Il Senato della Boschi è disastroso ed illegittimo

Di Silvia Truzzi dal www.fattoquotidiano.it del 11.08.15

Il timore è quello di ripetersi. Eppure sembra che le numerose, accorate, obiezioni dei (tantissimi) costituzionalisti sulla riforma del Senato, non siano state ascoltate nemmeno in parte.

 Lorenza Carlassare, professore emerito di Diritto costituzionale a Padova, comincia così: “La composizione del Senato non è solo incerta. È disastrosa:un piccolo gruppo di persone si autonomina. Oltre al caos provocato da senatori part-time che provengono dai consigli regionali, c’è un’anomalia anti democratica. Un meccanismo che non ha nulla a che vedere con quanto accade in qualunque altra democrazia”. 

Indietro non si torna, dicono. 

Perfino il presidente Mattarella,pur mantenendo quella posizione di “sereno distacco” che il suo ruolo esige, ha trovato il modo di dire che nel nostro sistema non è ammissibile un uomo solo al comando. Non si riferiva a nessuno, però l’ha voluto sottolineare.
E invece io credo sia proprio questo l’obiettivo cui tendono tutte le riforme: si sta neutralizzando il popolo, cioè la fonte che legittima il potere. Con la democrazia, poi, va a farsi benedire anche il costituzionalismo,che prevede poteri che reciprocamente si controllano e si bilanciano. Qui tutto mira a indebolire la forza degli altri poteri in favore dell’esecutivo.

Il governo che governa. 

Il governo che domina:il Senato, così com’è costruito, sarebbe controllato dalla maggioranza di governo. La Camera naturalmente lo è, grazie a quel meccanismo i-per-maggioritario, contenuto nell’Italicum, con il premio che va alla lista e non alla coalizione. 

Non votiamo più per niente: per i consigli provinciali, per il Senato… Senza dire del sistema elettorale della Camera. 

Si vuol togliere voce ai cittadini. L’ho detto tante volte, ma ripeterlo non fa male, vista l’ostinazione di questa maggioranza. Che poi, a ben guardare, è una maggioranza trovata di volta in volta, una maggioranza numerica, casuale. Non una maggioranza politica. Nelle due Camere, gli allegri transfughi sono in aumento: deputati e senatori che si fanno trovare sull’attenti quando il potere chiama. Naturalmente per avere in cambio ricompense di varia natura. 

Parlamento che poi è anche minato dalla sentenza che dichiara incostituzionale il Porcellum. 

Ecco: abbiamo non solo una maggioranza casuale, ma una maggioranza che si è formata attraverso un meccanismo dichiarato illegittimo. Dunque, la maggioranza esiste in base a un’illegittimità. È inutile che continuino a dire che“hanno i numeri”. Se non esisteva quel premio previsto dal Porcellum, la maggioranza non c’era proprio. È assolutamente paradossale che pretendano di restare al governo e pure di scassinare l’architettura costituzionale! 

Secondo lei perché il governo insiste tanto? Si può fare una prova di forza politica sulla Costituzione? 

Il presidente del Consiglio sa benissimo che se va alle elezioni perde. E poi certamente no, non si può fare una prova di forza sulla legge fondamentale. Il procedimento di revisione costituzionale è costruito sulla doppia deliberazione e su maggioranze più ampie. Perché? La finalità è non consentire che ogni maggioranza cambi a proprio piacimento la Costituzione, lo scopo è dare alla Carta una stabilità nel tempo. Il meccanismo è pensato per ottenere un consenso più ampio possibile, in modo chesiprocedaconponderazione. Che è completamente mancata, perché i tempi della discussione sono stati contingentati a suon di sedute notturne. Ma in materia costituzionale non si possono forzare i tempi: è tutto contro l’articolo 138. 

La necessità di tornarci sopra è evidente, moltissimi sono d’accordo soprattutto riguardo al nodo dell’elettività dei senatori. A parte Renzi: ma è tecnicamente possibile apportare variazioni al testo?

È assolutamente necessario che il discorso si riapra.E si arrivi a qualcosa di conforme alla Costituzione, anche nei procedimenti. Il senso dell’articolo 138 è proprio che una maggioranza – anche legittima, e questa non lo è – non possa arrivare da sola a modificare la Carta.

Ma è possibile che la Corte dichiari illegittimo anche l’Italicum?

Assolutamente sì. Ha gli stessi difetti del Porcellum. È una prova di forza pericolosa in tutti i sensi: non possiamo continuare ad avere un Parlamento eletto in base a leggi illegittime. Non dimentichiamo che nella sentenza numero 1 del 2014 la Corte è stata chiara: in tutti i suoi richiami si fa riferimento al principio di continuità dello Stato per un breve periodo. La Corte costituzionale dice che il Parlamento può continuare a lavorare fino a nuove elezioni, ma di certo non pensava – e ribadisco: è chiarissimo in più punti della sentenza – a una legislatura intera.

