dei corpi uno sull'altro non favoriva affatto il minimo di igiene. 

Roba da protezione civile.

Inoltre, il bus (preso da Stilinga) alle fermate apriva le porte solo per consuetudine, in quanto nessuno poteva scendere e quindi nessuno poteva accedere. 

Tale bus imbottito di esseri umani, stanchi di combattere contro le inefficienze della Azienda dei Non Trasporti, è stato pure fotografato dagli astanti che alle fermate non sono potuti salire. 

L'Atac non solo pregiudica la città e l'incolumità dei cittadini e delle cittadine, ma è un disservizio vero e proprio che i romani e le romane non meritano.

La contro-riforma putiniana di Renzi, Boschi e Verdini

di Paolo Flores d'Arcais, da Repubblica
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-contro-riforma-putiniana-di-renzi-boschi-e-verdini/
Amici lettori, pensate davvero che la “riforma” costituzionale Renzi-Boschi-Verdini non costituisca un pericolo per le vostre libertà? Provate a ragionare su questi ineludibili dati di fatto.

Oggi in Italia vi sono tre schieramenti che ottengono grosso modo il 25/30% dei voti (il resto si disperde tra forze minori). Poiché ormai un terzo degli italiani non va a votare (e il fenomeno è in crescita), con la “riforma” suddetta e la concomitante nuova legge elettorale (sia nella versione Italicum che, forse ancora peggio, in quella “corretta Cuperlo”), chi rappresenta solo il 17/20% dei cittadini otterrà una schiacciante maggioranza assoluta in Parlamento (di nominati, dunque fedeli al Capo “perinde ac cadaver”), il controllo della Corte Costituzionale, del Consiglio Superiore della Magistratura (da cui dipendono tutte le nomine ai vertici di Procure Tribunali e Cassazione), la scelta del Presidente della Repubblica (e la possibilità di facile impeachment nel caso non piacesse più e non si “allineasse”), il controllo della Rai, tutte le nomine delle Authority di “garanzia” (Consob, Privacy, ecc.), oltre ovviamente al governo.

Potrebbe vincere Renzi, potrebbe vincere Grillo, potrebbe vincere la destra-destra (in declinazione Berlusconi/Salvini o Berlusconi/Parisi, a seconda degli umori di Arcore). Io voterò M5s, come faccio già da tempo, ma avrei paura se a questa forza andassero i poteri previsti dalla contro-riforma (chiamiamola col suo nome, vivaddio!) Renzi-Boschi-Verdini. E ne avrebbero anche i “cinquestelle”, responsabilmente, visto che hanno proposto una legge elettorale “proporzionale corretta” (tipo Spagna e in parte Germania) e sono impegnati per il No.

Perché con la contro-riforma costituzional-elettorale (le due cose sono inscindibilmente intrecciate proprio nel disegno dei promotori), un leader da 17/20% di consenso dei cittadini avrebbe un potere che sfiora quello di Putin e di Erdogan, senza necessità di ricorrere alla galera e alla violenza. E, ripeto, chi sia questo leader dipenderebbe da spostamenti minimi di voti (nel caso del turno unico saremmo addirittura alla roulette). Davvero questa prospettiva non vi gela il sangue?

Se non vi fa paura vuol dire che avete superato in atarassica serenità zen il più “disincarnato” dei monaci orientali, il che sarà magari ottimo per la vostra psiche e le vostre future reincarnazioni, ma per il funzionamento di una democrazia è micidiale. In ogni democrazia fondamentale è il rispetto delle minoranze, le garanzie per i bastian-contrari, i diritti civili e gli spazi di comunicazione reale di quella minoranza delle minoranze che è il singolo dissidente. Niente di tutto questo resta in piedi con le contro-riforme Renzi-Boschi-Verdini.

Vi flautano nelle orecchie: ma è il prezzo da pagare per l’efficienza, per la velocità del processo legislativo. Davvero ci siete cascati? Non l’avete ancora letto l’articolo 70 controriformato? Claudio Santamaria lo ha recitato in pubblico, alla manifestazione indetta da MicroMega con Maltese, Rodotà, Zagrebelsky, Carlassare, Ovadia e tanti altri, lo ha letto come si conviene a un grande attore e come esige la punteggiatura di quella pagina e mezzo (attualmente l’articolo 70 è di una riga): un incomprensibile labirinto mozzafiato di commi e sottocommi, su cui i giuristi hanno già dato una dozzina di interpretazioni diverse, una sbobba procedurale che garantirà ricorsi su ricorsi fino alla Corte Costituzionale. Santamaria ha detto che sembrava scritta da Gigi Proietti in uno dei suoi momenti satirici di grazia. Forse, ma certamente con la collaborazione del notissimo e manzoniano dottor Azzeccagarbugli.

