L'allarme ecologico di Goletta Verde: "Scarichi inquinanti ogni 57 km di costa"

 da: http://www.repubblica.it/ambiente/2013/08/14/news/l_allarme_ecologico_di_goletta_verde_scarichi_inquinanti_ogni_57_km_di_costa-64767524/?ref=HREC2-5

ROMA - C'è ancora troppa "maladepurazione" in Italia: questa la conclusione del viaggio compiuto da Goletta Verde di Legambiente che per due mesi ha circumnavigato lo Stivale, compiendo 34 tappe. Sono 130 i campioni risultati inquinati dalla presenza di scarichi fognari non depurati - uno ogni 57 km di costa - sul totale delle 263 analisi microbiologiche effettuate. In pratica quasi il 50% dei punti monitorati lungo i 7.412,6 km di territori costieri toccati dall'imbarcazione ambientalista. E di questi campionamenti risultati oltre i limiti di legge ben 104 (l'80%) hanno avuto un giudizio di fortemente inquinato, cioè con concentrazione di batteri di origine fecale pari ad almeno il doppio di quanto consentito. Seguendo questo link si può accedere ai dati della ricerca di Legambiente.

Il 90% dei punti inquinati sono stati prelevati alle foci di fiumi, torrenti, canali, fiumare, fossi o nei pressi di scarichi di depuratori malfunzionanti, che si confermano i nemici numero uno del nostro mare. Nessuna regione - fa notare il rapporto, presentato alla stampa da Legambiente e dal partner Coou (Consorzio obbligatorio degli oli usati) - è risultata indenne dall'attacco della mala depurazione. Dei 130 risultati oltre i limiti, 19 sono in Campania, 17 in Puglia, Calabria, Lazio, 12 in Sicilia, 11 in Liguria. Ma nelle regioni del Mezzogiorno al danno ambientale si somma quello economico: "Si rischia di perdere ben 1,7 miliardi di euro dei fondi Cipe destinati alla costruzione e all'adeguamento degli impianti che sono in scadenza a dicembre - ha fatto notare Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente - come se non bastasse, inoltre, ci prepariamo anche a far pagare ai cittadini italiani multe milionarie da parte dell'Unione europea per l'incapacità di gestire il ciclo delle acque reflue. Soldi che invece potrebbero essere investiti per aprire nuovi cantieri per la depurazione. Realizzare sistemi efficienti e moderni - aggiunge Zampetti - deve trasformarsi in una priorità nell'agenda politica italiana. E' l'ennesima vergogna che questo Paese non merita. Non si tratta più soltanto di difendere fiumi e mari, vera grande risorsa di questa nazione, ma ne va dell'intera economia nazionale, buona parte della quale è basata sul turismo".

Il mancato o inadeguato trattamento dei reflui fognari - spiega lo studio - riguarda ancora 24 milioni di abitanti, che scaricano direttamente in mare o indirettamente attraverso fiumi e canali utilizzati come vere e proprie fognature. La criticità non riguarda soltanto i comuni costieri, ma anche quelli dell'entroterra, per la cronica carenza di impianti e l'apporto del carico inquinante dei reflui che non sono adeguatamente trattati dagli impianti in attività, perchè obsoleti o malfunzionanti. 

Il monitoraggio di Goletta Verde ha rilevato inoltre che "molto spesso foci di torrenti e fiumi vengono fruiti da bagnanti ai quali ancora non viene garantita una corretta informazione. Sul totale delle foci e dei canali risultati inquinati e fortemente inquinati il 40% viene dichiarato balneabile dal Portale della Acque del Ministero della Salute. Il 35% dei punti presi in analisi, inoltre, risultano del tutto non campionati dalle autorità preposte anche se spesso questi tratti, pur trovandosi in corrispondenza di foci e canali, sono comunque frequentati da bagnanti". Motivo per cui - sostiene Legambiente - è imperativo che le autorità introducano o intensifichino i controlli anche in prossimità di queste possibili fonti di inquinamento. Invece, dei tratti di mare definiti dal Portale come non balneabili per motivi di inquinamento, mancano nel 18% dei casi i cartelli di divieto di balneazione.

