Jean-Paul Fitoussi: Basta con i dogmi o l’Unione europea finirà disintegrata

Jean-Paul Fitoussi: Basta con i dogmi o l’Unione europea finirà disintegrata



IL FATTO che il governo francese, e addirittura il commissario Moscovici, abbiano preso decisamente l’iniziativa di sostenere la Grecia e di favorire una rapida chiusura di questo interminabile negoziato, mi sembra un’ottima notizia. Era un’iniziativa attesa da moltissimo tempo, ed era diventata se non dovuta almeno realisticamente auspicabile vista, se non altro, l’affinità ideologica fra il governo di Parigi e quello di Atene.
Finalmente ci si ricorda cosa vuol dire essere socialisti e democratici nel senso più profondo e migliore del termine. Troppe volte questo stesso governo era scivolato su un terreno conservatore in economia, con il trionfo del libero mercato senza controlli, per non parlare del sostegno alle linee tedesche del rigore a tutti i costi, che lasciava molto perplessi. Ora si è recuperata la giusta direzione, al punto che Tsipras e Hollande mi risulta che si parlino al telefono molto più spesso di quanto si ritiene, e che la squadra di tecnici del ministero delle Finanze inviata ad Atene per collaborare con i greci abbia fatto un ottimo lavoro. L’Europa, si dice, è a trazione franco-tedesca, ma negli ultimi anni questa “trazione” mi sembra che si sia basata su una serie di compromessi in cui ha sempre prevalso la Germania. Mi sorprende l’assenza in questa fase dell’Italia, che era sembrata sul punto di prendere un’iniziativa analoga un paio di mesi fa, ma che poi è sparita nel nulla.
Il senso del messaggio che Hollande ha mandato alla Germania è semplice: non esagerare. I tedeschi si ritengono gli unici depositari della verità quanto a ricette economiche, e vogliono imporla, se necessario con la forza, a tutti. Così, con la schematica e dogmatica ossessione del raggiungimento degli obiettivi che loro stessi hanno fissato, e nei tempi che loro impongono, rischiano solo di mandare in frantumi l’Europa. Può essere che sia questo il loro vero obiettivo, o almeno di alcune frange oltranziste del governo, ma allora ha fatto ancora meglio la Francia a tentare di fermarli in questa deriva.
È un rischio geopolitico che assolutamente non deve essere corso. Non è l’Europa che sognavamo questa, è tutt’al più un’Europa disegnata su misura dei Paesi del nord e forse dell’est, e questo non ci sta bene. L’Europa comprende a pieno titolo anche il sud, e spero che non riaffiorino più da parte tedesca idee come la creazione di un doppio euro con la mortificazione di quello meridionale.
La Grecia in questi cinque anni di cura-troika ha fatto conquiste importanti, e il fatto che ci sia stato uno sbandamento adesso non le cancella. Ora malgrado i risultati del referendum, Tsipras si è addossato la responsaiblità politica di andare contro il risultato del voto e riproporre sostanzialmente il piano Juncker. Che altro deve fare? I greci si riavvieranno sul cammino delle riforme e le completeranno, e potranno farlo se sarà loro sottratto questo giogo dell’austerity e del rigore portati oltre ogni ragionevole e realistico limite. Ci riusciranno, e la Germania deve prestare loro fiducia, altrimenti porterà la responsabilità pesantissima di aver disintegrato l’unione europea. La miglior garanzia sta proprio nel referendum: i greci hanno dimostrato di aver fiducia in Tsipras, e quindi egli potrà portare avanti gli impegni che in queste ore a Bruxelles sta prendendo.
Già la cura dell’austerity ha fatto parecchi danni: ha affondato la Grecia, ha mandato in recessione altri Paesi, soprattutto ha creato il terreno di coltura in cui si stanno sviluppando e crescendo i tanti movimenti politici anti-europei, dal Front National a Podemosa, dalla Lega Nord agli antieuropeisti dei Paesi nordici.
Ora bisogna al più presto chiudere questa esulcerante trattativa, e poi portare senza esitazione la macchina europea in officina per un tagliando urgente e radicale. Deve, senza che si perda più un minuto dopo quest’immane dissipazione di energie intorno a questo negoziato, ripartire il cammino dell’integrazione, delle istituzioni comuni, della solidarietà nella crescita. Serve un’Europa dei Paesi che tutti uniti, compresa la Grecia, si siedano serenamente intorno a un tavolo ed elaborino le strategie migliori per valorizzare le immense risorse del continente e far sì che finalmente l’Unione, e l’euro, siano un vantaggio e un’occasione straordinaria. Se buttiamo via la Grecia, che credibilità resta all’Europa?