Sblocca Italia, nel decreto del governo 12 nuovi inceneritori in 10 regioni

da: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/11/sblocca-italia-nel-decreto-del-governo-12-nuovi-inceneritori-in-10-regioni/1950788/
Si aggiungono ai 42 già in funzione e ai sei già autorizzati ma in via di costruzione. Il testo inviato ai governatori in bozza svela le intenzioni dell’esecutivo dal Piemonte alla Sicilia: verranno bruciate 2,5 milioni di tonnellate di spazzatura in più, +37% rispetto a oggi. Il ministro Galletti ha convocato una riunione tecnica per il 9 settembre: "Bisogna fare presto"
Di Marco Palombi
Forse qualcuno ha dimenticato il decreto Sblocca Italia, ma il governo no. E infatti il 29 luglio è arrivata alle Regioni la bozza didecreto legislativo che attua una delle previsioni del testo divenuto legge a novembre scorso: quella sugli inceneritori, cioè quegli impianti che bruciano immondizia e producono (a carissimo prezzo) energia. Il testo – che il Fatto Quotidiano ha letto – prevede l’autorizzazione di 12 nuovi inceneritori in dieci regioni: due in Toscana e Sicilia, uno a testa in Piemonte, Liguria, Veneto, Umbria, Marche, Campania, Abruzzo, e Puglia. Impianti che vanno ad aggiungersi ai 42 già in funzione e ai sei già autorizzati ma ancora in via di costruzione.
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“Fate presto”: il ministro ha perso la pazienza
Il dlgs partito da Palazzo Chigi è ormai alla terza riscrittura e effettivamente in ritardo rispetto ai tempi previsti dalla Sblocca Italia (entro 100 giorni dall’approvazione della legge), ma ora il governo non vuole più aspettare: la bozza è accompagnata dal caldo invito del ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, a fare in fretta (“la necessità che su tale documento la Conferenza esprima il proprio parere nella prima seduta utile”) e dalla convocazione di una riunione tecnica il 9 settembre. Non sia mai che la Corte costituzionale accolga i ricorsi che le regioni hanno avanzato su questo punto e si blocchi l’iter dei nuovi impianti.
Addio differenziata, l’importante è bruciareGli inceneritori peraltro – proprio grazie allo Sblocca Italia – ora “costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di interesse nazionale”. In soldoni, autorizzazioni più veloci, meno potere alle regioni, protezione rafforzata dei siti scelti contro le proteste dei cittadini: lo stesso schema già adottato per ilTav Torino-Lione e, nello stesso decreto, per le trivellazioni petrolifere e gli impianti di stoccaggio dei gas.
Curioso che per il governo non sia “strategico” incentivare laraccolta differenziata, ma – in barba a costi, rischi ambientali e indicazioni europee – costruire più inceneritori. A oggi, ci informa il “censimento” che l’esecutivo allega alla bozza di decreto, sono attivi in Italia 42 impianti per complessive 82 linee di “produzione”: 52 al Nord, le altre divise a metà tra Centro e Sud. La parte del leone la fanno Lombardia e Emilia Romagna, in cui lavorano grosse multiutility come A2AHera e Iren.
In tutto, nel 2014, sono finite in fumo circa 6 milioni di tonnellate di rifiuti, capacità a cui aggiungere le 730 mila teoriche dei sei impianti già autorizzati (uno a Firenze, uno in Puglia, uno in Calabria e tre nel Lazio). Secondo il governo, però, non bastano: bisogna bruciare altri due milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti l’anno (+37%) e per farlo servono 12 nuovi impianti (i due in Sicilia avranno capienza da 350mila tonnellate l’uno).
Una scelta irrazionale e anti-economica
Intorno agli inceneritori, peraltro, la partita è iniziata da tempo: una settimana fa a Forlì, sempre grazie allo Sblocca Italia, l’impianto già esistente è stato autorizzato ad aumentare la sua capacità di utilizzo di diverse migliaia di tonnellate e riclassificato come “di recupero energetico”, dunque sovvenzionato come produttore di energia rinnovabile. Il Comune era contrario (l’assessore all’Ambiente Bellini si è dimesso), mentre la regione aveva appena annunciato la chiusura di un paio di inceneritori sugli otto attivi in Emilia Romagna.
Il bello è che il governo si giustifica tirando in ballo la direttiva Ue del 2008, che invece propone tutt’altro: riduzione dei rifiuti, raccolta differenziata, riuso, riciclaggio e impianti Tmb (un trattamento “a freddo” che riduce ulteriormente la parte di rifiuti non riciclabile). Solo alla fine, dunque, e come “male necessario”, arrivano inceneritori e discariche, scelte più inquinanti.
Il governo Renzi, invece, ha reso l’inceneritore “strategico”: oggi autorizza impianti che saranno pronti fra 5 anni e rimarranno in funzione per 30. La scelta di bruciare i rifiuti, peraltro, è incomprensibile anche a livello economico: ai comuni, mediamente, la differenziata costa 198 euro a tonnellata, bruciarli circa 150. Solo che, aggiungendo gli incentivi energetici in bolletta, il costo è simile se non superiore: 220 euro nel 2012. Gli inceneritori, peraltro, creano poca occupazione: per il think tank Waste Strategy, incentivando separazione, compostaggio etc. si passerebbe dalle 68.300 persone impiegate oggi a 195.000 in pochi anni. Non solo: almeno il 25% del peso dell’immondizia bruciata – a non tener conto di diossine, furani e Pcb che finiscono nell’aria – si ripresenta poi sotto forma di cenere da smaltire come rifiuto speciale. Ma Renzi vuole i suoi 12 inceneritori: avrà i suoi buoni motivi.

