Schiaffo Censis: I politici usano la crisi per salvare le poltrone

di Carlo Di Foggia
dal www.ilfattoquotidiano.it
 Il colpo più forte lo assesta il presidente, Giuseppe De Rita, alla politica tutta: “Una classe dirigente che tende a ricercare la sua legittimazione nell’impegno a dare stabilità al sistema”. 

Un insieme di annunci drammatici, decreti salvifici e complicate manovre che “hanno la sola motivazione e il solo effetto di farla restare la sola titolare della gestione della crisi”. Tradotto, con la scusa del caos, la classe politica usa i problemi economici per legittimare la sua sopravvivenza.

 L’immagine di una elite che preserva se stessa e “non può e non vuole uscire dall’implicita e ambigua scelta di drammatizzare le difficoltà del Paese per gestirle” si specchia nella metafora del mare calmo: “L’idea che navigheremmo tutti più tranquilli è una stupidaggine, si sottovalutano le correnti sottomarine che provocano i maremoti e le tempeste”. 

L’instabilità come mezzo

 Il rapporto 2013 del Censis, presentato ieri a Roma, è un elogio dell’instabilità proprio mentre tutto il sistema politico ed economico l’allontana come un virus. 
“Non bisogna averne paura – spiega De Rita – esistono forme legate al conflitto sociale e politico che vanno lasciate a se stesse e alla loro ordinaria dinamica”. Imbrigliandole, non si illumina la realtà sociale, anzi, la “coazione alla stabilità” è la principale responsabile della fuga degli italiani dalla politica (oltre un quarto se ne è completamente allontanato), che rimane “avvitata su se stessa”mentre agita come un mantra il tema delle riforme: “Negli ultimi dodici mesi – si legge nello studio – i governi che si sono avvicendati alla fine della scorsa Legislatura e all’inizio della nuova hanno emanato oltre 660 provvedimenti di attuazione delle riforme. Ma la quota di quelli effettivamente adottati è stata pari ad un terzo”. Una paralisi anche percettiva. 

Più si moltiplicano gli interventi a tutti i costi, più cresce la sensazione della loro insufficenza rispetto alla spirale innescata dalla crisi: “Non è con continue chiamate all’affano e proposte di rigore che si costruisce una classe dirigente. Così il cambiamento è impensabile”.

Il declino in cifre 

Ma lo studio è anche un profluvio di dati drammatici, che dipingono un paese che arranca, una società senza più ossigeno, ‘sciapa’ e infelice “dove circola troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale, disinteresse per le tematiche di governo del sistema, passiva accettazione della impressiva comunicazione di massa”

Lavoro e fuga all’estero

 Il versante peggiore è quello delle famiglie. I consumi, segnalano i ricercatori, sono tornati ai livelli di 10 anni fa, mentre una su quattro fatica a pagare tasse e bollette, complice anche la crescita di altre voci, come quella per i ticket sui farmaci, aumentata in quattro anni del 114 per cento. Cresce la quota di quante si troverebbero in difficoltà in caso di spese impreviste. E il 2013 “si chiude con la sensazione di una dilagante incertezza”. Prima fra tutte, il lavoro. Oltre ai dati sulla disoccupazione (arrivata al 20 per cento al sud), ci sono sei milioni di lavoratori che si trovano in condizione di precarietà, un quarto della forza lavoro. Crescono contratti a termine, occasionali, collaboratori e finte partite Iva. E così tra il 2011 e il 2012, l’esodo degli italiani all’estero è aumentato del 28,8 per cento.

 Il dramma scuola 

Per quanto incredibile, i ricercatori del Censis spiegano che un quarto degli italiani possiede al massimo la licenza elementare. Il dato la dice lunga sullo squilibrio demografico del paese. Pur essendo concentrate nella fascia di età più avanzata, le criticità riguardano anche i giovani: il 17 per cento ha infatti al massimo la terza media e il tasso di abbandono scolastico al primo anno delle superiori supera il 10 per cento. Dulcis in fundo, nell’ ultimo anno, solo un italiano su due ha letto almeno un libro. 