La vera tragedia europea è la Germania di MAURIZIO RICCI

da: http://www.repubblica.it/economia/rubriche/eurobarometro/2015/07/13/news/eurobarometro_grecia_13_luglio_2015-118974859/?ref=HRLV-5
Una grande multinazionale straniera sta facendo firmare, in questi giorni, ai suoi fornitori italiani, contratti che contemplano la procedura da seguire in caso di uscita dall'euro e ritorno alla lira. E' il risultato – gravissimo – del modo irresponsabile con cui è stata gestita la crisi greca. Il contagio è già avvenuto. Il "salveremo l'euro a qualsiasi costo" di Draghi è sepolto. Nella testa della gente e dei mercati, l'euro è diventato reversibile. Lo pagheremo in termini di spread e di speculazione. Se non oggi, domani, alla prossima crisi. E il dubbio è che questo sia stato lo scopo deliberato di chi ha messo in piedi, in queste ore, a Bruxelles, una rappresentazione ad uso e consumo di un pubblico (quello tedesco) precedentemente addestrato ad una visione unilaterale e faziosa della realtà. Sangue e torture a parte, non era diversa la logica dei processi dell'Inquisizione spagnola.

Solo nello scenario di una rappresentazione si spiega la facilità con cui, fra sabato e domenica, sono circolate bozze di documenti in cui, venivano comunque menzionate ipotesi, come l'uscita temporanea della Grecia dall'euro, che i tecnici avevano già liquidato come improponibili. A rassicurare lo stesso pubblico è stata riproposta la ricetta economica di sempre: siccome l'economia va peggio del previsto, bisogna stringere ulteriormente le viti dell'austerità, con il risultato che l'economia andrà ancora peggio, gli obiettivi verranno inevitabilmente disattesi, l'austerità verrà rinforzata e la spirale perversa, già vista all'opera in questi anni, potrà dare un altro giro, sempre perchè la priorità sarebbe mettere da parte i soldi per restituire i debiti. Restituzione che resta problematica esattamente come prima. Ma, poiché tagliare i debiti inesigibili resta un'eresia, pur di non ridurre la montagna del debito preesistente si preferisce aumentarla ulteriormente di un'altra ottantina di miliardi, così da trasformare la piaga in cancrena.

A questo punto, i dettagli dell'accordo – quanto cede Tsipras, cosa riesce a strappare, l'elenco delle riforme – contano assai poco. Qualsiasi numero, qualsiasi vincolo è ballerino. Inevitabilmente, sulla misura effettiva del deficit di bilancio, sulle rate di restituzione dei debiti, l'Europa dovrà tornare. Il dramma greco è destinato a restare con noi. Per arrivare a questo risultato, Berlino ha devastato il panorama politico del continente. Da Salonicco a Lisbona, l'Europa ha un "cattivo" ufficiale e parla tedesco, un ruolo che la Germania dovrebbe vivere con qualche disagio. L'asse storico con Parigi è profondamente incrinato: le proposte con cui Tsipras si è presentato venerdì a Bruxelles e che sono state ridicolizzate dai tedeschi erano state studiate insieme al governo francese. Le ipotesi di maggiore integrazione dell'eurozona, di una progressiva cessione di sovranità fiscale ed economica a Bruxelles sono severamente impiombate, almeno a livello popolare: chi ha voglia di cedere sovranità all'Europa di Schaeuble, per ritrovarsi domani pignorato il Colosseo o gli Champs Elysées?