Vi sventolano davanti agli occhi lo specchietto per le allodole dei costi della politica che diminuiscono, davvero ve la siete bevuta? Qualche decina di milioni in meno: costa assai di più ogni settimana semplicemente tener in vita l’ipotesi del Ponte sullo Stretto (se poi, con il Sì nelle vele, lo costruiranno davvero, saremmo a una tragedia da piangere per generazioni). E se i senatori saranno un pochino di meno, in compenso i politici regionali e comunali che andranno in quegli scranni godranno del premio più ambito per i troppi politicanti che della politica fanno mercimonio e profitto: l’amatissima immunità. I costi della politica si tagliano in radici riducendo a zero le migliaia e migliaia di consigli di amministrazioni delle “partecipate”, le migliaia e migliaia di consulenze di nomina politica, il groviglio ciclopico di enti inutili, e insomma i milioni di persone che “vivono di politica”, e lautamente, per meriti che con il merito hanno ben poco a che fare.

Millantano che con il Sì combatterete la Casta, ma la Casta sono loro, ormai, il giglio magico e le sue infinite propaggini, l’indotto di nuovi piccoli satrapi messo in moto dalle Leopolde, le incredibili mediocrità assurte a posizioni apicali, le imbarazzanti nullità innalzate nell’Olimpo dell’intreccio affaristico-politico, che ormai fanno apparire uno statista perfino Cirino Pomicino.

Col No, il No che conta, vince invece la società civile di questo quarto di secolo di lotte. Che ha come programma l’unica grande riforma necessaria: realizzare la Costituzione, che i conservatori di sempre hanno bloccato, edulcorato, sfigurato, avvilendola nella camicia di forza della “Costituzione materiale”, democristiana prima, del Caf (Craxi Andreotti Forlani) poi, infine di Berlusconi (che con le sue televisioni ammicca al Sì e a chiacchiere sta col No, il solito piede in due scarpe), e oggi del suo nipotino Renzi.

Se col tuo voto vincerà il No, amico lettore, non ci sarà nessuna instabilità, semplicemente diventerà inevitabile un governo di coerenza costituzionale, e si aprirà la strada per l’unico rinnovamento di cui l’Italia ha bisogno, quello che porta scritto “giustizia e libertà” e come stella polare ha l’eguaglianza incisa nella Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza.

(21 novembre 2016)

Camilleri: “Sono diventato cieco, ma andrò a votare No”

intervista a Andrea Camilleri di Aldo Cazzullo, da il Corriere della Sera, 19 novembre 2016
http://temi.repubblica.it/micromega-online/camilleri-sono-diventato-cieco-ma-andro-a-votare-no/
Novantantun anni, 102 libri, 26 milioni di copie solo in Italia: Andrea Camilleri è lo scrittore più importante che abbiamo. «Vorrei l' eutanasia, quando sarà il momento. La morte non mi fa paura. Ma dopo non c' è niente. E niente di me resterà: sarò dimenticato, come sono stati dimenticati scrittori molto più grandi. E quindi mi viene voglia di prendere il viagra, di ringiovanire, pur di vivere ancora qualche anno, e vedere come va a finire. Vedere che presidente sarà Trump: uno tsunami mondiale, un Berlusconi moltiplicato per diecimila. E vedere cosa sarà del mio Paese».

«A guardare l' Italia ridotta così, mi sento in colpa. Avrei voluto fare di più, impegnarmi di più. Nel Dopoguerra ci siamo combattuti duramente, ma avevamo lo stesso scopo: rimettere in piedi il Paese. Oggi quello spirito è scomparso».

Renzi non è un buon presidente del Consiglio?
«No. È un giocatore avventato e supponente. Mi fa paura quando racconta balle: ad esempio che il futuro dei nostri figli dipende dal referendum. Mi pare un gigantesco diversivo per realizzare un altro disegno».

Quale?
«Mi sfugge, ma c' è».

Al referendum andrà a votare?

«Pur di votare No mi sottoporrò a due visite oculistiche, obbligatorie per entrare nella cabina elettorale accompagnato. Io le riforme le voglio: il Senato deve controllare la Camera, non esserne il doppione. Ma questa riforma è pasticciata. E non ci consente di scegliere i nostri rappresentanti».

Spera nei Cinque Stelle?
«Non mi interessano. Non ci credo. Mi ricordano l' Uomo Qualunque: Grillo è Guglielmo Giannini con Internet. Nascono dal discredito della politica, ma non hanno retto alla prova dei fatti: Pizzarotti è stato espulso dal movimento; la Raggi non mi pare stia facendo grandi cose».

Se vince il No cosa succede?
«Entra in campo Mattarella. Che si comporterà bene; perché è un gran galantuomo».