Odiati stranieri 

A fronte di “un’impresa immigrata, ormai realtà vasta e significativa nel Paese” (gli imprenditori stranieri sono ormai l’11 per cento del totale), il rapporto dipinge una società impaurita. Interpellati dai sodaggisti del Centro studi, quattro italiani su cinque si sono infatti dichiarati ostili o diffidenti nei confronti degli immigrati.

More Italians are marrying foreigners


da: http://www.thelocal.it/20131114/more-italians-are-marrying-foreigners?utm_source=outbrain&utm_campaign=Italy_Launch&utm_medium=cpc

More Italians are marrying foreigners


Marriages between Italians and foreigners are fuelling a rise in weddings in Italy, according to figures from Istat, the national statistics agency.
    In 2012, there were 30,724 weddings between an Italian and a foreigner, an increase of 4,000 from the previous year. The figure represents 15 percent of a total 207,138 marriages that place in Italy in 2012, a rise of 2,308 from 2011.
    The majority of weddings between an Italian and a foreigner took place in northern and central Italy, where one in five married couples include a foreign spouse.
    There were also more civil ceremonies in 2012 (84,841) compared to 2011 (80,341), mainly among couples getting married for the second or third time.
    But there was also a 5.7 percent rise in the number of first marriages taking place outside of the church between 2008 and 2012.
    People are also marrying later in life compared to the seventies, with the average age of a groom being 34 and 31 for a bride.
    The marriage rate has been steady declining since 1972, falling an average 1.2 percent until 2007 and 4.8 percent between that year and 2011. 
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    The Local (news@thelocal.it)



    who cares? why are people so interested in Italian ways of living? And this is no news: Italy is the center of Mediterannean sea, so guess what? We are a mixture of cultures! Welcome to know who we are! And please study a little of history!

    La BASTARDISSIMA Gestione Separata Inps!

    da: http://www.sconfini.eu/Economia/la-trappola-dei-padri-la-gestione-separata-inps.html

    Un odio intergenerazionale sempre più diffuso accompagna i ragionamenti che si possono sentire in seminari, corsi universitari, analisi sociodemografiche, discorsi da bar.

     Nell'Italia che si affaccia nel terzo millennio, la generazione dei figli ha iniziato a detestare la generazione dei padri. Perché? Cosa è successo? Qual è la radice di questo impasse generazionale, di questa incomunicabilità assoluta? La chiave di volta per comprendere il peccato originale che ha creato questo smottamento emotivo ha una data di nascita ben precisa: il 1995.

    E ha un responsabile identificabile in Lamberto Dini e nella sua riforma previdenziale.

     L'Italia lavorativa da quel momento è stata separata in due tronconi principali, con qualche sfumatura in via di esaurimento nel mezzo, che nel tempo hanno visto acuire notevolmente le proprie differenze.
     1) Chi aveva iniziato a lavorare entro il 1978 sarebbe andato in pensione con il sistema retributivo (praticamente con la paga dell'ultimo periodo lavorativo, spesso gonfiatasi a dismisura negli ultimi mesi di lavoro e pertando senza aver versato i congrui contributi) e dopo aver lavorato tra i 20 e i 35 anni (ma anche meno in caso di pensionati baby).
     2) Quelli che avevano iniziato a lavorare tra il '78 e il '95 avrebbero goduto di un sistema "misto" (dopo 30/40 anni di lavoro) tanto più favorevole tanto prima si fosse iniziato a lavorare.
     3) Quelli che iniziarono a lavorare dal 1996 in poi sarebbero ricaduti nel sistema contributivo: in pratica la pensione (dopo oltre 42 anni di contributi) corrisponderà a circa il 40% dell'ultimo stipendio.