La vera tragedia nel cuore dell'Europa, oggi, non è la Grecia. E' la Germania, l'isolamento culturale, ideologico in cui vive la maggior potenza del continente. La tragedia è che Schaeuble, la Merkel, la Spd non potevano, probabilmente, per realismo politico, comportarsi diversamente. Per anni, l'establishment tedesco – dai politici ai giornali – ha fornito all'opinione pubblica una immagine della realtà europea fasulla, in cui, ad esempio, i tedeschi appaiono quelli che finanziano i debiti greci, anche se, pro capite, il contribuente tedesco ha versato esattamente quanto quello italiano. Nessuno, tuttavia, al di là del Reno, la mette in discussione. Ora, è anche possibile che i teorici dell'austerità abbiano ragione, ma l'aspetto malsano della vicenda è che l'opinione pubblica tedesca non conosce altra versione della realtà. Le critiche di premi Nobel come Krugman e Stiglitz, le obiezioni di Obama, lo smantellamento dei dogmi dell'austerità da parte del Fmi, gli appelli dello stesso Fmi ad un taglio del debito greco non sono mai arrivati all'opinione pubblica. I giornali non ne parlano, i politici neanche. Per quanto possa apparire incredibile, un dibattito non c'è. Al volante della macchina europea c'è una Germania che non riesce a staccare gli occhi dal proprio ombelico.

Se è solo Berlino a dettare legge alla Grecia e all’Eurozona

da: http://www.limesonline.com/rubrica/se-e-solo-berlino-a-dettare-legge-alla-grecia-e-alleurozona


L’Europa tedesca è altrettanto realistica dell’acqua secca o del legno ferroso. Lo conferma la tragedia greca, di cui stiamo sperimentando solo le prime battute.

Pur di preservare la sua stabilità la Germania ha esportato instabilità nel resto d’Europa, a cominciare dalla periferia mediterranea. Sotto il profilo economico e monetario, propugnando una ricetta unica – la propria – per contesti radicalmente diversi, sicché senza le pressioni americane e ilpragmatismo di Mario Draghi l’Eurozona sarebbe già saltata da tempo sotto i colpi dell’austerità.

Sotto il profilo geopolitico, rifiutandosi di assumere ogni responsabilità nelle crisi del Mediterraneo e lasciando che lo scontro sull’Ucraina fosse appaltato ai baltici, per i quali la distruzione della Russia è obiettivo appetibile. E adesso lasciando andare Atene alla deriva.

Smottamento economico, sociale e geopolitico che infragilisce l’euro e completa la destabilizzazione delle nostre frontiere mediterranee dopo la disintegrazione della Jugoslavia (incentivata dalla coppia austro-tedesca) e della Libia (follia franco-britannica), per tacere del Levante in fiamme e delsolipsismo turco.

Certo, il cuore tedesco del Vecchio Continente tiene. Ma al prezzo della liquidazione dell’idea stessa di Europa. Perché questo è il verdetto della crisi greca, qualunque sia il suo esito. Ci siamo scoperti tutti avvinghiati al presunto interesse particolare. Con la massima potenza economica continentale incapace di dirimere la più acuta crisi mai vissuta dalla scoppiatissima famiglia comunitaria. E nemmeno tanto desiderosa di farlo, nell’illusione che la Grexit sia faccenda greca, destinata a risolversi da sola incentivando l’autoesclusione di Atene dall’Eurozona. Dopo di che la vita continuerà come prima, meglio di prima. Ma poi, fino a quando Berlino potrà considerarsi immune dalle crisi che ha contribuito a suscitare, non fosse che per neghittosità?