PENSIONI D’ORO, È L’ORA DELLA TRASPARENZA (Tito Boeri)

PENSIONI D’ORO, È L’ORA DELLA TRASPARENZA (Tito Boeri)

Non sappiamo cosa abbia spinto il sottosegretario Carlo Dell’Aringa a pubblicare l’elenco delle dieci pensioni più generose erogate dall’Inps. Non crediamo che il suo intento fosse quello di alimentare l’invidia.
 Dopo una lunga stagnazione e due pesanti recessioni intervenute a pochi mesi di distanza l’una dall’altra, dopo che le disuguaglianze nei redditi, già alte in rapporto al resto d’Europa, sono aumentate di un ulteriore 10 per cento, l’invidia è un sentimento molto diffuso nel nostro Paese. Non c’è alcun bisogno di alimentarlo. 
Quei tre milioni e più di disoccupati che vivono in Italia ovviamente invidiano chi un lavoro ce l’ha. E come non capire cosa prova chi riceve una pensione sociale di 442 euro al mese apprendendo che c’è chi ottiene quella cifra dall’Inps ad ogni ora del giorno che scocca, beneficiando di una pensione più di 200 volte superiore alla propria?
Speriamo allora che il vero intento del ministero del Lavoro e delle politiche sociali sia quello di preparare il terreno all’introduzione nella Legge di Stabilità, che verrà presentata da qui a poche settimane, di un qualche taglio (o prelievo) sulle pensioni d’oro. Del resto era stato proprio il neo ministro Giovannini, a pochi giorni dal suo insediamento, a fare riferimento a interventi sulle pensioni che «non porterebbero molti soldi, ma sarebbero una misura di giustizia sociale».
Se questo è dunque l’obiettivo del governo, ci permettiamo di suggerire a Dell’Aringa di rendere pubblico al più presto quanto i beneficiari di questi mega assegni hanno versato nel corso della loro intera carriera lavorativa. In altre parole, bisogna rendere noti non solo i livelli delle pensioni d’oro, ma anche i rendimenti impliciti che sono stati concessi dal sistema previdenziale pubblico ai contributi versati dai pensionati d’oro e dai loro datori di lavoro.
Servirà questa informazione innanzitutto per evitare possibili censure della Consulta in nome della violazione di “diritti acquisiti”. 

Se non si rendono pubbliche queste informazioni sarà sempre possibile sostenere che, dopotutto, i beneficiari di queste prestazioni milionarie se le sono pagate coi loro contributi in anni di lavoro. Ad esempio Federico de Rosa sul Corriere della Sera del 9 agosto scrive che Mauro Sentinelli, colui che guida la classifica dei top ten, “oggi incassa grosso modo lo stesso che percepiva da direttore generale di Telecom Italia”. Non sappiamo nulla della carriera di Sentinelli, ma la domanda da porsi non è quanto fosse il suo stipendio sul finire della carriera. Ciò che conta è quanto l’ex manager di Telecom ha effettivamente versato all’Inps durante la sua vita per meritarsi una pensione che, a 57 anni, quando è andato in pensione, valeva complessivamente quasi 20 milioni. È come se lo Stato italiano lo avesse reso proprietario di un immobile del valore di un quinto di Villa Belvedere a Macherio. Ogni pensione calcolata in Italia con un metodo diverso da quello contributivo, quello che oggi viene praticato a tutti i contributi versati dai lavoratori italiani, attribuisce prestazioni superiori ai contributi versati in termini attuariali, attribuisce prestazioni superiori a quanto pagato o accantonato. E il sospetto è poi che non pochi dei pensionati d’oro abbiano potuto fruire di regalie molto generose fatte per ragioni di consenso elettorale soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, scaricandone i costi sui contribuenti futuri.