La lunga marcia dei neoliberali per governare il mondo

di Luciano Gallino, da Repubblica, 27 luglio 2015

da: http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-lunga-marcia-dei-neoliberali-per-governare-il-mondo/


Quando apro le finestre al mattino, di questi giorni, lo sguardo mi cade inevitabilmente sul Mont Pélerin, al di là del lago. È una montagnola svizzera a pochi chilometri da Montreux, nota sin dagli anni Venti per i buoni alberghi e il clima mite. È anche il luogo da cui ha avuto inizio, con la fondazione della Mont Pélerin Society (Mps) nel 1947, la lunga marcia che ha portato il neoliberalismo a conquistare un’egemonia totalitaria sull’economia e la politica dell’intera Europa. Con le drammatiche conseguenze di cui facciamo ancor oggi esperienza. Gramsci avrebbe trovato di grande interesse la strategia adottata dalla Mps per conquistare l’egemonia, intesa nel suo pensiero come un potere esercitato con il consenso di coloro che vi sono sottoposti. Anziché costituire l’ennesima fondazione o un think tank specializzato nel promuovere questo o quel ramo dell’economia, Mps scelse di costruire su larga scala un “intellettuale collettivo”. 

Quando Friedrich von Hayek nel 1947 chiamò a raccolta un piccolo gruppo di economisti e altri intellettuali (tra cui Maurice Allais, Walter Eucken, Ludwig von Mises, Milton Friedman, Karl Popper) per fondare la Mps, i convenuti erano soltanto 38, per la maggior parte europei. Alla fine degli anni ‘90 erano diventati più di mille, sparsi in tutto il mondo, sebbene la maggioranza continuasse a provenire dall’Europa. 

Radicato per lo più nell’accademia, questo intellettuale collettivo non redasse ambiziosi manifesti programmatici (gli “intenti” formulati nel ’47 al momento della fondazione sono una paginetta piuttosto banale, che si può leggere anche oggi identica sul sito della Mps), o grandi progetti di riforme istituzionali. Produsse invece migliaia di saggi e di libri, non pochi di notevole livello, che ruotano tutti intorno ai temi che per i soci della Mps erano e sono l’essenza del neoliberalismo: la liberalizzazione dei movimenti di capitale; la superiorità fuor di discussione del libero mercato; la categorica riduzione del ruolo dello Stato a costruttore e guardiano delle condizioni che permettono la massima diffusione dell’uno e dell’altro.

Grazie a questo immenso e capillare lavoro, verso il 1980 le dottrine economiche e politiche neoliberali avevano occupato tutti gli spazi essenziali nelle università e nei governi. Non è stata ovviamente soltanto la Mps a spendersi a tal fine, ma il suo ruolo è stato soverchiante. Non esagerava uno storico del pensiero neo-liberale (Dieter Plehwe) quando definì la Mps, anni fa, «uno dei più potenti corpi di conoscenza della nostra epoca».

Peraltro i soci non si sono limitati a pubblicare articoli e libri. Molti di loro sono giunti a occupare posizioni centrali nell’apparato governativo dei maggiori paesi. Ai tempi della presidenza Reagan ( 1981-88), su una ottantina di consiglieri economici del presidente più di un quarto erano della Mps. Le liberalizzazioni finanziarie decise dal governo Thatcher nella prima metà degli anni ‘80, che hanno cambiato il volto dell’economia britannica, furono elaborate in gran parte dall’Institute of Economic Affairs, una filiazione della Mps fondata e diretta da due soci, Antony Fisher e Ralph Harris. I vertici dell’industria francese e tedesca sono sempre stati numerosi nelle fila della Mps, intrattenendo stretti rapporti con i soci provenienti dal mondo politico.

