Berlusconi e le elezioni 2013

Pare che Berlusconi abbia deciso (ma per Stilinga era un dato di fatto) di riscendere in campo per le elezioni italiane 2013: Stilinga auspica che Berlusconi scenda sì in campo, ma per ZAPPARE!

E vediamo se almeno questa attività lo ritempri e soprattutto gli riesca, visto che come imprenditore è assai lacunoso, sempre intrigato, sempre a prendere i soldi di altre organizzazioni, sempre a salvare le sue televisioni con la "discesa" in campo...  e che noia!

Noi ci auguriamo, anzi, gli auguriamo davvero che questa sia la volta buona per il campo agricolo!

In fondo, se le sue televisioni vanno male, ci sarà una ragione: forse i programmi inguardabili? forse la  programmazione del cavolo (e riecco l'ambito agricolo)? forse la sottovalutazione del pubblico?

Ma invece di scendere in campo, se il cavaliere si occupasse direttamente di creare programmi, programmazioni, televisioni competitive in un mercato davvero libero e ci dimostrasse di esserne davvero capace, può darsi che allora Silviotto si sentirebbe davvero virile e non dovrebbe  mantenere l'orda delle Olgettine, sarebbe finalmente soddisfatto di sè! e tanto meno ce le rifilerebbe a destra e a manca, dalla politica ai media.

Dai Silvio impegnati! vai a lavorare!

Ior, la banca più amata da Monti

 Marco Politi in “il Fatto Quotidiano” del 6 luglio 2012.
Lo Ior non passa ancora l’esame delle autorita? finanziarie europee. Dietro gli annunci ottimisti del Vaticano, secondo cui si è “sulla buona strada”, rimane il fatto che su 16 requisiti cruciali elencati lo Ior rimane inadempiente per 7.

Dice il viceministro degli Esteri vaticano, mons. Ettore Ballestrero, recatosi personalmente a Strasburgo a dimostrazione del bruciante interesse della Santa Sede a far parte della “Lista bianca”
degli Stati affidabili in tema di riciclaggio, che entrare nel sistema Moneyval richiede la necessita? di “apprendere in breve tempo il linguaggio, le regole, le tecniche di un sistema complesso”.

Un prelato qual è mons. Ballestrero non ha bisogno per la sua missione di padroneggiare le sottigliezze del sistema bancario. Sarebbe ridicolo, invece, affermare che il direttore dello Ior, Paolo Cipriani, si sia trovato improvvisamente impreparato, come Alice nel paese delle meraviglie, dinanzi alle regole di trasparenza, che Moneyval esige. Cipriani proviene dal Banco di Santo Spirito e dalla Banca di Roma, è stato rappresentante di questi istituti a New York e a Londra: il massimo della finanza mondiale.

PUO' SPIEGARE allora perchè a un anno e mezzo dal decreto di Benedetto XVI – che impegnava lo Ior a una totale trasparenza – la banca vaticana non si è messa ancora al passo con le regole internazionali? 
Una settimana fa, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Lombardi, si era sforzato di aprire una breccia nei misteri dello Ior, organizzando un briefing nella sede dell’istituto. Cipriani non ha avuto il coraggio di accettare il gioco delle libere domande dei giornalisti e fino a quando non lo farà, i discorsi più belli rimarranno a metà strada.
 Perchè nelle democrazie occidentali funziona così: si risponde senza rete all’opinione pubblica.

La cosa più sconcertante nelle ultime vicende riguardanti lo Ior riguarda tuttavia la notizia – pubblicata ieri dal solo Fatto Quotidiano – che il governo italiano ha imbavagliato la delegazione dei funzionari della squadra antiriciclaggio della Banca d’Italia, impedendo loro di esprimere le proprie valutazioni professionali sulla condotta tenuta sinora dalla banca vaticana.

Va detto in proposito che a tutt’oggi, i dirigenti dello Ior non hanno ancora fornito dati precisi su che fine abbiano fatto i celebri (e spesso opachi) conti correnti presso l’istituto dei cosiddetti “laici esterni”, cioè di quelle persone che non appartengono assolutamente alla lista rigorosa di persone abilitate ad averne uno. 
Conti esterni di cui il faccendiere Bisignani è figura simbolica, ma non l’unica.

Non importa qui indagare attraverso quali canali contorti si sia espresso il veto. Contano i fatti. Il direttore dell’Unità di Informazione Finanziaria (Uif) della Banca d’Italia, Giovanni Castaldi, ha ritirato i suoi due delegati dalla riunione di Strasburgo perchè impossibilitato a fare il proprio dovere.
 E' evidente che in un consesso internazionale – a una scadenza cruciale per Oltretevere – il governo Monti ha voluto fare un favore macroscopico alla Santa Sede, privo di qualsiasi motivazione (diciamo così) professionale. 
E' un episodio che fa cadere le braccia specialmente a coloro che hanno sempre provato stima per il “tecnico” Monti e il suo stile da gentiluomo. 
All’assemblea Moneyval di Strasburgo proprio il governo tecnico italiano si è comportato da politicante, impedendo ai “tecnici” della Banca d’Italia di dare il proprio giudizio su ciò che manca allo Ior per presentarsi pulito sulla scena europea. 
Da chi è stato commissario Ue per il mercato interno e per la concorrenza, da un liberale per il quale la pulizia e le regole del sistema finanziario dovrebbero essere la stella polare, questo “sopire… troncare… sopire” era lecito non aspettarselo.

