Lotta di classe da McDonald's

di Marc Augè da wwww.ilfattoquotidiano.it

Mai il mondo è stato più ineguale. Esistono grandi differenze tra le diverse regioni del pianeta, ma gli scarti di reddito sono enormi anche all’interno di ciascuna di esse, all’interno dei paesi emergenti e dei paesi sviluppati.

Assistiamo all’affermazione di una società divisa in tre classi: i possidenti, i consumatori e gli esclusi.

Nel campo dell’alimentazione la traduzione di questo fenomeno è sbalorditiva.


Da una parte si assiste alla moltiplicazione delle forme di assistenza internazionale ai più poveri, a coloro che la guerra, la siccità o le epidemie minacciano di morte; si assiste nei Paesi più sviluppati a un ritorno delle attività caritative, la grande povertà ritorna a farsi vedere; disoccupati o precari non riescono più a sfamarsi o a sfamare le proprie famiglie.

Incrociamo nelle strade delle Capitali europee mendicanti che portano un cartello sul quale è scritto “Ho fame”. Dall’altra parte, l’agricoltura si trasforma per soddisfare i bisogni di un numero sempre più grande di persone. Molti specialisti stimano oggi che solo produzioni locali sufficienti potrebbero risolvere in modo durevole il problema della fame nel mondo. La Grande distribuzione delle catene alimentari riguarda una clientela che dispone di scarse risorse e propone un’alimentazione non equilibrata. L’obesità si sviluppa in Europa, in provenienza dagli Stati Uniti. Contrasto sbalorditivo: si tratta della stessa società che esalta la bellezza delle modelle filiformi, incoraggia diverse forme di rimodellamento del corpo e condanna una parte della sua gioventù all’obesità grazie ai Fast-food.


Il diffondersi del Fast food, come McDonald's, Burger King, Quick, ecc… rappresenta l’opposto del ristorante tradizionale: parlare dei loro menu, come fa la pubblicità, è una battuta di cattivo gusto. Non si servono alcolici, ma bevande zuccherine. Solo la scelta del posto dove sedere caratterizza la libertà del cliente. Tutti uguali, questi distributori di cibo rapido si situano per definizione fuori da qualsiasi colore e contesto locale.


Ho assistito nel lontano 1990 a Mosca, in piazza Puškin, qualche mese dopo la caduta del Muro di Berlino, all’inaugurazione del primo McDonald’s in URSS. Le autorità erano presenti e, nelle ore successive, chilometri di coda si formarono in piazza. All’ora di sera erano stati forniti 30.000 pasti. La perestoijka aveva l’odore di hamburger e di patatine fritte.
Il 30 gennaio un reportage di Antenne 2 celebrava con entusiasmo l’avvenimento: anche i russi finalmente potevano mangiare come gli altri! Era un entusiasmo rivelatore. Si potevano in fondo comprendere i moscoviti. Avevano l’abitudine di fare la coda e di mangiare male. Ma cosa dire del fatto che Parigi e la Francia si mostrassero altrettanto vulnerabili agli assalti della mcmondializzazione? A Parigi ci sono più di 60 McDonald's.

La Francia è il secondo mercato al mondo di McDonald’s dopo gli Stati Uniti! McDonald’s acquista francese in Francia come tedesco in Germania, è un buono sbocco per la produzione locale, e fornisce posti di lavoro a gioventù poco qualificata. Tutto questo val bene qualche obeso in più.

L’Europa e la Francia avevano inventato i loro ristoranti, i loro caffè, i loro bistrot, un modello culturale oggi minacciato dall’esterno e dall’interno. Cosa ci porta il fast food? Nessun prodotto, nessuna professionalità particolare, ma uno stile di vita, precisamente, ciò che, oltre a qualche vino e qualche ricetta, un certo numero di paesi europei aveva la pretesa di proporre al resto del mondo.


Di converso, di fronte alla carestia e alla malnutrizione, noi vediamo comparire sugli schermi televisivi e sulla stampa la moda della gastronomia. Una gastronomia elaborata che promuove un’alimentazione sana. E raffinata. Un’alimentazione che si trova nei ristoranti di lusso. La sua affermazione dipende da quella che gli etnologi hanno chiamato “rituali d’inversione”. I costumi popolari di ieri divengono le raffinatezze di oggi.

Non è certo perché si può morire di fame nel nostro mondo che bisogna condannare l’umanità a mangiare qualunque cosa. Le iniziative locali (penso a Slow Food in Italia) devono essere incoraggiate. Non bisogna ignorare, da una parte, che la questione dell’alimentazione (della sua produzione, della sua distribuzione e del suo consumo) è al cuore della questione sociale. Le considerazioni tecniche sulla produttività, sui modi di conservazione, di distribuzione, sono importanti ma non porteranno a risultati che il giorno in cui delle soluzioni politiche avranno aperto la porta alla democrazia globale.
Si può fare un parallelo tra l’alimentazione del corpo e l’alimentazione dello spirito. Ciò che si rafforza oggi nel mondo è il divario tra coloro che sono, a un titolo o a un altro, vicini al mondo della conoscenza e della scienza e coloro che ne sono definitivamente esclusi. 

La società globale è divisa tra l’oligarchia dei possidenti, i consumatori e gli esclusi; questa tripartizione si ritrova nel campo della conoscenza e dell’educazione.

Non c’è bisogno di avere statistiche raffinate per stabilire che le differenze di alimentazione sono parallele alle differenze di cultura, d’istruzione, di educazione. 

