La grande abbuffata dei veleni

di Silvia Ribeiro
da: http://comune-info.net/2016/07/la-grande-abbuffata-dei-veleni/
Non solo di Terra ne abbiamo una sola, come insegna ogni elementare corso introduttivo all’educazione ambientale, ma cercare presunte alternative alla terra, per esempio per nutrirsi, è una scelta rovinosa. Per le persone e per il pianeta. È quel che accade con il consumo intensivo di cibo industriale, connesso in modo sostanziale con l’insorgere di malattie cardiovascolari, del diabete, dell’obesità e del cancro all’apparato digestivo. Il sistema alimentare industriale è il primo responsabile dei cambiamenti climatici ma causa anche l’erosione dei suoli e minaccia l’acqua e la biodiversità. Come se non bastasse, la catena dell’industria alimentare spreca dal 33 al 40 per cento di ciò che produce. A nutrire la maggior parte degli abitanti umani del pianeta, per fortuna, ci pensano ancora i contadini, i pastori, i pescatori artigianali e chi coltiva gli orti urbani. Difenderli e affermare la diversità, la produzione e l’alimentazione locale contadina e biologica vuol dire difendere la salute e la vita di tutti e di tutto.

Il sistema alimentare industriale, dalle sementi ai supermercati, è una macchina che fa ammalare le persone e il pianeta. È strettamente collegato alle principali malattie delle persone e degli animali da allevamento; è il singolo più importante fattore del cambiamento climatico e una delle principali cause del collasso ambientale globale, con la contaminazione chimica e l’erosione del suolo, dell’acqua e della biodiversità, l’interruzione dei cicli dell’azoto e del fosforo, vitali per la sopravvivenza di tutti gli essere viventi.
Secondo L’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 68 per cento delle cause di morte nel mondo, sono dovute a malattie non trasmissibili. Le principali malattie di questo tipo, come quelle cardiovascolari, l’ipertensione, il diabete, l’obesità e il cancro dell’apparato digestivo e degli organi correlati, sono legate al consumo di cibo industriale. La produzione agricola industriale e l’uso di agrotossici che comporta (erbicidi, pesticidi e altri biocidi) è inoltre la causa delle malattie più frequenti tra i lavoratori rurali, le loro famiglie e gli abitanti dei villaggi vicini alle zone di coltura industriale: tra esse, insufficienza renale cronica, intossicazione a avvelenamento per sostanze chimiche e residui chimici nell’acqua, malattie della pelle, dell’apparato respiratorio e diversi tipi di cancro.
Secondo un rapporto del 2016 del Gruppo Internazionale di Esperti sui Sistemi Alimentari Sostenibili (International Panel of Experts on Sustainable Food Systems IPES Food), dei 7 miliardi di abitanti del mondo, 795 milioni soffrono la fame, 1 miliardo e 900 milioni sono obesi e 2 miliardi soffrono di deficienze nutrizionali (mancanza di vitamine, minerali e altri nutrienti). Anche se il rapporto chiarisce che in alcuni casi le cifre si sovrappongono, in ogni caso significa che circa il 60 per cento degli abitanti pianeta soffre la fame o sono malnutriti.
Una cifra assurda e inaccettabile, che rimanda all’ingiustizia globale, ancor più per il fatto che l’obesità, che un tempo era simbolo di ricchezza, è ormai un’epidemia tra i poveri. Siamo invasi da “cibo” che ha perso significative percentuali di contenuto alimentare a seguito della raffinazione e della lavorazione; di verdure che a causa della coltivazione industriale hanno diminuito il loro contenuto nutrizionale per l’ “effetto diluizione” poiché un maggior volume di raccolto sulla medesima superficie comporta una diluizione dei nutrienti; di alimenti con sempre più residui di agrotossici e che contengono molte altre sostanze chimiche, come conservanti, aromatizzanti, esiti di testurizzazione, coloranti e altri additivi. Sostanze che, così come è successo con i cosiddetti “ acidi grassi trans” che alcuni decenni fa erano presentati come salutari e che adesso si sa che sono altamente nocivi, a poco a poco si sta rivelando che queste sostanze hanno impatti negativi sulla salute.
Al contrario del mito generato dall’industria e dai suoi alleati -al quale molte persone credono per mancanza di informazione- non abbiamo motivi per tollerare questa situazione: il sistema industriale non è necessario per alimentarci, né ora né in futuro. 
Attualmente raggiunge solo l’equivalente del 30 per cento della popolazione mondiale, ma utilizza più del 70 per cento della terra, dell’acqua e dei combustibili che si usano in agricoltura (Vedi Gruppo ETC ).
Il mito si basa sui grandi volumi di produzione per ettaro di grano prodotto industrialmente. Tuttavia, sebbene ne risultino grandi quantità, la catena dell’industria alimentare spreca dal 33 al 40 per cento di ciò che produce.
Secondo la FAO, si sprecano ogni anno 223 chilogrammi di cibo a persona, equivalenti a mille e 400 milioni di ettari di terra, il 28 per cento della terra agricola del pianeta. Allo spreco che avviene nel campo, si aggiunge quello della lavorazione, del confezionamento, dei trasporti, della vendita nei supermercati e, infine, il cibo che si butta a casa, soprattutto nei luoghi urbani e del nord globale.
Questo processo di industrializzazione, di standardizzazione e di chimicalizzazione dell’agricoltura ha pochi decenni. 
Il suo principale impulso è stata la cosiddetta “Rivoluzione Verde” -l’uso di sementi ibride, fertilizzanti sintetici, agrotossici e macchinari- , promossa dalla statunitense Fondazione Rockefeller, iniziando con l’ibridazione del mais in Messico e del riso nelle Filippine, attraverso i centri che sarebbero poi diventati il Centro Internazionale di Miglioramento del Mais e del Grano ( CIMMYT International Maize and Wheat Improvement Center) e l’Istituto Internazionale di Ricerca sul Riso (IRRI International Rice Research Institute ). Questo paradigma trova la sua massima espressione nei transgenici.
Non si è trattato solo di un cambiamento tecnologico; è stato lo strumento chiave per passare dai campi decentralizzati e diversificati, basati fondamentalmente sul lavoro contadino e familiare, sulla ricerca agronoma pubblica e senza brevetti, su imprese piccole, medie e nazionali, a un immenso mercato industriale mondiale -dal 2009 il più grande mercato mondiale- dominato da multinazionali che devastano i terreni e i fiumi, contaminano le sementi e trasportano cibo, fuori stagione, attraverso tutto il pianeta e che, per tutto questo, non possono prescindere dai prodotti chimici e dai combustibili fossili.
L’aggressione non è solamente per il controllo dei mercati e per l’imposizione delle tecnologie, contro la salute delle persone e dell’ambiente. All’industrializzazione dà fastidio ogni diversità e peculiarità locali e c’è quindi un attacco continuo verso l’essere e il fare collettivo e comunitario, verso le identità che comprendono in sé le sementi e i cibi locali e diversi, verso l’atto profondamente radicato nella storia dell’umanità che consiste nel decidere cosa e come mangiare.
Malgrado ciò, continuano ad essere  i contadini, pastori e pescatori artigianali, gli orti urbani, quelli che nutrono la maggioranza della popolazione mondiale. Difenderli e affermare la diversità, la produzione e l’alimentazione locale contadina e biologica vuol dire anche difendere la salute e la vita di tutti e di tutto.

