La chiesa greca dona il patrimonio immobiliare alla nazione in difficolta’. E’ un’idea…

La chiesa greca dona il patrimonio immobiliare alla nazione in difficolta’. E’ un’idea…


7 luglio 2011

By Luciano Priori Friggi

I greci hanno ancora una nazione

C’e’ questa notiziuola di mercoledì che un’agenzia impertinente, l’AGI, ci spedisce da Atene e il cui sound e’ questo: “la chiesa ortodossa greca sarebbe pronta a cedere parte del suo vasto patrimonio immobiliare per aiutare il paese a contrastare la grave crisi economica”.

Fermi tutti, mi sono detto, la chiesa? e cedere a chi?

Questo il seguito. A rendere nota la proposta non e’ stato un prelato piu’ o meno titolato da un balcone, o da uno scranno messo su per l’occasione, ma “il ministro delle Finanze ellenico, Evangelos Venizelos, al termine di un colloquio con il l’arcivescovo Ieronymos II, massima autorita’ spirituale della nazione”. Discrezione e concretezza.



Gia’ la nazione. Insomma i greci hanno ancora una nazione, e un prelato va dal ministro e gli dice, questi sono i nostri beni e sono a disposizione della nazione. Il prelato ha detto al ministro di essere anche “molto ottimista sulle possibilita’ di cooperazione con la chiesa su strumenti pratici per alleviare le sofferenze dei piu’ bisognosi”.



Il religioso ha detto infine che le trattative sono “molto costruttive” e ha promesso che “la chiesa continuera’ a combattere per la gente in questi momenti cruciali”.



Parole semplici, fatti. E da noi? Un fiume di denaro va dallo stato alle confessioni religiose: ad es. cio’ che va alla Chiesa cattolica deve essere impiegato “per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo”.



Di che cifre parliamo? Nel 2008 di 1002 milioni di euro (fonte Wikipedia, “Otto per mille”), che nel 1990 erano 398. Ovviamente ripartite fra le varie religioni. Non conosco le proporzioni, ma e’ facile ipotizzare, dati i rapporti numerici, che vada quasi tutto alla Chiesa cattolica.



Ora, quest’ultima ha anche un patrimonio immobiliare. Secondo una stima di Franco Alemani del gruppo Re, si sa che «Il 20-22% del patrimonio immobiliare nazionale è della Chiesa». Si tratta di donazioni, lasciti (erano proibite nell’Ottocento in vari stati europei), e quindi spessisimo di rendite che vanno ad aggiungersi ai contributi dello stato (perche’ l’8 per mille e’ sottratto alla fiscalita’ generale, non e’ qualcosa in piu’ che i contribuenti danno).



Che fara’ la Chiesa, o le Chiese di fronte al grande debito nazionale e alle sofferenze che ci attendono?



Tremonti intanto, in attesa che si faccia vivo qualcuno, sull’esempio della Grecia, si prende tutto quel riesce a prendere ai poveri risparmiatori. Ma di questo abbiamo parlato ampiamente e per ora soprassediamo.



LPF – Luciano Priori Friggi

(L_pf@yahoo.it)



http://www.borsaplus.com/index.php/archives/2011/07/07/la-chiesa-greca-dona-il-patrimonio-immobiliare-alla-nazione-in-difficolta-e-unidea/

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A Napoli balie italiane per bebè cinesi

A Napoli balie italiane per bebè cinesi

preso da :
http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/a-napoli-balie-italiane-per-bebe-cinesi-1031350/






ROMA – Capita, nella zona della stazione centrale di Napoli, di vedere nei passeggini bebè con gli occhi a mandorla scarrozzati da donne mediterranee. All'inizio si può pensare che i piccolini siano adottati o in affido, ma poi la spiegazione: sono mamme in affitto. Si tratta di un lavoro che napoletane quarantenni si sono industriate a fare.



Nella città che meno opportunità offre alle donne, dove 3 su 4 sono fuori dal mercato del lavoro, fanno quello che riesce loro meglio: crescere i figli. Ma a pagamento. Contribuiscono all'economia di casa prendendosi cura a casa propria dei bambini di imprenditori e grossisti cinesi con una tariffa modica rispetto a quanto costerebbe una 'vera' baby sitter.



Proprio come per le badanti c'è un tariffario anche per la balia napoletana. La mamma riceve 500 euro netti o 600 euro se provvede anche a cibo e pannolini. In nero, manco a dirlo. E si prende cura del bimbo generalmente fino ai 3-4 anni.



Succede da tempo nella provincia vesuviana – Terzigno, Somma, San Giuseppe – dove anni fa si sono impiantati i primi opifici cinesi. Ora anche in città, nella zona popolare e ad alta densità della Stazione dove sono venuti ad abitare anche i commercianti all'ingrosso che hanno colonizzato con i loro capannoni la periferia est.



I nuovi ricchi cinesi hanno una certa capacità economica, ma – impegnati a lavorare 12-13 ore al giorno – non si concedono il lusso di crescere un figlio. Non li lasciano – forse per far integrare meglio i bambini – nei nidi dormitorio all'interno della propria comunità. Li affidano notte e giorno a una donna che surroghi l'amore materno. E se accudire gli anziani è un lavoro spesso delegato alle donne immigrate, quelle italiane trovano più accettabile dedicarsi ai bambini. A sentire alcune storie si capisce che tra le nuove balie ci sono donne in cerca di un figlio mai avuto o che ne crescono uno per dare da mangiare ad altri. Una di loro è Annamaria, 40 anni, 3 figli e un marito che lavora saltuariamente.



Così attraverso un contatto con uno studio che sbriga pratiche di tutti i tipi ha trovato un lavoro atipico ed è lei che porta in casa la fetta maggiore di reddito familiare. Il nuovo arrivato è il figlio di un grossista che abita nella sua zona, nel rione Case Nuove, proprio accanto alla stazione Centrale. La mamma del piccolo è tornata in Cina, lasciando a Napoli il figlio. Dal lunedì al sabato Annamaria fa la mamma oltre che dei suoi figli anche del bimbo, che ora ha quasi due anni, e quando l'ha preso ne aveva 6. Il piccolo mangia, dorme, la chiama ''mamma'', impara l'italiano (o meglio il dialetto) dai ''fratelli''. Poi la domenica sta un po' col papà di sangue anche se ''non vuole andarci – spiega la donna – non lo riconosce e non lo capisce quando parla''.



Quando avrà l'età per andare a scuola, potrebbe partire. E' già successo al bimbo cresciuto da una balia sua conoscente. A quattro anni è volato verso la Cina per indottrinarsi alla disciplina d'origine.



Le storie sono tante e diverse. Donne senza scolarità, e con poche alternative. Ma anche casalinghe col desiderio di un figlio. Franca ha avuto una piccolina cinese che ha chiamato Sabrina, ora ha 8 mesi. La bimba non è figlia sua, ma a volte sembra dimenticarselo. E se un giorno dovessero riprendersela? "Non ci voglio nemmeno pensare, per adesso mi godo mia figlia", dice.



26 novembre 2011
13:18



http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/a-napoli-balie-italiane-per-bebe-cinesi-1031350/

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