This is the fashion blog of Stilinga, a fashion designer who works from home. She is from Rome, Italy and she writes about trends, things she loves to do in Rome and art. Questo è il fashion blog, e non solo, di stilinga (una stilista che lavora da casa - è una stilista-casalinga) e che spesso tra una creazione di moda e l'altra, tra ricerche e fiere, si occupa anche del suo quotidiano e del contesto in cui vive.
Referendum, sul Financial Times: "Italia fuori dall'euro se vince il No". Ma gli osservatori economici sono divisi...e vinca il NO!
I grandi giornali finanziari internazionali guardano con preoccupazione all'esito della consultazione del 4 dicembre. Catastrofista lo scenario del britannico FT. Più ottimisti Bloomberg e Wall Street Journal
di MONICA RUBINOhttp://www.repubblica.it/politica/2016/11/21/news/referendum_italiano_visto_dai_giornali_finanziari_esteri-152449063/?ref=HRER3-1ROMA - Lo dicono gli esperti di Bloomberg e lo sottolinea il giapponese Norihiro Fujito, senior investment strategist presso Mitsubishi UFJ Morgan Stanley Securities: il referendum costituzionale italiano del 4 dicembre, accanto al prossimo vertice Opec (i Paesi produttori di petrolio), sarà uno degli snodi fondamentali per capire l'umore dei mercati internazionali nei prossimi mesi. Nonostante un po' di tensione, secondo l'agenzia finanziaria Usa un'eventuale sconfitta del governo Renzi non sarà un evento drammatico per la tenuta del Paese. Catastrofiche invece in caso di vittoria del No le previsioni di Wolfgang Münchau, condirettore del Financial Times, il principale quotidiano economico britannico. "Finché c'è crescita c'è speranza" è il messaggio decisamente più ottimista lanciato dal Wall Street Journal. Per il New York Times, poi, le riforme sono solo una sovrastruttura: il problema vero dell'economia italiana sta nelle poca solidità delle banche, sconfessata però dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco.
L'apocalisse europea secondo il Financial Times. Apocalittico è dunque lo scenario tratteggiato da Münchau, condirettore del Financial Times ed esperto di Unione Europea, se il No dovesse avere la meglio: populismi che trionfano in tutta Europa, guidati dall'affermazione di Donald Trump alla presidenza degli Usa e dalla Brexit, e l'euro che si sfalda, con l'Italia in prima fila tra le nazioni che abbandoneranno la moneta unica.
Europa disintegrata e Italia fuori dall'euro. Per Münchau il "5 dicembre l'Europa potrebbe svegliarsi con l'immediata minaccia della disintegrazione". E le cause sarebbero da ritrovare anche nei problemi strutturali dell'economia italiana: "Da quando l'Italia nel 1999 è entrata nell'euro la sua produttività totale è stata di circa il 5%, mentre Germania e Francia hanno superato il 10%". Sarebbe inoltre fallimentare il tentativo di costruire un'unione economica e bancaria efficiente dopo la crisi dell'eurozona del 2010-2012 basata solo sull'austerity, scelta attribuibile secondo il FT al cancelliere tedesco Angela Merkel. "La combinazione di questi due fattori sono la più grande causa dell'esponenziale crescita del populismo in Europa" che per Münchau ha in Italia tre partiti d'opposizione tutti a favore, seppur in modo diverso, dell'uscita dall'euro: i Cinque Stelle, Forza Italia e Lega.
La minaccia lepenista in Francia. Accanto all'esito del referendum italiano, continua il Financial Times, bisogna prendere in considerazione l'altro possibile grande elemento destabilizzante: la probabilità della vittoria alle elezioni presidenziali francesi di Marine Le Pen. E se dovesse vincere, "la signora Le Pen ha promesso un referendum sul futuro della Francia nell'Ue. Se questo dovesse portare alla 'Frexit' (l'uscita dall'Ue di Parigi come la Brexit, ndr.), l'Unione europea sarebbe finita il giorno dopo e così l'euro".
La ricetta del FT. Questa serie di eventi potrebbe essere prevenuta solo "se Merkel accettasse ciò che ha finora rifiutato: una road map verso una piena unione fiscale e politica", aggiunge il condirettore del Financial Times. Inoltre dovrebbe anche essere rafforzato "l'European Stability Mechanism", il sistema di salvataggio dei Paesi dell'eurozona che non è progettato per salvare Paesi delle dimensioni di Italia e Francia. In ogni caso per Münchau la previsione più concreta "resta non un collasso dell'Ue o dell'euro ma un'uscita di uno o più Paesi, verosimilmente l'Italia, ma non la Francia".