Papa Francesco verso la Svezia. "Riforma e scrittura, cattolici imparino da Lutero"

Il nuovo viaggio del Pontefice, dal 31 ottobre al primo novembre, preceduto da aperture al messaggio protestante e slanci ecumenici. "Al di là di tante questioni aperte, siamo già uniti". E la purificazione luterana ricorda molto il rinnovamento che Bergoglio sta portando avanti all'interno della Chiesa

CASTA Tutte le scuse usate dei politici per non votare la legge taglia stipendi del M5S

da: http://espresso.repubblica.it/palazzo/2016/10/25/news/tutte-le-scuse-usate-dei-politici-per-non-votare-la-legge-taglia-stipendi-del-m5s-1.286570?ref=HRBZ-1

Il ddl Lombardi, che propone una riduzione dell'indennità per i parlamentari, è stato rispedito in Commissione. Nel farlo gli onorevoli hanno rispolverato lo Statuto Albertino e i deputati socialisti di inizio '900. O messo in mezzo Virginia Raggi e il comune di Roma.

Per qualcuno è pura demagogia, per altri una battaglia fondamentale. Poco importa: la riduzione dei costi della politica è da anni al centro del dibattito e può segnare i destini di partiti e movimenti. Lo sa bene il Movimento 5 Stelle, che sulla guerra alla “Casta” ci ha costruito parte delle sue fortune elettorali. Lo sa bene anche Matteo Renzi, che per convincere gli italiani a votare “Sì” al prossimo referendum istituzionale ha deciso di puntare molto sui risparmi che la riforma promette eliminando due terzi dei senatori.