Di rilievo è stata la partecipazione italiana alla Mps. Tra i suoi primi soci vi è stato Luigi Einaudi. Due italiani sono stati presidenti: Bruno Leoni (1967-68) e Antonio Martino (1988-1990) che figura tuttora fra i soci, accanto a (salvo errore), Domenico da Empoli, Alberto Mingardi, Angelo Maria Petroni, Sergio Ricossa.

Due caratteristiche segnano fortemente l’egemonia della Mps sulla cultura e la prassi economico- politica degli Stati europei a partire dagli anni ’80. La prima è la dismisura della vittoria su ogni altra corrente di pensiero — specie in economia. Il keynesismo, fin dalle origini l’arcinemico dalla Mps, è stato ridotto all’insignificanza, e con esso quello di Schumpeter, di Graziani, di Minsky. Sopravvivono qui e là in qualche dipartimento universitario, ma nella politica economica della UE contano zero. A forza di liberalizzazioni ispirate dalla cultura Mps, il sistema finanziario domina la politica non meno dell’economia — come ha dimostrato per l’ennesima volta il caso greco. I sistemi pubblici di protezione sociale sono in corso di avanzata demolizione: non servono, anzi sono nocivi, poiché ciascun individuo, secondo la cultura neoliberale, è responsabile del suo destino. La scuola e l’università sono state riformate, a partire dalla Germania per finire con l’Italia, in modo da funzionare come aziende. Wilhelm von Humboldt si starà rivoltando nella tomba.

La seconda caratteristica della cultura economica neoliberale formato Mps è la sua inverosimile resistenza alle pesanti confutazioni che la realtà le infligge da almeno 15 anni. I primi anni 2000 hanno visto il crollo delle imprese dot.com, glorificate dagli economisti neolib, che in nove casi su dieci erano trovatine su cui le borse, in nome dell’ipotesi che i mercati sono sempre efficienti, scommettevano miliardi di dollari. I secondi anni 2000 hanno invece assistito al quasi crollo dell’economia mondiale, minata dalla finanza basata deliberatamente su milioni di mutui ipotecari che le famiglie non avevano i mezzi per ripagare.

Dopo il 2010, gli economisti neoliberali e i politici da loro indottrinati hanno imposto alle popolazioni della UE le politiche di austerità, rivelatesi un fallimento totale a giudizio dei loro stessi promotori. In sintesi, gli economisti formato Mps hanno predisposto i dispositivi che hanno prodotto la grande crisi; non l’hanno vista arrivare; non hanno saputo spiegarla, e hanno proposto rimedi che hanno peggiorato la situazione. Ad onta di tutto ciò, continuano a occupare il ponte di comando delle politiche economiche della UE. 

Se uno potesse chiedere a Gramsci come mai le sinistre europee comunque denominate, a cominciare da quelle italiane, sono state travolte senza opporre resistenza dall’offensiva egemonica del neoliberismo partita nel 1947 dal Mont Pélerin, forse risponderebbe «perché non li avete saputi imitare». Al fiume di pubblicazioni volte ad affermare l’idea dei mercati efficienti non avete saputo opporre niente di simile per dimostrare con solidi argomenti che i modelli con cui si vorrebbe comprovare tale idea si fondano su presupposti del tutto inconsistenti.

Inoltre, proseguirebbe Gramsci, dove sono i vostri articoli e libri che rivolgendosi sia agli esperti che ai politici e al largo pubblico si cimentano a provare ogni giorno, con solidi argomenti, la superiorità tecnica, economica, civile, morale della sanità pubblica su quella privata; delle pensioni pubbliche su quelle private, a fronte degli attacchi quotidiani alle prime dei media e dei politici, basati in genere su dati scorretti; dello Stato sulle imprese private per produrre innovazione e sviluppo, oggi come in tutta la seconda metà del Novecento; dell’importanza economica e politica dei beni comuni sull’assurdità della privatizzazioni?

Poiché la natura ha orrore del vuoto, il vuoto culturale, politico, morale delle sinistre è stato via via riempito dalle successive leve di lettori, elettori, docenti, funzionari di partito e delle istituzioni europee, istruite dall’intellettuale collettivo sortito dalla Mps. Il consenso bisogna costruirlo, e la MPS ha dimostrato di saperlo fare. Le sinistre non ci hanno nemmeno provato.