L’INCIDENTE non è peraltro isolato. 
E' la terza volta che il governo Monti, abituato a usare il guanto ruvido con i ceti popolari, i pensionati e gli operai, fa dei favori incomprensibili e inaccettabili al Vaticano nel momento in cui tutti sono chiamati – e tanti cittadini ci credono anche – a stringere la cinghia per risollevare le sorti dell’Italia.

Implacabile nel chiedere a ogni padre di famiglia di pagare gli aumenti Imu sull’unghia nel 2012, Monti ha disposto che gli enti ecclesiastici (evasori da anni) la paghino soltanto nel 2013.
 
Non esiste uno straccio di ragione economica che giustifichi questo privilegio.
Ancora: mentre gli italiani redigevano la loro dichiarazione dei redditi, Monti si è rifiutato di indicare la destinazione della quota dell’8 per mille, che va allo Stato per “iniziative umanitarie”. Avrebbe potuto dire che andava ai terremotati dell’Emilia. Non lo ha fatto. Il governo ha taciuto, perchè è noto che il Vaticano esige che non vi sia pubblicità “concorrente” quando si tratta dell’8 per mille.

Lo scandalo di Strasburgo si inserisce in una linea di per sè inquietante.
Laicità non significa denigrare la religione. 
Laicità significa che nessuna confessione può imporre i propri interessi alla comunità nazionale. Laicità significa la regola aurea del costituzionalismo americano: nessun comportamento dello Stato per “ostacolare o favorire una religione”. 
Questa laicità gli italiani hanno il diritto di pretenderla dal liberale cattolico Monti.

E visto che si parla di spending review, gli italiani hanno il diritto di pretendere anche dal premier di attivare la commissione bilaterale italo-vaticana per rivedere il gettito dell’8 per mille, molto ma molto superiore a quelli che sono i bisogni reali della struttura della Chiesa in rapporto agli anni Ottanta (quando c’erano assai piu? preti).

Aledanno e Piazza San Silvestro...no words!

Piazza San Silvestro a Roma è impraticabile per i non vedenti:

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/07/06/percorso-vedenti-funziona-lunione-italiana-ciechi-passa-allincasso/200991/

e Stilinga si chiede: ma quando ne combinerà una giusta il sindaco de Roma Capitale dello scempio italico?

Riforma del lavoro, Ranci : "I veri perdenti sono ancora una volta le partite Iva"

Riforma del lavoro, Ranci : "I veri perdenti sono ancora una volta le partite Iva" di Michael Pontrelli.

Da  http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/12/06/intervista_ranci_partite_iva.html

Una indagine condotta da Costanzo Ranci, sociologo economico del Politecnico di Milano, ha messo in evidenza che in Italia il numero delle partite Iva individuali è pari a 5,7 milioni.

Un esercito di lavoratori di cui si parla relativamente poco se non per mettere in evidenza che si tratta di un’area caratterizzata da una forte evasione fiscale.

La realtà fatta emergere da Ranci nella sua analisi è invece molto più complessa.
Affianco ad un ristretto numero di imprenditori e liberi professionisti benestanti e privilegiati esiste un grandissimo numero di lavoratori che vivono sulla soglia della povertà e che soffrono più di qualsiasi altra categoria professionale gli effetti della crisi economica in corso.

La riforma del lavoro del governo Monti, nonostante le intenzioni sbandierate dal ministro al Welfare Elsa Fornero, anziché aiutare le partite Iva rende loro la vita ancora più difficile e stimola la tendenza al sommerso che paradossalmente lo Stato vuole combattere.

Abbiamo parlato di questi aspetti con l’autore dell’indagine.


Professore, iniziamo dalla composizione di questo esercito di lavoratori autonomi. Chi sono?

“La categoria è cambiata nel tempo. Mentre fino agli anni ’90 la metà delle partite Iva era costituita da commercianti e artigiani con bassa qualificazione oggi questa parte rappresenta solamente un terzo del totale mentre per il 50% dei casi si tratta di professionisti laureati”.
In quali settori professionali sono particolarmente diffuse?

“Si sono affermate nei servizi avanzati più recenti come il settore informatico, la grafica e la comunicazione, la consulenza, l'intermediazione finanziaria e immobiliare".