La contesa per lo scettro di forza politica che vuole abbattere le spese del Palazzo si è così disputata negli ultimi giorni intorno al disegno di legge Lombardi , proposto dalla deputata 5 Stelle Roberta Lombardi, che prevede un forte taglio all'indennità e ai rimborsi degli onorevoli. Il ddl, arrivato a Montecitorio, ci ha messo poco più di 24 ore per essere rispedito in Commissione con i voti di Pd e alleati di maggioranza e nonostante l'opposizione di M5S, Forza Italia, Fratelli d'Italia e Sinistra
Italiana.


Due giorni passati a discutere di rendiconti e risparmi possibili con non pochi imbarazzi per il Partito Democratico, costretto a trovare una via d'uscita ma senza votare contro la legge per non essere tacciato di ipocrisia sul tema del risparmio con cui sta invece promuovendo il prossimo referendum. Per rispedire il ddl in Commissione e riparlarne, forse, dopo il 4 dicembre, i deputati hanno utilizzato le motivazioni più varie, non facendo mancare una certa creatività.

L'alfaniano Dore Misuraca ad esempio ha ripescato il caso di Pietro Abbo, deputato di inizio Novecento perché: “Non vorrei si ritornasse - ma non lo vorrei neanche per voi che avanzate questa proposta - ai primi anni del Novecento, quando un socialista di Oneglia, non disponendo del denaro sufficiente per pernottare a Roma, usufruiva del cosiddetto permanente, rilasciato dalle Ferrovie dello Stato per dormire sul treno Roma-Firenze”. Un esempio che sembra piuttosto esagerato di fronte all'ipotesi di un taglio di 2.500 euro che lascerebbe oltre 10mila euro a disposizione degli eletti

Ma la suggestione era talmente forte che poco dopo anche Renato Brunetta per Forza Italia ha voluto ricordare il caso di Abbo, salvo poi proporre come sua soluzione un concetto del tutto opposto:un'indennità legata al reddito precedente del deputato. In questo modo chi prima faceva l'operaio o era disoccupato continuerebbe a percepire i relativi emolumenti, vedendo ex magistrati o industriali che fanno il suo stesso lavoro percepire il decuplo.

E in tema di discorsi poco attinenti, meritano una citazione gli interventi sulla gestione del comune di Roma da parte della 5 Stelle Virginia Raggi, protagonista del discorso di tutti i deputati del Pd, tra cui Alessia Morani che ha voluto ribadire che: “Fare politica costa [...], perché sapete, l'impreparazione e l'improvvisazione sono un costo sociale, e la loro conseguenza è l'immobilismo: immobilismo che vediamo ogni giorno nel governo di questa città, la città di Roma, dove l'unica cosa che si muove sono i soldi che vanno ad ingrossare le tasche dei collaboratori della sindaca Raggi, tutti ricompensati con lauti stipendi a fronte di risultati purtroppo pessimi. Ed è davvero incredibile che delle prime 39 delibere fatte dalla Raggi, 23 riguardino le poltrone: come dire la quasi totalità dell'attività iniziale della sindaca”. Battute sulla Raggi non sono state risparmiate neanche da Alan Ferrari, sempre del Pd: “Diamo la possibilità ai cittadini romani, dopo sei mesi dall'insediamento della nuova giunta, di valutare esattamente se la nuova giunta ha portato un beneficio o meno alla città di Roma. Diamo la possibilità di dire se i 10.000 euro lordi dell'indennità del sindaco Raggi sono meritati” e dal già citatoMisuraca dell'Ncd: “Pensare che il dimezzamento dell'indennità dei parlamentari sia la panacea di tutti i mali è come avere creduto che la sindaca Raggi da sola avrebbe potuto risollevare le sorti di Roma”.

E Stilinga pensa che si DEVE  mettere un tetto unico per tutti gli eletti (indipendentemente se alla camera, al senato, in regione o al comune) uno stipendio base senza frills, senza diarie, secco.
Il minimo che permetta a loro signori e signore di avvicinarsi il più possibile alla condizione dei cittadini italiani con obbligo di usufruire dei soli mezzi pubblici e servizi statali. Stop. 

E' ora che costoro assaporino l'aria della fatica, della frustrazione, dell'umiliazione di essere cittadini italiani! 

Basta essere nelle torri d'avorio, costoro scendano e si respirino un po' di aria (tossica e inquinata come nelle maggiori città italiane) normale! 