Il padre fascista e Montalbano

«Galantuomo era mio padre Giuseppe, anche se avevamo idee politiche opposte. Lui aveva fatto tutta la Grande guerra nella brigata Sassari. Adorava il suo comandante: Emilio Lussu. Vide morire Filippo Corridoni. Poi divenne fascista e fece la marcia su Roma. Però quando il mio compagno Filippo Pera mi disse che non sarebbe più venuto a scuola perché era ebreo, mio padre si indignò: "È una sciocchezza che il Duce fa per il suo amico Hitler".

Lealtà, fedeltà alla parola data, ironia, arte di guardare oltre le cose: sotto molti aspetti Montalbano è il ritratto di papà. Fu mia moglie Rosetta a farmelo notare. I padri si innamorano sempre un po' delle mogli dei figli; e Rosetta a lui ha voluto molto bene».

«Il matrimonio dei miei genitori era stato combinato. Nozze di zolfo, toccate anche a Pirandello: gli zolfatari facevano sposare i loro eredi per concentrare la proprietà, e ritardare il fallimento cui erano condannati. Però il matrimonio dei miei era riuscito. Quando mio padre morì, Turiddu Hamel, il sarto, si inchinò al passaggio della bara. Hamel era l' antifascista del paese. Mi raccontò che, quando stava morendo di fame perché entrava e usciva dal carcere, papà gli aveva commissionato una divisa nera: "E sia chiaro che non lo faccio per sfregio…". "To patri sapiva campari" mi disse il vecchio sarto: Giuseppe Camilleri sapeva vivere».

La guerra di casa

«Anche io sono stato fascista. Avevo sedici anni quando il Duce annunciò la guerra: ascoltai il discorso dagli altoparlanti in piazza. Tornai a casa entusiasta, e trovai nonna Elvira e nonna Carolina in lacrime. Tutte e due avevano perso un figlio nelle trincee: "A guerra sempre tinta è", la guerra è sempre cattiva. Anche mio padre la conosceva. E conosceva gli inglesi».

«Il primo a dirmi che in realtà ero comunista fu il vescovo di Agrigento, Giovanbattista Peruzzo, piemontese di Alessandria. Leggevo le firme delle riviste del Guf, Mario Alicata, Pietro Ingrao, e mi riconoscevo. Ma la vera svolta fu un libro, che mi fece venire la febbre e mi aprì gli occhi: La condizione umana di Malraux».

«Nell' estate del '42 andai a Firenze al raduno della gioventù fascista. C' era il capo della Hitler Jugend, Baldur von Schirach, venuto ad annunciare l' Europa di domani: un' enorme caserma, con un unico vangelo, il Mein Kampf. C' erano ragazzi e ragazze di tutta l' Europa occupata: Francia, Spagna, Polonia, Ungheria; le ungheresi erano bellissime, facemmo amicizia parlando latino. Sul fondale c' era un' enorme bandiera tedesca. Protestai: "Siamo in Italia!". Così issarono anche un tricolore. Ma Pavolini mi individuò tra la folla, mi chiamò, e mi rifilò un terribile càvucio nei cabasisi: insomma, un calcio nelle palle. Finii in ospedale. Il prefetto, che era amico di mio padre, mi fece trasferire in una clinica privata, nel caso che Pavolini mi avesse cercato».

«Fui richiamato il primo luglio 1943. Mi presentai alla base navale di Augusta e chiesi la divisa. "Quale divisa?". Mi mandarono a spalare macerie in pantaloncini, maglietta, sandali e fascia con la scritta Crem: Corpo reale equipaggi marittimi. La mia guerra durò nove giorni. Nella notte dell' 8 luglio il compagno che dormiva nel letto a castello accanto al mio sussurrò: "Stanno sbarcando". Uscii sotto le bombe, buttai la fascia, tentai l' autostop: incredibilmente un camion si fermò. Arrivai così a Serradifalco, nella villa con la grande pistacchiera dove erano sfollate le donne di famiglia. Zia Giovannina fece chiudere i cancelli e mettere i catenacci: "Qui la guerra non deve entrare!". Arrivarono gli americani e abbatterono tutto con i carri armati».

«In testa c' era un generale su una jeep guidata da un negro. Passando vide una croce, là dove i tedeschi avevano sepolto un camerata fatto a pezzi da una scheggia. Il generale battè con le nocche sull' elmetto del negro, e la jeep si fermò. Prese la croce, la spezzò, la gettò via. Poi diede altri due colpi sull' elmetto, e la jeep ripartì. Sfilarono altri sedici uomini. Io ero annichilito dalla paura. L' ultimo mi sorrise e mi parlò: "Ce l' hai tanticchia d' olio, paisà? Agghio cogliuto l' insalatedda…". Erano tutti siciliani. Mi sciolsi in un pianto dirotto, e andai a prendere l' olio per l' insalata. Poi chiesi chi fosse l' uomo sulla jeep. Mi risposero: "Chisto è o mejo generale che avemo; ma como omo è fitusu. S' acchiama Patton"».