Cassazione: la Chiesa dovrà pagare l’Ici, ma non sempre

da: http://www.leggioggi.it/2015/07/28/cassazione-chiesa-dovra-pagare-lici-non-sempre/

Nei giorni scorsi, si è scatenata la rincorsa a celebrare la decisione della Cassazione sull’obbligo di tassa sugli immobili che spetterebbe anche alla Chiesa. Una  polemica mai del tutto sopita, con i governanti di turno che non hanno mai regolamentato la materia a dovere lasciando ampi spazi di interpretazione che, ancora oggi, non mancano di influenzare dibattito e applicazione della normativa.
Così, di volta in volta, si cerca l’orientamento tra una sentenza e l’altra per dipanare la matassa di una questione destinata a essere irrisolta nella sua radice, almeno entro il breve periodo.
Nei giorni scorsi, dicevamo, è stata diffusa la notizia di una nuova sentenza passata in giudicato a opera della Cassazione, secondo cui le scuole paritarie di ispirazione cattolica saranno obbligate a pagare l’Ici.
Spunto per la pronuncia, era arrivato alla Suprema Corte dal doppio caso di due istituti livornesi, che i giudici hanno rilevato passibili di contribuzione con valore retroattivo, condannandoli al versamento di 422mila euro di arretrati per le annualità fiscali dal 2004 al 2009.
Una sentenza, insomma, che ha facilmente rinfocolato le polemiche mai del tutto sopite, tra le solite fazioni di chi ritiene la pronuncia sacrosanta e chi, invece, si posiziona all’esatto opposto.
Ma a poche ore dalla notizia della sentenza, vista l’enorme eco che la stessa ha suscitato, si è sentito chiamato in causa – in un’occasione piuttosto rara – il primo presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, il quale ha dipinto un quadro molto meno chiaro di quanto poteva apparire all’indomani della pronuncia degli ermellini.
Così, Santacroce ha vergato di proprio pugno un comunicato in cui si sottolinea la “continuità con l’orientamento consolidato circa l’interpretazione dell’esenzione prevista”.
Il presidente ha giustificato il proprio intervento ricordando l’indagine comunitaria dei sospetti aiuti di Stato a enti appartenenti alle gerarchie ecclesiastiche, “ che sarebbero potuti derivare da un’interpretazione della predetta esenzione non rigorosa e in possibile contraddizione con i principi della concorrenza”.
In buona sostanza osserva Santacroce “ l’esenzione spetti laddove l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle astrattamente previste dalla norma come suscettibili di andare esenti, non sia svolta in concreto con le modalità di un’attività commerciale”.
Così, dunque, si spiega la sentenza della Corte di Cassazione, che mette in chiaro come, caso per caso, toccherà al giudice valutare eventuali esenzioni irregolari, circostanza non avvenuta per gli istituti livornesi, sui quali il verdetto è stato rinviato ai giudici di merito per un’attenta valutazione ulteriore.
E STILINGA PENSA CHE SOLO IN ITALIA LA LEGGE E' INTERPRETABILE! 
E CHE LA CHIESA DEVE NECESSARIAMENTE PAGARE L'ICI, IMU, COME CAVOLO SI CHIAMA, ALTRIMENTI OGNI PROPRIETARIO DI CASA PUO' FONDARE UN CULTO ED ESERCITARE FUNZIONI RELIGIOSE NEL PROPRIO DOMICILIO E QUINDI NON PAGARE LA TASSA SULLA CASA! 
OPPURE CI PRENDONO DAVVERO TUTTI PER FESSI!

Fondo Monetario, ancora esiste?



Fondo Monetario, curare una polmonite tagliando una gamba!
Di A. Robecchi

da: http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/201507/fondo-monetario-curare-una-polmonite-tagliando-una-gamba/

Dunque mettiamola così: il medico che per curarti la polmonite ti ha amputato una gamba ora ti guarda perplesso. Dannazione, la polmonite non è passata. Dunque propone di amputarti l’altra gamba. Sembra una storiella per chirurghi, e invece è la storia del prodigioso Fondo Monetario Internazionale, quello che di fatto gestisce e controlla l’economia mondiale, un medico che se lavorasse in corsia farebbe più morti della peste del Seicento. 
La nuova vulgata ora è questa: bravini, avete fatto qualche sforzo nella direzione da noi indicata (traduco: vi siete tagliati una gamba), ma non basta. Per essere felici e tornare a correre nelle praterie del benessere dovrete tagliarvi pure quell’altra. Quasi tutti riportano con grande enfasi le parole dell’illustre medico, invece di rincorrerlo, come sarebbe più comprensibile, con un martello molto pesante.