Tutto quello che noi cittadini risparmieremmo con la decurtazione sostanziale del loro stipendio torni a noi che meritiamo servizi degni di questo nome! 

Ma che politici (epiteto che in effetti è comparabile ad un insulto) ci avete preso per fessi? 

E' l'Europa anzi laTroika, che ve lo chiede: tagliatevi lo stipendio altrimenti sarà molto peggio in futuro, molto!

Calzature italiane in Russia, crollo degli ordini

da: http://it.fashionnetwork.com/news/Calzature-italiane-in-Russia-crollo-degli-ordini,740887.html#utm_source=newsletter&utm_medium=email

Crollo degli ordini per le calzature italiane di fascia alta e calo di affluenza dei compratori. Si è conclusa con un risultato molto inferiore alle aspettative la partecipazione delle aziende italiane delle calzature all'ultima edizione di Obuv Mir Kozi che si è conclusa a Mosca."Purtroppo - afferma la presidente di Assocalzaturifici Annarita Pilotti - abbiamo riscontrato un considerevole ridimensionamento degli ordini da parte di buyer russi soprattutto su prodotti italiani di fascia alta che oscilla tra il 30% e 50%, accompagnato per di più da un calo d'affluenza stimato attorno al 20%. Ci aspettavamo risultati ben diversi, ma evidentemente a causa del deprezzamento del rublo e di un quadro di incertezza economica persistente, occorrerà ancora del tempo per ottenere una ripresa del calzaturiero in Russia e nell'area CSI, dove peraltro la crisi economica ha ridotto di molto il potere d'acquisto dei consumatori".

"E' importante ribadire però - ha aggiunto il presidente di Assocalcaturifici - che nonostante il momento di forte difficoltà per il calzaturiero italiano in Russia, Obuv Mir Koži rimane un appuntamento imprescindibile per le nostre imprese". 

Per questo Assocalzaturifici continuerà ad investire sul mercato della CSI in progetti concreti, dando il massimo supporto alle tante imprese che da tempo vi lavorano anche attraverso il programma di agevolazioni e voucher. "È importante a tal proposito - conclude Pilotti - che il ministero dello Sviluppo Economico ci affianchi in questo sforzo significativo, finanziando in modo strategico i progetti che mettono al centro le esigenze delle nostre imprese e coordinando con una regia più incisiva le diverse iniziative promozionali territoriali, che rischiano di disperdere forze e risorse. A questo proposito mi auguro soprattutto che tutte le regioni calzaturiere, a partire da Regione Marche, diano il loro contributo a tali progetti mirati"

La tassa sul trading torna all'Eurogruppo. Gli attivisti: "Passare dalle parole ai fatti"

da: http://www.repubblica.it/economia/finanza/2016/10/07/news/tassa_sul_trading_riparte_la_campagna_europea_per_passare_dalle_parole_ai_fatti-149274592/?ref=HRLV-5

Lunedì si terrà l'Eurogruppo in Lussemburgo. Sarà l'occasione - per i dieci Paesi coinvolti nella progettazione di una tassa sulle transazioni finanziarie, tra i quali l'Italia - di tornare a discutere del tema, che in molti mesi non ha portato a nulla di concreto. Per l'Italia ci sarebbero 3-6 miliardi di gettito




MILANO - Tassare gli scambi di azioni o derivati. Un'idea accarezzata da tempo da alcuni Paesi dell'Unione europea, che per ora è rimasta lettera morta. I dieci Paesi membri - dei quali fa parte anche l'Italia - che sostengono la creazione di una tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf) torneranno a parlarne lunedì, a margine della riunione mensile dei ministri delle Finanze dell'Eurozona fissata in Lussemburgo. Lo riporta la Reuters che cita due funzionari Ue, che hanno però specificato come non sia attesa alcuna svolta in merito al raggiungimento di un accordo. La discussione sull'introduzione della tassa è aperta da oltre cinque anni, ma le nazioni coinvolte restano divise riguardo a come applicare l'imposta.

Il gruppo dei Paesi proponenti ha ripetutamente posto delle scadenze per l'architettura della tassa, che non sono mai state rispettate. Al vertice Ecofin del dicembre scorso, hanno annunciato di avere raggiunto un accordo di massima sull'architettura della Ttf per azioni e derivati - che prevede fra l'altro la tassazione delle transazioni azionarie intraday, nessuna esenzione per imarket-maker nel caso dei derivati e una definizione stringente di market-maker nel caso azionario - nonché una base imponibile più ampia possibile (anche al costo di aliquote riviste al ribasso) per la TTF sui derivati. Non sono però stati poi fatti passi concreti, soprattutto per le paure di Slovenia e Slovacchia sui costi amministrativi legati alla raccolta e al management dell'imposta.