Ricordiamoci che ai lavoratori autonomi negli anni di esplosione del debito pubblico era stato concesso di andare in pensione con le regole del metodo retributivo, quelle che consentivano allora versando i contributi negli ultimi tre anni di una carriera di ottenere poi pensioni del 70%-80% dell’ultimo reddito dichiarato.
E a molti lavoratori dipendenti prima della riforma Amato venivano aumentati i salari negli ultimi anni in modo tale da permettere loro di ricevere una pensione più alta, perché parametrata alle retribuzioni degli ultimi 5 anni. Altro che pensioni maturate coi sacrifici di una vita e su cui si era a lungo pianificato! In casi come questi si tratta di “regali acquisiti” poco prima di andare in pensione. Questi regali insostenibili hanno poi obbligato governi successivi a mutare più volte le regole previdenziali, riducendo la generosità delle prestazioni a chi aveva versato i propri contributi contando poi di ricevere pensioni più pesanti. Non sono anche questi, soprattutto questi, “diritti acquisiti”? E se questo è il fondamento di molte pensioni d’oro, perché è in linea coi principi costituzionali chiedere di più a “chi ha di più” come fa il nostro sistema tributario, ma non lo è chiedere di più a “chi ha avuto di più”, togliendo ad altri “diritti acquisiti”?
I dati sui rendimenti impliciti servirebbero anche a meglio calibrare gli interventi perequativi. Ad esempio, si dovrebbe ridurre l’ammontare delle quiescenze a chi soddisfa due criteri: il primo è quello di ricevere un ammontare totale di pensioni (ci sono molte persone che percepiscono più di una pensione) al di sopra di una certa soglia; il secondo è quello di ottenere questo reddito prevalentemente da una pensione il cui rendimento implicito è molto elevato. 
Il primo criterio (quello che guarda all’ammontare complessivo delle pensioni) serve a tutelare il principio di equità redistributiva, sostenendo nella vecchiaia chi non ha accumulato abbastanza contributi. 
Il secondo criterio (quello che guarda alle pensioni in rapporto ai contributi versati) tutela l’equità intergenerazionale, chiedendo qualche sacrificio in più a chi ha avuto troppo dalle vecchie regole del sistema pensionistico
I risparmi così ottenuti potrebbero essere utilizzati per dotare il nostro paese di quegli strumenti di contrasto alla povertà assoluta che, unici in Europa assieme alla Grecia, tuttora non abbiamo. Alcune simulazioni svolte con Tommaso Nannicini (e raccolte sul sito lavoce. info) ci portano a pensare che tagli anche esigui (attorno al 2 per cento delle quiescenze che soddisfino i due criteri di cui sopra) sarebbero sufficienti a finanziare un reddito minimo garantito se non per tutti, almeno per quelle fasce di età che sono state particolarmente colpite dalla crisi, come le generazioni coinvolte nella vicenda esodati o quelle travolte dall’esplosione della disoccupazione giovanile.

Pubblicare i rendimenti impliciti di ogni prestazione oggi erogata dal sistema pubblico rispetto ai contributi versati sarebbe una vera operazione di trasparenza sulle iniquità del nostro sistema previdenziale. Servirebbe anche a rafforzare conoscenze finanziarie di base per chi deve costruirsi il proprio futuro previdenziale.

Capire cosa ci può attendere dal sistema pubblico rispetto a quanto accaduto ai propri genitori è importante per permettere alle nuove generazioni di trovare correttivi, ad esempio spingendo chi può farlo a costruirsi forme previdenziali integrative. A proposito: è davvero fondamentale permettere a chi oggi si trova a meno di 5 anni dal raggiungimento dell’età di pensionamento obbligatoria di poter riscattare i contributi versati ai fondi pensione in caso di perdurante disoccupazione. 
Assurdo che molti esodati non possano oggi farlo nonostante il dramma che stanno vivendo. 
Mi chiedo come si possa pensare di sostenere in Italia il decollo dei fondi pensione mantenendo in piedi una restrizione di questo tipo. 
E come sia possibile impedire di tagliare le pensioni d’oro per aiutare i lavoratori esodati, in nome dei “diritti acquisiti”. 
Ma di quali diritti stiamo parlando al cospetto di persone che hanno visto allontanarsi la pensione e accorciarsi il periodo di fruizione dei trattamenti di mobilità?
Da La Repubblica del 13/08/2013

Pensioni d’oro, “Intoccabili anche se arrivano a 90mila euro al mese”

Pensioni d’oro, “Intoccabili anche se arrivano a 90mila euro al mese”

Il ministro Giovannini presenta la classifica dei dieci assegni più ricchi, ma ammette: "Non passiamo tagliarle". Sacrificando 7 miliardi di euro di risparmi.


