Storie di ordinaria ferocia nella Cina della dittatura

D - La Repubblica - 17 dicembre 2011 - pag. 42


Piccole storie (non solo) cinesi

Se la tigre mangia i figli

Concorrenza e selezione spietata, a partire dall'infanzia e in ogni campo Ma la ricetta ha un prezzo terribile
di Giampaolo Visetti


Se muoio, giuro che la colpa è della professoressa di matematica. Lasciate che gli agenti se la portino via". Firmato Z., scolara di undici anni iscritta alle elementari di Funan, regione dell'Anhui. Quando i compagni hanno scoperto il messaggio sulla lavagna, era troppo tardi. Z. e la sua vicina di banco X. si erano già divise una bottiglia di pesticida. Due settimane in coma, stomaco e intestino bruciati, prima di essere riportate alla vita. Un miracolo, ma la Cina è sotto shock. La madre di Z. ha raccontato che, mentre era incosciente, la figlia ripeteva che doveva filare a fare i compiti, altrimenti l'insegnante l'avrebbe punita. Le due compagne hanno confermato. "Eravamo depresse. Non tenevamo il passo e i professori ci umiliavano. Non volevamo più vivere".

Anche X. aveva lasciato un messaggio per la famiglia. Sull'armadietto di classe ha scritto: "Sono stanca, nessuno mi capisce, voglio morire". Uscite dall'ospedale, sono state convocate dal direttore della scuola. "Abbiamo lasciato le nostre ultime parole - hanno spiegato - per far sapere a tutti chi ci aveva ucciso e chi doveva rispondere per la nostra fine". L'insegnante di matematica, ora sotto inchiesta, nega. Giura di non aver mai picchiato le due aspiranti suicide e di essersi limitata a farle sedere in fondo alla classe. "Erano pigre, rallentavano il lavoro dei compagni. Ho deciso di ignorarle".

È l'indifferenza, a scuola e in casa, che secondo gli assistenti sociali avrebbe indotto Z. e X. a farla finita a undici anni. Ma il dramma di Funan porta alla luce il lato oscuro della Cina: concorrenza e selezione spietata, a partire dall'infanzia e in ogni campo. Chi perde un colpo è perduto. La scuola, da luogo che apre gli occhi sulla conoscenza, è ridotta a setaccio del destino. I bambini che non eccellono subito, vengono dirottati verso fabbriche e campagne. Prima dei quattordici anni, luogo di vita e ruolo nella società sono decisi dagli insegnanti. Sotto accusa ci sono però ora proprio loro, maestri e professori. Carriera e stipendio sono proporzionali ai risultati degli allievi: più questi eccellono nei test di ammissione all'università e più quelli guadagnano, o maggiori possibilità hanno di lasciare i villaggi per avvicinarsi agli istituti di città. Un intreccio fatale: il destino dei bambini è nelle mani dei docenti e la vita degli insegnanti dipende dagli scolari.

In Cina non è in gioco l'ambizione: è questione di vita o di morte. Pressione e stress, ora che eccellere significa diventare ricchi, toccano livelli insostenibili. Anche un bambino della scuola media di Luoyang, nello Henan, si è gettato dal sesto piano dell'istituto dopo una prova andata male. "Per punizione doveva fare centro flessioni davanti ai compagni - ha raccontato il padre - ma sapeva che non ce l'avrebbe fatta". Y, a tredici anni, ha visto il cielo fuori dalla finestra e gli si è buttato dentro.

I cinesi, sconvolti, iniziano a domandarsi se la severità aiuta a educare, oppure se è il velo che copre un sistema fallito: professori valutati in base al rendimento degli alunni, scuole finanziate in proporzione al successo degli allievi, famiglie premiate in relazione ai risultati dei figli. Appena venuti al mondo, invece di consumare il proprio tempo della felicità, si è trasformati nel capitale degli altri. Uno studio ha rilanciato l'allarme. In Cina il 68% di chi ha tra i sei e i 26 anni, trascorre almeno nove ore al giorno sui libri. Bambini e adolescenti, a causa del carico di compiti, dormono meno di sette ore per notte. Il disagio coinvolge gli insegnanti e si allarga alle famiglie. "I genitori - dice Hongcai Wang, direttore dell'istituto di educazione dell'università di Xiamen - sono costretti a riporre attese troppo alte sui figli, spesso unici e loro sola opportunità di riscatto. Crescono barriere di silenzio e l'impossibilità di liberare le emozioni sfociano sempre più spesso in azioni estreme".