Dopo che è stato mancato l'obiettivo, l'incontro di questa volta è considerato importante in vista del raggiungimento di un compromesso entro la fine dell'anno. "Sarà un meeting piuttosto breve. Non mi attendo alcun esito da questo dibattito", ha dichiarato un funzionario Ue coinvolto nella trattativa. Un secondo funzionario ha spiegato che la riunione verterà sul lavoro tecnico svolto da due gruppi di esperti in giugno, ma non è pensato per raggiungere decisioni. Oltre all'Italia, i Paesi che supportano la Ttf sono Germania, Francia, Austria, Belgio, Grecia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna. Perché il progetto possa realizzarsi, in base alle norme Ue, a raggiungere un'intesa dovranno essere almeno nove nazioni.

In occasione di questo incontro, torna a salire il pressing delle  associazioni impegnate perché si arrivi finalmente ad un'approvazione della tassa. In particolare, un nuovo richiamo arriva dalla campagna italiana ZeroZeroCinque, coordinata da Oxfam e attiva nel quadro delle Robin Hood Tax Campaigns europee. Sono stati chiamati a raccolta 260 economisti ed accademici da 23 Paesi, che hanno sottoscritto un appello ai ministri delle Finanze e capi di Stato e di Governo europei, tra cui il Ministro Pier Carlo Padoan e il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, "affinché, dopo oltre tre anni di negoziato, reiterati impegni pubblici e scadenze posticipate, si arrivi finalmente ad annunciare il raggiungimento di un accordo sulla Tassa europea sulle Transazioni Finanziarie (TTF)".

Mentre gli algoritmi o gli errori di trading riescono a generare grande volatilità sui mercati, secondo i promotori "l'appello pone l'accento sulla forte valenza anti-speculativa della misura, sulla sua capacità di garantire maggiore resilienza e stabilità ai mercati finanziari e di generare considerevoli entrate erariali".

Secondo le stime ufficiali della Commissione europea, ricordano da ZeroZeroCinque, "la tassa potrebbe raccogliere, tenuto conto delle reazioni dinamiche dei mercati, fino a 22 miliardi di euro su base annua. Un gettito considerevole destinabile secondo i firmatari della lettera-appello a misure di lotta alla povertà domestica, interventi su scala internazionale in ambito educativo e sanitario e a misure di contrasto ai cambiamenti climatici". "La tassa europea sulle transazioni finanziarie non può più attendere. Adottarla significa compiere un passo importante per premiare l'uso paziente rispetto a quello speculativo dei capitali finanziari. Per trasformare i mercati finanziari da ingranaggi che stritolano gli esseri umani a strumenti al servizio della persona e del bene comune", aggiunge Leonardo Becchetti, ordinario in economia politica all'Università di Roma Tor Vergata e portavoce di ZeroZeroCinque.
Tassa sulle transazioni finanziarie, per l'Italia possibili 6 miliardi di gettito.


La campagna ricorda anche che - secondo uno studio del marzo 2015 dell'Istituto di Ricerca Economica (DIW) di Berlino - una Ttf europea applicata alla più ampia gamma di strumenti finanziari (secondo l'impianto della direttiva proposta dalla Commissione Europea nel marzo 2013), con il ricorso al doppio principio di tassazione (di residenza dell'operatore e di nazionalità del titolo) e con aliquote dello 0,1% per le azioni e dello 0,01% per i derivati porterebbe nelle casse dello Stato italiano dai 3 miliardi ai 6 miliardi di euro all'anno.

E Stilinga sottoscrive calorosamente questa tassa giusto per raddrizzare, anche se di poco, il tiro della realtà europea che sottrae ai cittadini per arricchire banche e speculatori finanziari. Quindi ora preghiamo che questa tassa diventi immediatamente reale e il trading si dia finalmente non solo una calmata ma anche una ridimensionata.