Molti in Germania ambiscono a trasformarsi in Grande Svizzera, con i ponti levatoi alzati. Fisicamente e mentalmente. Si sentono protetti dalle alte mura della propria invidiabile fortezza, che esporta deflazione e importa liquidità grazie alla potenza commerciale, surrogando gli stagnanti mercati europei con la Cina. Già la Svizzera non è più un’isola felice, figuriamoci se può diventarlo la Germania.

La galoppante deriva europea nasce da un equivoco. Caduto il Muro, francesi, italiani ed altri soci comunitari si convinsero che l’ora dell’Europa americana (e sovietica) fosse finita: toccava finalmente all’Europa europea. Per questo convincemmo i più che riluttanti tedeschi a scambiare il marco con l’euro e a diluire la Bundesbank nella Banca centrale europea, in cambio della nostra altrettanto insincera benedizione all’unificazione delle due Germanie.

Nel giro di pochi anni, la forza economica della Germania e la somma delle debolezze altrui finirono per germanizzare l’euro. Ma l’egemonia tedesca si è fermata alla politica economica e monetaria. Anche qui mostrando la corda delle sue fissazioni ordoliberiste. Nella tempesta scatenata 7 anni fa dalle dissennatezze della finanza privata americana, Berlino ha reagito infliggendo ai partner lezioni di ortodossia rigoristica dal forte retrosapore ideologico. L’austerità come bene in sé, sempre e dovunque. Come scrive Hans Kundnani, direttore delle ricerche all’European Council on Foreign Relations, nel suo The Paradox of German Power di prossima pubblicazione presso Mondadori, l’instabilità diffusa dalla Germania in Europa è figlia di «una nuova forma di nazionalismo tedesco, basato sulle esportazioni, sull’idea di ‘pace’ e sul rinnovato sentimento della ‘missione’ germanica».

Testimoniato dalle acrobazie geopolitiche di Angela Merkel, che l’hanno vista talvolta allinearsi con Pechino, Mosca, Brasilia e Pretoria, oltre che dal montante antiamericanismo nella società tedesca. Con ciò mettendo in discussione la stessa appartenenza della Bundesrepublik a ciò che resta dell’Occidente.

Qui emergono anche le nostre responsabilità. Dalla paura della strapotenza tedesca che obnubilava François Mitterrand, Margaret Thatcher e Giulio Andreotti, siamo scivolati verso una sterile corrività verso il presunto egemone. Sterile perché abbiamo pensato che ai tedeschi bastasse qualche scappellamento retorico per considerare le “cicale” mediterranee degne di appartenere all’Euronucleo – la moneta delle “formiche” evocata da Wolfgang Schaeuble nel 1994, cui l’attuale superministro delle Finanze non ha mai cessato di pensare.

Insieme, restiamo sufficientemente corrivi da rinunciare a ridisegnare l’unione monetaria in nome di un’idea politica di Europa, così condannandoci alla marginalità nel farraginoso processo decisionale comunitario. Francia compresa, perché fin troppo consapevole della sua vulnerabilità sui mercati finanziari, nel momento in cui osasse smarcarsi dall’ombra lunga della Germania.

Sui funesti errori che hanno portato la Grecia nel burrone dal quale difficilmente potrà riemergere nei prossimi anni, inutile diffonderci. Troppi,troppo evidenti, troppo ripetuti. Purché questo non diventi un alibi per accomodarci alla deriva greca (e cipriota) verso lidi mediorientali o russo-ortodossi. L’impresa sarà improbabile, ma vale la pena tentarla.

Aiutare Atene a non affogare, dismettere i panni del moralismo e della facile censura, per sporcarsi le mani con quel solidale pragmatismo che può almeno alleviare la vita quotidiana di un popolo alla disperazione.

La risalita dell’Europa passa per la salvezza della Grecia. Con il contributo di tutti, italiani in testa, in quanto prima grande nazione europea esposta alla risacca ellenica.

Non per peloso “umanitarismo”, come stizzosamente suggerito da qualche politico nordico. Per puro senso di responsabilità nazionale ed europea.