L’ammissione del ministro lascia l’amaro in bocca. Anche in caso di pensioni da 90mila euro al mese, come quella che l’Inps corrisponde a Mario Sentinelli, ex dirigente Telecom, il governo non può intervenire con contributi di solidarietà ad hoc. Non si può far niente, come ha ribadito recentemente la stessa Corte costituzionale. Enrico Giovannini ha risposto a un’interrogazione della deputata Pdl, Deborah Bergamini, esibendo la classifica delle prime dieci “pensioni d’oro” erogate dall’Inps. La più ricca è di 91.337,18 euro lordi al mese, la seconda “si ferma” a 66.436 mila euro mensili, la terza sfiora i 52mila fino alla decima che è di 41.707,54.
Nel suo testo Giovannini ha osservato che “misure volte in modo diretto ed immediato a ridurre l’ammontare delle pensioni in godimento“, avrebbero potuto incorrere in “profili di l’incostituzionalità”. Il riferimento più evidente è alla sentenza n. 116/2013 con cui “la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del contributo di perequazione sulle pensioni di importo superiore a 90.000 euro”. Un orientamento “che non può in alcun modo essere sottovalutato” aggiunge il ministro. L’affermazione, di stampo istituzionale, si scontra però con la sostanza dei numeri evidenziati nella classifica che suona come uno schiaffo per i circa 4 milioni di pensionati al minimo (500 euro al mese) e a tutti coloro che vivono con meno di mille euro al mese.
Il pensionato più ricco d’Italia verosimilmente – il ministero, per rispetto della privacy, non ha reso pubblici i nomi – è Mauro Sentinelli, come riportato nel 2011 nel libro di Mario Giordano,Sanguisughe. In quel volume è possibile desumere anche qualcun altro dei nomi in classifica, come Vito Gamberale. I due provengono entrambi dalla telefonia. Sentinelli in realtà fa ancora parte del consiglio di amministrazione Telecom dove beneficia di altri compensi: 110mila euro annui per far parte del cda, 35mila per il comitato esecutivo e 45mila per il comitato controllo e rischi. Totale: 190mila euro che aggiunge alla pensione. Gamberale, invece, è l’amministratore delegato delFondo F2i controllato dalla Cassa depositi e prestiti. Dove percepisce un lauto compenso. L’Italia dei doppi stipendi e delle pensioni d’oro è fatta di queste cose.
Era stato l’Espresso a scoprire come ha fatto Sentinelli a ottenere un assegno così generoso: “Ha pagato i contributi al fondo telefonici dell’Inps sulla retribuzione base ma poi è entrato nel ‘fondo generale’ ed è andato in pensione calcolando l’assegno su tutte le voci della busta paga, benefit e stock option comprese”.
 La pensione, dunque, è molto superiore ai contributi versati ed è una delle ragioni per cui l’Inps soffre di alcuni deficit. 
Se il fondo dei “lavoratori dipendenti”, infatti, è in equilibrio, quelli dei “telefonici”, degli “elettricisti”, dei “ferrovieri” o dei “dirigenti d’azienda” soffrono un deficit più che cronico.
Nella sua risposta Giovannini ha garantito che il passaggio al sistema contributivo permetterà di superare queste disparità. 
Che però esistono. Nella fascia di pensioni superiori ai 4.000 euro lordi mensili ci sono 104.793 persone.
Secondo Beppe Grillo con un tetto alle pensioni collocato a 5.000 euro al mese si potrebbe ricavare un risparmio di 7 miliardi annui. Cifre analoghe le ha stimate anche il Cobas dell’Inpdap. Calcoli complicati ma non impossibili. Certamente meno difficili che continuare a vedere una pensione da 33.700 euro al mese come quella di Cesare Geronzi o i 31mila euro del più noto Giuliano Amato.
Dal Fatto Quotidiano dell’8 agosto 2013