Detto altrimenti, l’abuso di zuccheri è un fenomeno di classe, come l’obesità, come la crisi economica o l’analfabetismo. 

Se ne deduce che, se campagne pubblicitarie per una corretta e sana alimentazione sono auspicabili, l’obiettivo dell’educazione per tutti, che non si limiti solo ai temi dell’alimentazione, dovrebbe essere la priorità di tutti i governi. Questa è la sfida dell’intero pianeta.

Istat: cala la fiducia dei consumatori a giugno

Istat: cala la fiducia dei consumatori a giugno

da: http://it.fashionmag.com/news/Istat-cala-la-fiducia-dei-consumatori-a-giugno,414668.html#utm_source=newsletter&utm_medium=email

La fiducia dei consumatori è scesa nel mese di giugno a 105,7 dal 106,2 di maggio, rivisto da 106,3, rende noto l'Istat. La dinamica dell'indice segna la prima diminuzione dal mese di marzo e contraddice le attese degli analisti, che puntavano su una sostanziale stabilità a 106,3.

Foto: Reuters

Gli economisti avevano associato il miglioramento delle aspettative all'insediamento del governo di Matteo Renzi e al taglio dell'Irpef sui redditi medi e bassi, scattato a maggio.

La componente economica diminuisce a 116,4 da 118. Peggiora anche il clima corrente, a 104,5 da 104,6, così come quello relativo al futuro, che passa da 108,7 a 107,2.

Sale il giudizio sulla situazione economica del Paese, il cui saldo passa a -77 da -81.

E Stilinga pensa che con questo scenario l'Europa deve darsi una mossa per fare ripartire non solo l'Italia ma anche la Spagna, la Grecia e magari riportare un po' di equilibrio economico, visto che fino ad oggi solo la Germania può essere soddisfatta di come gira (male per noi e bene per lei) l'economia.

E' ora di fare provare un brivido di crisi economica ai tedeschi! Magari mettendosi nei nostri laceri panni anche loro iniziano a capire sulla loro pelle cosa significa la parola austerità!

Manca lavoro a 7,7 mln di persone. Italia fragile

Confindustria: "Manca lavoro a 7,7 mln di persone. Italia fragile"


da: http://it.fashionmag.com/news/Confindustria-Manca-lavoro-a-7-7-mln-di-persone-Italia-fragile-,414722.html#utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il mercato del lavoro, in Italia, resta debole. Sono 7,7 milioni le persone a cui manca il lavoro, totalmente o parzialmente e dall'inizio della crisi sono stati persi due milioni di posti di lavoro. A lanciare l'allarme è il Centro Studi di Confindustria negli ultimi Scenari economici.

Foto: Apcom

Inoltre la salute dell'economia italiana resta "fragile " e peggiorano le previsioni economiche per l'economia italiana. Il CSC ha tagliato le stime del Pil per il 2014 e per il 2015. Nel nuovo scenario è previsto un aumento del Pil dello 0,2% quest'anno contro il +0,7% calcolato a dicembre scorso e un incremento del Pil dell'1% l'anno prossimo dal +1,2% precedentemente stimato. "La maggior parte del ribasso per quest'anno si deve a quanto già avvenuto", hanno spiegato gli economisti di Confindustria.

Nei calcoli del CSC, oltre alla forza lavoro non utilizzata, due gruppi vanno inclusi tra i senza lavoro, totali o parziali: gli occupati part-time involontari (2 milioni e 574 mila nel primo trimestre 2014, +101,9% rispetto a sei anni prima) e i non-occupati che sarebbero disponibili a lavorare ma non hanno compiuto azioni di ricerca attiva perché scoraggiati (1 milione e 590 mila individui, +59%) oppure perché stanno aspettando l'esito di passate azioni di ricerca (605 mila, +87,3%).

La salute dell'economia italiana "rimane fragile". Ci sono miglioramenti, evidenti in particolare in alcune aree del Paese. Ma "la malattia della lenta crescita non è stata debellata e il paziente è debole e fatica a riprendersi e a reagire alle cure". Secondo gli economisti di viale dell'Astronomia, "sono in atto emorragie di capitale umano e perdita di opportunità di business". Per la guarigione "è necessario ripartire dagli investimenti, aumentando la redditività con nuovi meccanismi di determinazione della dinamica salariale, riducendo e semplificando la tassazione sul reddito di impresa, facilitando il fare impresa, sbloccando il credito e sfruttando appieno gli importanti fondi della precedente e attuale programmazione europea". Misure opportune, è la conclusione del CSC, "sono state varate e altre sono in corso di studio". Ma "il tempo è una variabile decisiva".

Dal 2007, sono andati persi 1 milione e 968 mila Ula (Unità di lavoro equivalenti a tempo pieno). Ma dall'autunno il numero degli occupati comincerà ad aumentare. Tuttavia, il biennio 2014-2015 si chiuderà con 1 milione e 815mila Ula occupate in meno rispetto a fine 2007 (-7,2%).

Quanto al tasso di disoccupazione inizia a scendere dai massimi toccati nel primo trimestre di quest'anno, ma non cala sotto il 12,5% nel 2015 (al 12,6% nel 2014). Compresa la Cig sarà ancora pari al 13,5% alla fine del periodo Le retribuzioni di fatto nell'intera economia aumentano il potere d'acquisto: +2,4% cumulato nel 2014-2015 contro il +1,4% dei prezzi al consumo.