 E dunque ecco: per riavere il tasso di occupazione pre-crisi, l’Italia dovrà aspettare ancora una ventina d’anni, e questo se tutto va bene e si fanno le riforme che il Fondo Monetario prescrive. Tra queste, tenetevi forte, la contrattazione decentrata di secondo livello (in italiano: basta contratti nazionali, ogni fabbrica discuta col proprio imprenditore), rivedere i modelli retributivi (in italiano: guadagnare tutti un po’ meno), cambiare il sistema educativo (in italiano: trasformare la scuola in una fabbrica di mano d’opera). Siamo ancora lì: invece di alzarsi e cominciare a inveire, come farebbero in ogni ospedale del mondo i parenti del degente, al ministero dell’economia dicono che insomma, loro quelle cose le stanno già facendo. Disperante.

Fortunatamente, nota qualcuno, non è raro che il Fondo Monetario prenda della cantonate, ma pare che questo non infici in alcun modo il fatto che le sue ricette vengano accolte come sacre e inviolabili. 
Insomma: la politica economica degli Stati la fanno quei signori lì, e gli stati si adeguano. Ne fa in qualche modo fede l’accanirsi del ministero del lavoro sui dati dell’occupazione, diffusi a piene mani anche con criteri un po’ risibili. Esempio: se nella famiglia Brambilla lavorava solo il padre e ora, avventurosamente o per merito, ha trovato lavoro anche il figlio, è possibile rintracciare i titoloni sui giornali: “Brambilla: raddoppiata l’occupazione!”, segue dibattito. Invece si dice poco e male che i contratti a tempo indeterminato (si fa per dire, perché senza articolo 18 sono tutti a termine a capriccio del padrone) sono quasi tutti sostitutivi di altre posizioni, cha la disoccupazione resta mostruosa, che l’80 per cento e più dei nuovi contratti è a tempo determinato, cioè il vecchio caro precariato che si voleva (ehmm…) sconfiggere.

Sono numeri che schiantano il paese, ma che in qualche caso – solo per osservatori attenti – sotterrano anche una certa retorica farlocca dispiegata a piene mani. Basta pensare all’enfasi con cui si propugna come vincente e risolutiva la figura dell’imprenditore. Non c’è talk show, pagina economica o rotocalco che non abbia in bella vista il geniale imprenditore (delle salsicce, dei gelati, delle giacche a vento in piuma d’oca) che tiene la lezioncina su quanto è bello fare i padroni, con conseguente invito ai “giovani”: dai fatelo anche voi! 

Risultati devastanti. Da un lato frustrazione per chi non ha un papà finanziatore. Dall’altro gradi applausi per piccole, a volte geniali, start-up, salvo poi andare a vedere e scoprire che fatturano milioni e hanno un dipendente: la segretaria (se va bene). Creare valore per sé e non lavoro e benessere per tutti, insomma, è considerato modernissimo e à la page. Sempre in attesa, ovviamente, che il medico dica: perbacco, nemmeno tagliare un’altra gamba ha fatto passare questa fastidiosa polmonite, propongo di amputare un braccio. Applauso del paziente.

Habermas: "La Merkel in una notte si è giocata la reputazione della Germania costruita nel Dopoguerra"

da: http://www.repubblica.it/economia/2015/07/16/news/habermas_la_merkel_in_una_notte_si_e_giocata_la_reputazione_della_germania_costruita_nel_dopoguerra_-119225926/?ref=fbpr

La linea del governo tedesco ha annullato quanto di buono è stato fatto in oltre 50 anni per ridare al Paese un volto più umano, dopo i terribili eventi del secondo conflitto mondiale. Contro la Grecia: "Un atto punitivo", ha detto il filosofo tedesco in una intervista al The Guardian

MILANO - Il filosofo Juergen Habermas ha accusato la cancelliera tedesca Angela Merkel di essersi "giocata", con la sua linea dura contro la Grecia, la reputazione tedesca, faticosamente ricostruita dopo la Seconda guerra Mondiale. Contro il governo greco di Alexis Tsipras è stato compiuto "un atto punitivo", ha detto il filosofo tedesco in un'intervista al the Guardian.

"Temo che il governo tedesco, compresa la sua fazione social democratica, si sia giocato in una notte tutto il capitale politico che la migliore Germania aveva accumulato in mezzo secolo", ha dichiarato Habermas aggiungendo che i precedenti governi avevano dimostrato "maggior sensibilità politica e una mentalità post nazionalista".

