Non solo Bankitalia pioggia di regali alle banche amiche (Marco Palombi).

DALLE NUOVE REGOLE SUI CREDITI INESIGIBILI ALL’AIUTINO SUI DERIVATI E, ORA, ALLA RIVALUTAZIONE DELLE QUOTE DI VIA NAZIONALE. PER LA FINANZA I SOLDI CI SONO SEMPRE.
Fabrizio Saccomanni è “addolorato”. Dice che sulla questione delle quote Bankitalia sono state diffuse “falsità, cattive informazioni e distorsioni”. Si riferisce, con ogni probabilità, all’espressione “regalo alle banche” che Il Fatto Quotidiano ha usato fin dall’approvazione del decreto, lo scorso 30 novembre. Ci perdonerà il vizio giornalistico dell’espressione gergale o colorita, il ministro dell’Economia, che oggi abbandoniamo: il sostegno pubblico al sistema bancario non è un regalo, cioè un fatto episodico e connesso ad alcune circostanze, ma la politica economica stessa del suo governo e di ogni altro governo d’Europa. 
Nel giorno in cui si scopre che l’Inps non è in grado di anticipare alle regioni i soldi per la Cassa integrazione perché il Tesoro non assicura le coperture, è bene mettere in fila tutte le decisioni con cui l’esecutivo Letta è venuto incontro alle difficoltà del sistema bancario, difficoltà causate da credito erogato male e operazioni finanziarie troppo rischiose prima ancora che dalla crisi. La reazione dei governi occidentali e delle loro banche centrali è stata di aiutare le banche a rimanere in piedi. Il prezzo richiesto in cambio? Nessuno, nemmeno l’innocua stretta sullo stock option o gli stipendi del management delle banche sussidiate. Enrico Letta e l’addolorato Saccomanni non hanno fatto eccezione, soprattutto in vista dei nuovi requisiti di bilancio europei che verranno richiesti alle banche. Ecco un breve riassunto.
FISCO AMICO. Le sofferenze, vale a dire i crediti che si considerano irrecuperabili o giù di lì, sono esplose durante la crisi toccando in Italia la cifra record di circa 140 miliardi di euro. La legge consente di ottenere uno sgravio fiscale su questi “crediti non performanti”: Giulio Tremonti aveva stabilito che l’ammortamento avvenisse in 18 anni, Saccomanni nella Legge di Stabilità li ha ridotti a cinque. Sicuramente ha fatto bene il ministro, ma – come ha scritto lui stesso nella relazione tecnica alla manovra – questo fatto comporterà vantaggi fiscali per le banche pari a 20 miliardi dal 2015 al 2022.
IL CASO BANCA D’ITALIA. Col decreto che aboliva la seconda rata dell’Imu 2013, il governo – senza che nessuno glielo avesse chiesto e in contrasto con una legge del 2005 che prevedeva la ripubblicizzazione dell’istituto – ha anche rivalutato le quote della banca centrale da 156mila euro a 7,5 miliardi. Gli effetti di questa decisione sono indubitabilmente favorevoli agli istituti di credito, azionisti di Bankitalia. In cambio di un gettito di 900 milioni per l’erario – frutto della tassazione della plusvalenza – le banche incassano all’ingrosso tre cose: un aumento potenziale dei dividendi annuali da 70 a 450 milioni, un miglioramento dei loro requisiti patrimoniali nei prossimi bilanci e – alcuni istituti – addirittura l’ingresso immediato di soldi freschi nelle loro casse. Funziona così. Nessuno potrà avere più del 3 per cento di Bankitalia, dunque è facoltà della stessa banca centrale acquistare le quote eccedenti e poi rivenderle con tutta calma: ne beneficeranno i due azionisti più grandi, Intesa e Unicredit, che incasseranno circa 3,5 miliardi, mentre agli altri (Inps, Generali , Carige, Cassa di risparmio di Bologna) andranno all’ingrosso 700 milioni.
DERIVATI. Nella manovrina per riportare il deficit del 2013 sotto il 3 per cento è stata inserita la garanzia statale sui derivati stipulati dalle banche sui titoli di stato. Ovviamente questo comporta che le garanzie patrimoniali degli istituti di credito migliorino istantaneamente così come probabilmente farà il loro rating, visto che gli investimenti in debito pubblico nazionale sono stati ingenti ed eventuali perdite in quel settore sarebbero alla fine – cioè in caso di insolvenza della banca – pagate con la liquidità messa a disposizione dal Tesoro.
CDP. Attraverso Cassa depositi e prestiti – sempre con un emendamento alla manovra – lo Stato ha offerto la sua garanzia per i crediti erogati alle imprese. Non solo: Cdp potrà anche acquistare direttamente quei crediti appositamente cartolarizzati dalle banche. Se la cosa non vi è chiara si tratta in sostanza di un meccanismo che permette di lasciare gli eventuali utili agli istituti di credito e accollare le perdite alla collettività. Anche le privatizzazioni effettuate attraverso la Cassa potrebbero portare vantaggi al mondo finanziario: in caso di introiti che sfocino in un maxi dividendo, questo sarebbe distribuito per l’80 per cento al Tesoro e per il 20 alle fondazioni bancarie, azioniste di Cassa depositi.
VARIE ED EVENTUALI. Anche se non riguarda questo governo si cita - per puro dovere di cronaca – la vicenda dei quattro miliardi statali prestati a Monte dei Paschi di Siena prima da Tremonti e poi da Monti, ma l’atteggiamento di favore e verrebbe da dire di sudditanza psicologica nei confronti del mondo finanziario non finisce qui. L’esecutivo Letta, nonostante pressioni dello stesso Pd, si è rifiutato di rivedere la tassa sulle transazioni finanziarie (la cosiddetta Tobin Tax) per far pagare anche le banche, escluse da Mario Monti, come pure ha bocciato in Senato la proposta del Movimento 5 Stelle di tornare a vietare le commistioni tra banche che raccolgono il risparmio e banche d’investimenti. Fu un divieto adottato in tutto il mondo dopo la grande crisi del 1929, forse non è un caso che questo nuovo tracollo sia avvenuto pochi anni dopo la sua abolizione (in Italia ci pensò Massimo D’Alema).
Da Il Fatto Quotidiano del 01/02/2014.