Il Wall Street Journal: "Meglio un governo tecnico". Non meno allarmanti, seppure meno catastrofiche, le previsioni del Wall Street Journal, che esce oggi con un articolo in prima pagina dedicato proprio alle ricadute sui mercati del referendum italiano. Secondo Riva Gold e Giovanni Legorano, dopo la Brexit e Trump, un eventuale esito negativo della consultazione porterebbe a una caduta dei titoli bancari italiani e a un ulteriore indebolimento dell'euro. "Il referendum si è trasformato in un voto di fiducia sulla capacità del governo Renzi di rilanciare l'economia", sottolinea il Wsj, citando poi Wolf von Rotberg, analista economico di Deutsche Bank, secondo cui l'esito referendario "servirà a impostare il tono per il 2017 sul clima politico e gli investimenti in Italia e in Europa".
Per il principale quotidiano finanziario Usa, in caso di vittoria del No e conseguente caduta dell'esecutivo Renzi, il risultato più auspicabile è "l'istituzione di un governo tecnico", che farebbe meno danni e spaventerebbe meno gli investitori rispetto a un ipotetico governo dei Cinque stelle, "partito anti establishment che punta a rinegoziare il debito italiano e a indire un referendum sull'euro, destabilizzando tutto il sud Europa". Un'eventuale presa del potere da parte dei grillini potrebbe "far crollare del 20% i principali indici europei", scrive ancora il Wsj citando uno studio di Deutsche Bank. In conclusione l'articolo lascia intravedere un barlume di speranza: "L'Italia è più grande della Brexit - spiega Guy Monson, capo del comitato d'investimento della banca privata svizzera Sarasin & Partners - e finché il Paese è in crescita non possiamo darla vinta alla crisi".
New York Times: il problema sono le banche. Il quotidiano newyorkese ritiene che tra le cause della debolezza economica dell'Italia ci sarebbero le banche, costrette a sostenere "società zombie" che non saranno mai in grado di restituire i prestiti. Ma Ignazio Visco, citato nell'articolo, rassicura: "La maggior parte dei crediti in Italia è sostenuta da garanzie reali - afferma il governatore della Banca d'Italia - le banche sono il sintomo di sette anni di recessione continua, non la causa". E STILINGA SI AUGURA VIVAMENTE CHE VINCA IL NO!IL CASINO L'HA COMBINATO QUEL GRULLO DI RENZI OCCUPANDOSI DI COSTITUZIONE, INVECE CHE DI PROBLEMI REALI E SERI, E IN PIU' HA DIVISO IL PAESE E UNITO, RICATTANDO TUTTI GLI ITALIANI, IL REFERENDUM ALLA CADUTA DEL SUO (S)GOVERNO.INOLTRE SE L'ITALIA DOVESSE USCIRE DA QUESTA MEZZA SCHIFEZZA CHIAMATA ANCORA EUROPA (IN PREDA AL DELIRIO DI ONNIPOTENZA TEDESCO, CHE SERVE SOLO PER NASCONDERE I CASINI ASSURDI E TREMEBONDI CHE LA GERMANIA HA) SAREBBE UNA BELLA LIBERAZIONE E FORSE IL RITORNO ALLA VERA POLITICA. RISCOPRIREMMO IL GUSTO PER LA COSA PUBBLICA E PER LA NOSTRA VITA.MEGLIO LASCIARE UNA COMPAGNIA DI PAZZI DISUMANI CHE FARNE PARTE.E COMUNQUE IL POPOLO SOVRANO ITALIANO AVRA' IL DIRITTO DI PENSARE A SE STESSO?
Governo Renzi: finge amicizia alla Russia, ma finanzia i Clinton Leggi tutto: https://it.sputniknews.com/italia/201608073242061-renzi-russia-clinton/
Renzi si è travestito talvolta da “amico” della Russia, fingendosi contrario alle sanzioni; ora il senatore piemontese Lucio Malan ne ha smascherato l’ambiguità facendo una scoperta interessante: il ministero dell'Ambiente appare tra i sostenitori della Fondazione Clinton.
Lucio Malan Malan ha presentato un'interrogazione parlamentare chiedendo spiegazioni al titolare del dicastero. Quella del ministro Galletti è infatti una scelta tale da creare imbarazzo nelle relazioni diplomatiche con la Russia, anche perchè tra i finanziatori dei Democratici americani vi è pure un certo George Soros, che pare aver rivestito un ruolo importante nella crisi ucraina. Abbiamo approfondito l'argomento con lo stesso senatore Malan, che ha avuto il coraggio di gettare luce su questa vicenda incresciosa.
- Senatore, il Governo italiano ha risposto alla Sua interrogazione?
— Non ancora. Penso esistano pochi governi al mondo che sistematicamente non rispondono ai quesiti più scomodi che gli vengono posti dai parlamentari. Rispondere sarebbe d'obbligo… ma non in Italia. Forse accadeva anche in passato, ma con l'arrivo di Renzi neppure le sollecitazioni al presidente della Camera o del Senato ottengono una discussione su certi documenti.