I litigi con Sciascia

«Noi comunisti siciliani le elezioni le avevamo vinte. Alle Regionali dell' aprile 1947 il Blocco del popolo prese 200 mila voti più della Dc.

Il Primo maggio mi ritrovai con gli amici a festeggiare, e mi ubriacai. Arrivò la notizia di Portella della Ginestra: gli agrari avevano fatto sparare sui compagni. Vomitai tutto. Da allora non ho più toccato un goccio di vino».

«Leonardo Sciascia era di un anticomunismo viscerale. Eravamo molto amici, ma abbiamo litigato come pazzi. Nei giorni del sequestro Moro lui e Guttuso andarono da Berlinguer e lo trovarono distrutto: Kgb e Cia, disse, erano d' accordo nel volere la morte del prigioniero. Sciascia lo scrisse. Berlinguer smentì, e Guttuso diede ragione a Berlinguer. Io mi schierai con Renato: era nella direzione del Pci, cos' altro poteva fare? Leonardo la prese malissimo: "Tutti uguali voiauti comunisti, il partito viene prima della verità e dell' amicizia!"».

«Un' altra cosa non mi convinceva di Sciascia. Nei suoi libri a volte rendeva la mafia simpatica. A teatro gli spettatori applaudivano, quando nel Giorno della civetta don Mariano distingue tra "uomini, mezzi uomini, ominicchi, piglianculo e quaquaraquà". Leonardo mi chiedeva: ma perché applaudono? "Perché hai sbagliato" gli rispondevo. Altre volte rendeva la mafia affascinante. "Lei è un uomo" fa dire a don Mariano. Ma la mafia non ti elogia, la mafia ti uccide; per questo di mafia ho scritto pochissimo, perché non voglio darle nobiltà. Eppure a Leonardo ho voluto un bene dell' anima. Andavo di continuo a rileggere i suoi libri. Per me erano come un elettrauto: mi ricaricavano».

La cecità

«Da quando sono diventato cieco, i pensieri tinti mi visitano più spesso. Cerco di scartarli; però tornano. A volte mi viene la paura del buio, come da bambino. Una paura fisica, irrazionale. Allora mi alzo e a tentoni corro di là, da mia moglie. Per fortuna ho Valentina, cui detto i libri: è l' unica che sa scrivere nella lingua di Montalbano, anche se è abruzzese.

Fino a poco fa vedevo ancora le ombre. Sono felice di aver fatto in tempo a indovinare il viso della mia pronipote, Matilde. Ora ha tre anni, è cresciuta, mi dicono che è bellissima, ma io non la vedo più. Di notte però riesco a ricostruire le immagini. L' altra sera mi sono ricordato la Flagellazione di Piero della Francesca. Ho pensato all' ultima volta che l' ho vista, a Urbino - aprirono il Castello apposta per me -, e l' ho rimessa insieme pezzo a pezzo. È stato meraviglioso».

(19 novembre 2016)

lettera aperta alla sindaca Raggi

Cara Sindaca Virginia Raggi,
le scrivo perché faccia partire la manutenzione e il ripristino, talvolta il rifacimento totale dei marciapiedi e delle strade, oltre che la pulizia di entrambi.

Nel  municipio 8° (ex 11°) la situazione è un vero disastro e siccome è densamente popolato da persone anziane le chiedo di sistemare prontamente questo stato di cose.

I portatori di Handicap non possono proprio uscire, se non a loro rischio e pericolo.

Inoltre, la informo che la pulizia dei marciapiedi e delle strade è davvero penosa.
Si vedono girare i camion dell’Ama, più di prima, ma poi mi chiedo, lavorano?

A vedere come stanno le cose direi di no.

In particolar modo nel quartiere della Montagnola sarebbe decoroso eliminare i cassonetti che tanto degrado e trascuratezza comunicano e che sono costantemente visitati dai sempre più numerosi indigenti, dei quali pure lei si dovrebbe occupare.

Per quanto riguarda le Piazze: ma per quale motivo nelle zone periferiche esistono slarghi e larghi ma non piazze che sono il fulcro della socialità? 

E questa ultima è parte importantissima della vita e determina la qualità esistenziale, che tanto i romani e le romane meritano.

Vuole cortesemente porre rimedio?

Altrimenti cosa è stata votata a fare?


In un numero la crescita che non c’è



da http://www.corriere.it/economia


Referendum, sul Financial Times: "Italia fuori dall'euro se vince il No". Ma gli osservatori economici sono divisi...e vinca il NO!