E' bello camminare in una valle verde... e ora pure al verde

Valleverde: è crac per un altro ex marchio di successo italiano

da: http://it.fashionmag.com/news/Valleverde-e-crac-per-un-altro-ex-marchio-di-successo-italiano,381747.html#.UuJYlNIuKcM

Tra la fine degli anni 90 e l'inizio degli anni 2000, la Valleverde di Coriano (RN) era una delle aziende manifatturiere italiane con i bilanci più sani e con idee produttive che la portavano a presentarsi al mondo come la creatrice della scarpa del futuro. Fra i suoi popolarissimi testimonial figurarono, in tempi successivi, il presentatore Claudio Lippi, il pilota nordirlandese della Ferrari Eddie Irvine e l’attore americano Kevin Costner. L'azienda della provincia di Rimini in quegli anni viaggiava col vento in poppa, e il suo patron, Armando Arcangeli, era diventato un imprenditore molto noto e altrettanto apprezzato.

www.valleverdestilecomodo.com/

Ma oggi, dopo circa 15 anni, il successo della Valleverde è svanito in un mare di debiti e di azioni giudiziarie. Fino ad arrivare alla bancarotta fraudolenta che sta travolgendo l'azienda (che il 19 gennaio scorso ha dichiarato fallimento) e la proprietà.

Secondo quanto ricostruito dal quotidiano economico “Il Sole 24 Ore” e dal giornale “Nuovo Quotidiano” di Rimini, la Valleverde S.p.A., sommersa da debiti per 45 milioni di euro, cambia nome e ragione sociale trasformandosi in Spes S.p.A. Quest'ultima si assume l'onere di pagare il 15% del debito e intanto presenta istanza per accedere alle procedure di concordato preventivo attraverso la cessione in affitto ad un'altra società (la neonata Valleverde S.r.l. appositamente costituita) della gestione del calzaturificio, del magazzino, di tutta la produzione e del marchio. La Valleverde S.p.A./Spes è quindi una newco, ed è controllata da una cordata di imprenditori bresciani costituita ad hoc, che aveva acquistato dalla Spes S.p.A la gestione del ramo d’azienda nell’ambito del concordato fallimentare (i fatti accadono fra la metà del 2011 e l'aprile del 2012).