- Come ha scoperto che il ministero dell'Agricoltura aveva sovvenzionato la Fondazione Clinton?
— Scorrendo i finanziatori della Fondazione ho visto che compariva per il 2015 anche il Ministero italiano; non trovando riscontro nel Bilancio dello Stato, ho presentato subito un'interrogazione al ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti, per chiedergli le ragioni che lo hanno convinto a concedere un finanziamento, peraltro di somma imprecisata (tra i 100 e i 250mila dollari). Le attività promosse da questo Ente saranno pure meritorie, ma credo esistano molte altre istituzioni che il Governo italiano potrebbe sostenere, in primis quelle nazionali. Accanto al Ministero dell'Ambiente compaiono come finanziatori anche Arabia Saudita, Qatar e Norvegia, Paesi legati dal comun denominatore del petrolio: non proprio una gran bella immagine ne deriva per il Ministero dell'Ambiente e dunque per il Governo.
- Questo finanziamento è un appoggio indiretto alla campagna presidenziale dei Democratici americani?
— Le tempistiche del finanziamento sono sospette. E a chi obiettasse che il finanziamento va alla Clinton Foundation e non alla signora Clinton candidata alla Casa Bianca, ricordo che la denominazione dell'istituzione è "Bill, Hilary & Chelsea Foundation".
- La stampa italiana ed europea è ampiamente schierata contro Trump e a favore della Clinton: chi la spunterà? — In controtendenza rispetto a tanti colleghi parlamentari, quando seppi della candidatura di Trump dissi che sarebbe stato un osso duro, vista la sua determinazione. Molti opinionisti lo riducono a una caricatura, ma cosi non è. A differenza di certi populisti europei, ha un programma ben chiaro, entrato di forza nell'agenda politica degli altri partiti. Contro i bassi salari e l'emarginazione, Trump propone una ricetta che parla direttamente alla "pancia" del Paese, senza prendere in giro nessuno, almeno sulla carta: stop all'immigrazione che costituisce una concorrenza al ribasso contro i propri cittadini, riduzione dell'imposizione fiscale, rinegoziazione dei trattati commerciali internazionali, contrarietà al TTIP. Che piaccia o no, a questa piattaforma politica i democratici faticano a trovare una controproposta credibile, vagheggiando solo di possibili effetti negativi senza fornire dati concreti. Si comprende allora il successo di Trump, molto simile a quello riscosso dal primo Obama, il quale non parlava agli elettori tradizionali del suo partito, ma si rivolgeva a quelli che non si recavano alle urne.
- E per quanto riguarda la politica estera?
— La sua proposta paradossalmente è la migliore per l'Europa e l'Italia. Il riavvicinamento alla Russia e a Putin porterebbe da un lato al superamento delle sanzioni e dall'altro sarebbe l'inizio di una coalizione internazionale capace di operare efficacemente contro il terrorismo e i pesanti flussi migratori che stiamo subendo. D'altra parte, mi pare che di provocazioni la Russia ne abbia subite già abbastanza, tra ritorsioni economiche e dispiegamento di forze NATO lungo i suoi confini. Trump viene dipinto come estremista, ma in politica estera ha la proposta più moderata: eviterebbe il ritorno a una guerra fredda insostenibile sia dal punto di vista economico sia perchè siamo già impegnati sul fronte del Medioriente.
- Come si muove l'Italia rispetto alle sanzioni contro la Russia?
— Si muove male. Il Partito Democratico respinge tutte le risoluzioni che noi presentiamo in Parlamento per chiedere all'UE di cancellarle. Renzi si comporta come un padre padrone, che vuole andare in Europa affermando di avere tutto sotto controllo, anche il Parlamento italiano, mentre poi riesce solo a elemosinare qualche discussione in merito nel Parlamento europeo. Invece, se avesse dalla sua documenti condivisi con le opposizioni, avrebbe una posizione molto più forte verso gli altri premier europei per poter pretendere lo stop alle misure anti-russe che recano detrimento soprattutto all'Italia. Basti pensare che noi riceviamo danni dieci volte superiori a quelli che subisce la Russia: è un controsenso.
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Lucio Malan Malan ha presentato un'interrogazione parlamentare chiedendo spiegazioni al titolare del dicastero. Quella del ministro Galletti è infatti una scelta tale da creare imbarazzo nelle relazioni diplomatiche con la Russia, anche perchè tra i finanziatori dei Democratici americani vi è pure un certo George Soros, che pare aver rivestito un ruolo importante nella crisi ucraina. Abbiamo approfondito l'argomento con lo stesso senatore Malan, che ha avuto il coraggio di gettare luce su questa vicenda incresciosa.