    Si badi bene: nel migliore dei casi! Accanto a questa trappola che sarebbe scattata troppo in là per scatenare rivoluzioni di massa (che arriveranno a tempo debito, quando i responsabili saranno sotto terra), la riforma Dini inventò la Gestione Separata Inps, il fondo pensionistico riservato a lavoratori con contratti di collaborazione a progetto, titolari di borse di studio per dottorati di ricerca, lavoratori autonomi di ordini professionali senza specifiche casse previdenziali. In pratica i precari di oggi, gli schiavi moderni, che non a caso non esistevano nell'Italia prima di quegli anni.
    Essendo una gestione "nuova" che incassa miliardi di euro ogni anno e non eroga pensioni, è una cassa che è da sempre in attivo di molti miliardi. Penserete: bene, quei soldi finiranno per premiare i precari quando sarà il loro momento. Sbagliato, la Gestione Separata non erogherà che pochissime pensioni degne di questo nome perché molti precari non raggiungeranno mai i requisiti minimi per accedere alla pensione.

    Tutti questi miliardi frutto spesso di lavori degradanti, umilianti, vissuti sempre sotto il ricatto di un mancato rinnovo, senza tutele, malattia, TFR, ore di permesso, servono invece a pagare le pensioni di chi è venuto prima. Di chi sta godendo di trattamenti pensionistici immeritati, in primis i dirigenti del settore pubblico che avevano una cassa praticamente fallita (Inpdap) e che Monti ha infilato nell'Inps con tutto il suo disavanzo.

     E senza togliere loro un solo euro. Il tutto mentre l'iniziale aliquota del 19,5% a carico dei precari ha superato il 26%. Siamo quindi arrivati al corto circuito finale: i figli mantengono con lavori non dignitosi i padri e i nonnni spesso baby pensionati che a loro volta aiutano come possono i figli. Arriverà il momento in cui la catena della solidarietà si spezzerà per motivi anagrafici (leggi morte di nonni e genitori) e allora saranno guai per davvero. L'unica sacrosanta via d'uscita sarebbe una legge, anche di un solo articolo che contenga una frase simile: Viene istituito il principio dell'equa valorizzazione dei contributi previdenziali, secondo cui tutti i contributi dei lavoratori hanno lo stesso valore. Già perché quella che sembra un'ovvietà nell'Italia di oggi non lo è. I 500 euro che versa un precario valgono oggi meno dei 500 euro che versa un dipendente pubblico.

    E Stilinga pensa che le cose sono così inique ed ingiuste, che se il governo non ci mette una pezza subito, qua succede una rivoluzione!

    TEDxEQCHCH - Helena Norberg-Hodge - The Economics of Happiness

    The economics of happiness



    Economic globalization has led to a massive expansion in the scale and power of big business and banking. It has also worsened nearly every problem we face: fundamentalism and ethnic conflict; climate chaos and species extinction; financial instability and unemployment. There are personal costs too. For the majority of people on the planet, life is becoming increasingly stressful. We have less time for friends and family and we face mounting pressures at work.
    The Economics of Happiness describes a world moving simultaneously in two opposing directions. On the one hand, an unholy alliance of governments and big business continues to promote globalization and the consolidation of corporate power. At the same time, people all over the world are resisting those policies, demanding a re-regulation of trade and finance—and, far from the old institutions of power, they’re starting to forge a very different future. Communities are coming together to re-build more human scale, ecological economies based on a new paradigm – an economics oflocalization.
    The film shows how globalization breeds cultural self-rejection, competition and divisiveness; how it structurally promotes the growth of slums and urban sprawl; how it is decimating democracy. We learn about the obscene waste that results from trade for the sake of trade: apples sent from the UK to South Africa to be washed and waxed, then shipped back to British supermarkets; tuna caught off the coast of America, flown to Japan to be processed, then flown back to the US. We hear about the suicides of Indian farmers; about the demise of land-based cultures in every corner of the world.
    The second half of The Economics of Happiness provides not only inspiration, but practical solutions. Arguing that economic localization is a strategic solution multiplier that can solve our most serious problems, the film spells out the policy changes needed to enable local businesses to survive and prosper. We are introduced to community initiatives that are moving the localization agenda forward, including urban gardens in Detroit, Michigan and the Transition Town movement in Totnes, UK. We see the benefits of an expanding local food movement that is restoring biological diversity, communities and local economies worldwide. And we are introduced to Via Campesina, the largest social movement in the world, with more than 400 million members.
    We hear from a chorus of voices from six continents, including Vandana Shiva, Bill McKibben, David Korten, Samdhong Rinpoche, Helena Norberg-Hodge, Michael Shuman, Zac Goldsmith and Keibo Oiwa. They tell us that climate change and peak oil give us little choice: we need to localize, to bring the economy home. The good news is that as we move in this direction we will begin not only to heal the earth but also to restore our own sense of well-being. The Economics of Happiness challenges us to restore our faith in humanity, challenges us to believe that it is possible to build a better world.