Sono persone che hanno deciso di aprire una partita Iva perché non sono riuscite a trovare un lavoro dipendente o perché hanno voluto fare questa scelta?

“Nella maggioranza dei casi si tratta di persone che hanno una vocazione precisa per il lavoro autonomo. Perciò direi che si tratta di una scelta voluta soprattutto tra le giovani generazioni. Inoltre, a differenza del passato, la crisi delle aziende non sta alimentando la nascita di nuovi lavoratori autonomi. Questo processo si è verificato in Italia nelle crisi economiche precedenti, soprattutto al Nord. L’esternalizzazione di processi da parte delle imprese ha favorito la nascita di nuove partite Iva. I dati a disposizione dimostrano invece che questo fenomeno non si sta verificando nella crisi odierna. Recentemente il numero di lavoratori autonomi si è ridotto maggiormente rispetto alla perdita di posti di lavoro dipendente, perciò questo universo produttivo non sta più svolgendo il ruolo di ammortizzatore sociale che ha svolto nel passato”.

Dal punto di vista economico come stanno?

“Si tratta di un universo polarizzato. Da un lato esiste una categoria di imprenditori e liberi professionisti benestanti e privilegiati. Si tratta, a dire il vero, di un gruppo numericamente limitato rispetto al totale complessivo. Dall'altro lato esiste poi un grandissimo numero di lavoratori autonomi che invece hanno un reddito molto vicino alla linea di povertà. I dati evidenziano che si tratta del 27% del totale. Per i lavoratori dipendenti il dato è pari invece al 14%. Inoltre all’interno delle partite Iva non tutte godono di un effettiva autonomia lavorativa. Molte di loro sono solo teoricamente indipendenti". Si riferisce a quelle che di fatto svolgono un lavoro subordinato?

“Non solo. Le false partite Iva, ovvero i lavoratori dipendenti non assunti regolarmente dai datori di lavoro, sono all’incirca 280 mila, poco meno del 5% del totale. E’ molto più diffuso invece il caso delle partite Iva mono committente. Questi lavoratori di fatto hanno vincoli e non godono di completa autonomia relativamente al luogo di lavoro e/o ai tempi di lavoro. Questa area grigia a cavallo tra il lavoro dipendente e quello autonomo è vastissima ed esclusi gli imprenditori rappresentano la metà delle restanti partite Iva, circa un terzo dei 5.7 milioni di lavoratori autonomi esistenti”.

Il ministro Fornero prima di varare la riforma del lavoro aveva promesso di migliorare il welfare dei lavoratori autonomi. Ormai la riforma è giunta al traguardo. Come sono cambiate le cose per le partite Iva?

Nonostante i proclami del ministro la verità è che sono cambiate in peggio. La riforma prevede un aumento della contribuzione previdenziale dal 27% al 33%. L’intento è quello di aumentare l'entità dell’assegno pensionistico ma per le partite Iva questo non si traduce in un vantaggio ma in un danno”.

Perché?

“Perché i maggiori contributi non sono pagati da un datore di lavoro ma direttamente dai lavoratori autonomi e questo comporta una perdita di reddito disponibile. Per le migliaia di partite Iva che vivono sul filo della sopravvivenza potrebbe essere un colpo mortale. Inoltre i lavoratori autonomi hanno un concetto diverso della pensione rispetto ai lavoratori dipendenti. Un autonomo non pensa di smettere di lavorare raggiunta una certa età ma spera di poter lasciare l’attività a un figlio e affiancare quest’ultimo fino a quando è in grado di lavorare. Perciò la riforma del welfare introdotta dalla Fornero per gli autonomi rappresenta un danno e non un vantaggio e rischia di far crescere enormemente il sommerso che paradossalmente lo Stato vuole ridurre. Per cui da un lato si annuncia una crociata contro l’evasione fiscale dall’altra invece si prendono provvedimenti che potenzialmente la incentivano”.

Ma di quale riforma del welfare avrebbero bisogno le partite Iva?

Il provvedimento più urgente sarebbe sicuramente l’introduzione di un reddito di cittadinanza che esiste in tutta Europa tranne che in Grecia. In Italia gli ammortizzatori sociali esistono solo per chi perde il lavoro dipendente. Una partita Iva costretta a chiudere la propria attività non gode di nessuna forma di aiuto. Il reddito di cittadinanza tutelerebbe anche i lavoratori autonomi che a causa di forza maggiore sono costretti a chiudere la loro attività”.

Una riforma del genere, pur se giustissima, avrebbe però dei costi che lo Stato italiano al momento non è in grado di sostenere.

“E’ vero. Servirebbe infatti un grande patto tra lo Stato e il mondo del lavoro autonomo. Da un lato le partite Iva dovrebbero ridurre il fenomeno dell’evasione fiscale che oggettivamente esiste, dall’altro lo Stato dovrebbe estendere anche a loro le forme di welfare oggi previste solo per il mondo del lavoro dipendente”.