I grandi giornali finanziari internazionali guardano con preoccupazione all'esito della consultazione del 4 dicembre. Catastrofista lo scenario del britannico FT. Più ottimisti Bloomberg e Wall Street Journal

Governo Renzi: finge amicizia alla Russia, ma finanzia i Clinton Leggi tutto: https://it.sputniknews.com/italia/201608073242061-renzi-russia-clinton/

Renzi si è travestito talvolta da “amico” della Russia, fingendosi contrario alle sanzioni; ora il senatore piemontese Lucio Malan ne ha smascherato l’ambiguità facendo una scoperta interessante: il ministero dell'Ambiente appare tra i sostenitori della Fondazione Clinton.

 Lucio Malan Malan ha presentato un'interrogazione parlamentare chiedendo spiegazioni al titolare del dicastero. Quella del ministro Galletti è infatti una scelta tale da creare imbarazzo nelle relazioni diplomatiche con la Russia, anche perchè tra i finanziatori dei Democratici americani vi è pure un certo George Soros, che pare aver rivestito un ruolo importante nella crisi ucraina. Abbiamo approfondito l'argomento con lo stesso senatore Malan, che ha avuto il coraggio di gettare luce su questa vicenda incresciosa. 

- Senatore, il Governo italiano ha risposto alla Sua interrogazione?

 — Non ancora. Penso esistano pochi governi al mondo che sistematicamente non rispondono ai quesiti più scomodi che gli vengono posti dai parlamentari. Rispondere sarebbe d'obbligo… ma non in Italia. Forse accadeva anche in passato, ma con l'arrivo di Renzi neppure le sollecitazioni al presidente della Camera o del Senato ottengono una discussione su certi documenti.  

- Come ha scoperto che il ministero dell'Agricoltura aveva sovvenzionato la Fondazione Clinton? 

 — Scorrendo i finanziatori della Fondazione ho visto che compariva per il 2015 anche il Ministero italiano; non trovando riscontro nel Bilancio dello Stato, ho presentato subito un'interrogazione al ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti, per chiedergli le ragioni che lo hanno convinto a concedere un finanziamento, peraltro di somma imprecisata (tra i 100 e i 250mila dollari). Le attività promosse da questo Ente saranno pure meritorie, ma credo esistano molte altre istituzioni che il Governo italiano potrebbe sostenere, in primis quelle nazionali. Accanto al Ministero dell'Ambiente compaiono come finanziatori anche Arabia Saudita, Qatar e Norvegia, Paesi legati dal comun denominatore del petrolio: non proprio una gran bella immagine ne deriva per il Ministero dell'Ambiente e dunque per il Governo. 

- Questo finanziamento è un appoggio indiretto alla campagna presidenziale dei Democratici americani? 

— Le tempistiche del finanziamento sono sospette. E a chi obiettasse che il finanziamento va alla Clinton Foundation e non alla signora Clinton candidata alla Casa Bianca, ricordo che la denominazione dell'istituzione è "Bill, Hilary & Chelsea Foundation". 

- La stampa italiana ed europea è ampiamente schierata contro Trump e a favore della Clinton: chi la spunterà? — In controtendenza rispetto a tanti colleghi parlamentari, quando seppi della candidatura di Trump dissi che sarebbe stato un osso duro, vista la sua determinazione. Molti opinionisti lo riducono a una caricatura, ma cosi non è. A differenza di certi populisti europei, ha un programma ben chiaro, entrato di forza nell'agenda politica degli altri partiti. Contro i bassi salari e l'emarginazione, Trump propone una ricetta che parla direttamente alla "pancia" del Paese, senza prendere in giro nessuno, almeno sulla carta: stop all'immigrazione che costituisce una concorrenza al ribasso contro i propri cittadini, riduzione dell'imposizione fiscale, rinegoziazione dei trattati commerciali internazionali, contrarietà al TTIP. Che piaccia o no, a questa piattaforma politica i democratici faticano a trovare una controproposta credibile, vagheggiando solo di possibili effetti negativi senza fornire dati concreti. Si comprende allora il successo di Trump, molto simile a quello riscosso dal primo Obama, il quale non parlava agli elettori tradizionali del suo partito, ma si rivolgeva a quelli che non si recavano alle urne. 

 - E per quanto riguarda la politica estera? 

— La sua proposta paradossalmente è la migliore per l'Europa e l'Italia. Il riavvicinamento alla Russia e a Putin porterebbe da un lato al superamento delle sanzioni e dall'altro sarebbe l'inizio di una coalizione internazionale capace di operare efficacemente contro il terrorismo e i pesanti flussi migratori che stiamo subendo. D'altra parte, mi pare che di provocazioni la Russia ne abbia subite già abbastanza, tra ritorsioni economiche e dispiegamento di forze NATO lungo i suoi confini. Trump viene dipinto come estremista, ma in politica estera ha la proposta più moderata: eviterebbe il ritorno a una guerra fredda insostenibile sia dal punto di vista economico sia perchè siamo già impegnati sul fronte del Medioriente.  