“Il jobs act è già diventato un boomerang”

di Carlo di Foggia - Il Fatto Quotidiano
"II jobs act è un'operazione di propaganda che sta ingessando il mercato e facendo aumentare i licenziamenti". Michele Tiraboschi, giuslavorista e direttore del centro studi Adapt fondato da Marco Biagi, descrive così i dati del ministero del lavoro del secondo trimestre 2016 (-79mila contratti a tempo indeterminato, 7,4% di licenziamenti e dimissioni in calo).
 Cosa dicono quei numeri? 
Quel che era prevedibile: uno degli obiettivi del jobs act era rendere più facile licenziare, come infatti sta avvenendo, ma l'idea che questo avrebbe fatto aumentare le assunzioni stabili è fallimentare
Con una grave complicazione: il governo ha creato due regimi, quello degli assunti prima di marzo 2015, che mantengono l'articolo 18, e quelli assunti dopo, che non lo hanno. Le dimissioni calano bruscamente perché le persone hanno paura di cambiare lavoro per fare esperienza o migliorare la carriera perché sanno di perdere l'articolo 18. Non c'è maggiore mobilità e neanche più assunzioni
Per il ministero è l'effetto della legge che ostacola le dimissioni in bianco. Assolutamente falso: è una normativa in vigore da anni e poi modificata. Pietro Ichino, uno dei padri della riforma, disse che abolire le tutele per tutti avrebbe provocato un aumento dei licenziamenti. Sta già avvenendo, finita la droga degli incentivi per chi assumeva nel 2015 sono saliti del 7,4%
Quello a "tutele crescenti" è un contratto stabile? Un anno fa il governo enfatizzò i dati sull'aumento degli occupati stabili. Segnalai che poteva essere un boomerang, ma me l'aspettavo al termine degli sgravi triennali. E invece abbiamo un quadro sinistro dopo un solo anno: se oggi crescono così tanto i licenziamenti, immagino fra due anni quando le imprese avranno un incremento fortissimo del costo del lavoro e non tutte sapranno affrontarlo. Si vedrà che non è un contratto a tutele crescenti ma uno che garantisce delle indennità economiche di poco peso in caso di licenziamento: dopo tre anni pago solo 6 mensilità, molto meno di quanto incasso con gli incentivi. Il problema è di fondo
In che senso? 
Non si costruisce un edificio partendo dal tetto: senza l'articolo 18 è più facile licenziare, quindi se lo togli devi prima avere un sistema efficiente di ricollocazione, riqualificazione, formazione professionale e welfare adeguato. Nulla di tutto questo è stato fatto. Senza crescita è però difficile creare lavoro. Gli incentivi ci sono costati 20 miliardi dati alle imprese per promuovere un finto contratto stabile a fronte di soli 80 milioni per il ricollocamento. Nulla per le politiche attive e 20 miliardi per una controproducente manovra di propaganda elettorale che offende la sensibilità delle persone. Non si migliora il lavoro a colpi di leggi ma di politiche, e quelle le fa il Parlamento, non il governo. Perché aumenta quasi solo la fascia di occupati over 50? La riforma Fornero ha allungato l'età pensionabile. Non sono nuovi occupati reali. Come si spiega l'esponenziale boom dei voucher? È grave che il ministero non faccia un monitoraggio. Il problema è l'abolizione dei lavoratori a progetto: il governo pensava che sarebbero stati stabilizzati con gli sgravi, invece sono stati convertiti in voucheristi. 

Richemont: -45% l’utile operativo semestrale

da:http://it.fashionnetwork.com/news/Richemont-45-l-utile-operativo-semestrale,731887.html#utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il gruppo svizzero Richemont, numero due del lusso a livello mondiale, prevede un calo di circa il 45% del suo utile operativo per il primo semestre dell’esercizio 2016-2017, causato da una diminuzione delle vendite in Europa e a Hong Kong, oltre che da costi di ristrutturazione pari a circa 65 milioni di euro.
Nei primi 5 mesi dell’anno fiscale le vendite sono diminuite del 14%, a causa soprattutto del calo dell’attività in Francia dovuta alla diminuzione dei flussi turistici, ha annunciato il gruppo di Ginevra in un comunicato. Le vendite in Europa sono diminuite del 20%, mentre nel Regno Unito sono tornate a crescere grazie all’indebolimento della sterlina in seguito al referendum di giugno sull’uscita dall’Unione Europea.

In Asia-Pacifico, un altro dei mercati chiave del gruppo, le vendite sono scese del 12% per la debolezza dei mercati a Hong Kong e Macao, mentre sono cresciute in Cina continentale e in Corea.

Nelle Americhe, Richemont ha registrato dinamiche positive per gioielli e accessori, controbilanciate però da un calo nelle vendite di orologi, che hanno portato a un calo dell’8%.

Richemont ha dichiarato di aspettarsi che queste difficili condizioni di mercato persisteranno nel mese di settembre.