Tuttavia, dietro la richiesta di concordato, secondo la Procura di Rimini, ci sarebbe stato un piano premeditato per sottrarre 10 milioni di euro all'azienda. Infatti, il pagamento del canone d'affitto d'azienda, che sarebbe servito a ripagare i debiti della Spes S.p.A. (che in seguito verrà dichiarata fallita il 6 giugno del 2013), non verrà mai pagato e secondo la Guardia di Finanza era stato tutto programmato con una serie di accordi sottobanco tra vecchia e nuova gestione. In questo quadro s'inserì poi lo scorso anno una denuncia per truffa, considerata artificiosa dalla GdF, presentata dalla nuova gestione contro la vecchia, accusata di aver fatto sparire parte del magazzino. Meccanismi, secondo la Procura e gli investigatori, messi in atto al solo scopo di dirottare denaro verso altre società.

Sono stati iscritti nel registro degli indagati lo stesso Arcangeli e altre sei persone coinvolte, a vario titolo, nella distrazione di denaro dell’impero Valleverde verso altre imprese. Così, sono finiti nei guai, insieme allo storico boss, il suo braccio destro nella Valleverde S.p.A./Spes, l’amministratore delegato Antonio Gentili (per un certo periodo anche liquidatore della società), e poi cinque manager della nuova azienda, la Valleverde S.r.l., la quale però non gestisce più l’azienda di Coriano, che è stata posta sotto sequestro e affidata dal tribunale alla guida del custode giudiziario, Claudia Bazzotti, già curatore fallimentare della Valleverde S.p.A./Spes.

Si tratta del bresciano di Desenzano sul Garda Enrico Visconti, presidente della S.r.l., di un altro bresciano, Ernesto Bertola, direttore generale, del mantovano David Beruffi, responsabile dell’area finanza, di un’altra bresciana, di Salò, Anna Maria Soncina, consulente esterna dell'area amministrativa e di Raffaele Piacente, romano, responsabile di un gruppo che ha contribuito a ricapitalizzare la S.r.l. per 4-5 milioni di euro nel novembre del 2013. Gli uomini della Guardia di Finanza hanno perquisito le abitazioni di tutti e sette i professionisti, rinvenendo documenti e materiale informatico considerati interessanti per le indagini. Altre perquisizioni sono state effettuate negli uffici della Valleverde S.p.A./Spes a Coriano, e in quelli della S.r.l. a Coriano, Treviso, Fermo e Montichiari (BS).

Ovviamente alla fine chi ci rimette totalmente sono sempre i lavoratori. A rischiare il posto di lavoro oggi sono 150 persone, senza stipendio da tre mesi, che protestano contro il provvedimento di sequestro previsto sia per lo stabilimento riminese di Coriano che per la rete di punti vendita sparsa in tutta Italia.


L'allarme di Greenpeace: "Ci sono piccoli mostri che vivono nei vestiti dei bambini"

da: http://www.repubblica.it/scienze/2014/01/16/news/bambini_mostri-76120655/?ref=HRLV-18
La Cina rimane il maggior produttore al mondo di tessile. Per l'organizzazione le imprese devono impegnarsi a non rilasciare sostanze chimiche pericolose entro il 1 gennaio 2020. Dal lancio della campagna di Greenpeace "Detox" nel  2011, 18 importanti aziende d'abbigliamento si sono già impegnate.