- Come si muove l'Italia rispetto alle sanzioni contro la Russia?  

 — Si muove male. Il Partito Democratico respinge tutte le risoluzioni che noi presentiamo in Parlamento per chiedere all'UE di cancellarle. Renzi si comporta come un padre padrone, che vuole andare in Europa affermando di avere tutto sotto controllo, anche il Parlamento italiano, mentre poi riesce solo a elemosinare qualche discussione in merito nel Parlamento europeo. Invece, se avesse dalla sua documenti condivisi con le opposizioni, avrebbe una posizione molto più forte verso gli altri premier europei per poter pretendere lo stop alle misure anti-russe che recano detrimento soprattutto all'Italia. Basti pensare che noi riceviamo danni dieci volte superiori a quelli che subisce la Russia: è un controsenso.

Leggi tutto: https://it.sputniknews.com/italia/201608073242061-renzi-russia-clinton/

¿Comida o basura? La máquina de generar enfermedad

da: http://www.jornada.unam.mx/2016/07/09/opinion/019a1eco
¿Comida o basura? La máquina de generar enfermedad
Silvia Ribeiro*
E
l sistema alimentario industrial, desde las semillas a los supermercados, es una máquina de enfermar a la gente y al planeta. Está vinculado a las principales enfermedades de la gente y de los animales de cría, es el mayor factor singular de cambio climático y uno de los principales causantes de factores de colapso ambiental global, como la contaminación química y la erosión de suelos, agua y biodiversidad, la disrupción de los ciclos del nitrógeno y del fósforo, vitales para la sobrevivencia de todos los seres vivos.
Según la Organización Mundial de la Salud, 68 por ciento de las causas de muerte en el mundo se deben a enfermedades no trasmisibles. Las principales enfermedades de este tipo, como cardiovasculares, hipertensión, diabetes, obesidad y cáncer de aparato digestivo y órganos asociados, están relacionadas con el consumo de comida industrial. La producción agrícola industrial y el uso de agrotóxicos que implica (herbicidas, plaguicidas y otros biocidas) es además causa de las enfermedades más frecuentes de trabajadores rurales, sus familias y habitantes de poblaciones cercanas a zonas de siembra industrial, entre ellas insuficiencia renal crónica, intoxicación y envenenamiento por químicos y residuos químicos en el agua, enfermedades de la piel, respiratorias y varios tipos de cáncer.
Según un informe del Panel Internacional de Expertos sobre Sistemas Alimentarios Sustentables (IPES Food) de 2016, de los 7 mil millones de habitantes del mundo, 795 millones sufren hambre, mil 900 millones son obesos y 2 mil millones sufren deficiencias nutricionales (falta de vitaminas, minerales y otros nutrientes). Aunque el informe aclara que en algunos casos las cifras se superponen, de todos modos significa que alrededor de 60 por ciento del planeta tiene hambre o está mal alimentado.
Una cifra absurda e inaceptable, que remite a la injusticia global, más aún por el hecho de que la obesidad, que antiguamente era símbolo de riqueza, es ahora una epidemia entre los pobres. Estamos invadidos de comida que ha perdido importantes porcentajes de contenido alimentario por refinación y procesamiento, de vegetales que debido a la siembra industrial han disminuido su contenido nutricional por el efecto diluciónque implica que a mayor volumen de cosecha en la misma superficie se diluyen los nutrientes (http://goo.gl/AIZJjF); de alimentos con cada vez más residuos de agrotóxicos y que contienen muchos otros químicos, como conservadores, saborizantes, texturizantes, colorantes y otros aditivos. Sustancias que al igual que pasó con las llamadas grasas trans que hace algunas décadas se presentaban como saludables y ahora se saben son altamente dañinas, se va develando poco a poco que tienen impactos negativos en la salud.
Al contrario del mito generado por la industria y sus aliados –que mucha gente cree por falta de información– no tenemos porqué tolerar esta situación: el sistema industrial no es necesario para alimentarnos, ni ahora ni en el futuro. Actualmente sólo llega al equivalente de 30 por ciento de la población mundial, aunque usa más de 70 por ciento de la tierra, agua y combustibles que se usan en agricultura (Ver Grupo ETC http://goo.gl/V2r2GN).
El mito se sustenta en los grandes volúmenes de producción por hectárea de los granos producidos industrialmente. Pero aunque resulten grandes cantidades, la cadena industrial de alimentos desperdicia 33 a 40 por ciento de lo que produce. Según la FAO, se desperdician 223 kilogramos de comida por persona por año, equivalentes a mil 400 millones de hectáreas de tierra, 28 por ciento de la tierra agrícola del planeta. Al desperdicio en el campo se suma el de procesamiento, empaques, transportes, venta en supermercados y, finalmente, la comida que se tira en hogares, sobre todo los urbanos y del norte global.
Este proceso de industrialización, uniformización y quimicalización de la agricultura tiene pocas décadas. Su principal impulso fue la llamada Revolución Verde –el uso de semillas híbridas, fertilizantes sintéticos, agrotóxicos y maquinaria– que promovió la Fundación Rockefeller de Estados Unidos, empezando con la hibridación del maíz en México y el arroz en Filipinas, a través de los centros que luego serían el Centro Internacional de Mejoramiento de Maíz y Trigo (CIMMYT) y el Instituto Internacional de Investigación en Arroz (IRRI). Este paradigma tiene su máxima expresión en los transgénicos.
No fue sólo un cambio tecnológico, fue la herramienta clave para que se pasara de campos descentralizados y diversos, basados fundamentalmente en trabajo campesino y familiar, investigación agronómica pública y sin patentes, empresas pequeñas, medianas y nacionales, a un inmenso mercado industrial mundial –desde 2009 el mayor mercado global– dominado por empresas trasnacionales que devastan suelos y ríos, contaminan las semillas y transportan comida por todo el planeta fuera de estación, para lo cual químicos y combustibles fósiles son imprescindibles.
La agresión no es solamente por el control de mercados e imposición de tecnologías, contra la salud de la gente y la naturaleza. Toda diversidad y acentos locales molestan para la industrialización, por lo que también es un ataque continuo al ser y hacer colectivo y comunitario, a las identidades que entrañan las semillas y comidas locales y diversas, al acto profundamente enraizado en la historia de la humanidad de qué y cómo comer.
Pese a ello, siguen siendo las y los campesinos, pastores y pescadores artesanales, huertas urbanas, las que alimentan a la mayoría de la población mundial. Defenderlos y afirmar la diversidad, producción y alimentación local campesina y agroecológica es también defender la salud y la vida de todos y todo.
*Investigadora del Grupo ETC