    La crisi non esiste per gli euroburocrati!

    ‘Quale crisi?’. Se l’Europa nega l’emergenza per salvare la casta

    La crisi c’è, la crisi non c’è. Quando la Commissione europea deve discutere con i Paesi membri, a cominciare dall’Italia, le misure di rigore, è perfettamente consapevole della gravità del momento. Ma quando si tratta di proteggere gli stipendi dei suoi funzionari, l’esecutivo europeo di José Barroso arriva a scrivere in documenti ufficiali che in Europa non c’è alcun “deterioramento grave e improvviso della situazione economica e sociale”.

    I guardiani dell’austerità diventano incredibilmente ottimisti per difendere i salari di Bruxelles dal Consiglio europeo, l’organo che riunisce i capi di governo dei Paesi membri. La storia è ricostruita nella sentenza della Corte di Giustizia europea relativa alla causa C-63/12, del 19 novembre scorso. La Commissione, affiancata dal Parlamento europeo, aveva presentato un ricorso contro il Consiglio sostenuto alcuni Paesi (Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Spagna, Olanda e Gran Bretagna). Secondo il trattato sul Funzionamento dell’Unione, ogni anno il Consiglio decide “prima della fine di ogni anno in merito all’adeguamento delle retribuzioni e delle pensioni proposto dalla Commissione”. Nel dicembre 2010 il Consiglio ha deciso di far scattare la “clausola di eccezione”, ha ritenuto cioè che l’Europa fosse di fronte a un “deterioramento grave e improvviso della situazione economica e sociale all’interno dell’Unione”. E quindi ha chiesto alla Commissione di presentare “adeguate proposte”. Tradotto: visto che c’è la crisi in tutto il continente e si annunciano anni terribili, gli euro-burocrati diano il loro esempio riducendosi lo stipendio.
    Il 13 luglio del 2011 la Commissione di Barroso presenta una relazione in cui “gli indicatori mostravano che nell’Unione la ripresa economica continuava a progredire” e quindi “non vi era un deterioramento grave e improvviso della situazione economica e sociale all’interno dell’Unione nel periodo di riferimento tra il primo luglio 2010, data di effetto dell’ultimo adeguamento annuale delle retribuzioni, e la metà di maggio 2011, momento in cui sono stati resi disponibili i dati più aggiornati, si legge nella sentenza”. Niente crisi, niente tagli.
    Eppure l’estate 2011 era quella in cui l’Italia era a un passo dal default, con la Banca centrale europea costretta a comprare Btp perché nessuno li voleva più, la Grecia era sprofondata nel baratro, il Portogallo e l’Irlanda avevano già firmato per avere gli aiuti di emergenza e le riforme traumatiche della troika, e l’esistenza stessa della moneta unica, e dunque di tutta l’Unione, cominciava a sembrare non scontata. La Commissione, nel suo contenzioso giuridico con il Consiglio, ammette i numeri “evidenziano un peggioramento per il 2011 rispetto alle previsioni pubblicate in primavera”, ma non c’è alcuna emergenza che faccia scattare la clausola di eccezione. La battaglia davanti alla Corte di Giustizia si sviluppa in un labirinto di dettagli procedurali, maggioranze qualificate e cavilli bruxellesi, si aggiungono due ulteriori ricorsi, con altri Paesi coinvolti. La Corte boccia i ricorsi della Commissione e la condanna a pagare le spese, ma non si pronuncia nel merito. Gli stipendi dei funzionari di Bruxelles sembrano rimanere al riparo dai tagli. Eppure, anche solo come misura simbolica, potrebbero subire una limatura senza traumi per gli interessati.
    Secondo il sito della Commissione, i funzionari hanno un salario d’ingresso da 2.300 euro al mese, ma dopo quattro anni possono arrivare a 16.000 cui si aggiungono varie voci (come un’indennità di dislocazione del 16 per cento per chi lavora lontano dal Paese d’origine, cioè quasi tutti), poi assegni per i figli a carico, una “indennità scolastica” e una prescolastica e così via. Vanno in pensione a 63 anni con la pensione di anzianità, ma possono ottenere un prepensionamento a 55 anni o decidere di rimanere in servizio fino a 67. E la pensione è calcolata, ovviamente, con il sistema retributivo, può arrivare al 70 per cento dell’ultimo stipendio base. Trattamenti così generosi non li avevano neppure in Grecia prima della troika. 
    Ma ogni sacrificio è vietato, la crisi non esiste, per la Commissione.