ROMA - Sostanze chimiche pericolose annidate nei vestiti e nelle scarpe per bambini. Secondo il nuovo rapporto reso noto da Greenpeace Asia il pericolo vive anche negli abiti delle marche più care e famose. I risultati mostrano che non c'è grande differenza tra le concentrazioni delle sostanze dannose nei vestiti per piccoli o adulti.  "Un vero incubo per i genitori", afferma Chiara Campione, responsabile del progetto The Fashion Duel di Greenpeace Italia. "Questi piccoli mostri chimici li troviamo ovunque, dai vestiti di lusso a quelli più economici, e stanno contaminando i nostri fiumi da Roma a Pechino. Le alternative per fortuna ci sono e per questo l'industria dovrebbe smettere di usare i piccoli mostri, per il bene dei nostri bambini e delle future generazioni". 

Tutti i marchi testati hanno almeno un prodotto nel quale sono state rilevate sostanze chimiche pericolose. Le concentrazioni di PFOA (acido perfluorottanico) in un costume erano molto più elevate del limite previsto, mentre una maglietta per bambini conteneva l'11% di ftalati. Alti livelli di nonilfenoli etossilati sono stati trovati invece in altri prodotti. 

PFOA, ftalati e nonilfenoli etossilati sono interferenti endocrini, sostanze che, una volta rilasciate nell'ambiente, possono avere potenzialmente effetti dannosi sul sistema riproduttivo, ormonale o immunitario. "Grazie alla pressione dei genitori e dei consumatori in tutto il mondo, alcuni dei maggiori marchi hanno già aderito all'impegno Detox che abbiamo proposto loro, e molti di loro hanno iniziato un percorso orientato alla trasparenza e all'eliminazione delle sostanze tossiche dalla loro filiera, ma non basta", spiega Campione. 

La Cina rimane il maggior produttore al mondo di tessile e Greenpeace chiede al governo di bandire le sostanze pericolose dall'industria. E' importante che il governo pubblichi una lista nera di sostanze da eliminare e chieda alle imprese di agire immediatamente rendendo pubbliche le informazioni sulle sostanze impiegate, per facilitare un processo di trasparenza e pulizia  dell'intera filiera.

Greenpeace chiede alle imprese di riconoscere l'urgenza e di comportarsi da leader sulla scena globale, impegnandosi a non rilasciare sostanze chimiche pericolose entro il  1 gennaio 2020. Dal lancio della campagna di Greenpeace "Detox" nel luglio 2011, 18 importanti aziende del settore dell'abbigliamento si sono già impegnate pubblicamente.

Nuove tendenze street a Roma

Zainetto animalier da uomo

total black a via Condotti

Abitino corto stile tappezzeria con shorts sotto e ankle boots neri, capelli corti, il vero must delle prossime stagioni, come anche qui sotto.

Contributi Inps a perdere. E non è più ammissibile!

Contributi Inps a perdere

Di Marino Longoni
Contributi Inps a perdere

Ci sono in Italia un milione di lavoratori che stanno versando contributi previdenziali, anche piuttosto salati, ma inutilmente. Non riusciranno mai, infatti, a maturare il diritto ad una pensione. Si tratta della quasi totalità dei lavoratori a progetto, dei lavoratori autonomi occasionali, dei collaboratori parasubordinati e altre categorie di minor rilevanza. Insomma di quasi tutti i lavoratori che versano i loro contributi alla gestione separata Inps. Il problema di costoro è tutto richiuso in un concetto piuttosto tecnico, quello di “minimale contributivo”. In sostanza a loro viene accreditato un mese di contributi, validi ai fini pensionistici, solo se dichiarano un reddito di almeno 1.295 euro al mese, e su questo ci versano i relativi contributi (nel 2014 l’aliquota è salita al 28,72%). Se il loro reddito è invece, per esempio, la metà di questa cifra, ci vorranno due mesi di lavoro per mettere insieme un mese di contributi. E così via. A parte gli amministratori, la stragrande maggioranza di coloro che versano alla gestione separata non arriva a questi livelli di reddito. Quindi rischia seriamente di versare contributi senza riuscire mai a maturare un diritto alla pensione. Ma siccome il peggio non ha mai fine, nei prossimi anni l’aliquota contributiva, che già è salita dal 10% al 28% in meno di vent’anni, è destinata ad arrivare al 33% entro il 2018. Aumentando così i contributi versati a perdere.