Trent'anni di rincorsa prodigiosa, ma la società si scopre esausta e scavata dall'ansia. La "madre tigre" intuisce di divorare "figli agnelli", ma il presidente Hu Jintao non rinuncia a un appello agli scolari: "Siate consapevoli della sacra missione che la patria vi affida: sostenere la torcia della ricerca e della scienza, creare un'alba nuova per l'arte e la cultura". Sacrificio e talento, creatività e successo: per ordine di partito.

Servizio Pubblico: evitare la catastrofe!

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/09/servizio-pubblico-evitare-catastrofe-video-youtube/176191/

La chiesa greca dona il patrimonio immobiliare alla nazione in difficolta’. E’ un’idea…

La chiesa greca dona il patrimonio immobiliare alla nazione in difficolta’. E’ un’idea…


7 luglio 2011

By Luciano Priori Friggi

I greci hanno ancora una nazione

C’e’ questa notiziuola di mercoledì che un’agenzia impertinente, l’AGI, ci spedisce da Atene e il cui sound e’ questo: “la chiesa ortodossa greca sarebbe pronta a cedere parte del suo vasto patrimonio immobiliare per aiutare il paese a contrastare la grave crisi economica”.

Fermi tutti, mi sono detto, la chiesa? e cedere a chi?

Questo il seguito. A rendere nota la proposta non e’ stato un prelato piu’ o meno titolato da un balcone, o da uno scranno messo su per l’occasione, ma “il ministro delle Finanze ellenico, Evangelos Venizelos, al termine di un colloquio con il l’arcivescovo Ieronymos II, massima autorita’ spirituale della nazione”. Discrezione e concretezza.



Gia’ la nazione. Insomma i greci hanno ancora una nazione, e un prelato va dal ministro e gli dice, questi sono i nostri beni e sono a disposizione della nazione. Il prelato ha detto al ministro di essere anche “molto ottimista sulle possibilita’ di cooperazione con la chiesa su strumenti pratici per alleviare le sofferenze dei piu’ bisognosi”.



Il religioso ha detto infine che le trattative sono “molto costruttive” e ha promesso che “la chiesa continuera’ a combattere per la gente in questi momenti cruciali”.



Parole semplici, fatti. E da noi? Un fiume di denaro va dallo stato alle confessioni religiose: ad es. cio’ che va alla Chiesa cattolica deve essere impiegato “per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo”.



Di che cifre parliamo? Nel 2008 di 1002 milioni di euro (fonte Wikipedia, “Otto per mille”), che nel 1990 erano 398. Ovviamente ripartite fra le varie religioni. Non conosco le proporzioni, ma e’ facile ipotizzare, dati i rapporti numerici, che vada quasi tutto alla Chiesa cattolica.



Ora, quest’ultima ha anche un patrimonio immobiliare. Secondo una stima di Franco Alemani del gruppo Re, si sa che «Il 20-22% del patrimonio immobiliare nazionale è della Chiesa». Si tratta di donazioni, lasciti (erano proibite nell’Ottocento in vari stati europei), e quindi spessisimo di rendite che vanno ad aggiungersi ai contributi dello stato (perche’ l’8 per mille e’ sottratto alla fiscalita’ generale, non e’ qualcosa in piu’ che i contribuenti danno).



Che fara’ la Chiesa, o le Chiese di fronte al grande debito nazionale e alle sofferenze che ci attendono?



Tremonti intanto, in attesa che si faccia vivo qualcuno, sull’esempio della Grecia, si prende tutto quel riesce a prendere ai poveri risparmiatori. Ma di questo abbiamo parlato ampiamente e per ora soprassediamo.