- Senatore, il Governo italiano ha risposto alla Sua interrogazione?
— Non ancora. Penso esistano pochi governi al mondo che sistematicamente non rispondono ai quesiti più scomodi che gli vengono posti dai parlamentari. Rispondere sarebbe d'obbligo… ma non in Italia. Forse accadeva anche in passato, ma con l'arrivo di Renzi neppure le sollecitazioni al presidente della Camera o del Senato ottengono una discussione su certi documenti.
- Come ha scoperto che il ministero dell'Agricoltura aveva sovvenzionato la Fondazione Clinton?
— Scorrendo i finanziatori della Fondazione ho visto che compariva per il 2015 anche il Ministero italiano; non trovando riscontro nel Bilancio dello Stato, ho presentato subito un'interrogazione al ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti, per chiedergli le ragioni che lo hanno convinto a concedere un finanziamento, peraltro di somma imprecisata (tra i 100 e i 250mila dollari). Le attività promosse da questo Ente saranno pure meritorie, ma credo esistano molte altre istituzioni che il Governo italiano potrebbe sostenere, in primis quelle nazionali. Accanto al Ministero dell'Ambiente compaiono come finanziatori anche Arabia Saudita, Qatar e Norvegia, Paesi legati dal comun denominatore del petrolio: non proprio una gran bella immagine ne deriva per il Ministero dell'Ambiente e dunque per il Governo.
- Questo finanziamento è un appoggio indiretto alla campagna presidenziale dei Democratici americani?
— Le tempistiche del finanziamento sono sospette. E a chi obiettasse che il finanziamento va alla Clinton Foundation e non alla signora Clinton candidata alla Casa Bianca, ricordo che la denominazione dell'istituzione è "Bill, Hilary & Chelsea Foundation".
- La stampa italiana ed europea è ampiamente schierata contro Trump e a favore della Clinton: chi la spunterà? — In controtendenza rispetto a tanti colleghi parlamentari, quando seppi della candidatura di Trump dissi che sarebbe stato un osso duro, vista la sua determinazione. Molti opinionisti lo riducono a una caricatura, ma cosi non è. A differenza di certi populisti europei, ha un programma ben chiaro, entrato di forza nell'agenda politica degli altri partiti. Contro i bassi salari e l'emarginazione, Trump propone una ricetta che parla direttamente alla "pancia" del Paese, senza prendere in giro nessuno, almeno sulla carta: stop all'immigrazione che costituisce una concorrenza al ribasso contro i propri cittadini, riduzione dell'imposizione fiscale, rinegoziazione dei trattati commerciali internazionali, contrarietà al TTIP. Che piaccia o no, a questa piattaforma politica i democratici faticano a trovare una controproposta credibile, vagheggiando solo di possibili effetti negativi senza fornire dati concreti. Si comprende allora il successo di Trump, molto simile a quello riscosso dal primo Obama, il quale non parlava agli elettori tradizionali del suo partito, ma si rivolgeva a quelli che non si recavano alle urne.
- E per quanto riguarda la politica estera?
— La sua proposta paradossalmente è la migliore per l'Europa e l'Italia. Il riavvicinamento alla Russia e a Putin porterebbe da un lato al superamento delle sanzioni e dall'altro sarebbe l'inizio di una coalizione internazionale capace di operare efficacemente contro il terrorismo e i pesanti flussi migratori che stiamo subendo. D'altra parte, mi pare che di provocazioni la Russia ne abbia subite già abbastanza, tra ritorsioni economiche e dispiegamento di forze NATO lungo i suoi confini. Trump viene dipinto come estremista, ma in politica estera ha la proposta più moderata: eviterebbe il ritorno a una guerra fredda insostenibile sia dal punto di vista economico sia perchè siamo già impegnati sul fronte del Medioriente.
- Come si muove l'Italia rispetto alle sanzioni contro la Russia?
— Si muove male. Il Partito Democratico respinge tutte le risoluzioni che noi presentiamo in Parlamento per chiedere all'UE di cancellarle. Renzi si comporta come un padre padrone, che vuole andare in Europa affermando di avere tutto sotto controllo, anche il Parlamento italiano, mentre poi riesce solo a elemosinare qualche discussione in merito nel Parlamento europeo. Invece, se avesse dalla sua documenti condivisi con le opposizioni, avrebbe una posizione molto più forte verso gli altri premier europei per poter pretendere lo stop alle misure anti-russe che recano detrimento soprattutto all'Italia. Basti pensare che noi riceviamo danni dieci volte superiori a quelli che subisce la Russia: è un controsenso.
Leggi tutto: https://it.sputniknews.com/italia/201608073242061-renzi-russia-clinton/
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