Minacciando la Grexit, la Germania "si è posta senza vergogna come la responsabile della disciplina europea e per la prima volta ha apertamente rivendicato l'egemonia in Europa", ha aggiunto l'86enne filosofo tedesco, fra i maggiori sostenitori dell'integrazione europea. 

A suo parere, l'accordo raggiunto a Bruxelles, "non ha senso dal punto di vista economico, a causa della miscela tossica di necessarie riforme strutturali dello stato e l'economia assieme a imposizioni neoliberali che scoraggeranno un'esausta popolazione greca e uccideranno ogni crescita".

Cari greci, i grigi Stati del Nord vi stanno uccidendo di austerity perché invidiano la Grande Bellezza del Sud Europa

da: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/16/cari-greci-i-grigi-stati-del-nord-vi-stanno-uccidendo-di-austerity-perche-invidiano-la-grande-bellezza-del-sud-europa/1877471/

LA PROVOCAZIONE - I Paesi settentrionali dell'Ue, che hanno radici culturali in una visione del mondo rigorosa e disciplinata nata con il luteranesimo e il calvinismo, considerano Grecia, Spagna, Italia e Portogallo come scolari inaffidabili e inadeguati a gestire la cosa pubblica. E con le loro brume, i grandi silenzi e le lunghe notti invernali sono invidiosi della qualità della vita dei popoli meridionali. Ma quando al Nord c’erano ancora tribù primitive, ad Atene Aristotele metteva in guardia i cittadini dall’insolenza dei demagoghi, e anche questo la dice lunga sulla gente del Meridione, sulla loro capacità di capire come la democrazia e il suo esercizio non siano categorici
Sappiano gli amici greci, che quella dei virtuosi tedeschi, degli intransigenti finlandesi, dei parsimoniosi olandesi e di tutti quei paesi nordici che accusano Atene di avere vissuto al di sopra dei loro mezzi, di aver dissipato i cospicui aiuti finanziari e di non pagare le tasse, è solo invidia. Atavica invidia, intrisa di pregiudizi che hanno radici culturali nel luteranesimo, nel calvinismo, in una visione del mondo rigorosa, disciplinata, ordinata persino quando è disordinata. E’ il grande Nord che disprezza il piccolo Sud. Il Nord che teme la disgregazione e predica la compattezza a senso unico, e a suo esclusivo vantaggio. Il Nord che invidia labellezza del Sud, il Nord spesso deprimente dei “plats pays”, delle brume, delle lunghe notti invernali, dei grandi silenzi e della grandenoia. Dove tutto è perfetto, persino i boschi e le foreste sono trattate come isole pedonali. Ma che noia! Per questo, quando torme selvagge di tifosi del Grande Nord approdano al Sud, spaccano tutto quello che trovano ebbri di spavalda autostima, come fecero i lanzichenecchi e i barbari invasori, a cospetto della Grande Bellezza!
La Grecia, e pure laSpagna, l’Italia, ilPortogallo e una buona parte della Francia – quella meridionale, guarda caso la più interessante e bella – sono viste come scolari troppo vivaci e indisciplinati, magari intelligenti, talvolta geniali, però anche inaffidabili, capaci di dissipare quello che sono riusciti a realizzare, più spesso inadeguati a gestire la cosa pubblica, a mantenere la coesione sociale, a controllarne le derive populiste, a minacciare gli equilibri economici: senti da che pulpito arriva la predica!