LPF – Luciano Priori Friggi

(L_pf@yahoo.it)



http://www.borsaplus.com/index.php/archives/2011/07/07/la-chiesa-greca-dona-il-patrimonio-immobiliare-alla-nazione-in-difficolta-e-unidea/

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A Napoli balie italiane per bebè cinesi

A Napoli balie italiane per bebè cinesi

preso da :
http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/a-napoli-balie-italiane-per-bebe-cinesi-1031350/






ROMA – Capita, nella zona della stazione centrale di Napoli, di vedere nei passeggini bebè con gli occhi a mandorla scarrozzati da donne mediterranee. All'inizio si può pensare che i piccolini siano adottati o in affido, ma poi la spiegazione: sono mamme in affitto. Si tratta di un lavoro che napoletane quarantenni si sono industriate a fare.



Nella città che meno opportunità offre alle donne, dove 3 su 4 sono fuori dal mercato del lavoro, fanno quello che riesce loro meglio: crescere i figli. Ma a pagamento. Contribuiscono all'economia di casa prendendosi cura a casa propria dei bambini di imprenditori e grossisti cinesi con una tariffa modica rispetto a quanto costerebbe una 'vera' baby sitter.



Proprio come per le badanti c'è un tariffario anche per la balia napoletana. La mamma riceve 500 euro netti o 600 euro se provvede anche a cibo e pannolini. In nero, manco a dirlo. E si prende cura del bimbo generalmente fino ai 3-4 anni.



Succede da tempo nella provincia vesuviana – Terzigno, Somma, San Giuseppe – dove anni fa si sono impiantati i primi opifici cinesi. Ora anche in città, nella zona popolare e ad alta densità della Stazione dove sono venuti ad abitare anche i commercianti all'ingrosso che hanno colonizzato con i loro capannoni la periferia est.



I nuovi ricchi cinesi hanno una certa capacità economica, ma – impegnati a lavorare 12-13 ore al giorno – non si concedono il lusso di crescere un figlio. Non li lasciano – forse per far integrare meglio i bambini – nei nidi dormitorio all'interno della propria comunità. Li affidano notte e giorno a una donna che surroghi l'amore materno. E se accudire gli anziani è un lavoro spesso delegato alle donne immigrate, quelle italiane trovano più accettabile dedicarsi ai bambini. A sentire alcune storie si capisce che tra le nuove balie ci sono donne in cerca di un figlio mai avuto o che ne crescono uno per dare da mangiare ad altri. Una di loro è Annamaria, 40 anni, 3 figli e un marito che lavora saltuariamente.



Così attraverso un contatto con uno studio che sbriga pratiche di tutti i tipi ha trovato un lavoro atipico ed è lei che porta in casa la fetta maggiore di reddito familiare. Il nuovo arrivato è il figlio di un grossista che abita nella sua zona, nel rione Case Nuove, proprio accanto alla stazione Centrale. La mamma del piccolo è tornata in Cina, lasciando a Napoli il figlio. Dal lunedì al sabato Annamaria fa la mamma oltre che dei suoi figli anche del bimbo, che ora ha quasi due anni, e quando l'ha preso ne aveva 6. Il piccolo mangia, dorme, la chiama ''mamma'', impara l'italiano (o meglio il dialetto) dai ''fratelli''. Poi la domenica sta un po' col papà di sangue anche se ''non vuole andarci – spiega la donna – non lo riconosce e non lo capisce quando parla''.



Quando avrà l'età per andare a scuola, potrebbe partire. E' già successo al bimbo cresciuto da una balia sua conoscente. A quattro anni è volato verso la Cina per indottrinarsi alla disciplina d'origine.



Le storie sono tante e diverse. Donne senza scolarità, e con poche alternative. Ma anche casalinghe col desiderio di un figlio. Franca ha avuto una piccolina cinese che ha chiamato Sabrina, ora ha 8 mesi. La bimba non è figlia sua, ma a volte sembra dimenticarselo. E se un giorno dovessero riprendersela? "Non ci voglio nemmeno pensare, per adesso mi godo mia figlia", dice.



26 novembre 2011
13:18



http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/a-napoli-balie-italiane-per-bebe-cinesi-1031350/