La grande abbuffata dei veleni

di Silvia Ribeiro
da: http://comune-info.net/2016/07/la-grande-abbuffata-dei-veleni/
Non solo di Terra ne abbiamo una sola, come insegna ogni elementare corso introduttivo all’educazione ambientale, ma cercare presunte alternative alla terra, per esempio per nutrirsi, è una scelta rovinosa. Per le persone e per il pianeta. È quel che accade con il consumo intensivo di cibo industriale, connesso in modo sostanziale con l’insorgere di malattie cardiovascolari, del diabete, dell’obesità e del cancro all’apparato digestivo. Il sistema alimentare industriale è il primo responsabile dei cambiamenti climatici ma causa anche l’erosione dei suoli e minaccia l’acqua e la biodiversità. Come se non bastasse, la catena dell’industria alimentare spreca dal 33 al 40 per cento di ciò che produce. A nutrire la maggior parte degli abitanti umani del pianeta, per fortuna, ci pensano ancora i contadini, i pastori, i pescatori artigianali e chi coltiva gli orti urbani. Difenderli e affermare la diversità, la produzione e l’alimentazione locale contadina e biologica vuol dire difendere la salute e la vita di tutti e di tutto.

Il sistema alimentare industriale, dalle sementi ai supermercati, è una macchina che fa ammalare le persone e il pianeta. È strettamente collegato alle principali malattie delle persone e degli animali da allevamento; è il singolo più importante fattore del cambiamento climatico e una delle principali cause del collasso ambientale globale, con la contaminazione chimica e l’erosione del suolo, dell’acqua e della biodiversità, l’interruzione dei cicli dell’azoto e del fosforo, vitali per la sopravvivenza di tutti gli essere viventi.
Secondo L’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 68 per cento delle cause di morte nel mondo, sono dovute a malattie non trasmissibili. Le principali malattie di questo tipo, come quelle cardiovascolari, l’ipertensione, il diabete, l’obesità e il cancro dell’apparato digestivo e degli organi correlati, sono legate al consumo di cibo industriale. La produzione agricola industriale e l’uso di agrotossici che comporta (erbicidi, pesticidi e altri biocidi) è inoltre la causa delle malattie più frequenti tra i lavoratori rurali, le loro famiglie e gli abitanti dei villaggi vicini alle zone di coltura industriale: tra esse, insufficienza renale cronica, intossicazione a avvelenamento per sostanze chimiche e residui chimici nell’acqua, malattie della pelle, dell’apparato respiratorio e diversi tipi di cancro.
Secondo un rapporto del 2016 del Gruppo Internazionale di Esperti sui Sistemi Alimentari Sostenibili (International Panel of Experts on Sustainable Food Systems IPES Food), dei 7 miliardi di abitanti del mondo, 795 milioni soffrono la fame, 1 miliardo e 900 milioni sono obesi e 2 miliardi soffrono di deficienze nutrizionali (mancanza di vitamine, minerali e altri nutrienti). Anche se il rapporto chiarisce che in alcuni casi le cifre si sovrappongono, in ogni caso significa che circa il 60 per cento degli abitanti pianeta soffre la fame o sono malnutriti.
Una cifra assurda e inaccettabile, che rimanda all’ingiustizia globale, ancor più per il fatto che l’obesità, che un tempo era simbolo di ricchezza, è ormai un’epidemia tra i poveri. Siamo invasi da “cibo” che ha perso significative percentuali di contenuto alimentare a seguito della raffinazione e della lavorazione; di verdure che a causa della coltivazione industriale hanno diminuito il loro contenuto nutrizionale per l’ “effetto diluizione” poiché un maggior volume di raccolto sulla medesima superficie comporta una diluizione dei nutrienti; di alimenti con sempre più residui di agrotossici e che contengono molte altre sostanze chimiche, come conservanti, aromatizzanti, esiti di testurizzazione, coloranti e altri additivi. Sostanze che, così come è successo con i cosiddetti “ acidi grassi trans” che alcuni decenni fa erano presentati come salutari e che adesso si sa che sono altamente nocivi, a poco a poco si sta rivelando che queste sostanze hanno impatti negativi sulla salute.