L’invidia è una brutta malattia. Fa dire cattiverie che aumentano la confusione. Una frase ripetuta a ritmi martellanti è questa: “Atene èresponsabile di quel che le sta succedendo”. Chi sostiene questa tesi dice che bisogna smettere di dare la colpa all’Europa, poiché la Grecia sta affondando sotto il peso del suo regime oligarchico e col rifiuto di pagare le imposte, con la connivenza delle autorità. A supporto dell’accusa ci sono i numeri, il vangelo del Nord. Li rubo all’economista Christian Saint-Etienne, titolare della cattedra di economia al Conservatorio nazionale francese delle arti e dei mestieri: “La Grecia si è messa largamente tutta da sola nella sua situazione attuale, perché il paese ha beneficiato di 200 miliardidi Euro di fondi strutturali dall’inizio del suo ingresso nell’Unione europea e non ha saputo sviluppare un’economia competitiva. Lo Stato è strutturalmente debole e l’evasione fiscale considerevole. Dopo la crisi del 2009-2010, la Grecia ha beneficiato di una cancellazione del debito di 105 miliardi di Euro dalle banche nel 2012 e di una riduzione degli interessi che porta l’aiuto accordato al paese a circa 175 miliardi di Euro. Se si aggiungono i 200 miliardi di trasferimenti strutturali, la Grecia ha già ottenuto un aiuto dall’Ue di 375 miliardi di Euro, superiore al doppio del suo prodotto interno lordo attuale!”. Aggiunge che senza questi aiuti il debito reale sarebbe di 495 miliardi. Che brucia 20-25 miliardi di contanti all’anno. Insomma, un “pozzo senza fondo”.La Grecia, e pure laSpagna, l’Italia, ilPortogallo e una buona parte della Francia – quella meridionale, guarda caso la più interessante e bella – sono viste come scolari troppo vivaci e indisciplinati, magari intelligenti, talvolta geniali, però anche inaffidabili, capaci di dissipare quello che sono riusciti a realizzare, più spesso inadeguati a gestire la cosa pubblica, a mantenere la coesione sociale, a controllarne le derive populiste, a minacciare gli equilibri economici: senti da che pulpito arriva la predica!
Questi numeri hanno imposto la messa sotto tutela del popolo greco. Come gli otto piani precedenti, il nuovo piano d’austerità – altra parola che il Nord vuole imporre al Sud come regola di vita – aggraverà la recessione e il deficit pubblico, è l’opinione diThomas Coutrot, economista e membro del consiglio economico di Attac (Association pour la taxation des transactions financières et pour l’action citoyenne), che ha sottoscritto il manifesto degli economisti atterriti, per i quali il paradigma neoliberista – altra professione di fede del Nord – è sempre in auge, nonostante i suoi ripetuti ed evidenti fallimenti: “L’Europa è prigioniera della trappola che si è costruita”. Già. Ma quale Europa l’ha approntata? Certo, non la Grecia.
L’amico Philippe Brunel, giornalista e scrittore di ciclismo, propone – e io condivido – un irriverente, ma poi non tanto, paragone tra lo sport delle due ruote (sto seguendo il Tour de France, ndr) e il caso Grecia. E’ una questione più che economica,esistenziale. Dice Philippe che il ciclismo continua ad essere uno sport popolare, democratico: corrono insieme poveri e ricchi – d’ingaggi, si intende – rispettando le stesse regole. Può succedere così che un povero s’imponga davanti a un ricco. E tuttavia, di recente, vi sono squadre di grande budget che storcono il naso quando si vedono costrette nelle più importanti corse a tappe (la trojka Tour, Giro, Vuelta) a gareggiare con formazioni modeste e con corridori spesso sconosciuti e pagati ben poco, rispetto alle gradi star della bicicletta. Ma questo è proprio il bello del ciclismo, aggiunge Brunel, “il piccolo può immaginare che in un qualche momento della corsa può accedere alla vetta e vincere, quello che nella vita è in realtà assai più difficile”.
Con la Grecia per un certo tempo è stato lo stesso. Hanno detto ai greci che erano i benvenuti, che si correva tutti insieme e, quando si è varata la moneta unica, gli hanno ribadito che andava bene così, fingendo di non sapere quali fossero le reali condizionifinanziarie ed economiche del Paese. I greci hanno sempre saputo d’essere la gente piccola dell’Ue, e che il confronto con la gente ricca non poteva essere quello del denaro, della potenza economica o del potenziale produttivo. I greci sognavano d’essere accettati per quello che erano. Adesso invece gli dicono che se vogliono restare devono dimenticare tutto: tagliare stipendi e pensioni, indebitarsi a vita, rinunciare a pezzi importanti, vitali della loro sovranità. Cioè il vero prezzo del sogno europeo. Peggio. Con la Grecia si è applicato cinicamente un celebre principio maoista: educarne uno per educarne cento. La lezione alla Grecia da parte dei maestri del Nord è la lezione a quell’Europa del Sud che non rispetta scrupolosamente le regole, che si ostina a privilegiare altri valori, soprattutto a quell’Europa che non crede nella politica dell’austerità.
Un fantasma si aggira di nuovo per l’Europa, ed è quello dell’europeo che non vuole farsi schiacciare dall’ipocrisia di chi predica bene e razzola male, nel giardino degli altri. L’invidia è cattiva consigliera, quando nelle selve oscure del Nord c’erano tribù di cultura primitiva, ad Atene i greci potevano ascoltareAristotele mettere in guardia i cittadini dall’insolenza dei demagoghi, e anche questo la dice lunga sulla gente del Sud, sulla loro capacità di capire come la democrazia e il suo esercizio non siano categorici. Il confine tra dignità e fierezza è assai sottile, dovrebbero saperlo i compatrioti di frau Merkel, “nessun ente supremo a salvarci verrà/non Dio, non Kaiser, non tribuno/Se vogliamo libertà dalla nostra miseria/ottenerla dovrem da noi, soli” si ascolta nella versione tedesca dell’Internazionale.