Ricetta per risolvere la crisi italiana ed europea

Stilinga ha letto molti articoli di giornali in queste feste natalizie e si è convinta che la ricetta (per lo più vecchia nella sua testa: è da un pezzo che Stilinga ha partorito e cresciuto tale visione/osservazione) per risolvere la crisi economica italiana ed europea (soprattutto dell'Europa meridionale) è far ripartire la produzione italiana ed europea, a detrimento dell'economia che esporta maggiormente da noi: quella cinese.

Di fatto, in questi ultimi decenni, che sono stati caratterizzati dalla "globalizzazione" (in realtà la nostra nazione ed il continente europeo in particolare è stato colpito dalla sola nuda e cruda "cinesizzazione"), si sono aumentate le importazioni cinesi (causa delocalizzazione sfrenata delle aziende italiane ed europee in Asia) e si è illuso il popolo italiano ed europeo che la patria - fabbrica del mondo sarebbe stato il luogo utopistico ove vendere montagne di prodotti autoctoni, dove un mercato di oltre un miliardo di persone non aspetterebbe altro che comprare prodotti italiani ed europei.

Insomma, una vera e grassa bugia.

Tale miliardo e passa di gente cinese, o almeno, la maggior parte di questa massa di potenziali acquirenti non sbarca manco il lunario e come può permettersi di comprare prodotti italiani ed europei? che ormai sono realizzati dai loro connazionali in Cina ed in Italia?

La cinesizzazione ha ucciso migliaia di posti di lavoro in tutto il Mediterraneo, arricchendo pochi ed impoverendo moltissimi, e ha invaso lo stesso con prodotti ad obsolescenza programmata ed ora le Erinni economiche devastano quello che resta, con speculazione e spread che vola, in quanto l'Europa di fatto a livello politico non esiste.

Allora la ricetta è: produrre tutto (dagli zampironi alle scarpe, dai pomodori ai prodotti tecnologici, etc., etc.) ma, proprio tutto qua in Italia, in Europa.

Promuovere per legge il rilancio dei distretti industriali e crearne di nuovi, istituire la filiera corta, il km zero dalla carta, alla frutta, dalla plastica alla verdura per far risorgere il LOCAL e ammazzare il rincaro sui prodotti, in quanto il carburante per trasportarli è alle stelle (ma poi perchè la merce non viaggia su ferro?).

Assicurare la piena occupazione alla forza lavorativa attiva italiana ed europea, aumenterebbe le entrate fiscali, la crescita e potremmo finalmente permetterci (qua da noi, in questo paese crudele e arrogante) anche il sussidio minimo di cittadinanza per diventare finalmente civili.

Altrimenti il pericolo è il collasso dell'Italia (dove vivere ora - ma pure ieri- è una lotta alla sopravvivenza, un perdersi nella burocrazia bizantina, un arrabbiarsi continuo, una dannazione infernale).

Allora cosa aspettiamo?

Licenziamenti falso problema di Luciano Gallino

"Licenziamenti falso problema” (Luciano Gallino).


C´è una realtà sotto gli occhi di milioni di italiani, che essi vedono e patiscono ogni giorno.

L´industria italiana sta perdendo i pezzi.

Lo dicono, più ancora che i media nazionali, che si debbono per forza concentrare sui casi più eclatanti, la miriade di Tg regionali e di giornali locali. Non ce n´è uno, da settimane, che non rechi in prima pagina l´allarme per un´impresa del luogo che sta per chiudere. Da Varese a Palermo, dal Cuneese al Friuli, da Ancona a Cagliari. Per tal via sono già scomparsi centinaia di migliaia di posti di lavoro; altrettanti rischiano di seguirli nel prossimo anno.

Nessun settore sembra salvarsi.

Sono in crisi l´auto (ovviamente Fiat: 550.000 vetture prodotte in Italia nel 2010, un quarto rispetto a vent´anni fa) e l´aerospazio (vari siti di Alenia); la costruzione di grandi navi, di cui l´Italia fu leader mondiale (almeno sei siti di Fincantieri) e gli elettrodomestici (Merloni di Fabriano e Nocera Umbra); la microelettronica (ST-Microelectronics a Catania) e il trasporto navale di container (Mct di Gioia Tauro); la siderurgia (Ilva a Taranto) e la chimica (Montefibre a Venezia, Petrolchimico e Vinyls a Porto Torres). Si potrebbe continuare per un paio di pagine. Sono anche crisi, tutte, accompagnate da forti perdite di posti di lavoro nell´indotto e nei servizi, poiché è pur sempre l´industria il settore da cui proviene la maggior domanda di essi.