Al contrario del mito generato dall’industria e dai suoi alleati -al quale molte persone credono per mancanza di informazione- non abbiamo motivi per tollerare questa situazione: il sistema industriale non è necessario per alimentarci, né ora né in futuro. 
Attualmente raggiunge solo l’equivalente del 30 per cento della popolazione mondiale, ma utilizza più del 70 per cento della terra, dell’acqua e dei combustibili che si usano in agricoltura (Vedi Gruppo ETC ).
Il mito si basa sui grandi volumi di produzione per ettaro di grano prodotto industrialmente. Tuttavia, sebbene ne risultino grandi quantità, la catena dell’industria alimentare spreca dal 33 al 40 per cento di ciò che produce.
Secondo la FAO, si sprecano ogni anno 223 chilogrammi di cibo a persona, equivalenti a mille e 400 milioni di ettari di terra, il 28 per cento della terra agricola del pianeta. Allo spreco che avviene nel campo, si aggiunge quello della lavorazione, del confezionamento, dei trasporti, della vendita nei supermercati e, infine, il cibo che si butta a casa, soprattutto nei luoghi urbani e del nord globale.
Questo processo di industrializzazione, di standardizzazione e di chimicalizzazione dell’agricoltura ha pochi decenni. 
Il suo principale impulso è stata la cosiddetta “Rivoluzione Verde” -l’uso di sementi ibride, fertilizzanti sintetici, agrotossici e macchinari- , promossa dalla statunitense Fondazione Rockefeller, iniziando con l’ibridazione del mais in Messico e del riso nelle Filippine, attraverso i centri che sarebbero poi diventati il Centro Internazionale di Miglioramento del Mais e del Grano ( CIMMYT International Maize and Wheat Improvement Center) e l’Istituto Internazionale di Ricerca sul Riso (IRRI International Rice Research Institute ). Questo paradigma trova la sua massima espressione nei transgenici.
Non si è trattato solo di un cambiamento tecnologico; è stato lo strumento chiave per passare dai campi decentralizzati e diversificati, basati fondamentalmente sul lavoro contadino e familiare, sulla ricerca agronoma pubblica e senza brevetti, su imprese piccole, medie e nazionali, a un immenso mercato industriale mondiale -dal 2009 il più grande mercato mondiale- dominato da multinazionali che devastano i terreni e i fiumi, contaminano le sementi e trasportano cibo, fuori stagione, attraverso tutto il pianeta e che, per tutto questo, non possono prescindere dai prodotti chimici e dai combustibili fossili.
L’aggressione non è solamente per il controllo dei mercati e per l’imposizione delle tecnologie, contro la salute delle persone e dell’ambiente. All’industrializzazione dà fastidio ogni diversità e peculiarità locali e c’è quindi un attacco continuo verso l’essere e il fare collettivo e comunitario, verso le identità che comprendono in sé le sementi e i cibi locali e diversi, verso l’atto profondamente radicato nella storia dell’umanità che consiste nel decidere cosa e come mangiare.
Malgrado ciò, continuano ad essere  i contadini, pastori e pescatori artigianali, gli orti urbani, quelli che nutrono la maggioranza della popolazione mondiale. Difenderli e affermare la diversità, la produzione e l’alimentazione locale contadina e biologica vuol dire anche difendere la salute e la vita di tutti e di tutto.