    E Stilinga si chiede: ma a che serve la UE? agli euroburocrati! Sarebbe sano mandarli a casa ed eleggere politici europei che lavorino come volontari non stipendiati! Vediamo poi se la crisi c'è oppure no!
    Questa UE fatta così male è una iattura. Meglio sgonfiarla e rifarla che continuare con questa macchina spremisoldi! Necessitiamo di vera Europa! E che cribbio!

    L'Italia ha il tasso di contributi previdenziali più alti nell'area Ocse, dopo l'Ungheria.

    Ocse, in Italia salari più bassi della media. Record per contributi previdenziali. I precari di oggi saranno i poveri di domani
    inps personell tasso di contributi è al 33% del reddito lordo, alle spalle della sola Ungheria, e pesa sul datore di lavoro per 23,8 punti. Il tasso di sostituzione è al 71,2%, tra i più generosi. In media, i trasferimenti complessivi per pensionato sono di 335mila euro per gli uomini e 382mila per le donne, tra i più generosi. Rischio difficoltà economiche per chi entra ora nel mercato del lavoro. I salari sotto la media. L'Italia ha il tasso di contributi previdenziali più alti nell'area Ocse, dopo l'Ungheria. Ma le cose sono cambiate rapidamente e gli attuali precari rischiano di pagar caro i privilegi del passato e ritrovarsi in netta difficoltà quando sarà il loro turno di uscire dal mondo del lavoro. E' quanto emerge dallo studio "Pensions at a glance" diffuso oggi dall'Organizzazione parigina, che mette in luce anche come i salari italiani sono al di sotto della media Ocse.
    In media in Italia nel 2012 un lavoratore percepisce 28.900 euro, pari a 38.100 dolari, al di sotto dei 42.700 dollari medi dell'Ocse, sui quali pesano i 94.900 dollari degli svizzeri, i 91 mila dollari dei norvegesi, i 76.400 dollari degli australiani, i 59 mila dollari dei tedeschi e i 58.300 dollari degli inglesi, superiore ai 47.600 dollari degli statunitensi. Ai livelli più bassi i messicani con 7.300 dollari e i 12.500 dollari degli ungheresi.
    Pensioni d'oro. Il tasso italiano nel 2012 era infatti pari al 33% del reddito lordo, in aumento dal 28,3% del 1994, contro una media Ocse del 19,6%. Solo l'Ungheria, con il 34% ha un tasso più elevato e la media Ocse è pari al 19,6%. I contributi sono a carico per 9,2 punti del lavoratore e per 23,8 del datore di lavoro. Attualmente il tasso di sostituzione lorda delle pensioni rispetto al reddito in Italia è pari al 71,2%, contro il 57,9% medio Ocse, ed è l'ottavo più generoso tra i Paesi industrializzati. Il tasso netto è
    dell'82% contro una media del 69,1%.

    Come già segnalato dall'Ocse, per altro, il salario medio in Italia è di 28.900 euro, tra i più bassi dell'area, inferiore alla media che è pari a 32.400 euro.