Di fronte a una simile realtà, ed alla inettitudine dimostrata al riguardo dal precedente governo, ci si poteva aspettare che il governo nuovo aprisse una robusta discussione con sindacati, industriali, manager, esperti del settore, per vedere se si trova il modo o di rilanciare rapidamente le industrie in crisi, o di svilupparne di nuove affinché assorbano il maggior numero di disoccupati presenti e futuri.

Invece no.

Il governo apre un tavolo di discussione per decidere quali riforme introdurre sul mercato del lavoro al fine di renderlo più flessibile. Ed i sindacati, anziché ribattere che il problema primo e vitale è quello di creare lavoro, accettano di discutere sul come riformare le norme d´ingresso e di uscita da un mercato che intanto rischia una contrazione senza precedenti. Il che equivale a chiedere all´orchestra, tutti insieme, di suonare il valzer preferito mentre la nave è in vista dell´iceberg che la porterà a fondo. Fondo che in questo caso si chiama una durissima recessione, con milioni di disoccupati di lunga durata.

Dinanzi a una simile disconnessione dalla realtà di ambedue le controparti non restano che due strade. Una è arcibattuta: se mai c´è stato in passato un frammento di evidenza empirica comprovante che una maggior flessibilità in uscita accresce il numero degli occupati, a causa della crisi economica in atto tale affermazione è ancora più illusoria.

Le imprese non assumono perché non ricevono ordinativi.

In molti casi è chiaro che è colpa loro. La grande cantieristica, per citare un caso paradigmatico, conta ancora nel mondo numerose società che producono ogni anno decine di navi d´ogni genere, dalle petroliere ecologiche ai trasporti adatti alle autostrade del mare. Non avendo saputo riconvertirsi, i cantieri di Fincantieri si ritrovano ora con zero commesse.

Davvero si può pensare che se gli facilitassero i licenziamenti individuali essi assumerebbero folle di lavoratori?

Un altro argomento che occorre pur ripetere è che il proposito di far assumere come lavoratori dipendenti un buon numero di precari è decisamente apprezzabile.

Ma se il contratto di breve durata che caratterizza le occupazioni atipiche si riproduce nell´area dei nuovi contratti perché questi implicano la possibilità di licenziare il nuovo assunto, anche senza giusta causa, per un periodo che addirittura supera di molto l´attuale durata media dei contratti atipici, la precarietà cambierà di pelle giuridica, ma resterà tal quale nella realtà.

Le imprese che in questi anni sono ricorse a milioni di contratti di breve durata in forza della legge 30/2003, allo scopo precipuo di adattare la forza lavoro in carico all´andamento degli ordinativi, useranno il periodo di prova, di apprendistato o come si voglia chiamarlo, lungo addirittura tre anni e più, per perseguire il medesimo scopo.

Duole dire che anche le proposte di un potenziamento degli ammortizzatori sociali, sponsorizzato in specie dal Pd, appare arretrato di fronte alla realtà della disoccupazione ed alle sue cause.

Certo, se si ritiene che non ci siano alternative, come diceva la signora Thatcher, meglio un sussidio che non la miseria.

Ma creare nuovi posti di lavoro in realtà non costerebbe molto di più, immaginazione politica ed economica aiutando.

E un lavoro stabile e remunerato intorno o poco sotto alla media salariale è una soluzione che molti preferirebbero rispetto a sette od ottocento euro di sussidio percepito magari per anni, ma senza la possibilità di ritrovare un lavoro. Oltre ad essere, in tema di difesa delle competenze professionali e della coesione sociale, assai più efficace.



Da La Repubblica del 05/01/2012.

"Odio il Capodanno" di Antonio Gramsci

Odio il capodanno di A. Gramsci

Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.

Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna. E sono diventati cosí invadenti e cosí fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Cosí la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa la film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.
Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.



(Antonio Gramsci, 1° Gennaio 1916 su l’Avanti!, edizione torinese, rubrica “Sotto la Mole”)



http://violapost.wordpress.com/2011/12/31/odio-il-capodanno/

Hai una missione da compiere: alzati e combatti.

Hai una missione da compiere: alzati e combatti.


"(...) C’è un mondo migliore da costruire e c’è un mucchio di cose impossibili da fare subito.
Quindi, se il mondo ama l’impossibile ti conviene capire che non c’è di peggio che morire rendendosi conto che potevi fare di tutto e non ci hai provato! E’ quello l’inferno. E ci sono dei diavoli carogne che ti buttano tutti i giorni giù da un grattacielo sopra un’istrice di pali di ferro roventi.
Quindi alzati e combatti. Se non fai niente rischi troppo."

di Jacopo Fo  http://www.jacopofo.com/