    Il flusso lordo di ricchezza pensionistica (ovvero quello che viene ricevuto complessivamente negli anni della pensione) è pari a 11,9 volte il salario medio annuale per gli uomini e a 13,7 volte per le donne, di riflesso alla maggiore attesa di vita, contro medie Ocse di 9,3 e 10,6 volte rispettivamente.
    A livello armonizzato, la ricchezza pensionistica in Italia, ovvero il valore corrente dei trasferimenti complessivi promessi a un singolo pensionato in base all'attuale sistema, ponderato sulla base delle attese di vita e delle indicizzazioni, ammonta in media a 454mila dollari per gli uomini (circa 335mila euro al cambio attuale) e a 518mila dollari per le donne (382mila euro), contro 423mila e 483mila Ocse. I pensionati più ricchi stanno in Lussemburgo e in Olanda, dove la ricchezza media supera il milione di dollari, ma anche in Svizzera e Danimarca, dove si avvicina al milione di dollari. I pensionati che più devono tirare la cinghia sono in Messico (42mila dollari) e in Polonia (88mila).
    Pensioni, la spesa più alta in Liguria
    Le riforme e il sistema in sicurezza. "Con una spesa pubblica per pensioni di vecchiaia e superstiti pari a 15.4% del reddito nazionale (rispetto a una media Ocse del 7,8 %), l'Italia aveva nel 2009 il sistema pensionistico più costoso. Ma con la riforma globale del sistema pensionistico adottata nel dicembre 2011, l'Italia ha realizzato un passo importante per garantirne la sostenibilità finanziaria", dice l'Organizzazione pensando alla Fornero. "L'aumento dell'età pensionabile", ammoniscono però gli economisti, "non è sufficiente per garantire che le persone rimangano sul mercato del lavoro, soprattutto se esistono meccanismi che consentono ai lavoratori di lasciare il mercato del lavoro in anticipo". In Italia, per altro, resta "relativamente bassa" l'età effettiva alla quale uomini e donne lasciano il mercato del lavoro: 61,1 anni per gli uomini e 60,5 per le donne, contro una media Ocse di 64,2 e 63,1 anni.
    Precario oggi, povero domani. A valle di questi dati che figurano un sistema generoso, sempre l'Ocse sottolinea poi che "l'adeguatezza dei redditi pensionistici potrà essere un problema" per le generazioni future, e "i lavoratori con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti sono più vulnerabili al rischio di povertà" durante la vecchiaia". Ciò si accompagna all'accusa verso il "metodo contributivo" e l'assenza di pensioni sociali. L'Organizzazione prende atto del fatto che chi entra oggi nel mercato del lavoro dovrà aspettarsi una pensione più bassa rispetto agli standard attuali, con un autentico rischio povertà per i precari. "Lavorare più a lungo potrebbe aiutare a compensare parte delle riduzioni", si legge nel rapporto, "ma, in generale, ogni anno di contributi produce benefici inferiori rispetto al periodo precedente tali riforme", sebbene "la maggior parte dei paesi abbia protetto dai tagli i redditi più bassi".
    Anziani protetti. Dal rapporto emerge anche che il tasso di povertà tra gli anziani italiani è in calo, anche se la rilevazione si ferma agli albori della crisi economica. Nel 2010 gli over 65 poveri sono l'11%, contro il 14,5% del 2007 e contro il 13% del tasso di povertà medio nazionale. Nei paesi Ocse il tasso di povertà degli over 65 è del 12,8% nel 2010, contro il 15,1% del 2007 e l'11,3% del tasso di povertà medio. L'11% dell'Italia è in linea con quello del Belgio, il 10,5% della Germania e peggio del 5,2% della Francia.
    da Repubblica – 26 novembre 2013

    E Stilinga pensa che 'sti politici debbano cacciare Mastrapasqua che ricopre 60 incarichi e lo sostituiscano con una dirigente donna, capace e aperta a raddrizzare le storture allucinanti in cui l'Inps versa e con lei la povera patria.